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Autore: Charme    29/12/2013    9 recensioni
*SPOILER sul finale del libro de Lo Hobbit*
“Né tu né io abbiamo il diritto di scegliere e disporre delle vite di altri, ma di certo Fili e Kili sono i miei figli, che ti piaccia o no. Sognare un futuro da guerriero o da re può andar bene ora, ma non voglio che crescano convinti di essere qualcosa che non hanno scelto, e che si sentano per questo inadatti o sbagliati. Qualunque cosa facciano o diventino, a me andrà bene.”
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dìs, Fili, Kili, Nuovo personaggio, Thorin Scudodiquercia
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Autore: Charme.
Fandom: Lo Hobbit (Il Signore degli Anelli & altri).
Titolo: Notte sbagliata. (3384 parole, contatore Word)
Personaggi: Thorin, Dìs, Fili, Kili, Nuovo Personaggio.
Riassunto: “Né tu né io abbiamo il diritto di scegliere e disporre delle vite di altri, ma di certo Fili e Kili sono i miei figli, che ti piaccia o no. Sognare un futuro da guerriero o da re può andar bene ora, ma non voglio che crescano convinti di essere qualcosa che non hanno scelto, e che si sentano per questo inadatti o sbagliati. Qualunque cosa facciano o diventino, a me andrà bene.”
Generi: Angst, drammatico, introspettivo.
Note: La storia si basa sul personalissimo headcanon mio e di lady hawke e sull’invenzione di un personaggio di nome Pirli, che sarebbe il padre di Fili e Kili. Non risultano fonti alcune sull’opera tolkieniana, e per quanto riguarda le fonti filmiche, il padre di F. e K. sarebbe morto presumibilmente durante la Battaglia di Azanulbizar, combattuta nei pressi di Moria e nota come uno degli ultimi scontri della Guerra tra Nani e Orchi. Peccato che tale battaglia si sia combattuta nell’anno 2799 della Seconda Era, e che Fili sia nato nel 2859 della stessa Era. Mi sono sentita di escludere sia che mamma Dìs abbia fatto la poco–di–buono, sia che la gestazione dei Nani duri una sessantina di anni (il che comunque non spiegherebbe la nascita di Kili, cinque anni dopo il fratello). La decisione è stata quindi creare il prode Pirli, un nuovo personaggio che esulasse da tutti i canoni.
Una nota concerne le frasi talvolta lievemente sgrammaticate o contenenti ripetizioni che ho volontariamente utilizzato per i dialoghi dei bambini, che spero di aver reso in maniera credibile e non troppo insopportabile.
Si rende noto che la frase all’interno del testo contrassegnata da un asterisco, mai sembrati così piccoli, è una citazione dalla storia ‘Carezza’, di lady hawke, gentilmente concessa dall’autrice.
La parte conclusiva è una prolessi/flashforward, vale a dire che la narrazione si colloca in un periodo temporale molto posteriore gli eventi narrati fino a quel momento.
AGGIORNAMENTO: la storia ha vinto il quarto, bellissimo posto nel Muse Contest di Luthien e Schnusschen e i premi speciali di entrambe, e tutto in me è gioia.



















La casetta incuneata in una delle alture più isolate dei Monti Azzurri pareva l'immagine stessa della realizzazione di una vita calma e senza scossoni. E lo era, infatti: caratterizzata da quell'impegno giornaliero che serviva a mantenere e garantire un'esistenza pacifica a chi ci viveva. Questo era tutto ciò che il Nano Pirli aveva sperato e ottenuto, per la sua famiglia. Personaggio inconsueto, per chi si fosse immaginato un Nano come una creatura perennemente adombrata e più propensa a discutere a colpi d’ascia che non a parole. Pirli, tanto per cominciare, di certo non aveva un nome roboante che facesse pensare a un temibile guerriero. Apparteneva alla stirpe dei Barbafiamma, che prevedibilmente prendevano il nome dal rifulgente colore delle loro barbe, loro fiero tratto distintivo. E infatti Pirli era biondo, e nemmeno di un biondo che attirasse l’attenzione, quanto piuttosto di un anonimo biondo–castano. Non era troppo abile né con le armi, complice una leggera zoppia, né con le parole, che perlopiù sgorgavano pure dal suo cuore, senza filtri, e rischiavano spesso di venir male interpretate o fraintese.
Il campione di fraintendimento delle parole di Pirli era suo cognato, Thorin Scudodiquercia, e lui sì che era un Nano fatto e finito. Pirli lo definiva l’incarnazione di un martello da fabbro, attrezzo con cui in effetti Thorin condivideva umorismo e flessibilità. Thorin non teneva certo segreto di ritenere che sua sorella non avesse scelto il partito migliore, ma è ben noto che l’unica creatura più cocciuta di un Nano sia una Nana, e Dìs non faceva eccezione. Anni prima aveva fermamente deciso che l’unico che avrebbe mai voluto come marito sarebbe stato Pirli, e a nulla erano valsi i tentativi di Thorin di ricordarle che una principessa, per quanto in esilio, restava sempre una principessa, e che quindi poteva permettersi di meglio. Dìs l’aveva ringraziato per aver chiarito il suo punto di vista, poi si era girata e come da tradizione nanica aveva chiesto a Pirli di diventare suo marito.
Gli anni di matrimonio felice, allietato dalla nascita di due bambini, non avevano avvicinato troppo i cognati, i cui caratteri e mentalità erano semplicemente troppo diversi per permettere loro di andare d’accordo. L’indole docile e pacifica di Pirli faceva sì che i conflitti in cui Thorin l’avrebbe di buon grado trascinato a ogni occasione si stemperassero, diventando fuochi di paglia. Ma la calma di Pirli conosceva un limite, e quel limite concerneva i suoi figli.
I lunghi viaggi di Thorin lo tenevano impegnato per la maggior parte dell’anno, il che rendeva la sua venuta un’occasione di festa per Fili e Kili, che non potevano far altro che ammirare quello zio così maestoso, che giungeva con racconti di avventure, grandi gesta, battaglie e Orchi ammazzati.
Più di una sera si era conclusa con il piccolo Kili tormentato dagli incubi, mentre Fili, maggiore di cinque anni, faceva un gran parlare di diventare un guerriero e accompagnare lo zio in battaglia. Era perfettamente normale che un bambino parlasse senza cognizione di causa, ma una volta Pirli decise di affrontare la cosa.
“Thorin, non voglio che tu metta in testa ai bambini certe assurdità. Sono molto influenzabili, e scenari di morte e distruzione non compaiono nel tipo di educazione che voglio dar loro.”
“Non li educherai al meglio, mantenendoli nell’ignoranza. Insegno loro la storia della nostra gente, che lottò per riprendere ciò che ci venne portato via, lottò per ottenere ciò che ci spettava di diritto. Ma non mi aspetto che tu riesca a comprenderlo.”
“Sei tu che non riesci a comprendere un punto di vista che non sia il tuo. La storia non si costruisce solo con le tue amate guerre, si costruisce giorno per giorno, pezzo per pezzo. La storia non sono pochi eventi distruttivi, ma tanti momenti che a quelli come te sembrano inerti. Concentrandosi solo su quello che potremmo avere si finisce per non apprezzare mai quel che abbiamo, Thorin. Non si può vivere di sogni e ricordi.”
Thorin fu colpito da quelle considerazioni, e ancor più dall’inaspettata presa di posizione del cognato, che generalmente era pronto a cedere per evitare un conflitto, cosa che lui certamente non avrebbe fatto.
“Non è chiudendoli in gabbia e togliendo loro qualunque ambizione che darai ai tuoi figli la vita che meritano. Hanno sangue reale, e quando Erebor tornerà a essere nostra potrebbe essere Fili a regnarvi.”
“Né tu né io abbiamo il diritto di scegliere e disporre delle vite di altri, ma di certo Fili e Kili sono i miei figli, che ti piaccia o no. Sognare un futuro da guerriero o da re può andar bene ora, ma non voglio che crescano convinti di essere qualcosa che non hanno scelto, e che si sentano per questo inadatti o sbagliati. Qualunque cosa facciano o diventino, a me andrà bene.”
Thorin sbuffò, chiaramente derisorio. “Diventeranno come te, senza aspirazioni di alcun tipo. Io li sprono a fare di meglio.”
“Che per te non è mai abbastanza! E mi dispiace che il pensiero che i miei figli possano assomigliarmi ti risulti così odioso.”
Prima che Thorin ribattesse di nuovo, protraendo in eterno un alterco iniziato per un’inezia, intervenne Dìs.
“Si dà il caso che questi bambini abbiano anche una madre che pensa a loro, per cui gradirei che la smetteste di litigare e di dare spettacolo. Avete un pubblico.”
Mentre passava in mezzo ai due contendenti e andava a recuperare Fili, che li osservava con occhi immensi, seminascosto dietro alla porta socchiusa, lo sguardo di Dìs era sì carico di rimprovero che fu sufficiente a sedare il litigio una volta per tutte.
”Mamma?”
Dìs aveva sperato che suo figlio non facesse domande su quanto aveva visto, ma Fili era in quell'età in cui si pongono quesiti su qualunque argomento, pertanto la sua speranza era alquanto futile.
“Sì, Fili?”
“Perché papà e lo zio litigano?”
Le domande che iniziavano con 'perché' erano quelle che maggiormente dispiacevano a Dìs, che si addentrò in quel territorio con riluttanza.
“Perché su certe cose la pensano in maniera diversa, e quando le persone non sono d'accordo a volte discutono. Non è niente di grave.”
“Ma papà non alza mai la voce. E poi dice sempre che io e Kili non dobbiamo litigare.”
Dìs sospirò. Avrebbe preferito che Fili scegliesse un'altra sera per dimostrarle la propria arguzia.
“È una cosa diversa. Papà non stava discutendo con lo zio per un giocattolo, come invece fate voi due. Parlavano di cose importanti di cui tu non devi preoccuparti”, e con un sorriso incoraggiante Dìs sperò di essersi cavata d'impiccio.
“Parlavano di noi.”
Il sorriso di Dìs si raffreddò, e visto che la mamma non replicava Fili continuò.
“Li ho sentiti, parlavano di me e di Kili. Lo zio vuole che diventiamo dei guerrieri e papà no. Io glielo volevo dire, che quando faccio il guerriero sto solo giocando e gli Orchi che ammazzo non sono mica veri, sono finti, ma poi loro hanno cominciato a gridare, e allora non gliel'ho detto.”
“Glielo spiegherò io, non ti preoccupare – replicò Dìs, finendo di rimboccargli le coperte e schioccandogli un bacio su una guancia – adesso però sta' buono e non far rumore, ché tuo fratello sta dormendo, ed è l'ora che lo faccia anche tu.” Dopo avergli dato la buonanotte e aver approfittato della situazione per fare una carezza di soppiatto al piccolo Kili addormentato, Dìs uscì finalmente dalla stanza, trovandosi faccia a faccia con suo marito, che indossava stivali e mantello.
“Dove pensi di andare, tu?”
“Se voglio che mi passi l'arrabbiatura devo uscire. È una di quelle notti sbagliate, in cui niente di quello che si fa può andare per il verso giusto. Rimanere entrambi sotto lo stesso tetto ci farebbe litigare di nuovo.” Rispose Pirli, accennando al cognato.
“Non c'è nessun bisogno di uscire nel cuore della notte, ti basterà ignorarlo. Conoscendolo, sarà nell'angolo più buio della casa, intento a fissare il nulla davanti a sé con aria cupa. E poi lo dici sempre, che non si deve uscire nelle notti sbagliate”, sdrammatizzò Dìs, avvicinandoglisi e prendendogli il viso tra le mani per baciarlo.
Inaspettatamente, Pirli fece un passo indietro. “C'è qualche problema, se esco a quest'ora? Sono così inutile e incapace da non riuscire a ritrovare la strada di casa, adesso?”
Per un attimo Dìs lo fissò sconvolta, ma prima che potesse replicare in tono indignato Pirli la precedette.
“Scusami. Te l'ho detto, è meglio che esca, non sono in me. Mi calmo e torno. Non mi aspettare, va bene?”
“Va bene. Ma tu non farmi preoccupare.” Si diedero un rapido bacio, dopodiché Pirli uscì.

Malgrado quanto aveva detto, Dìs era ben intenzionata ad aspettare che suo marito tornasse, per addormentarsi. Si sarebbe messa a letto, per poi fingere di svegliarsi nel momento in cui lui l’avesse raggiunta. Mentre aspettava, Dìs iniziò a sentire sulle finestre il ticchettio di gocce di pioggia, che ben presto divennero insistenti e martellanti, di tanto in tanto accompagnate dal fragore di un tuono.
La giovane Nana era un tipo pratico, e non vedendo rientrare il marito immaginò che avesse cercato riparo, aspettando che la pioggia diminuisse. Le ore passavano, e la pioggia non pareva affatto intenzionata a smettere.
Pur sentendosi sciocca e incolpando la maternità di averla rammollita, Dìs decise di abbassarsi a chiedere consiglio al fratello maggiore. Marciò con sicurezza verso il salotto, dove infatti lo trovò, assiso su una poltrona, l’espressione tesa e grave anche nel sonno. Non ci fu bisogno di chiamarlo né di scuoterlo, perché Thorin si svegliasse.
“Che c’è?” chiese, immediatamente in allarme.
Dìs gli spiegò brevemente la situazione, tentando di non sembrare troppo preoccupata, ma evidentemente senza ottenere troppo successo.
“Vuoi che vada a cercarlo.” Thorin non perse tempo a formulare una domanda di cui già conosceva la risposta. Lui e sua sorella non avevano avuto altri che loro stessi per molti anni, e sebbene sapessero di poter fare affidamento l’uno sull’altro erano ben rare le occasioni in cui decidevano di approfittarne, perché in entrambi l’orgoglio e la volontà di cavarsela da soli erano solidamente radicati.
Se Dìs era tanto preoccupata da andarlo a chiamare perché intervenisse non c’era ragione, per Thorin, di rifiutare. Il suo risentimento era per Pirli, non per Dìs. E così, mettendo per una volta da parte il rancore che tanto facilmente nidificava nel suo cuore, si apprestò a uscire.

Il temporale andò avanti per il resto della notte e per buona parte della mattinata, e Thorin non fece ritorno che al tramonto, da solo. Per un folle attimo Dìs sperò che non l’avesse trovato, ma la verità era un’altra.
Gli andò incontro, augurandosi che i bambini non la seguissero.
“È finito in un crepaccio. Posso solo immaginare che sia scivolato per la pioggia e il fango. – S'interruppe prima di dare la notizia che Dìs già aveva immaginato – Penso sia morto sul colpo.”
Dìs cercò di non crollare, perché sapere della morte di suo marito non era la cosa peggiore. Il peggio sarebbe stato trascorrere ogni giorno con la consapevolezza di non poterlo avere mai più accanto. Si voltò per non vedere l'espressione compassionevole sul volto solitamente granitico del fratello, e tornò dentro casa, dove trovò i bambini intenti a giocare.
Qualcosa in lei si spezzò, e li prese entrambi tra le braccia. Fili fece per protestare, ma ammutolì non appena vide la mamma piangere. I bambini non capivano perché la mamma singhiozzasse, e lei non aveva la forza di dir loro niente, per cui rimasero lì abbracciati fino a che Thorin non entrò.
Dìs alzò lo sguardo su di lui, e con la voce spezzata come lo era il suo cuore gli disse soltanto: “Riportamelo.”

L'operazione fu complicata e penosa insieme, perché la tempesta del giorno precedente aveva causato delle frane, cosicché il baratro in cui era caduto Pirli era disseminato di detriti vari, e la mancanza di appigli affidabili rese rischiosa la discesa e la risalita anche per Thorin, che comunque si era portato veri e propri attrezzi da scalata.
Fu sempre Thorin a dirigere le annose operazioni che – come se il cordoglio in sé non fosse sufficiente – giungevano con la morte di una persona cara, quali le spese per il funerale e quelle per un monumento funebre degno di questo nome. Il popolo dei Nani era straordinariamente devoto e rispettoso nei confronti di quel rito di passaggio, per cui almeno da quel punto di vista le cose furono sistemate in fretta. Magra consolazione, per una famiglia distrutta.
Per qualche tempo Thorin rinunciò ai propri viaggi a fini commerciali per aiutare Dìs come meglio poteva: i suoi tentativi riguardavano soprattutto i bambini, ma mentre Kili, di soli due anni d'età, non pareva aver compreso appieno l'entità della disgrazia che li aveva colpiti, pertanto si distraeva facilmente, Fili si era fatto più distante, e preferiva la compagnia della madre a quella dello zio, dal quale prima andava staccato con la forza.
Trincerarsi in un proprio mondo di dolore interiore era il metodo con cui anche Thorin affrontava le delusioni, finendo per star peggio, e proprio per questo decise di non permettere a Fili di fare lo stesso.
“Vieni, Fili, visto che è una bella giornata possiamo lasciare in pace la mamma per un po' e andare fuori. Ti insegno a usare la spada.”
“Non ho voglia.”
Thorin non era noto per la propria pazienza, né sapeva come trattare i bambini, visto che raramente si era trovato a trascorrere con i nipoti più di un paio di giorni, ma cercò di fare del suo meglio.
“Non vuoi più diventare un guerriero?”
“No! E non m'importa se non sei d'accordo. Papà non era un guerriero, e a me piaceva lo stesso!” L'espressione di accusa su quel faccino rigato di lacrime colpì duramente Thorin, che prese a domandarsi se Fili lo ritenesse in parte responsabile della morte di suo padre.


Ben presto non fu più possibile rimandare i suoi viaggi commerciali, e Thorin dovette iniziare i preparativi per ripartire, pur sapendo di lasciare sua sorella con l'unico conforto di quei due bambini, mai sembrati così piccoli*.
La mattina in cui Thorin partì Fili si rifiutò di andare a salutarlo.
“Lo zio andrà a Edoras, nelle terre di Rohan. – tentò di blandirlo sua madre – È molto lontano, non lo vedrai per tanto tempo.”
Senza una parola, Fili scappò nella sua stanza. Con un sospiro esasperato Dìs fece per andargli dietro, ma fu fermata da Thorin. Fratello e sorella si scambiarono un lungo sguardo addolorato, poi Thorin dovette riversare tutta la propria attenzione sul piccolo impertinente che gli si era abbarbicato a una gamba, pretendendo di essere preso in braccio.
“Arrivederci, Kili, mi mancherai”, disse, ed era il suo cuore a parlare.



Occorse davvero molto tempo perché Thorin facesse ritorno sui Monti Azzurri, e per allora i mesi avevano in parte lenito il dolore della perdita. Dìs aveva occhi solo per i suoi bambini, e passò un bel po' prima di esaurire i racconti delle loro prodezze: Fili aveva imparato a incidere le rune con un coltellino, e ogni superficie di legno in casa era lì per dimostrarlo, mentre Kili aveva incominciato a parlare, sebbene il suo vocabolario si limitasse ancora a poche persone e oggetti. Tuttavia quando vide suo zio parve piuttosto sicuro di come chiamarlo.
“Papà!” Esclamò con voce squillante.
Dìs e Fili si immobilizzarono, ma mentre lei tentò, pur senza successo, di mostrarsi indifferente alla scena, il bambino vi spostò tutta la propria attenzione.
Thorin, desiderando ardentemente arginare la catastrofe, si chinò su Kili, e puntando l'indice di fronte a lui gli disse, in tono serio e fermo: “No. Zio.”
Forse avrebbe potuto funzionare con un cane o con un cavallo, ma Kili emise un gridolino deliziato e afferrò la manona davanti a lui, dopodiché fece ciò che i bambini adorano fare, quando imparano una nuova parola e gli viene proibito di dirla.
Papà! Papà–papà–papà–papà. Pa!” Concluse, con palese soddisfazione, ignaro dello sgomento che il suo candore aveva causato. Gli sguardi si posarono su Fili, che non aveva potuto contare sulla giovanissima età per dimenticare suo padre, come invece era evidentemente successo a Kili. Anziché fare una sfuriata come quella memorabile di pochi mesi prima, però, Fili rimase in silenzio, anche se le rune che prese a intagliare sulla superficie scheggiata dell'angolo del tavolo risultarono più profonde delle altre.

Quella sera, quando Dìs aveva già messo a dormire i suoi bambini, Fili si alzò e si mise gli stivali e il mantello.
“Che fai? Giochi?” chiese Kili, spuntando fuori dalle coperte che la mamma gli aveva appena rimboccato.
“No, esco. Devo andare a trovare papà. – S'interruppe per un attimo, fissando il fratellino – Puoi venire anche tu, se vuoi”, gli concesse.
“No esci la notte! Paura!” Esclamò Kili, sgranando gli occhioni. Trovava incredibile dover spiegare una cosa tanto semplice a suo fratello.
“Non c'è niente di pauroso, fuori. E se non vuoi venire non importa, andrò da solo. Tu neanche te lo ricordi, papà.” E con quell'accusa se ne andò, stando ben attento a non farsi vedere dalla mamma mentre usciva.
Non era la prima volta che Fili riusciva ad approfittare della stanchezza di Dìs per sgattaiolare fuori, non visto, ma non aveva tenuto conto di Thorin, abituato a essere perennemente vigile e non abbassare mai la guardia. Avrebbe potuto recuperare il nipote anche prima che uscisse dalla sua stanza, ma decise di seguirlo a breve distanza per smascherarlo in un secondo momento, e magari perfino impartirgli una lezione di vita.
Si aspettava di vederlo andare in un qualche tipo di nascondiglio segreto doveva aveva nascosto dei giocattoli, e in effetti la sua previsione non si discostava troppo dalla realtà, perché Fili andò a far visita alla tomba del padre, e dopo essersi accoccolato contro il freddo marmo del sepolcro cominciò a singhiozzare sommessamente.
Thorin fu colpito dall’immensità della sofferenza che stava provando una creatura così minuscola. Riuscì a capire solo in quel momento che per quanto si fosse sforzato non avrebbe mai realmente potuto assumersi il ruolo di padre di quei bambini. Fili e Kili avevano avuto un padre che era stato loro tolto troppo presto, ma che non per questo era giusto sostituire.
Senza indugiare oltre, Thorin si fece avanti. “Nessuno dovrebbe uscire in una… notte sbagliata, Fili. Meno che mai un bambino da solo. Se la mamma non ti trovasse in casa si preoccuperebbe.”
Il bambino alzò gli occhi per guardare l’intruso attraverso le lacrime. Pareva più stupito dalla presenza dello zio che non preoccupato dalla possibilità di essere scoperto dalla madre.
Thorin si avvicinò lentamente alla lastra di pietra più che al bambino, e anche quando iniziò a parlare, lo fece sempre guardando la lapide. “Fili, qualunque cosa tu pensi di me, voglio che tu sappia che non ho mai voluto male a tuo padre. Non siamo mai andati d’accordo, è vero, ma non avrei mai potuto odiare una persona tanto importante per tua madre. Tu hai paura di dimenticarlo e temi che io voglia in qualche modo sostituirlo, ma devi sapere che non pretenderò mai di prendere quel posto nel tuo cuore. Non ti chiederò mai di chiamarmi padre, non contro la tua volontà.”
Fu in quel momento che Fili gli andò incontro volontariamente per la prima volta dopo mesi, e Thorin lo prese in braccio, stringendolo a sé, ed entrambi piansero con una disperazione che finalmente sapeva di sollievo.




Fu ancora una volta una battaglia a fare la storia. La chiamarono Battaglia dei Cinque Eserciti, ma era solo un’altra notte sbagliata. Quando Thorin era stato accerchiato, Fili e Kili non avevano avuto esitazioni, lottando per farsi strada tra gli aggressori e soccorrere il loro re. L’atto di coraggio non fu premiato. Kili fu il primo a cadere, lo sguardo rivolto verso l’ultima cosa bella rimasta in quella notte sbagliata, così sbagliata. Morì fissando il cielo. Fili, una vita passata a prendersi cura del fratello, lo vide cadere, poco prima di essere colpito a sua volta. Con gli occhi offuscati da lacrime e sangue, scorse invece Thorin, che combatteva ormai con le sue ultime forze. Fili sentì che la loro famiglia si sarebbe estinta quella notte, e che non avevano mai veramente potuto far qualcosa per evitarlo. L’ultimo sguardo implorante fu per Thorin. “Padre?” lo chiamò. Il clamore della battaglia non si attenuò, il sangue non smise di scorrere, la luna non splendette più forte. E Thorin non lo udì.
  
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