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Autore: Bloomsbury    05/01/2014    36 recensioni
[Storia in revisione] Capitoli revisionati: 14/35.
Jay era un ragazzo come tanti, con qualcosa in più o in meno degli altri, un ragazzo normale, un ragazzo omosessuale: particolare insignificante per ogni persona di buon senso.
Si vergognava di tante cose, tranne che di questo.
Jay bramava la luce, la libertà.
Fece la scelta sbagliata nel contesto meno appropriato e quel particolare insignificante diventò la spada che lo uccise, la macchia scura che lo inghiottì.
«Mio figlio è morto il giorno stesso in cui ha tradito la natura che gli ho donato con orgoglio.»
«La natura che mi hai donato è quella che ti ho confessato…»
«È una natura che mi fa ribrezzo!»
Così comincia la storia di Jay Hahn, fatta di dolori, di abbandoni, di amore, di amicizia, di segreti, di bugie, di tempesta.
E le tempeste intrappolano nel proprio occhio ogni cosa, risputandoti fuori lacerato, diverso, un mostro.
Jay uscirà ed entrerà da quelle raffiche di vento, diventerà lui stesso la tempesta e annienterà ogni cosa al suo passaggio.
Compreso se stesso.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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"I find shelter, in this way
Under cover, hide away
Can you hear, when I say?
I have never felt this way

Maybe I had said, something that was wrong..."
Shelter - The xx 



 
1. Shelter
 
Chiuse la porta di casa alle sue spalle, scontrandosi con il gelo del pomeriggio appena inoltrato.
Trovò rifugio nei propri segreti mischiandosi tra la folla di Londra; avvolto nel suo cappotto nero camminava incurante, sbattendo contro chiunque lo incrociasse. Gli occhi chiari si riempirono di lacrime, una morsa gli avvolse lo stomaco e la mente fino a dilaniargli la carne e le viscere. Provava dentro di sé un turbinio inarrestabile di rabbia e delusione; la prima per suo padre che gli aveva urlato in faccia mentre lui, a testa bassa, subiva le sue offese; la seconda per sua madre che era rimasta in silenzio, privandolo delle sue braccia amorevoli. Avrebbe voluto correre da lei, raggomitolarsi sulle sue gambe e piangere, per ricevere quelle agognate carezze che asciugano il pianto e guariscono l’anima, ma la sua mamma assisteva impassibile alla furia di suo marito, senza fiatare, senza posare gli occhi su suo figlio, neanche per un istante…
Stringeva i denti mentre le sue falcate diventavano sempre più ampie, trasformando il suo cammino in una disperata corsa.
Lontano da tutti.
Lontano dal mondo.
Avrebbe voluto fare un salto e tramutarsi in tante piccole gocce di pioggia, infrangersi e scomporsi per diventare parte del suo cadere. Lieve…
Le gambe iniziarono a cedergli, come se il dolore dell’anima le avesse private di ogni briciolo di energia; il passo si fece sempre più lento e leggero, fino a che si arrestò.
Sullo Strand la vita continuava a procedere incurante di ciò che gli stava accadendo: si sentì ancora più solo. Sapeva che nessuno, guardandolo, poteva immaginare il suo dolore, ma avrebbe voluto che esistesse anche solo una persona capace di accorgersi di lui.
Voltò il capo da destra a sinistra per trovare un posto dove andare ma quando i suoi occhi si posarono sull’altro lato della strada, la ricerca cessò: vide la facciata di una chiesa e si perse nell’osservare la grande finestra arcuata, indirizzando lo sguardo sull’alta torre campanaria mentre la pioggia impetuosa si scontrava con il suo viso.
Rapido, attraversò la strada e salì velocemente le scale per rifugiarsi sotto il protiro sorretto dalle colonne. Fermatosi davanti al portale in legno scuro, sbirciò timidamente dai vetri opachi e vide delle ombre solcare le luci tremolanti ed incerte delle candele. Non fu né la curiosità né l’istinto a portalo lì, ma solo una tiepida sensazione di fiducia. Varcò la soglia della chiesa dedicata alla Madonna e ne rimase colpito: la navata, illuminata dalle monofore e dal finestrone della controfacciata, appariva come un invito a rimanere e le vetrate policrome, nonostante il brutto tempo, riuscivano a risplendere, illuminando lo spazio circostante.
Avanzò adagio lungo tutto il percorso, esigendo dai suoi passi l’assoluto silenzio e l’acqua che aveva infradiciato le sue sneakers scivolò lentamente sul pavimento dando vita alle tracce imprecise del suo cammino. Con il naso all’insù esplorò lo spazio interno decorato in uno stravagante barocco; roteando lentamente su se stesso, come se stesse danzando, fissò con le labbra schiuse gli ottocenteschi lampadari in ottone sopra la sua testa, sorpreso dalla loro bellezza.
Il freddo lo intorpidì, tanto da fargli rimpiangere la temperatura esterna; nonostante ciò continuò a vagare in cerca di un calore diverso, ritrovandosi davanti all’abside nella quale era posto l’altare. Un incessante brusìo attirò la sua attenzione verso la navata laterale, dove scorse un confessionale in legno: vide una donna anziana accompagnare il tendaggio rosso cardinale con le mani, per poi alzarsi dall’inginocchiatoio; rimase immobile e silenzioso a fissare la tenda che ricopriva lo scomparto dove di solito siede il sacerdote, aspettando che egli uscisse.
Non c’era mai stata, fin dal principio, la convinzione di volersi confidare con qualcuno ma l’indugio del prete lo invitò ad avvicinarsi.
Procedette timoroso verso il posto dei penitenti contraendo il viso in una smorfia di dolore, aspettandosi un’altra delusione. Tuttavia, il desiderio di colmare il senso di desolazione fu più forte dell’insicurezza, così prese posto in ginocchio davanti la griglia di separazione, in attesa che il prete aprisse lo sportellino dal quale avrebbe ascoltato le sue confidenze più intime. Nel breve momento in cui l’esitazione stava per prendere il sopravvento, la mano del sacerdote, rugosa e macchiata dalla vecchiaia, rimosse l’unico ostacolo che si frapponeva tra le angosce di Jay e l’orecchio attento del ministro di Dio.
«Sia lodato Gesù Cristo» proruppe il prete. Jay rimase incastrato, non poteva più tirarsi indietro e, abbassando la testa, unì le mani in preghiera poggiandovi la fronte. «Sempre sia lodato.»
«Dimmi figliolo, confessami i tuoi peccati».
Jay strinse gli occhi, affondando il viso nelle mani: non si vergognava di se stesso, ma provava terrore per il rifiuto, non avrebbe retto un ulteriore abbandono, maggiormente da Dio.
«Mi perdoni padre, perché ho peccato.»
«Ti ascolto…»
«Oggi ho reso infelici i miei genitori» sibilò velocemente, togliendosi il peso più grande dal cuore.
«Gli hai mancato di rispetto?»
«Forse, non lo so. Per rispettare me stesso ho reso infelici loro.»
«Raccontami.»
«Io sono omosessuale, padre!».
Il sacerdote pose una mano sul proprio viso, per nascondersi da quella vergognosa confessione. Jay continuò a parlare intendendo quel gesto come un segno di dispiacere per lui: «Dopo anni di silenzi e di segreti, oggi, finalmente, ho confessato ai miei genitori la verità.»
«Come l’hanno presa?».
Un bagliore di speranza riaccese gli occhi del ragazzo: quella domanda pareva un segno tangibile di apertura; sentiva che sarebbe stato ascoltato. «Non bene. Sembra che abbiano dimenticato che sono comunque loro figlio.»
«Si tratta di un disordine grave!» tuonò il padre dal suo scomparto ignorando lo smarrimento del ragazzo che lo fissava cercando di cogliere la sua espressione. «L’omosessualità è un disturbo che deve essere curato con la preghiera e la conversione. Per guarire hai bisogno di compassione e di essere guidato sulla retta via».
Jay si sentì franare la terra sotto i piedi, come se l’inferno si fosse spalancato in una voragine che l’avrebbe inghiottito; non si aspettava delle felicitazioni, ma aveva ingenuamente sperato in una parola di conforto.
«Padre, che devo fare?» chiese affogando le lacrime nelle parole; sperava ancora di poter essere guidato senza necessariamente doversi sentire colpevole della sua natura.
«La castità è l’unica soluzione, quando sarai finalmente guarito potrai guardare negli occhi, senza vergogna, i tuoi poveri genitori e, prima cosa fra tutte, potrai non vergognarti agli occhi di Dio».
A Jay non importavano queste cose, non era quello il punto, non aveva mai fatto sesso con un uomo, avrebbe anche potuto rimanere casto a vita ma mai avrebbe tradito ciò che era, così rispose tra le lacrime e l’angoscia: «Io non mi sento un peccatore.»
«Il tuo è un peccato imperdonabile!» infierì il prete accostando ulteriormente il viso alla grata: «Non voglio additarti, le persone come te vanno trattate con misericordia, ma devo metterti in guardia figliolo: se tu vuoi continuare ad essere protetto da Gesù Cristo, nostro Signore, devi pentirti ed iniziare un cammino di preghiera».
Jay alzò gli occhi e in balia del tremore strinse nelle mani il velluto dal quale era ricoperto l’inginocchiatoio. Chiuse i pugni e sferrò un colpo, facendo trasalire il sacerdote. «No!» urlò roco tra le lacrime, ancora una volta l’avevano rifiutato facendolo sentire sbagliato.
Pensò, mentre colpiva ripetutamente la grata: se davvero fosse stato così sbagliato, Dio non l’avrebbe messo al mondo così com’era. Se nei bambini esiste Dio, come è scritto, c’era stato anche in lui quando, da piccolo, desiderava non essere mai nato in un corpo che non sentiva appartenergli.
Il sacerdote, spaventato, tentò di uscire dal confessionale, ma Jay lo precedette scappando via sconvolto e rabbioso.
Percorse la navata a passo spedito, raggiunto dalle urla del prete, ma un istinto irrefrenabile attirò la sua attenzione su una statua levigata in legno raffigurante Gesù della Misericordia.
Lo scrutò per pochi secondi negli occhi come se sperasse in una parola direttamente da lui. La statua non parlò, ma lo fissò con amore, quello tipico che traspare dagli occhi di quell’immagine, e sentendosi preso in giro dalla fissità di quello sguardo di legno finto e vuoto, varcò la soglia senza indugio.
Si ritrovò sulla strada allagata difronte la chiesa, disorientato e lacerato; il tempo era notevolmente peggiorato, tanto da non permettergli di vedere a pochi metri di distanza: sembrava ce l’avesse con lui. Pensò che Dio gli stesse ponendo davanti un avviso. La pioggia ed il vento apparivano impazziti tanto da ridurlo, in pochi secondi, in uno straccio bagnato senza riparo.
Voltò ancora la testa da destra a sinistra, non riusciva più ad orientarsi. Il vento lo feriva infliggendogli scudisciate violente sul volto e, ravvivandosi i capelli fradici, fece qualche passo verso il marciapiede, per allontanarsi dal centro dello Strand.
Non appena fu sul lato della strada osservò incredulo l’apocalisse che lo stava inghiottendo: le macchine accostavano inserendo le frecce d’emergenza e i passanti correvano impauriti contro il vento, per trovare riparo.
Rimase inerme sotto la pioggia, in balia della tempesta; le sue lacrime disperate si confusero tra le gocce perseveranti che gli cadevano sul volto e il suo lamento di sconforto si mescolò alle urla incessanti delle raffiche d’aria che tentavano di metterlo in ginocchio.
Era solo, avrebbe voluto che quella furia potesse ingoiarlo per permettergli di sparire dalla faccia della terra, così gridò al cielo parole sconnesse di rabbia e disperazione ma non appena vide crollare davanti a sé, piegato dalla collera del vento, un detrito indistinto estirpato da chissà quale ferraglia arrugginita, si sentì sollevare da terra: l’uomo che lo stava trascinando in salvo gli rivolgeva, contro vento, rimproveri non del tutto comprensibili e il ragazzo, stanco e snervato, si lasciò andare a quella presa, senza più lottare.

***
 
Il vento faceva tremare i vetri del bar nel quale lo sconosciuto l’aveva scaraventato senza troppa delicatezza. Pareva di assistere alla fine del mondo ma Jay non se ne preoccupò.
Camminò in mezzo alla gente che cercava un riparo dalle vetrate nel caso in cui fossero esplose e fissando i visi preoccupati dei suoi compagni di avventura si chiese perché Dio ce l’avesse anche con loro, in fondo, quell’ira sembrava riservata solo a lui.
Si sedette sul pavimento con la schiena al muro, aspettando pazientemente che tutto quel marasma finisse. Sembrava fosse l’unico a non avere paura e si raggomitolò pensoso poggiando i gomiti sulle ginocchia piegate, affondando il viso tra le braccia.
D’improvviso si ricordò dell’uomo che l’aveva salvato; non aveva memoria del suo volto, così alzò la testa sperando di scorgerlo ma fu impossibile, perché il tempo si calmò di colpo spingendo la gente ad alzarsi, ostacolandogli la visuale: pareva una folla di sopravvissuti ad un bombardamento; guardavano in alto, chi fuori dalla porta, chi poggiando il naso sulle vetrate, aspettando di constatare la loro effettiva salvezza.
In attesa che tutti sgomberassero la sala, Jay rimase fino alla fine seduto sul pavimento freddo per poi crollare su una sedia del locale che, dopo mezz’ora, ricominciò la sua attività, riempiendo l’ambiente della ridestante fragranza del caffè appena fatto. Terminate le sue deludenti ricerche, si tolse dalla mente l’idea di ringraziare il ragazzo che, seppur sgarbatamente, l’aveva salvato portandolo di peso nella caffetteria.
Stese le braccia lungo il tavolino quadrato in alluminio e, poggiandovi sopra la guancia, lasciò che i suoi occhi chiari vagassero nel locale.
Jay, con i suoi lineamenti delicati e bellissimi, sembrava un bambino abbandonato e, di fatto, lo era: considerato che, dopo quel trambusto, i suoi genitori non si erano neanche presi la briga di contattarlo per sapere dove fosse finito…
Di fatto, lo era.
Puntò lo sguardo sul menù plastificato incastrato sotto il suo braccio senza guardarlo veramente, e ricominciò a pensare, cosa che fino ad allora si era dimostrata deleteria. Vide impresso nella sua mente, come un marchio a fuoco, il viso del sacerdote che l’aveva scacciato dal paradiso dei redenti. Stranamente la cosa non gli sembrò più così dolorosa: quella tempesta l’aveva risvegliato dall’intorpidimento mentale, rendendolo capace di pensare senza interessarsi al giudizio altrui.
«Chi è senza peccato scagli la prima pietra!» bisbigliò tra sé e sé. Quelle, erano state le parole di Gesù Cristo in difesa di una prostituta.
Maria di Magdala aveva scelto di intraprendere il cammino della conversione; questo l’aveva resa degna del perdono del Signore?
Lui si era rifiutato di sentirsi un peccatore aggredendo il sacro luogo della confessione; era questo a renderlo immeritevole di grazia?
Alzò gli occhi richiamato dal televisore che passava il notiziario del pomeriggio: “È di sei feriti il bilancio di un lieve tornado a Londra. Violente raffiche di vento si sono abbattute sulla capitale inglese causando danni alle abitazioni e alle automobili parcheggiate in strada. Secondo i racconti di diversi testimoni, le raffiche, improvvise e violente, sono durate una manciata di secondi. Sul luogo sono intervenuti i servizi d'emergenza e al momento si sta procedendo alla verifica dei danni e delle situazioni più pericolose…”.
Posò nuovamente lo sguardo sul menù, spostando la sua attenzione su una macchia di cioccolato sopra il prezzo del frappè alla fragola e, rimuginando sulla notizia appena sentita, provò sollievo nel constatare che Dio, almeno per questa volta, non ce l’avesse avuta con lui.
Sorrise di se stesso, non aveva mai pensato a Dio, non se n’era mai curato; da ragazzino aveva anche avuto la certezza che non fosse mai esistito ma, nel momento del bisogno, aveva sentito la necessità di cercarlo. Visti i risultati, avrebbe fatto meglio a non cercarlo mai più.
Adesso, era veramente solo.
 
 

Spazio Autrice

Ciao a tutti!
La revisione di questa storia è appena cominciata, quindi, chi si troverà a leggerla avrà certamente la possibilità di godere di un capitolo scritto con le mani e non con i piedi :P

Bando alle ciance.
Ringrazio moltissimo tutte le persone che mi hanno seguito fino alla fine: Elsker, Aven, Ladywolf, Bijouttina, Julie, Ghost e Nahash.
Ringrazio Moloko, Oxymoros e tutti quelli che si stanno mettendo in pari. Probabilmente nessuno di loro rileggerà questa storia revisionata quindi li ringrazio due volte perché l’hanno amata nonostante gli errori ^_^
Grazie a WarHamster, Emide e tutti quelli che l’hanno seguita a pizzichi e bocconi.


Al prossimo capitolo!!!
Bloomsbury
   
 
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