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Autore: Tomi Dark angel    04/01/2014    4 recensioni
Ambientata durante l'episodio "L'ultimo Signore Del Tempo", dove qualcuno di molto caro al nostro Dottore si ripresenta ai suoi occhi... ma qualcosa adesso è cambiato.
Dal testo: -Quando usai il TARDIS per raggiungere questa epoca mi accorsi che esso conservava ricordi di un contatto, di qualcosa che non sarebbe dovuto accadere. Era nata una strana creatura che la natura stessa non ha mai saputo concepire e io riuscii a trasportarla qui grazie al Vortice del Tempo. Invertii il flusso temporale, aprii una breccia in un’altra era, in un’altra dimensione. Rischiai un buco nero ma alla fine, lei era lì, ed era bellissima…-
-Maestro, che cosa hai fatto?-
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Doctor - 10, Rose Tyler, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Il Maestro sta morendo. Respira piano, quasi assaporando quelli che saranno i suoi ultimi ansiti di vita, aria pulita che gonfia polmoni danneggiati. Sente il petto levarsi nell’ennesimo respiro, gli occhi iniettati di sangue fissi sul volto dell’unico uomo che l’ha saputo fronteggiare, spaventare. È un osso duro, il Dottore.
L’ha visto mantenere la speranza anche quando ogni cosa era perduta.
L’ha visto respirare a dispetto dell’aria rarefatta che insieme all’anzianità ha rischiato di finirlo.
L’ha visto vivere. Vivere e insegnare la vita laddove le persone hanno creduto di dimenticare.
Il Dottore è luce, il Dottore è salvezza. Ma lui, il Maestro… lui non è niente. E adesso muore come povero nulla affogato nell’immenso tutto di bontà e speranza che il Dottore ha sempre emanato. Gli hanno parlato di lui, e adesso il Maestro capisce, comprende, assimila per l’ultima volta. E per la prima e ultima volta si concede una decisione, atto caritatevole nei confronti di chi ha saputo aspettare, pregare, senza tuttavia implorare mai.
-Lei aveva… ragione.- mormora infine, aggrappandosi forte alla giacca del Dottore. Si specchia nei suoi occhi lucidi di disperazione, ascolta la sua patetica supplica di reietto che ancora spera in un maledetto miracolo. –Io sono… un curioso, Dottore. Lo sono sempre stato. E fin dall’alba della mia vita io… io amavo studiare le cose.-
-Ma che cosa stai dicendo? Smettila di dire stupidaggini, rigenerati!- urla ancora il Dottore, scuotendolo con dolcezza. Le sue mani sono pietà sulla pelle e gli occhi ancora sembrano scrutare passato e futuro esplorati, epoche di anzianità, stanchezza e solitudine vissute troppo spesso nel silenzio di una vita trascinata nelle lacrime del rimpianto.
-Quando usai il TARDIS per raggiungere questa epoca mi… mi accorsi che esso conservava ricordi… ricordi di un contatto, di qualcosa che non sarebbe dovuto acca… accadere. Era nata una strana creatura che la natura stessa non ha mai saputo concepire… e io riuscii a trasportarla qui grazie al Vortice del Tempo. Invertii il flusso temporale, aprii una breccia in un’altra era, in un’altra dimensione. Rischiai un buco nero ma… alla fine, lei era lì, ed era bellissima…-
Il Dottore smette di piangere, gli occhi si sbarrano allucinati nel metabolizzare le parole del Maestro e il significato che esse comportano. Ripercorre mentalmente trascorsi passati, ricordi che riconducono alla prima e ultima volta che ha versato una lacrima per amore. Trema il Dottore, ha paura.
-Che cosa hai fatto?- mormora, vibrante di un terrore che quasi sovrasta il dolore per la perdita che a breve subirà.
Il Maestro sorride di un sorriso folle, alterato, che si estende agli occhi spalancati, iniettati di sangue e sofferenza per la ferita che poco a poco lo consuma. Ha vinto lui, e adesso il colpo di grazia sarà decisivo per decretare l’ultima caduta psicologica del Dottore. Oh, ascolterà le sue mura di sorrisi e amore crollare davanti all’operato dell’ultimo vero Signore del Tempo. Sarà la fine per entrambi, ma il Maestro avrà vinto.
-Smetteranno mai, Dottore? I tamburi…- E per brevi istanti, la voce del Maestro vacilla, si spezza di terrore maniacale, soverchiante, che infine lo schiaccia con tacco impietoso, affossandolo nelle tenebre della sua follia, ove solo i cipressi a guardia dei cimiteri sapranno tener compagnia a un cadavere che nella sua immobilità, rammenta ancora il vibrare assordante di tamburi nelle membra.
Il Dottore non ha la forza per piangere, ha esaurito le lacrime anche per questo. Si imprime nella mente l’ultimo viso che ha condotto l’estinzione della sua gente, l’ultima speranza di non restare solo in un universo che solo l’ha voluto. Nessun ricordo, nessuna speranza. I Signori del Tempo così tramontano, silenziosi, a capo chino, come scorrere di ere che dinanzi ad occhi indifferenti scivolano via.
Ora resta un dubbio, una supplica interiore che il Maestro abbia mentito. Raggiunge a grandi falcate la sua compagna, la afferra per le spalle e la scuote con violenza vera, pregnante, che le fa dolere i muscoli e gridare di paura.
-C’è una ragazza? C’è una ragazza tenuta prigioniera qui?-
E tutte le speranze del Dottore crollano quando la donna annuisce e scoppia in lacrime davanti ai suoi occhi sbarrati di rinato orrore. Non può essere lei, non deve essere lei.
Ti prego, anche lei no…
Lo stesso Jack trattiene il respiro mentre tutti loro seguono l’ex compagna e ormai assassina del Maestro li guida verso i sotterranei, più giù delle celle che hanno ingabbiato Jack, più giù di qualsiasi meandro il Dottore abbia mai visitato. E alla fine giungono lì, dove i passi dei vivi paiono confondersi con quelli silenziosi dei morti, del silenzio, del tempo che non scorre più.
Macchinari. Tanti, illuminati di luci intermittenti, insistenti, fastidiose. Sembrano tante formiche operaie in continua, mefitica attività. Diavoli intorno al condannato, inferno che abbraccia il paradiso. E il paradiso adesso è lei, il centro della stanza, dove un lungo cilindro di vetro ricolmo di strano liquido azzurrino, lucente, abbraccia una figura in posizione crocifissa, coi polsi e le caviglie bloccati da catene collegate alla sommità della sua stessa prigione.
Il Dottore guarda, gli occhi ricolmi di un terrore cieco che si mescola alla gioia di rivederla lì, viva e bellissima molto più di quanto abbia mai ricordato. Quella Rose tuttavia è diversa, ma allo stesso tempo… è lei. Splendida nella sua nudità che rivela un corpo scolpito da cicatrici, pallido, dai fianchi stretti e dalla vita larga. È dimagrita, ma non in modo eccessivo. Adesso il suo corpo pare scolpito in uno stampo da modella, con l’unica pecca di migliaia di ferite che disegnano una mappa infernale su pelle di paradiso. Il viso è smagrito da occhiaie, contratto in un sonno indesiderato probabilmente indotto dai migliaia di elettrodi che scompaiono tra i capelli fluttuanti e adesso lunghi fino alla vita. Forse è stato il liquido che l’abbraccia di orribile coperta ad accelerare il processo di crescita, perché il Dottore non li ricorda così lunghi.
Il Dottore si avvicina, poggia il palmo sulla gelida superficie del cilindro. È fredda, troppo fredda. Sembra ghiaccio, e se essa riporta all’esterno la temperatura interna, allora Rose sta…
-Dannazione!- urla il Dottore, e all’istante raggiunge il pannello dei comandi, li preme in un ordine noto a lui e a lui soltanto. Conosce quei meccanismi, li ha adoperati tante volte quando era su Gallifrey, ma non è con mani ferme che schiaccia i tasti. Trema visibilmente, i cuori battono impazziti e il dolore aumenta nella sua testa di una tacca ad ogni istante che passa.
Rose. Rose. Rose. Cosa ti hanno fatto?
In quel momento, il liquido presente nel cilindro comincia a calare, viene risucchiato via da due tubi laterali mentre la stessa prigione di vetro si abbassa, scivola via per liberare il corpo gocciolante della piccola preda ormai libera. Ed è allora che Rose spalanca gli occhi intrisi di una luce dorata che richiama alla grandezza del vortice del tempo. Tossisce, sputa grumi di sangue chiarissimo che nulla ha a che fare col sangue umano. Guarda stordita le catene che la bloccano, tenta di focalizzare faticosamente la situazione con occhi di preda ingabbiata, spaventata, che poco a poco realizza. Rose grida, ed è un lamento così straziato che il Dottore vacilla, si sente schiacciare, ferire, lacerare da quel suono maledetto.
Le catene si aprono, liberano il corpo di Rose che cade abbandonato, atterra tra le braccia di Jack, che subito la stringe a sé, le bacia la fronte, cerca di fermare i tremori che la scuotono di violenza. È fredda come il ghiaccio.
-Stai calma, è finita…- mormora al suo orecchio, strofinandole la schiena con una mano. Cerca di convincersi Jack che sia finita davvero, ma è stringendo quel corpo tremante che capisce l’inutilità dei suoi gesti. Rose è diversa, non lo riconosce. Ha paura di lui, di tutti loro. Del Dottore.
Rose spalanca gli occhi, urla di nuovo. Pare svegliarsi del tutto, si agita, ma Jack la trattiene a stento. Poi d’improvviso, una potente onda d’urto color dell’oro si propaga dal suo corpo e scaglia tutti i presenti, Jack compreso, contro il muro. Rose cade a terra, trema con tanta forza che pare scossa dalle convulsioni. Stringe i pugni fino a conficcarsi le unghie nei palmi, ansima come belva in gabbia e finalmente posa gli occhi su uno degli uomini accasciati a terra ma intento a rialzarsi. Incontra il suo sguardo lucido di lacrime, intriso di una sofferenza malata che pare prossima ad annientarlo come foglia secca sbriciolata da dita di una mano. Sono occhi arresi i suoi, occhi antichi che improvvisamente invecchiano, si incartapecoriscono e lasciano che il peso della vita schiacci ogni loro luce, ogni colpa fino ad ora sostenuta.
Lei lo conosce. Ricorda quelle mani, quei capelli morbidi al tatto, quelle labbra… oh, le labbra. Poi, il dolore esplode ancora nella testa e lei si rannicchia, scuote il cranio prossimo all’erosione. Sente sulla pelle il bruciore di mille aghi, di mille mani traditrici, di mille voci assassine, indifferenti. Ricorda le grida, il dolore provato, le preghiere sprecate, affidate al vento che con pazienza avrebbe dovuto custodirle. L’ha fatto? Non lo sa, non lo ricorda. Ricordare. L’unico ricordo adesso, è il dolore. Nessun sorriso, nessuna memoria felice. E la sua testa che lentamente pare sgretolarsi sotto l’incessante pressione di una sofferenza provata per mesi interi.
Lui mi troverà.
Lui verrà a cercarmi.
Io mi fido del Dottore.    
Voci, speranza, grida, sofferenza. Rose si agita, sente l’energia accumularsi nelle mani. Una possente aura dorata la ricopre, si aggrappa al corpo come parassita d’infamia pronto ad esplodere. Rose la sente, percepisce ogni briciolo di forza propagarsi, sfiorare gli organi con beata gentilezza, la stessa che mancava alle mani che in passato l’hanno afferrata, manovrata come marionetta.
Il vento aumenta, riempie i muri di crepe serpeggianti, schiaccia i presenti contro le pareti con facilità di mano umana che spinge via mosche moleste.
-Rose!- grida il Dottore, gli occhi socchiusi per combattere la tempesta di vento ed energia dorata che frusta l’ambiente e i presenti con rabbia finalmente esplosa. È una belva impazzita quella che serpeggia lungo ogni parete dell’edificio, scuotendolo senza sforzo dalle fondamenta. Il mondo trema, le nubi si raccolgono in un unico punto, ove il più feroce dei Lupi Cattivi si risveglia in tutta la sua rabbia pulsante, aggressiva, che sgretola ere, sfonda vite, distrugge mondi e universi.
E il fulcro stesso di quella forza animale è una fanciulla giovane e impaurita che fissa le sue mani assassine, luminose di una potenza incontrollabile, che la spaventa a morte. Si sente giudice di troppe vite, padrona di troppe ere. È fuori controllo, non ragiona più.
-Rose, calmati!- grida una voce da qualche parte, e allora Rose Tyler, se ancora questo è il suo nome, leva il capo, si guarda intorno con ansiosa disperazione. Cerca un appiglio, un atto di pietà che la rinchiuda di nuovo, che la metta sotto controllo perché sa che a breve, il rilascio d’energia distruggerà ogni cosa. Lei non vuole, la gente non lo merita.
Tenta di alzarsi, cade in ginocchio. Non ne può più, la giovane Rose. Quella non è lei, non ricorda più la sua identità. È mai stata qualcuno, prima?
-Rose.-
Ed è una voce che rompe di forza il muro di terrore che la circonda. Affonda nelle pieghe dell’anima contratta, carezza gentile la pelle dorata, rassicura di dolcezza ogni suo timore. È una voce amata quella, una voce che ricorda giorni di leggerezza… di libertà. Quella voce è libertà, adesso lo ricorda.
Qualcosa si muove verso di lei, combatte le raffiche di vento talmente gelido da ricoprire di brina il lungo cappotto sgualcito, ma non si ferma. Scivola sul pavimento, si rialza, cammina. Poi, due braccia gentili la avvolgono, riscaldano il corpo di Rose, la sfiorano senza violenza. Un profumo di fresco le invade le narici, la fa rilassare poco a poco che il cervello ripesca dei ricordi dolci che sanno di amore, libertà e felicità indomita, dove una ragazza libera affianca e tiene per mano un giovane uomo. Insieme sovrastano l’universo, balzano come cervo e cerbiatta indomabili da un tempo all’altro.
Uomo e donna.
Umana e alieno.
Un cuore e due cuori.
Rose quel tocco lo riconosce. Respira di quello sfiorarsi dolce di mani contro pelle nuda e finalmente si sente rinascere, sbocciare tra dita sottili che tante e tante volte l’hanno sfiorata, regalandole nuovi ricordi, nuove speranze alle quali ha saputo aggrapparsi nei momenti più rigidi. E alla fine, Rose ricorda.
Sa come si chiama, riconosce la vita che mattone dopo mattone, ha costruito la casa interiore che abita. E il mattone più importante, la pietra angolare, è lui, l’uomo che la sfiora, la risveglia.
Il vento diminuisce, cessa all’improvviso. L’accecante luce dorata si riduce, ricopre di velo splendente soltanto la pelle adamantina di Rose Tyler che finalmente espira, riprende il controllo. E dopo mesi di dolore e pugni stretti, le dita si distendono e posano con garbo sulla schiena dell’uomo che rabbrividisce e sospira. Ogni cosa scivola al suo posto, l’oro del Lupo Cattivo diventa semplice alba di sole gentile e anche la morte del Maestro all’improvviso pesa di meno.
Le ferite non sanguinano più.
La solitudine smette di pesare.
La libertà si fa padrona, l’affetto sorge di indomita luce dorata, la stessa che aleggia intorno alla giovane donna che si stringe al Dottore.
-Sono qui.- mormora lui, accarezzandole i capelli ormai asciutti. Lei lo sa, sente la sua vicinanza e all’improvviso non è più sola.
Respira dei suoi respiri puliti.
Palpita del suo doppio palpito emozionato.
Vive attraverso i suoi occhi rinati di sollievo.
-Puoi controllarlo, Rose. Controllati, andrà tutto bene.- dice il Dottore, paziente. –Io sono qui.-
Rose annuisce, si lascia andare contro il suo corpo. Non piange, perché teme che un nuovo sbalzo di emozioni ricreerebbe l’atmosfera per una nuova esplosione di energia, ma non si concede ancora di svenire.
-Voglio vederlo.- mormora, e il Dottore capisce, la prende in braccio. Lei appoggia il capo contro il suo petto, ascolta i battiti dei cuori e si sforza di rilassare le membra contratte. Salgono le scale, sfilano dinanzi ad ambienti che Rose non riconosce e non ricorda. Quando infine raggiungono la sala centrale dove il corpo del Dottore giace abbandonato in una pozza di sangue, la paura torna pulsante in lei, le fa artigliare il cappotto del Dottore come bambina che chiede riparo al genitore premuroso. Respira a fondo, cerca di non soffocare negli incubi che la assalgono ad ogni passo che la avvicina a quel corpo ormai inoffensivo.
Quando il Dottore si inginocchia e la posa a terra, sfilandosi il cappotto e posandoglielo sulle spalle per coprirla, Rose si rilassa appena. Inspira il profumo dell’indumento, il primo che indossa dopo mesi interi di nudità forzata e tende una mano. Sfiora il viso del suo aguzzino, lo riflette nei ricordi urlanti che la assordano ad ogni istante.
Adesso che il Dottore è accanto a lei, non ha più paura e ogni cosa è un po’ meno spaventosa. Ha uno scudo, un’ancora di sicurezza a cui aggrapparsi fino alla fine. Si sente improvvisamente più coraggiosa, fiduciosa della sua decisione. Conosce la sua forza, la grandezza di ciò che le è donato e infine decide di essere ciò che deve: il Lupo Cattivo, la bestia vendicativa e pietosa, bugiarda e sincera, umana e dea. Vita e morte, come fu all’inizio e come sarà adesso.
-Io riporto la vita.- ripete a memoria, ricordando la prima volta che si è impadronita del potere dannato. Così ripete, così chiude il ciclo a modo suo, facendosi padrona dell’ultima decisione madre.
Mai più morte per chi merita la condanna all’eternità.
Mai più scelta di andarsene finché il Dottore carceriere così non avrà deciso per il Maestro condannato.
E infine, Rose appoggia il palmo sulla fronte del Maestro, fissa l’energia dorata, bruciante fin dentro le ossa scivolare lungo il braccio, sulle dita, fino al corpo immobile e insanguinato del Signore del Tempo.
Tum.
Respira di nuovo, uomo malvagio.
Tum.
Sii causa della tua prigionia, ove non ti sarà più conferita alcuna fuga.
Tum.
Vivi e impara dalla vita.
-Ora io ti ordino, morte- tuona Rose, e la sua voce da dea risvegliata si schianta contro le pareti, nella mente di ogni essere vivente, che leva lo sguardo e attende, trattiene il respiro e si raduna al cospetto di quella luce dorata. -ripiega. Ritrai la falce, china il capo e ubbidisci al tempo sovrano, poiché tale è la mia decisione e tale è il tuo obbligo di rispettarla. CHE MADRE VITA RITORNI!!!-
E un fascio di luce vibrante di potenza erompe dal piccolo corpo di donna, riversandosi come un fiume nel corpo del Maestro, che sussulta e sbarra gli occhi, tossisce, si gira su un fianco e poco a poco realizza l’accaduto. Posa gli occhi in quelli giudiziosi e ancora dorati della persona che ha creduto di vincere con esperimenti bestiali. All’improvviso, nuovamente dinanzi al vortice del tempo che rimescola le carte nelle iridi chiare di Rose Tyler, il Maestro ha paura e grida, si afferra la testa, chiude gli occhi come bambino spaurito. Aspetta i tamburi, si prepara a venirne sovrastato, ma il suono non arriva.
-Cosa…- Il Maestro fissa Rose, i cui occhi tornano finalmente normali, caldi e ricchi di emozioni come solo quelli di un umano sanno essere. Barcolla, ma si costringe a non cadere.
-Non sono così crudele, Maestro.- decreta infine con voce gelida che stona col terrore che ha nello sguardo. –Ti sto dando una seconda possibilità. Puoi ricominciare, puoi ritrovare una strada che ricordi la grandezza dei tuoi avi, ma bada: non sarai solo. Io ho annullato il suono che ha saputo annientarti il sano ragionamento, ma in qualsiasi istante, se solo torcerai un capello a chiunque sulla tua strada, allora i tamburi torneranno, e finiranno il lavoro. Questa è la mia decisione: vivi coi tuoi fantasmi, combattili e ritrova la forza per sconfiggerli.-
Il Maestro non parla, a stento trova il coraggio di respirare. Vive. I tamburi non ci sono più.
-Non ci posso credere…- mormora il Dottore, fissando il suo simile ancora accasciato pietosamente al suolo. Non è più solo, non è più unico nel suo maledetto genere. Ha un amico, una mente a cui affidarsi quando i ricordi cominciano a scivolare via nell’anzianità. Si sente completo, ripulito e nuovamente fiorito nella speranza che una giovane ragazza non più umana ha saputo regalargli. Il Dottore la guarda mentre si alza, appoggiata all’avambraccio di Jack per combattere il violento tremore alle gambe. Sembra così fragile, eppure ha appena costretto la morte stessa ad ubbidire, a ripiegare gli artigli micidiali da un’anima distrutta.
E all’improvviso il Dottore non ragiona più, corre ad abbracciarla, inspira grato il suo profumo e finalmente tutto scivola al suo posto: il suo mondo si ricostruisce nel ghiaccio e nel fuoco, nella vita e nella morte, nel passato e nel presente. Ritrova tutto lì, tra i capelli di Rose che gli scivolano dorati tra le dita, sulla pelle di morbida seta che accarezza, nel corpo di giovane donna che riporta calore a una vita vissuta nel gelo.
Non più umana e alieno, ma dea e Signore del Tempo. Simili nella forma, differenti nella forza che li contraddistingue. Lui pietoso, lei giudiziosa. Lui speranzoso, lei viva di speranza. Pezzi di puzzle che si incastrano, si ritrovano, ricostruiscono un nuovo mondo agli occhi dei presenti che si stupiscono della magnificenza del quadro dipinto nello spazio dinanzi a loro.
Poi, l’incanto si spezza e Rose si accascia contro il petto del Dottore, gli occhi chiusi e le labbra semiaperte per lasciar spazio al respiro basso di fanciulla assopita. Lui la prende in braccio, le bacia la fronte con dolcezza cavalleresca, antica, ma non riesce a muoversi di lì: non può abbandonare il Maestro, non ora.
In soccorso giunge Jack, che gli sfila il corpo di Rose dalle braccia, riducendo il Dottore a un gelo inaspettato. –Sto io con lei. Tu occupati di mister Simpatia laggiù, prima che qualcuno gli spari di nuovo.-
Il Dottore si costringe ad annuire e raggiunge il Maestro ancora accasciato, immobile e fragile più del vetro. Quando Rose viene portata via, al Dottore quasi manca il respiro e nuovamente capisce che non è soltanto della solitudine che ha paura: teme di perderla, teme la sua lontananza. Lo svuota, lo riduce a un guscio abbandonato e senza senso una volta perduto il suo prezioso contenuto. Anche i suoi cuori faticano a battere ad ogni istante che Rose si allontana, ma sa il Dottore, che non è ancora finita, che più del Maestro, è la ragazza a dover combattere i suoi spettri adesso. Non sarà sola, non combatterà unica contro il mondo. Merita di più, merita di ritrovare l’umanità perduta.
Ma non sa il Dottore che la sua è una lotta contro il tempo. Tic tac, esso scandisce. Tic tac di lancette che scorrono verso l’ultimo rintocco della sanità mentale di Rose Tyler, che lotta in ogni istante per controllare un potere più grande di lei, più grande dell’universo stesso.
Tic tac.
 
Continua……………………………………………………..
 
Angolo dell’autrice:
Caaaalma. Ok, ho dato vita a un… una… cosa accidenti ho scritto? Va bene, diciamo che Rose la maltratto in modi indescrivibili e il povero Dottore non trova un attimo di pace. No, Dottore, non è servito smontarmi il pc per impedirmi di pubblicare. Mi è stato chiesto di farlo e lo farò! Fermo dove sei, o scarico le chiavi del TARDIS e il cacciavite sonico nel water e dopo voglio vedere come li ritrovi! Oh, buono lì. Dunque, dicevo? Ah sì. Allora, premetto che il secondo capitolo DOVREBBE essere l’ultimo (dico dovrebbe perché l’ultima volta che l’ho scritto sono finita a scrivere altri 3000 capitoli di troppo). Spero che vi sia piaciuto e… sì, insomma… potreste lasciare un commentino? Non riesco a non convincermi che questa cosa meriti un secondo capitolo anziché un lanciafiamme conseguente al dovuto esorcismo. A voi la scelta, chiamo il prete o continuo? XD no, Dottore, il tuo voto non vale. E sì, se osi toccare i miei cofanetti delle serie tv ci finisci tu nel water, ma di testa finché non ti spuntano le branchie per poter respirare sott’acqua. Pussa via, qui c’è gente che lavora!
A prestissimo!

Tomi Dark Angel
  
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