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Autore: M4RT1    02/01/2014    3 recensioni
Finnick PoV | Finnick/Annie | 65th and 70th Hunger Games
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Finnick Odair ha giocato tre volte: alla sua Edizione, a quella di Annie, a quella della Memoria.
Questa storia parla delle prime due.
Del quattordicenne che vinse i sessantacinquesimi Hunger Games e del giovane Mentore che salvò Annie.
Di come si conobbero, di come divennero amici. Di come arrivarono a sposarsi.
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Dal capitolo XI:
Aveva sempre sperato – anche creduto, in fondo – che gli Hunger Games in realtà fossero una gran bufala, che i Tributi venissero feriti e, con la scusa di rimuovere i cadaveri, guariti da Capitol City e impiegati come Senzavoce, magari, ma vivi. In quel momento capì che si sbagliava. La ragazza era morta.
Genere: Angst, Fluff, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Annie Cresta, Finnick Odair
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Finnick Odair ha giocato tre volte

Chapter I - The Reaping

 
 
District 4, 65th Hunger Games
Non aveva mai avuto paura. Mai. Neppure quella volta al mare, quella in cui aveva rischiato di affogare e i polmoni avevano minacciato di cedere sotto i colpi delle onde.

“Finnick Odair!”

Il cuore gli martellava nel petto, rimbombandogli fin nelle orecchie.

“Vieni qui, coraggio.”

D’improvviso, la camicia gli sembrava troppo stretta, il colletto quasi soffocante. Una goccia di sudore gli colò sulla tempia, incollandogli una ciocca di capelli biondi alla fronte. L'aria era opprimente.
Attorno a lui, i presenti lo guardavano: centinaia di facce che galleggiavano nel suo campo visivo, nitide e poi non più a fuoco, silenziose e immobili in un'attonita rassegnazione. Nessuno si sorprendeva più, ormai, non per gli Hunger Games.

Il viso pallido e tirato di Gea, l'Accompagnatrice che da sempre animava il momento della Mietitura, lo accolse sul palco con un sorriso. Una mano liscia e dotata di lunghi artigli blu oltremare lo sospinse fino ad affiancarlo al tributo femmina, Maia Johnson, una diciassettenne poco più alta di lui.
Gea Mirrors indossava una parrucca rosso scuro e aveva l’alito profumato di cannella, eppure in quel momento appariva pericolosa quanto un Pacificatore. Vestito in modo improbabile, certo, come sempre mille miglia lontana da loro, ma comunque un Pacificatore: falsa, letale, pronta a consegnare il ragazzino in pasto alle fauci della Capitale.

“Stringetevi la mano, forza.”

Parole vuote gli sfiorarono appena la mente, costringendolo a toccare la mano della ragazza quasi contro la sua volontà. Che senso aveva stringergliela, se erano già nemici? Che senso aveva fingere che andasse tutto bene, che fossero addirittura fortunati, quando sarebbero morti entrambi? Eppure, le strinse la mano: quella della ragazza era calda e morbida, il genere di mano di chi non ha mai lavorato come pescatore. E di certo, se c'era qualcuno che non aveva mai trascorso nottate gelide in cerca di cibo, accampata su qualche peschereccio in balia delle onde, quella era Maia Johnson, la figlia del Sindaco del Distretto Quattro.

La stretta di mano fu rapida, tremante, leggermente sudata.

Lo schermo in fondo alla piazza riportava il loro visi sconvolti: i grandi occhi chiari di lei, la bocca rosea aperta in una perfetta “O” e le lentiggini marroni sul suo volto. E Finnick, che le stava accanto, era un altro bambino spaventato, un ragazzino di una bellezza tanto disarmante quanto dolorosa nella sua ingenuità. Le telecamere ripresero i capelli ramati che gli ricadevano ad onde sulla fronte, gli occhi chiari, lucidi, il volto asciutto e liscio come quello di un bambino. Avrebbero dato tutto in pasto agli abitanti di Capitol City, quella sera, e la bellezza che Finnick aveva sempre ignorato sarebbe diventata di dominio pubblico.

“Bene così, ragazzi,entriamo”

Si era sempre detto che, se fosse stato chiamato come Tributo, non si sarebbe voltato un’ultima volta verso la gente, in un addio doloroso ai volti familiari. Eppure lo fece. Fu questione di un secondo, giusto il tempo di catturare un’ultima istantanea della piazza con i suoi negozi, il rumore del mare vicinissimo, i raggi di sole che illuminavano persone a caso, persone sconosciute che non avrebbe mai più avuto l’opportunità di conoscere.

Poi seguì Maia.
 
***
 District 4, 70th Hunger Games
"Stai seduto composto, Finn, per favore."

Sbuffo teatralmente, soffiandomi via una ciocca di capelli dalla fronte. Sono seduto su di una sedia di legno, una sedia scomoda, rigida e fredda, costretto a guardare quel maledetto filmato che Capitol City ci manda ogni dannato anno per ricordarci le nostre colpe. Credo sia la tredicesima volta che lo guardo e credo anche di averlo imparato a memoria, testo e immagini comprese. Eppure, come sempre, Mags ritiene debba mostrarmi rispettoso, sicuro, educato. Dice che tranquillizza i Tributi, ma io so che non è vero. Però obbedisco, perché non riesco a farne a meno, quando è lei a darmi dei consigli.

Rispettoso, mormoro. Come loro si sono mostrati con me, mascherandomi e gettandomi in un’Arena a diventare un assassino o una vittima. O tutte e due le cose, che è anche peggio. Il loro modo di essere rispettosi è stato l'offrirmi un millesimo del cibo che vomitano per mangiare ancora, è stato offrirmi in pasto a donne che non hanno neppure un quarto della decenza delle nostre madri e che si libererebbero la coscienza regalandomi cose che non mi servono. Il loro modo di essere rispettosi è stato trascinarmi da Snow, i giorno del mio sedicesimo compleanno, e dirmi "Ehi, Finnick, sei così carino! Perché non ti prostituisci?"
E dov'era la gentilezza quando ho rifiutato e per mesi mi hanno vietato di ricevere il compenso che spetta a tutti i Vincitori?

"Benvenuti alla Settantesima edizione degli Hunger Games!"

Eppure, mi costringo a pensare, sono stato fortunato. Sono mesi, ormai, che Snow ha rinunciato a pressarmi per questa storia.

"Come andiamo?"

La voce di Gea non mi risulta più fastidiosa come un tempo, ma preferirei ignorare anche quella. Se solo Mags la smettesse di fissarmi con quello sguardo assassino, insomma. Certe volte capisco come abbia fatto a vincere ai Giochi, ai suoi tempi. Certe altre volte – quelle in cui mi invita a casa sua per mangiare qualcosa di decente, una volta tanto – non capisco dove abbia nascosto la dolcezza mentre si faceva largo nella giungla armata di tridente.

"Partiamo dalle ragazze, come sempre" sta annunciando la presentatrice, con un sorriso smagliante. Lei è felice, lo è davvero, per questo non la odio: lei è ingenua, non sa. Non capisce cosa si prova ad essere “celebri”, ad essere acclamati da una folla perché si ha ucciso un branco di bambini. Ma, quando divenni un Tributo, non lo sapevo, e allora la detestavo con tutto me stesso.

Mi concentro sulla folla, cercando di non pensarci. Come sempre, provo a indovinare chi verrà estratto: è un gioco sadico, lo so, ma è tutto quello che sono riuscito a inventare a quindici anni, quando ho fatto da Mentore per la prima volta. Non ho mai indovinato, ma forse questo è l’anno buono. Sorvolo la folla e il mio sguardo si posa su una ragazza bionda, più o meno della mia età, che ha l’aria abbastanza sicura di sé. Potrebbe vincere, lei, forse è per questo che spero venga estratta al posto della lunga file di bambine in fondo alla piazza.

"Annie Cresta."

La voce di Gea riecheggia nella piazza, galleggiando nell’aria. È la stessa sensazione, ogni anno, la stessa impressione che provai quando chiamarono me. Ma questa volta è amplificata dieci, cento, mille volte. Sono in piedi, all’improvviso. Lo sguardo di tutti è puntato su di me, perché sanno. Forse lo sa anche Gea, forse no.

"Siediti, Finn" mi calma Mags, stringendo la mano ossuta sulla mia gamba. "Siediti" ripete.

Annie è stata a casa sua, qualche volta, a cena. Non riesco a pensare ad altro mentre la guardo farsi strada tra le ragazze, lo sguardo fisso sull'asfalto.
Quando sale sul palco, non oso guardarla. Non devo farlo, non ora, non rientra nel mio ruolo di Mentore. Darei qualunque cosa per essere ancora tra la folla, per essere uno di quei cittadini di mezza età solo sfiorati dalla tragedia dei Giochi. Per essere Gea. Per essere un Tributo. Per essere morto, anche.

Alzo lo sguardo solo per un momento, catturando l’immagine di Annie nel grande schermo: indossa un vestito nuovo, rosso porpora, ha i capelli ben pettinati che le ricadono sulla schiena, folti e scuri, e lo sguardo velato di qualcosa di più profondo della paura. E, in un attimo, lo so. E lo sa anche lei: sarà l'ultima volta che cammina per questa piazza, perché non ucciderà. Me lo promise anni fa, prima della sua prima Mietitura, ma sono certo che se ne ricordi ancora.

"Micheal McLean."

Il seconto Tributo ha gli occhi verde bottiglia e l’aria spaurita. Si affianca ad Annie, le braccia ciondoloni. Da qualche parte, qualcuno sta singhiozzando.

"Bene, Tributi, stringetevi la mano" li incita Gea, seguendo la procedura. I due obbediscono goffamente. La mano esile di Annie stringe quella tozza del figlio del farmacista. Il braccialetto di conchiglie che abbiamo creato insieme tintinna leggermente. Poi la piazza scoppia in un applauso smorto e triste, lo stesso che accompagna i Tributi da sempre, e la cerimonia finisce. I sospiri di sollievo non si contano, le risate nervose nemmeno: oggi, solo due famiglie si barricheranno in casa in attesa di notizie; le altre festeggeranno.

"Finn, dobbiamo andare" mi esorta Mags, facendomi cenno di alzarmi.

"Arrivo" rispondo, scattando in piedi. Cerco di mantenere lo stesso tono di sempre, ma so già che non riuscirò a comportarmi come un Mentore che si rispetti.

Un leggero venticello soffia tra gli edifici, facendo tintinnare gli scacciapensieri che tutti teniamo appesi sulle soglie; quello a casa mia, nel Villaggio dei Vincitori, è fatto di conchiglie rosee che Annie ha raccolto per me quest’estate.
Il palco si svuota, anche il sindaco è rientrato. Ci sono solo io, in piedi, immobile, le braccia penzoloni lungo i fianchi e lo sguardo puntato nell’aria. Mi sento strano, peggio del solito. Sento il vento che mi scompiglia i capelli – gli stessi che, a Capitol City, hanno toccato praticamente tutti, i famosi capelli color rame – e la giacca che sbatte contro le cosce; sento le risatine di chi non è stato scelto, sento gli ultimi tintinnii di chi sta rincasando. Sento tutto questo e immagino quello che stanno provando Annie e Micheal, barbarmente strappati a tutto ciò.

E capisco che no, non posso lasciare che accada anche quest’anno. Non con lei.


N.d.A.: Dunque, questa è la prima long che scrivo su questo paring, spero di non fare troppo schifo >_<
Questo primo capitolo (e tutti i seguenti) si divide in due parti: la prima, in terza persona, è un flashback dell'Edizione di Finnick; la seconda, raccontata dal suo punto di vista, parla dell'Edizione di Annie.
Spero vi piaccia e aspetto qualche vostro parere (anche negativo, se serve ù.ù)
  
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