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Autore: kristyblue    28/12/2013    2 recensioni
[Labyrinth/The Santa Clause crossover + altri]
Comincia tutto con una sfida, una scommessa fatta quasi per scherzo. Ma quando la figlia del Re dei Goblin e della Campionessa del Labirinto affronta Jack Brina, istrionico signore dei ghiacci, per decidere a chi spetti il trono di Jareth, la situazione degenera rapidamente in uno scontro che rischia di travolgere l'esistenza stessa del Labirinto e delle Creature Fantastiche di tutto il mondo. Ancora una volta Sarah e Jareth dovranno affrontare imprevisti e pericoli alla luce del sentimento di giocosa rivalità che li unisce, e contemporaneamente destreggiarsi nel non facile ruolo di genitori di una figlia ormai cresciuta, che ha ereditato la testardaggine di Sarah, l'astuzia di Jareth e la refrattarietà di entrambi a farsi comandare a bacchetta... Un crossover fra Labyrinth e la saga di Santa Clause con Tim Allen (sopratutto il terzo film, "Santa Clause è nei guai", anche se lo precede cronologicamente - è ambientata poco dopo che Scott Calvin è diventato Babbo Natale, quindi subito dopo il primo film), "contaminato" però anche con altri film come "Polar Express", "SOS Befana" e i romanzi della serie di Artemis Fowl.
Genere: Avventura, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jareth, Nuovo personaggio, Sarah, Toby
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Questo capitolo partecipa alla challenge "La sfida dei duecento prompt" di kamy.
Prompt 35 - Morte

*** Un altro tempo, un altro luogo ***

“Tu non hai alcun potere su di me!”

Le aveva lette su un libro, quelle parole, e poi ripetute a voce alta quando la vita di suo fratello Toby aveva finito per dipendere interamente da una sua scelta. Le aveva pronunciate sorreggendo lo sguardo affilato di Jareth, e sul momento ci aveva creduto. Per la prima volta da quando sua madre se n’era andata, Sarah si era sentita forte… invincibile. Nel giro di pochi attimi, o di un’eternità, o di quanto fosse durato il viaggio nel Labirinto, la ragazzina scontrosa, taciturna e prepotente era diventata un'adolescente consapevole delle sue forze, pronta ad affrontare la vita come aveva affrontato lui; a testa alta, senza indietreggiare.

Non m’importa di quanto puoi essere terrificante, avrebbe voluto urlargli contro. Non mi spaventano i tuoi poteri né il tuo esercito di Goblin. Questa partita l’ho vinta io, Maestà. E ti posso garantire che non sarà l’ultima.

In quel momento aveva saputo che qualunque avversità l’attendesse nel mondo reale, non sarebbe riuscita mai più a spaventarla, perché niente nella realtà poteva essere più terribile di Jareth, e lei lo aveva sconfitto. Mettendo in fuga lui, aveva messo in fuga le sue stesse paure. Io sola ho potere su di me, sulla mia vita! Io. Soltanto io.

Ma era poi vero?

All’epoca, Sarah si era detta che doveva per forza andare così, che quella era la conclusione inevitabile della sua ricerca per il fratello, e che non poteva finire diversamente. Tu o io, Re dei Goblin. Non possiamo vincere tutti e due. Anche se per un attimo, di fronte all’amarezza negli occhi di Jareth quando lui aveva scagliato in alto la sfera di vetro, si era sorpresa a pensare che in fondo un po’ le dispiaceva. Sì, Jareth avrebbe potuto essere crudele con lei e con suo fratello, avrebbe potuto giocare molto più sporco e schiacciare la sua fiducia in sé stessa… però non l’aveva fatto, affrontandola non come una creatura mitologica  e immensamente potente che si beffa di un patetico mortale, ma da pari a pari.

Avrebbe voluto smettere di pensare a lui, dimenticarlo con la fine dell’avventura. Però non ci era mai riuscita davvero. E negli anni, lentamente, aveva cominciato a dubitare delle frasi che gli aveva scagliato contro quel giorno.

Se è vero che lui non ha alcun potere su di me, allora perché non riesco a dimenticarlo? Perché, quando di notte ho gli incubi, sogno di urlare il suo nome e di colpo mi risveglio nella sicurezza della mia stanza? Era come se il suo nome bastasse a scacciare via le ombre.

Quando le cose non andavano per  il verso giusto, o quando Sarah si trovava di fronte a un ostacolo, allora sì, ricordava il momento in cui l’aveva sconfitto e si sentiva invadere da una gran sicurezza. Eppure, non riusciva a mentire a sé stessa; a farla sentire in quel modo non era tanto il ricordo della sconfitta di Jareth, quanto il pensiero di lui.

Poi, una volta, aveva letto qualcosa riguardo alle anime gemelle, e ne era rimasta folgorata.

Quadrava tutto. Lei e Jareth erano più simili di quanto nessuno dei due fosse disposto ad ammettere. Testardi, sfrontati, e sì, forse non erano le persone più adorabili sulla faccia della terra, ma dietro le maschere del  cinismo e dell’indifferenza, i loro cuori battevano in sincrono. Un sincrono che però non aveva nulla a che fare con il resto del mondo.

Il giorno in cui aveva raggiunto questa consapevolezza, suo padre aveva perso la vita in un incidente d’auto.

Era stato Toby a darle la notizia al telefono, e Sarah aveva fatto i bagagli in tutta fretta ed era balzata sul primo volo per raggiungere il fratello. Avrebbe voluto pensare che stava tornando a casa, ma in effetti quella aveva smesso di essere casa sua da un bel pezzo. Neppure ricordava quando i rapporti con suo padre avevano cominciato a raffreddarsi;  doveva essere stato dopo la morte di Karen. Sarah era riuscita a rappacificarsi con la matrigna e perfino a trascorrere degli anni felici e spensierati con la sua famiglia, in seguito all’avventura nel Labirinto. Ma dopo la morte di lei, il rimpianto per le occasioni sprecate, unito al ricordo di tutti i loro vecchi rancori, avevano assalito il padre di Sarah e lo avevano allontanato sempre più dalla figlia. Alla fine, Sarah si era trasferita sull’altra costa degli Stati Uniti. Tornava ancora nella vecchia casa in occasione dei compleanni del fratello e per Natale, e in quelle occasioni il padre sembrava davvero felice di vederla; nel resto dell’anno, però, si sen tivano pochissimo.

E adesso lui era morto. Prima che Sarah potesse rimettere le cose a posto, prima che il padre avesse trovato il coraggio di chiamarla e chiederle scusa. In aereo, all’improvviso, aveva capito che non ci sarebbe stata più nessuna occasione per chiarirsi ed era scoppiata in lacrime, incapace di controllarsi. Le era sembrato orribile, tutto a un tratto, il pensiero del tempo che scorreva implacabile, regolando i destini non solo delle persone uguali a lei, ma delle loro famiglie e dei loro amici.

Aveva scacciato quei pensieri tornando con la mente al Labirinto, e alla sua sfida con Jareth. E ancora una volta il ricordo di lui aveva fugato le ombre, sì; ma in un modo completamente diverso da quel che Sarah si aspettava. Per tutto il resto del volo non aveva fatto che rimuginarci su, e anche lungo il tragitto in taxi dall’aeroporto alla vecchia casa.

Era stata Charlotte, la ragazza di Toby, ad aprirle la porta. Sarah aveva scambiato qualche parola con lei ed era corsa subito incontro al fratello. Non lo vedeva da Natale, e aveva sentito un tuffo al cuore davanti al suo viso pallido e scavato, alle ombre viola sotto gli occhi arrossati. Chiaramente, la morte del padre era stata un bruttissimo colpo per lui, e per un attimo Sarah si era chiesta se dopotutto la scelta che aveva preso in aereo fosse quella giusta.

Si erano abbracciati ed erano rimasti così, stretti l’uno all’altra al centro della stanza, senza parlare, senza piangere. Ci sarebbe stato tutto il tempo per le lacrime, prima e dopo il funerale. In quel momento l’unica cosa che importava era essere di nuovo insieme… una famiglia, anche se solo per poco.

Lei e Charlotte avevano convinto Toby a buttare giù qualche sorso di brodo freddo.  Con gli occhi, la sua quasi-cognata ventunenne le aveva fatto capire che era il primo pasto che suo fratello consumava dal giorno dell’incidente.

“E' dura, ma tu devi mettercela tutta e tirare avanti. Per lui”, lo aveva supplicato Sarah.

Toby aveva fatto una smorfia.

“Lo so.”

“Lui non vorrebbe vederti così…”

“Lo so!”

“Lo capisco che… fa male”, aveva balbettato Sarah con voce rotta, mentre le lacrime ricacciate a viva forza in aereo rompevano gli argini. “Manca anche a me… tantissimo…”

Sul volto del fratello era comparso un debole sorriso.

“So anche questo.”

“Lavo i piatti e mi tolgo di mezzo”, aveva sussurrato Charlotte, alzandosi dal divano e scompigliando affettuosamente i capelli di Toby. “Vorrete stare un po’ da soli. Ci vediamo domani, amore. Buonanotte, Sarah.”

Più tardi, quando i suoi passi erano svaniti per le scale, Toby aveva detto con voce roca;

“Ho già preso accordi perché lo mettano accanto a Karen. Penso che lui avrebbe voluto così.”

Sarah gli aveva stretto le spalle.

“E tu?”, aveva chiesto, guardandolo con serietà negli occhi. “Adesso che farai?”

“Venderò la casa e andrò a vivere da qualche altra parte con Charlotte. Qui ci sono troppi…”

“… ricordi?”

“Sì. Di tutti e due.”

“Sarebbe stato felice di saperti sistemato. Charlotte gli piaceva davvero.”

Di nuovo, suo fratello si era sforzato di sorridere. “Già… è una ragazza adorabile. Non so come avrei fatto, senza di lei.” E, dopo una pausa; “O senza di te.”

“Non pensarci neanche. Adesso sono qui.”

“Quanto ti fermi, stavolta?”

“Pensavo di ripartire dopo il funerale, ma adesso che so quali sono i tuoi piani, aspetterò che tu e Charlotte abbiate trovato una casa per conto vostro. Se per voi va bene, cioè”, si era affrettata ad aggiungere, per timore di contrariarlo.

“La tua stanza è sempre al solito posto, lo sai.”

“Grazie.” Sarah lo aveva guardato con affetto e poi, d’impulso, aveva chiesto; “Senti, perché non venite anche voi con me? Tu e Charlotte. Che ne dici?”

“Vuoi che veniamo a stare da te? A Reno?”

“No. Io, ecco…” Prima di continuare, Sarah aveva dovuto fare appello a tutte le sue forze. "Non torno a Reno, Toby. Sistemerò un paio di faccende e poi… ho intenzione di andare a vivere .”

Toby si era voltato a guardare la sorella come se la vedesse davvero solo in quel momento.

“Là? Vuoi dire…”

“Nell’Underground, sì”, aveva risposto lei d’un fiato.

La reazione di Toby l’aveva delusa. Il ragazzo infatti era rimasto in silenzio, lo sguardo perso nel vuoto. Non sembrava neppure averla sentita.

“Toby, ti prego, dimmi qualcosa! Arrabbiati, se vuoi, urlami contro… ma dimmi qualcosa!”, lo aveva implorato.

“Scusa. Stavo solo riflettendo. Quando ti è saltato in testa di…?”

“Oggi, mentre ero in volo. E’ stata una decisione dell’ultimo minuto, però sento che è la cosa giusta.”

Toby aveva indicato tristemente le stanze buie,  che sembravano più vuote del solito. “Ha qualcosa a che fare con… be’… questo?”

“Ha tutto a che fare con questo. Non posso continuare a perdere le persone a cui voglio bene, Toby, non ce la faccio…” Nel buio, Sarah si era girata a guardarlo e per un attimo gli era sembrata piccola, smarrita e indifesa. Come se fosse stata lei la sorella minore. Toby avrebbe voluto confortarla, ma tutto quello che era riuscito a dire era stato;

“E io? A me non pensi, Sarah?”

“E’ per questo che ti dico… oh, Toby,  venite via anche tu e Charlotte! Potremmo ricominciare tutto da capo, noi tre insieme. Laggiù il tempo scorre diversamente, non è come nel nostro mondo…”

“Cosa vorresti, vivere per sempre?”

“Almeno non dovremmo più preoccuparci di lasciare qualcuno o di… essere lasciati.” Le parole le erano uscite di getto, prima ancora che se ne rendesse conto. Vedendo il fratello rabbuiarsi, aveva provato l’impulso di prendersi a schiaffi da sola. “Perdonami, non avrei dovuto…”

“Non hai detto niente di sbagliato, tranquilla. Piuttosto, che mi dici di quel Re degli Gnomi…”

“Goblin”, lo aveva corretto Sarah, senza riuscire a trattenere un sorriso al pensiero di come avrebbe reagito Jareth, sentendosi dare del re gnomo.

“Sì, lui… Dicevi sempre che gli hai dato una sonora batosta, ricordi? Che farai, se non ti volesse accogliere nel suo regno?”

“Ci penserò quando sarà il momento”, rispose Sarah. In realtà non era affatto sicura di come l’avrebbe accolta lui, ma non voleva parlarne con Toby.

Suo fratello aveva solo dei ricordi molto vaghi e confusi dell’Underground e di Jareth. In pratica, conosceva quel mondo solo attraverso i racconti di Sarah e le parole di Gogol, Didymus e Bubo.

Da piccolo, Toby chiedeva spesso di giocare con gli amici della sorella. Crescendo, tuttavia, aveva cominciato a trovarli sempre più strampalati e a disinteressarsi di loro. Solo una volta, all’età di tredici anni, aveva chiesto improvvisamente alla sorella se “quelli là” continuavano a farle visita.

“Sì, quando ho bisogno di parlare con loro”, aveva risposto lei, sorpresa che se ne ricordasse ancora. “Vuoi che te li saluti?”

“Magari un’altra volta”, aveva risposto Toby con una scrollata di spalle, prima di tornarsene a giocare con la Playstation.


Quella notte aveva la stessa espressione indifferente, e Sarah aveva capito quale sarebbe stata la sua risposta.

“Tu non credi davvero nell’Underground, non è così, Toby?”

“Sarah, per favore. Nostro padre è appena morto, e tu mi vieni a tirare in ballo le nostre… no, le tue fantasie?”

“Non sono fantasie! E’ successo davvero, e tu eri lì. Non ti ricordi… quando Didymus ti raccontava di come vivevano i cavalieri, e tu volevi solo tirare le corna a Bubo?”

“Piantala!”, era scattato suo fratello, balzando in piedi. “Non so se quelle cose sono successe veramente o se esistono solo nella mia testa. Cristo, Sarah! E’ finito il tempo delle favole, adesso siamo due persone adulte!”

Suonava così buffo che fosse proprio il ragazzo diciannovenne a parlare in quel modo, mentre lei, la donna adulta e razionale, aveva appena affermato che l’Underground esisteva davvero.

Eppure Sarah si era impuntata, con la testardaggine di un tempo.

“Ma non capisci che quaggiù siamo condannati a lasciare sempre qualcosa di interrotto? Non ho mai detto a nostro padre che gli volevo ancora bene, e adesso è tardi. Non voglio che succeda ancora, Toby. Non voglio più preoccuparmi del tempo che passa.”

Senza guardarla, il fratello aveva incassato la testa fra le spalle.

“Allora sei davvero… sicura?”

“Sì. E vorrei davvero che tu venissi con me, Toby.”

“Charlotte non accetterebbe mai. Anche ammettendo che io creda a tutta questa storia di un Underground – e non sto dicendo che ci credo – lei ha ancora le sue sorelle, i suoi genitori. Non posso chiederle di mollare tutto solo per seguire me.”

“Ma la sua famiglia potrebbe…”

“Potrebbe cosa? Trasferirsi in un mondo immaginario? Sarah, cerca di essere realista. Se parlassi di queste cose con uno qualsiasi dei famigliari di Charlotte, ti prenderebbero per pazza.” Sembrava sul punto di aggiungere qualcosa, ma poi l’aveva guardata in volto e la sua espressione si era addolcita. “Se è quello che vuoi, va’ pure.”

“Ma in questo modo ti…” Non voleva dirlo, non riusciva nemmeno a immaginare un futuro senza suo fratello, l’unico familiare che le restasse.

“Dici che il tempo laggiù non ha lo stesso significato che nel mondo reale. Saresti disposta ad aspettarmi, Sarah?”

Lei aveva sentito che il cuore le accelerava i battiti.

“Aspettarti? Ma…”

“Non ti sto promettendo nulla”, aveva puntualizzato Toby. “Non voglio vivere in eterno mentre la donna che sposerò e i miei figli invecchiano e muoiono. Ma se Charlotte e io non dovessimo avere bambini… magari un giorno, fra cinquanta o sessant’anni, prenderemo in considerazione il tuo invito. Te la senti di aspettare, sapendo che quel giorno potrebbe anche non arrivare mai?”

“Sì, ma certo. Io ti aspetterò sempre, Toby”, aveva promesso Sarah, lanciandosi fra le sue braccia. E, finalmente, i due fratelli avevano potuto concedersi un lungo pianto liberatorio, che era durato fino alle prime ore del mattino.

Da allora erano passati tre mesi di attività frenetica. Dopo che il fratello e Charlotte si erano sistemati nella nuova casa, Sarah era tornata  a Reno per sistemare le ultime cose. A Charlotte, naturalmente, non aveva detto nulla dei suoi progetti; ci avrebbe pensato Toby, al momento opportuno.

Aveva trovato un acquirente per il suo appartamento, svuotato gli armadi e rimosso tutti i suoi oggetti personali dagli scaffali. Con sé avrebbe portato solo il vecchio libro sgualcito con la copertina rossa e il titolo scritto a lettere d’oro, che l’aveva seguita attraverso innumerevoli traslochi. Tutto il resto non le serviva, là dove sarebbe andata.

Lanciò un’ultima occhiata allo skyline della città, tirò la tenda e trasse un profondo respiro. Poi mormorò con voce fioca;

“Desidero che il Re dei Goblin mi porti via. All’istante.”

Di colpo le finestre si spalancarono, anche se fuori non tirava neppure un filo di vento. Un frullio di piume candide invase la stanza, e il cuore di Sarah le balzò in gola. Ancor prima di voltarsi, sapeva già chi si sarebbe trovata di fronte. 

Jareth. Il Re dei Goblin. Identico a com’era stato diciannove anni prima.

“Ciao, Sarah. Mi hai chiamato?”
  
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