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Autore: millyray    05/01/2014    3 recensioni
Per chi odia le morti ingiuste anche se eroiche dove a sopravvivere sono i malvagi, perché le eccezioni esistono, esistono sempre. Per chi ama il trionfo degli amori, gli amori veri, quelli un po' platonici e un po' terreni, a volte anche scontati. Per chi odia i misteri e i segreti che si celano dietro gli occhi di qualcuno, ma ama l'aria tormentata che essi hanno.
Be', credo che siate nel posto giusto.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO DODICI – UN COLPO

Ti vorrei, ti vorrei rivivere anche solo per un attimo,
io vorrei rivivere quella prima volta io e te.
(Ti vorrei rivivere, E.Ramazzotti)

Quando Ianto Jones si svegliò quella notte, circa alle due e un quarto, e tastò la parte del letto accanto a quella dove dormiva lui, la trovò vuota. Eppure si ricordava benissimo di essersi coricato insieme a Jack; avevano fatto sesso come al solito e lui si era addormentato tra le braccia del Capitano.
Buttò i piedi fuori dal letto e si stropicciò gli occhi. Nell’appartamento regnava il silenzio.
A fatica si alzò, per poi trascinarsi pesantemente verso il bagno. Fece tutto con estrema calma: svuotò la vescica, tirando qualche sbadiglio, si rialzò i pantaloni e si avvicinò al lavandino per lavarsi le mani, contemplando con sguardo un po’ schifato la propria immagine riflessa nello specchio. Aveva delle belle occhiaie ed era piuttosto pallido; sarebbe potuto andare bene per fare uno degli zombie nel video di Thriller. A quel pensiero, ridacchiò tra sé e sé. La verità era che aveva solo bisogno di dormire un po’ di più.
E aveva anche l’intenzione di tornare a letto, se non che un rumorino proveniente dal suo stomaco lo fece desistere. Solo in quel momento si accorse di avere fame e di avere voglia di cibo. Il letto avrebbe dovuto aspettare ancora un po’.
Si trascinò questa volta in cucina e guardò nella dispensa: c’era un pacco di cereali al cioccolato quasi vuoto. Sarebbe stato meglio finirlo. Ma poi vide anche un sacchetto di patatine ancora pieno e gli venne la tentazione di mangiare pure quelle. E, siccome non sapeva decidersi, li prese tutti e due, mangiando i cereali e le patatine insieme. Nel frattempo lanciò un’occhiata al salotto, guardando se tutto fosse in ordine. Il capotto di Jack non era appeso al solito posto, questo significava che era uscito. Be’, non era la prima volta che usciva nel cuore della notte, gli bastava che tornasse presto a scaldargli il letto.

Mise in bocca l’ultimo cereale rimasto, insieme a due o tre patatine, quando constatò che quelle schifezze non lo riempivano affatto.
Strano, ho cenato solo poche ore fa, si disse, aprendo il frigorifero e guardando che cosa c’era dentro. Purtroppo non era pieno come il suo stomaco avrebbe voluto, in quei giorni non aveva certo avuto il tempo di andare a fare la spesa, ma c’era della pancetta e della sua marca preferita.
Tirò fuori una padella e un po’ di olio da frittura, buttandoci dentro la pancetta e accendendo il fuoco. Non ci mise molto a prepararla e quando ebbe finito la mangiò direttamente dal forno, appoggiato al piano da lavoro. Ora il suo stomaco sembrava decisamente più soddisfatto.

Sentì qualcuno che girava la chiave nella serratura, seguito dal rumore delle scarpe di Jack sul pavimento dell’ingresso.

“Dove sei stato?” gli chiese quando lo vide affiorare sulla soglia della cucina.

“A fare un giro. Avevo bisogno di un po’ d’aria fresca”, rispose il Capitano guardandolo in modo strano. “Che stai facendo?”

“Mangio”, rispose Ianto, come se mangiare pancetta fritta alle due di notte fosse la cosa più normale del mondo.

“Pancetta a quest’ora?”

“Sì, ne vuoi un po’?”

“No, grazie”.

Il ragazzo mise in bocca l’ultimo boccone rimasto e si pulì le mani con uno straccio.

“Allora torno a letto”. Nel passargli accanto, però, venne bloccato da un braccio del Capitano che lo cinse per la vita. “Stai bene?” gli chiese.

Ianto lo guardò con un’espressione confusa. “Certo. Perché non dovrei stare bene?”

Jack gli sorrise dolcemente. “Chiedevo solo”. Gli diede un veloce bacio sulle labbra e lo lasciò andare. Quando il compagno si fu allontanato, prese un po’ d’acqua dal frigo e guardò la padella e il pacco vuoto di cereali.
Doveva confessare che era un po’ preoccupato per Ianto. Non era del tutto sicuro che avesse superato il trauma della violenza del padre; dopo quella volta non ne hanno più parlato e lui si ostinava a non volerlo dire a sua sorella. Avrebbe dovuto accorgersi prima che c’era qualcosa che lo tormentava; ogni volta che lo guardava negli occhi vi trovava tanta sofferenza, ma non ci aveva mai fatto molto caso e comunque lo aveva sempre attribuito alla perdita di Lisa. E non l’aveva mai visto ridere, nemmeno un sorriso. Ora si sentiva in colpa per non averlo capito prima e per non aver nemmeno tentato di capirlo. Non l’aveva mai visto ridere, nemmeno un sorriso.
Ma soprattutto, si sentiva impotente perché questa era una di quelle situazioni in cui non poteva fare niente per aiutare.

E perché diamine mangiava così tanto in quel periodo? Forse era solo un modo per sfogare il dolore.

 

Quella mattina la sveglia suonò alle sei e mezzo precise. Jack la spense con un colpo secco e mugolò qualcosa di incomprensibile.
Ianto si girò a pancia in su e rimase a fissare il soffitto, quando sentì qualcosa spingergli sulla bocca dello stomaco e dovette correre in bagno. Si abbassò sulla tazza del water e vomitò tutto quello che aveva mangiato quella notte.

“Ianto?” chiamò Jack dalla stanza accanto, insospettito dalla sua improvvisa fuga. Lo raggiunse in bagno, trovandolo abbracciato alla tazza. Si sedette sul bordo della vasca e gli passò un asciugamano per pulirsi. Rimase a guardarlo per qualche attimo, pensando a quanto fosse sexy anche quando vomitava, poi assunse la sua espressione seria e preoccupata. “Che succede?”

“Forse non era una buona idea mangiare pancetta alle due di notte”.

“Sarà solo un’influenza”, lo rassicurò il Capitano. “Perché non resti a casa oggi?”

“No, no. Sto bene”.

“Sicuro?”

“Sì, non ce la farei a restare a casa”.

Ianto si rialzò e, senza fare caso a Jack, ritornò in camera per vestirsi.

“Sei sicuro di stare bene?” gli chiese il Capitano, chiaramente preoccupato.

“Sì, certo!”  Ed era vero, non gli stava mentendo. Doveva essere stato un malessere momentaneo perché si sentiva benissimo. Aveva solo un po’ di fame.

 

“Stanotte la Fessura ha registrato un picco di energia”, disse Tosh leggendo dei fogli che aveva davanti a sé. Lei e gli altri membri della squadra si erano riuniti quella mattina nella sala delle riunioni e studiavano i movimenti della Fessura di quella notte.

“Sappiamo che cosa può essere passato?” chiese Jack, in piedi con le mani poggiate sul tavolo.

“No, ma è sicuramente qualcosa passato in entrata. Farò una ricerca su tutta la città per vedere se ci sono tracce aliene o di altri tempi”.

“D’accordo, Owen, hai…”.

“Jack!”

Gli sguardi di tutti si spostarono su Ianto che non sembrava avere per niente una bella cera.

“Credo che… credo che sto per vomitare”.

Fu una questione di secondi: Jack afferrò velocemente il cestino più vicino e lo passò a Ianto che vomitò dentro l’intera colazione.

“Dannazione, Ianto!” esclamò il Capitano. “E’ la seconda volta questa mattina! E poi mi dici che stai bene?”

“Che cosa?!” aggiunse Gwen.

Toshiko passò un fazzoletto a Ianto che si pulì e cercò di darsi un contegno. Se non ci fosse stato tutto quell’odore di caffè probabilmente il cibo non gli sarebbe tornato su. Ma da quando l’odore di caffè gli dava fastidio?

“Owen, fagli qualche controllo”, ordinò Jack in tono perentorio, portando via il cestino.

“Jack, io…”, tentò Ianto, ma fu interrotto bruscamente da un’occhiata torva del Capitano. “Non dire che stai bene perché non stai bene”.

Il ragazzo esalò un sospiro e seguì Owen senza protestare.

 

“Da quanto tempo hai queste nausee?”

“Da qualche giorno. Solo la mattina, poi all’ora di pranzo passano. Solo oggi mi è capitato di… vomitare”.

Owen infilò un ago nella vena di Ianto e gli fece un rapido prelievo di sangue.

“E hai qualche altro sintomo? Mal di stomaco? Diarrea? Stanchezza?”

“No”.

“Potrebbe essere una semplice influenza intestinale”.

Ianto guardò Jack con un’occhiata che sembrava dire: “Visto? Te l’avevo detto”.

“Non gli hai detto dell’appetito?” sbottò Jack in quel momento, appoggiato alla ringhiera sopra alla sala delle autopsie.

“Che cosa?”

“Ho notato che mangi molto ultimamente, anche a orari strani, come ieri notte”.

“E’ vero, l’ho notato pure io”, aggiunse Gwen.

“Interessante”, commentò Owen. “Quindi, nausee mattutine, appetito… sembrano i sintomi di una gravidanza”.

“Ma non dire idiozie!” sbottò Ianto, guardando il dottore come avesse detto la cosa più brutta del mondo. Jack e Gwen, invece, scoppiarono a ridere.

“Era una battuta. Comunque, controllerò il tuo sangue e cercherò di vedere che cos’hai che non va. Ma mi sembra il sintomo di una normale influenza, quindi ti consiglierei di andare in un ospedale”.

Ianto scese dal tavolo delle autopsie con uno sbuffo irritato; da quando in qua a loro accadeva qualcosa di normale. Sperava solo di non avere nulla di grave.
Si diresse verso le scalette, ma un tremendo capogiro lo colse e dovette appoggiarsi sulla prima cosa che trovò. Improvvisamente, sul muro di fronte comparve l’immagine del suo scheletro con un puntino verde proprio al centro del ventre.

“Che… che cosa?!” esclamò il giovane, guardando quell’immagine, sconvolto.

“Oh mio Dio!”

Jack gli si avvicinò cautamente e poggiò una mano sulla sua per impedirgli che la spostasse.

“Forse dovremmo riconsiderare la mia battuta”, disse Owen.

“Oh no!” fece Ianto, districandosi dalla presa di Jack e lasciando scomparire l’immagine “No, no, no, no!”

“Quella è una macchina della gravidanza”, gli fece notare il dottore.

“Stai insinuando che…”.

“Non sto insinuando niente. Sto cercando di capire!”

“Ianto!”

Ianto si girò verso Jack che con lo sguardo cercò di tranquillizzarlo. “Andrà tutto bene”.

“No! Non andrà bene”.

“Potresti avere qualsiasi cosa lì dentro”, riprese Owen. “Lasciami controllare”.

Il Capitano fece un cenno col capo e Ianto immediatamente si convinse.

Si sedette di nuovo sul lettino e aspettò che Owen tornasse dai sotterranei.

“Ok, questo è un classico e normalissimo ecografo”, spiegò, portandosi appresso un macchinario. “Sdraiati sul lettino e apri la camicia”.

Ianto obbedì, ma guardò Jack come se stesse andando sul patibolo.

Il dottore accese il macchinario e gli spalmò sulla pancia una specie di crema trasparente e fredda. Poi cominciò a passarci sopra uno strumento che somiglia a una specie di piccolo aspirapolvere. La macchina a cui era attaccato cominciò subito a mostrare delle immagini confuse.

“Accidenti! Eccolo!” esclamò Owen.

“Che cosa?”

“Il feto!”

“Che?!” gridò Ianto istericamente. Anche Jack guardava l’ecografo con un’espressione sconcertata.

“Eccolo qui”. Owen indicò qualcosa col dito. “Si vede molto bene e guarda… c’è pure il battito. È di quasi otto settimane”.  

“E’… meraviglioso”, sospirò Tosh. Anche lei e Gwen erano incantate a guardare quelle immagini.

Il ragazzo steso sul letto era incredulo. Sconvolto e incredulo. E no, ancora non ci credeva, benché vedesse anche lui l’immagine di quel feto e gli pareva pure di distinguere un certo battito cardiaco, ma… non era possibile. Non era fisicamente possibile.

“Spegni quel coso”, disse.

“Che cosa?”

“Spegni quel coso!”

Owen obbedì e spense tutto. Ianto si rialzò e richiuse la camicia. “Ora dimmi che diavolo c’è nel mio stomaco”.

Il dottore si guardò intorno come in cerca d’aiuto. “E’ un feto. Un bambino. Chiamalo come vuoi”.

“Non può essere!”

“Ianto, lavoriamo con gli alieni, tutto è possibile! Persino Gwen è rimasta incinta dopo essere stata morsa da un alieno”.

“Ma lui non è una donna”, fece notare Tosh.

Owen scrollò le spalle. “Probabilmente è successo qualcosa che ha fatto sì che… il suo organismo potesse… attuare una gravidanza”.

“Jack?” chiamò Ianto in un ultimo vano tentativo di ottenere la risposta che voleva.

“Owen ha ragione”, disse il Capitano, facendo spalancare gli occhi al compagni. “Però c’è un ultima cosa che possiamo fare per essere sicuri”.

“Cioè?”

“Fai un test”.

“Un test?”

“Di gravidanza”.

Ianto lo guardò come se stesse dicendo la cosa più assurda del mondo. Ed effettivamente tutta la situazione suonava assurda.

“Non abbiamo un test di gravidanza”, ricordò Owen.

“Te lo vado a comprare. Non ci metterò molto”. E detto quello, con uno svolazzo del cappotto, Jack uscì dalla base, come se volesse scappare.

 

“Allora?” sbottò Gwen appena vide uscire Ianto dal bagno.

“Non lo so. Non sono ancora passati due minuti”.

Il ragazzo si sedette sul divano accanto a Gwen, reggendo il bastoncino in mano. Jack continuava a guardare all’orologio. “Guarda adesso”.

Ianto ci mise un po’ a inquadrare il segno sul bastoncino, ma appena lo vide il suo cuore perse un battito. “Oh no!”

“Allora?!” ripeté Gwen, avvicinandosi all’amico. “Oh mio Dio! E’ positivo!”

“Ditemi che è uno scherzo!”

“Ma com’è possibile?” chiese Toshiko.

Owen scosse il capo come per dire che lui non ne aveva la più pallida idea.

“Forse è stato quando sei venuto a contatto con qualcosa di alieno come è successo a me”, tentò Gwen, voltandosi a guardare Ianto. “Ti ricordi se è successo qualcosa del genere?”

Il ragazzo rimase a pensarci per qualche secondo, poi tirò su la manica scoprendo l’avambraccio dove una piccola cicatrice bianca faceva ancora mostra di sé. “Quando siamo andati in quell’orfanotrofio”, iniziò. “una specie di verme mi ha morso”.

“I Callaryani!” esclamò Gwen.

“Ma certo!” aggiunse Jack. Ora finalmente tutto gli era chiaro. “Quel verme che ti ha morso era un verme della fecondazione. Gli basta un morso per rendere qualsiasi tipo di organismo favorevole a una gravidanza. Basta che quella persona faccia sesso, non importa come, e il gioco è fatto”.

“Quindi anche due uomini o due donne possono avere figli loro?” osservò Gwen.

“Sì”.

“Aspettate un attimo!” proferì Ianto in quel momento, scattando in piedi. “Quindi c’è una specie di alieno dentro di me?”

Il Capitano ridacchiò. “No, non proprio. In parte avrà le sembianze di un Callaryano, ma perlopiù sarà umano perché uscirà dal tuo grembo”.

“Vi rendete conto che questo potrebbe rivoluzionare la medicina?” fece Gwen allora. “Anche chi è sterile con questo può sperare di avere figli. E gli uomini che…”.

“No”, la interruppe Jack. “Non sappiamo come funziona e potrebbe essere rischioso”. Si avvicinò a Ianto guardandolo dritto negli occhi. “Devi abortire. Non voglio che tu corra pericoli, non sappiamo se questo… bambino possa nuocerti”.

Ianto annuì mestamente.

 

Gwen osservò Jack seduto nel suo ufficio con lo sguardo perso a contemplare un innocuo oggetto alieno e poi spostò lo sguardo su Ianto seduto sulle scale. Mise via il cellulare con cui aveva appena mandato un messaggio a Rhys e lo raggiunse con passo felpato. Gli si sedette accanto e gli prese una mano.

“Tutto bene?”

Lui si girò a guardarla con un’occhiata vagamente torva. “Tu che dici?”

La ragazza scoppiò a ridere. “Dai, non è poi così terribile”.

Lui riportò lo sguardo di fronte a sé. “Forse no”.

“Deduco che il bambino sia di Jack”.

“Già”.

Calò qualche secondo di silenzio tra i due, poi Gwen riprese. “Avere un bambino è una cosa… incredibile. È qualcosa che cambia il tuo modo di vedere le cose, è… spaventoso, ma al tempo stesso meraviglioso”.

“Tu dici?”

“Sì e secondo me non dovresti abortire”.

Ianto sospirò prendendosi la testa tra le mani. “Jack ha ragione! Potrebbe essere pericoloso e…”. Si interruppe, consapevole che non era questa la verità. “Non… non posso avere un bambino, Gwen. Come faccio? Questo lavoro e la mia vita… non sono fatti per avere un bambino”.

La ragazza gli strinse la mano più forte e lo guardò in volto. “Ma è pur sempre un bambino. C’è una vita che sta crescendo dentro di te ed è… incredibile, in tutti i sensi”.

“Ianto! Quando vuoi vieni”.

I due si voltarono verso Owen che armeggiava nel suo studio. No, Jack aveva ragione, si disse Ianto. Era sbagliato, tutto quello era sbagliato e qualsiasi cosa ci fosse nel suo corpo non doveva esserci.

Si alzò lentamente e raggiunse il dottore che, appena lo vide, gli mostrò una piccola pillola rosa. “Prendi questa pillola. Induce l’aborto fisiologico, poi ne dovrai prendere un’altra per espellere il feto”, spiegò il giovane. “L’aborto farmacologico mi sembra l’unica soluzione”.

Ianto prese la pillola e il bicchiere d’acqua che il collega gli passò. Si sedette sul tavolo chirurgico e osservò attentamente la pillola. Poi guardò la propria pancia e poi di nuovo la pillola. Era la cosa giusta da fare, non poteva avere un bambino, non era pronto e non lo era nemmeno Jack. Però… però anche Gwen aveva ragione, c’era una vita che cresceva dentro di lui e non poteva ucciderla così.
Ma portare avanti una gravidanza non era cosa da poco.

“Owen? Mi fai rivedere le immagini di prima?”

 

“Non posso farlo!” fu la prima cosa che Ianto pronunciò appena entrato nell’ufficio di Jack. Il Capitano alzò lo sguardo su di lui, perplesso. “Non posso farlo”, ripetè il ragazzo. “Non posso abortire”.

“Che cosa?”

“Mi dispiace, Jack, ma non ci riesco. È…”. Si avvicinò lentamente alla scrivania dietro la quale sedeva Jack. “Insomma, Jack, non ci riesco. Non posso farlo. È un bambino ed è nostro…”.

Jack poggiò le mani sulle spalle del compagno e lo guardò negli occhi. “Lo so, ma non possiamo rischiare. È pericoloso…”.

“Perché dovrebbe esserlo? Non è un alieno”. Tirò fuori la foto dell’ecografia che gli aveva fatto Ianto e la mostrò a Jack. Il capitano la prese in mano e osservò attentamente le linee confuse che delineavano quello che doveva esserci nel ventre di Ianto. Si poteva riconoscere benissimo che era un bambino. Improvvisamente sentì qualcosa raddolcirsi nel suo cuore; con un dito tracciò quelle linee e faticò a nascondere un sorriso.

“Non lo so, Ianto”, soffiò infine, riportando lo sguardo sul ragazzo. “Non sei una donna, le cose potrebbero andare male, il tuo corpo potrebbe non sopportarlo”.

“Voglio correre questo rischio”

Jack spostò lo sguardo verso il muro di fronte a sé e poi tornò di nuovo a guardare Ianto. “Non posso perderti, Ianto. Sei sicuro che lo vuoi?”

“Sì”.

Il Capitano si protese verso il compagno e poggiò le proprie labbra sulle sue. Ianto ricambiò il bacio, ma proprio quando si avvicinò di più all’altro e cercò di averne di più, questi si staccò e lo guardò in maniera strana.

Poi si allontanò bruscamente e afferrò il suo capotto. “Scusa, devo andare. Torno presto”. E senza lasciargli nemmeno il tempo di emanare un sospiro, uscì dall’ufficio e poi dalla base.

“Dov’è andato?” chiese Gwen vedendo Ianto tornare dall’ufficio di Jack.

“Non ne ho idea”, rispose il ragazzo. Jack faceva spesso così. Usciva senza dire dove andasse e doveva ammettere che talvolta gli dava un po’ fastidio.

 

Ed eccolo lì, in tutto il suo splendore nella divisa napoleonica. John Hart, l’autentica nemesi del Capitano Jack Harkness.

“Oh, Jack! Non credevo che avrei mai ricevuto una tua chiamata”, disse, non appena si materializzò con il suo manipolatore. “Ammettilo che non riesci a stare senza di me”.

Jack gli mostrò un sorriso sghembo. Dopotutto, gli piacevano il suo modo di flirtare e di pavoneggiarsi.

“Ho solo bisogno di chiederti una cosa”, specificò il Capitano, rimanendo ben distante dall’altro.

“Ma certo che vengo a letto con te”, ghignò John.

“Ti piacerebbe”.

“Oh sì, molto”.

Restarono a fissarsi per qualche tempo, come sfidandosi in un muto duello di sguardi.
Forse non è stata una buona idea chiamarlo, pensò Jack.
Se continua a guardarmi in quel modo lo violento qui sul posto, pensò John.

“Allora, per quale motivo mi hai fatto correre qui? Spero ne sia valsa la pena”.

Jack si avvicinò al bordo del tetto dell’edificio sul quale si trovavano e aspettò che l’altro lo raggiunse. “Una volta sei stato morso da uno di quei vermi della gravidanza di Callary”.

“Devi per forza ricordarmi quell’orribile esperienza?”

“E’ importante”.

John sospirò e incrociò le mani sul parapetto. “Sì”.

“E che è successo dopo?”

“Oh, mi hai visto anche tu! Ero più grosso di una balena spaziale”.

“No, intendo… com’era il bambino? Com’è stata la gravidanza?”

John aspettò un attimo prima di rispondere. “Il bambino era a posto, non aveva due teste o quaranta occhi se è questo che intendi. Mi somigliava molto”, l’ultima parte la disse con una certa vanità, come suo solito. “Comunque sono andato dalle infermiere – gatto per farlo nascere, mi hanno praticamente aperto in due”.

“E dopo che fine ha fatto?”

“L’ho lasciato a loro. Di certo non sono la persona migliore per fare il padre”.

“Non hai più avuto notizie?”

“No, ed è meglio così, per lui e per me”.

“Ma perché non hai abortito?”

“Oh, l’avrei fatto se avessi potuto”. Si interruppe, ma vedendo lo sguardo confuso di Jack fu costretto a spiegare. “Ci ho provato, in vari modi, ma il bambino sopravviveva sempre. Dopotutto, ha in parte geni Callaryani nel suo DNA e loro sono difficili da uccidere”.

Il Capitano annuì e tornò a guardare il panorama di fronte a sé. Le parole di John lo rassicuravano, ma non del tutto.

“Perché mi stai facendo queste domande?” chiese John.

“Semplice curiosità”.

“No!” L’ex agente del tempo si voltò completamente verso Jack e lo scrutò attentamente in volto per capire i suoi pensieri. “Aspetta! Non mi dirai che tu…”, non concluse la frase, ma spalancò la bocca in un moto di pura sorpresa.

“Ma che ti salta in mente!” gridò Jack, intuendo che cosa doveva essere saltato nella mente bacata dell’altro. “No! Non sono incinto!”

“Allora qualcuno della tua squadra! Chi?”

“Non è affar tuo! E la mia squadra non c’entra!” Jack cominciò ad allontanarsi con passo deciso, ma l’altro lo raggiunse di corsa. “Vattene via, John!”

“Eh no! Adesso mi hai chiamato e non ti libererai tanto facilmente di me”.

 

Quando Jack rientrò alla base accompagnato da John, gli altri membri del Torchwood non parvero molto contenti.

“Che ci fa lui qui?” esclamò Gwen, mettendo mano alla pistola.

“Oh, anche io sono contento di vederti”, commentò l’intruso mostrando un broncio tenero.

“Mi serviva per un consulto”, rispose Jack senza guardare nessuno, ma dirigendosi veloce verso il suo ufficio. “Ma ora non vuole più andarsene”.

“Se tu ti decidessi a passare un po’ di tempo con me, smetterei di darti fastidio!” gli gridò dietro John, ma il Capitano fece finta di non sentirlo e sparì nel suo ufficio. Ne riemerse però subito dopo, appoggiandosi alla ringhiera e guardando l’ex compagno con sguardo minaccioso. “Visto che ci tieni tanto a passare un po’ di tempo con me, accompagnami a cacciare i Weevil”.
L’altro non se lo fece ripetere due volte e fece per seguire Jack. Quando però si scontrò con Ianto che lo stava guardando in modo strano. “Oh, ciao, Occhi dolci”, lo salutò John con un sorrisetto sardonico, per poi allontanarsi sculettando.

Quando i due uscirono, gli altri rimasero a guardarsi l’un l’altro basiti. Ianto non era per niente contento; di solito Jack andava a caccia di Weevil con lui o al limite da solo, non l’aveva mai chiesto a qualcun altro. E poi… chissà cosa avrebbero fatto. Non gli era mai piaciuto John, non gli piaceva il suo flirtare con Jack e quella sua mania di professargli il proprio amore, un amore malato secondo lui. Era dura ammetterlo, ma sentiva il potente nodo della gelosia stringergli le viscere.

“Ma perché Jack lo ha fatto venire?” chiese Gwen, più a se stessa che agli altri.

“Se guadagnassi una sterlina per ogni sciocchezza inspiegabile che fa Jack ora sarei ricco”, rispose Owen, mettendo via il suo camicie da lavoro.

“Ragazzi!” chiamò a quel punto Tosh. “La Fessura ha registrato un eccesso di attività, deve essere passato qualcosa”.

“Dove?”

“Nella zona di Wickery Road. Adesso scansiono il posto”.

“D’accordo!” concluse Ianto, cercando di prendere in mano la situazione per non pensare a John e il Capitano. “Ci dirigiamo verso il posto e nel frattempo chiamiamo Jack”.

“Tosh, resta qui per indicarci eventuali spostamenti”, ordinò Gwen, afferrando il suo cappotto.

“Ma, Ianto…”, chiamò lei cercando l’amico con lo sguardo, ma i tre erano già usciti.

 

Quando Ianto, Gwen e Owen arrivarono al posto, una fabbrica di carta chiusa per motivi di manutenzione, Jack non si vedeva ancora.
I tre decisero di passare subito all’azione e la prima cosa contro cui si scontrarono fu un corpo steso scomposto a terra. Apparteneva ad un uomo di mezz’età, un povero malcapitato che si era trovato sulla strada di un terrificante alieno, sicuramente. O chissà che altro.

“E’ morto”, sussurrò Owen, inginocchiato accanto al cadavere.

Gwen e Ianto strinsero forte le pistole, pronti a premere il grilletto. “Restiamo uniti”, disse la ragazza.
Procedettero avanti per un po’, quando sentirono dei rumori provenire da una stanza in fondo al corridoio. Owen si avvicinò cercando di non fare rumore, e sbirciò dentro. “Guardate un po’ chi si rivede!” esclamò a bassa voce, seguendo il profilo di quello che all’apparenza pareva un normale uomo, con vestiti da motociclista. Se non fosse per la grossa testa rossa da pesce.

“Di nuovo quella creatura?” fece Gwen, abbassando la pistola.

“L’avete trovato?” chiese la voce di Tosh all’auricolare del trio.

“Sì, è il pesce palla”, le rispose Ianto, appoggiato allo stipite della porta.

“Adesso ci divertiamo”, concluse Owen, uscendo allo scoperto.

 

“Prendilo! E’ andato di là!” gridò Ianto, indicando con un dito la direzione che l’alieno aveva preso. Gwen gli corse dietro, ma quello era decisamente più veloce di lei. Allora sparò un paio di colpi dalla pistola, colpendo soltanto i muri. “Maledizione!” imprecò.

Il pesce palla sbucò in un altro corridoio, ma lì si scontrò con Owen che gli mollò una gomitata facendolo voltare su se stesso. Questi si riprese subito e si vendicò tirando un pugno in faccia al dottore che quasi svenne. Riuscì però a riprendersi subito e a dargli un calcio sulle ginocchia per farlo cadere a terra.
In quel momento sopraggiunse anche Ianto che cercò di tramortirlo con la pistola elettrica, ma quello si rialzò subito e gli saltò addosso. Ianto cadde di schiena seguito dalla creatura che cercava di prendergli la pistola. Owen cercò di aiutare l’amico, ma l’alieno gli mollò un altro pugno e il dottore sbatté contro il muro.
Per una frazione di secondo Ianto pensò di essere completamente spacciato, ma improvvisamente qualcuno glielo tolse di dosso e lui poté tornare a respirare. Si mise seduto, notando Jack e John che le davano di santa ragione a quell’alieno. Quando il pesce palla spinse il Capitano contro il muro, afferrandogli il collo con le mani, John gli sparò un proiettile nella schiena e quello crollò a terra. E in quel momento li raggiunse anche Gwen. “Ehi! L’avete sconfitto”.

Jack corse immediatamente da Ianto, aiutandolo a rialzarsi. “Stai bene?” gli chiese, controllando che non fosse ferito. “Sì”, rispose il ragazzo. “Non saresti dovuto venire”, lo rimproverò il Capitano. Poi si voltò verso la sua nemesi. “Grazie per l’aiuto”.
“Figurati”, fece quello. “Almeno adesso ti deciderai a passare un po’ di tempo con me?”
Jack sospirò esasperato. “John, io non voglio passare del tempo con te!” gli gridò, a pochi passi da lui. “Non voglio stare con te né per un giorno né per un’ora. Non mi interessi, anzi, non voglio più vederti. Ti ho chiamato solo per quell’informazione e ora che me l’hai data te ne puoi anche andare al diavolo!”
Se non fosse stato così presuntuoso e pieno di sé, qualcuno avrebbe potuto dire che qualcosa dentro a John si ruppe. Abbassò lo sguardo, come a voler nascondere qualcosa, ma subito dopo lo rialzò, guardando il Capitano con furia e odio. Alzò la pistola puntandogliela contro. “Quindi le cose stanno così ora?” ringhiò. “Ti sei dimenticato quello che eravamo? Quello che abbiamo fatto insieme? Non ti importa più nulla?”

“No, non mi importa. Che vuoi fare? Spararmi?”

“Lo so che sarebbe inutile ucciderti”, soffiò in tono sottile. Un sorrisetto sadico gli spuntò sulle labbra. “Ma posso uccidere lui”. E prima che qualcuno lo potesse fermare, spostò la pistola in direzione di Ianto e sparò un colpo, solo uno, che colpì il ragazzo dritto nello stomaco.

“Ianto!” gridò Jack, correndo incontro al compagno prima che cadesse a terra. “Ianto”.

“Jack”, soffiò l’altro, una mano poggiata sulla ferita sanguinante, gli occhi azzurri fissi in quelli del Capitano.  

***

MILLY’S SPACE

Hola!
Speravo di aggiornare prima, ma sono stata impegnata con la stesura di un’altra storia per un concorso, quindi non ho avuto molto tempo per dedicarmi alle fanfiction.
Avete passato bene le vacanze? Non avete fatto indigestione, vero? In ogni caso, vi auguro un buon ritorno a scuola, lavoro e quant’altro. Io non ne ho voglia per niente, ma questa è la vita.
Che mi dite? Piaciuto il capitolo?
Una delle mie lettrici aveva ipotizzato che Ianto fosse incinto e a quanto pare ha indovinato ^^ ahahaha xD be’ dai, non era difficile. Penso, almeno.

Moh, basta con le ciance. Spero di ricevere i vostri commenti. Purtroppo la pigrizia e la mancanza di tempo mi impediscono di rileggere il capitolo, pertanto se ci sono errori, ripetizioni e altri obbrobri, perdonatemi.

Un bacione e buon anno nuovo : )

Milly.

HELLOSWAG: ehi, mi dispiace averti fatto attendere. Comunque, sono d’accordo con te, infatti non sono molto soddisfatta dello scorso capitolo e anche se avessi aspettato per farmi venire l’ispirazione, non credo sarebbe uscito qualcosa di meglio. Confesso anche che volevo concentrarmi perlopiù su Ianto e Jack e quello che è successo a Ianto, quindi il “problema alieno” era solo un contorno. Tuttavia, spero di aver rimediato con questo capitolo. Fammi sapere.
Un bacione, M.

AMAYAFOX91: grazie per i consigli, ho cercato di usarli in questo capitolo. La verità è che non cerco mai di far trapelare troppo i sentimenti di Jack perché neanche nella serie sono troppo chiari, e cerco anche di mantenere quella patina di mistero che lo contraddistingue. Sono contenta comunque che lo scorso capitolo ti sia piaciuto. Spero anche questo : )

P.S. so che non tutti possono apprezzare una gravidanza maschile e se così fosse sentitevi liberi di dirmelo. Se sarete in tanti, vedrò di fare qualcosa. A me l’idea piace e scrivo perlopiù per diletto mio, ma se non ci sono i lettori non avrebbe neanche molto senso, per cui qualche sacrificio lo faccio volentieri ^^

 

  
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