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Autore: TheShippinator    08/01/2014    1 recensioni
• Doctor!Blaine/Companion!Kurt •
Il Dottore e il suo Companion, Kurt, continuano il loro viaggio nello spazio e nel tempo, finendo, questa volta, in Grecia. Scoprono che il villaggio dove hanno trovato alloggio è in guerra con una Fiera che, a quanto pare, avrebbe ucciso due giovani. I paesani vogliono vendetta, ma al Dottore questa storia non convince...
(Parte della Serie "Travel With Me", omonima ff precedente alla presente. Non è obbligatorio averla letta, prima di questa, ma sarebbe meglio. • FF già conclusa, divisa in sole due parti per questioni di ordine •)
Genere: Avventura, Comico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel, Rachel Berry, Shelby Corcoran | Coppie: Blaine/Kurt
Note: Cross-over, OOC, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Travel With Me'
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Ciao a tutti! Mi ripresento con un... esperimento. Avevo detto che sarebbe stata una OS, ma ho ricevuto così tante spinte che sono stata letteralmente gettata in mezzo alla via della Raccolta a tema. Eh sì. Una serie di OS o FF con non più di due capitoli, mai pubblicate prima di essere complete, lo prometto. Non pubblicherò mai nulla riferito a Travel With Me che non sia stato prima finito. Ci vediamo alla fine per altre due paroline veloci!

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Ricordo come se fosse ieri il giorno in cui mi tese la mano per la prima volta... è il giorno in cui scoprii che non siamo soli, nell'Universo, che esistono forme di vita aliene, che sono tra noi e che non sempre questo è un male. È il giorno in cui mi sono fidato di uno sconosciuto e ho vissuto un'esperienza incredibile, che mi ha donato la capacità di vedere là dove agli altri non è concesso. È il giorno in cui ho incontrato una persona che con un paio di semplici gesti è riuscita a farmi sorridere. Da allora viaggiamo insieme, girovagando per lo spazio e per il tempo senza meta, andando dove ci porta il TARDIS... talvolta qualcuno ci fa compagnia, talvolta siamo noi a restare un po' di più, ma nel mio cuore io lo so, in questo viaggio ci siamo solo noi: il TARDIS, il Dottore ed io, Kurt.

La sirena del TARDIS risuonava alta, sovrastando il suono delle voci del Dottore e Kurt, che discutevano animatamente.
«Sono stato più bravo io, ammettilo! Se non avessi fatto lo sgambetto a quell'omino verde, tu non saresti mai riuscito a sonicare la cosa con il coso sonico!» esclamò Kurt, salvandosi dallo sbattere i denti contro una sbarra di ferro afferrando la stessa, in seguito ad uno scossone particolarmente forte della cabina blu.
«La tua persistenza nel chiamare "omini verdi" ogni creatura Extra Terrestre che vedi, comincia a diventare divertente, più che irritante. E poi dovresti davvero smetterla di abusare della parola "cosa".» rispose il Dottore, afferrando una corda spessa e pendente dal soffitto, per aggirare la colonna dei comandi e raggiungere una leva troppo lontana e, contemporaneamente, evitare di cadere per terra.
Kurt ed il Dottore si erano conosciuti quelle che potevano essere due settimane prima... o due mesi. Viaggiando nel tempo, era piuttosto difficile riuscire a stabilire da quanto, effettivamente, i due godessero della reciproca compagnia. Avevano già visitato alcuni pianeti, il Dottore aveva portato Kurt a visitare un mercato che sarebbe stato piuttosto in voga da lì a circa quatrocentotredici anni ed, infine, avevano sventato una rivolta di alcuni estremisti Pro Divisione Razze che avevano cercato di imporre il loro credo nel governo di un pianeta che Kurt non aveva mai sentito nominare prima (una sorta di oasi felice nell'universo, meta turistica tra le più acclamate da parte di qualunque essere vivente).
«Sei troppo rigido, Dottore, sciogliti un po'!» esclamò Kurt, sbuffando. «Dovresti farti una vacanza su Dreemodexia, ti farebbe bene!»
«Ci posso provare, ma sicuramente mi ritroverei a dover dare di nuovo una batosta a quei nemici dei matrimoni tra Cornulopiani e Reityrhoxi. Voglio dire, a chi importa se lei ha le corna e lui tre occhi? Se vogliono sposarsi qual è il problema?» domandò il Dottore, retoricamente, raggiungendo infine la leva e tirandola. Il TARDIS fece un'altra brusca giravolta, quindi il forte rumore della sirena si affievolì, scomparendo del tutto una volta che si fu fermato.
Kurt si lasciò cadere su una protuberanza a forma di cubo del pavimento, gettando la testa all'indietro e sospirando forte.
«Non mi abituerò mai ai terremoti di questo aggeggio…»
«Ehi, non offenderla…» si lamentò il Dottore, raggiungendo la porta del TARDIS ed aprendola. Si sporse per dare un'occhiata, quindi la richiuse e si voltò.
«Okay, è arrivato il momento di farti vedere la cabina armadio. Non possiamo uscire così, ci scambierebbero per degli dei, rischieremmo una rivolta religiosa…» affermò il Dottore, saltando oltre ad una panchina di rete, germogliata direttamente dal pavimento, e tuffandosi verso le scale che scendevano a chiocciola verso il basso. Kurt lo seguì in fretta.
«Cabina armadio?» domandò il ragazzo, incespicando sulle scale, mentre cercava di tenere il passo del Dottore.
«Esatto. Non posso permettermi di andare sempre in giro con i miei vestiti ed in certe occasioni devo cambiarmi, no? E poi… non a tutti i me stesso piacciono le cose che metto. Al me stesso di prima, ad esempio… beh, no, lui era a posto, ma a quello prima ancora non piacevano i papillon. Come si fa a non amare i Papillon?!» domandò il Dottore, nonostante Kurt non riuscisse perfettamente a vederlo. Ne sentiva chiaramente la voce e poteva affermare con certezza che provenisse da una stanza sulla sinistra. Si affacciò e rimase letteralmente di stucco: c'era un grande camerino coperto da una tenda lunga almeno due metri, file e file di appendiabiti con vestiti di ogni epoca, dimensione, altezza e sesso ed almeno un paio di scarpiere che rigurgitavano scarpe da ogni dove.
«Come mai ci sono vestiti da donna?» domandò Kurt, sollevando il bordo di una gonna nera di pizzo con un paio di dita.
«Oh, sai… non si sa mai, fino ad ora sono sempre stato uomo, ma potrebbe capitare di diventare donna… ecco qua! Che ne dici?»
Kurt dovette ingoiare le sue domande sulle insinuazioni del cambio di sesso del Dottore, in virtù di una ben più idonea faccia sconvolta. Davanti a lui, l'uomo che era abituato a veder indossare pantaloni a pinocchietto, bretelle e papillon, era avvolto in quello che poteva essere un lenzuolo color avorio. La toga era lunga fino ad una decina di centimetri sopra alle ginocchia, annodata con una corda spessa intorno alle anche, quasi quella fosse una cintura, e tenuta su da due anelli di metallo sopra alle spalle, anelli ai quali erano annodati due lembi della tunica stessa. Ai piedi, portava un paio di sandali.
«Avanti, Kurt, non lasciarmi sulle spine!» lo incitò il Dottore, girando su sé stesso. Kurt sperò ardentemente che si fosse tenuto per lo meno le mutande.
Deglutì e si lanciò un'occhiata allo specchio alla sua sinistra, notando di essere tanto rosso da far concorrenza ad un pomodoro. Provando ad ignorarsi, si portò un pugno alla bocca, tossendo per schiarirsi la voce.
«Molto… bene, direi. Perchè ti sei vestito così? Festa in maschera?» domandò Kurt, avvicinandosi e sfiorando pigramente la stoffa dei vestiti alla sua destra con la mano.
«Io e te, caro Kurt, stiamo per immergerci nella mitologica Grecia! Volevo portarti a visitare le miniere di Spertodia, ma devo aver inserito le coordinate sbagliate. Sicuramente ho invertito il cinque e il sette, sbaglio sempre…» borbottò il Dottore, estraendo quello che Kurt scambiò per una piccola tovaglia color panna da una pila di stoffa della stessa tonalità. «Ecco, provati questo!»
Kurt spalancò gli occhi, osservando quello che alla fine riconobbe come un vestito.
«Io? Ma… il panna non è proprio il mio colore…!» cercò di protestare Kurt, ma il Dottore gli posò il vestito sul petto, sorridendo entusiasta.
«Sciocchezze, ti sta bene tutto! Avanti, provalo!» disse, spingendolo delicatamente verso il camerino.
Cinque minuti dopo, Kurt spostò la tenda timidamente, lanciando occhiate incerte allo specchio e provando a non vergognarsi troppo. Il vestito che il Dottore gli aveva rifilato era lungo quanto il suo, ovvero fino a dieci centimetri sopra al ginocchio, ed aveva anch'esso una corda atta a tenerlo fermo e chiuso in vita, ma, a differenza dell'altro, questo aveva una sola spallina e lasciava la parte destra del petto e della schiena di Kurt scoperti. Kurt non era abituato ad avere parti del corpo esposte e quel vestito lo metteva decisamente a disagio. Incrociò le braccia, per cercare di coprirsi un po', ringraziando il cielo, comunque, di aver per lo meno tenuto la biancheria intima.
Il Dottore si materializzò in fretta dietro di lui, posandogli le mani sulle spalle e stringendole un po'. Kurt deglutì rumorosamente, a causa del contatto diretto della mano di lui con la sua pelle.
«Visto? Stai benissimo! Ora possiamo andare!»
Non gli diede il tempo di ribattere, gli allungò solamente un paio di sandali e lo precedette fuori dal TARDIS, strategicamente parcheggiato in una nicchia scavata dalla natura nella parete di quello che era uno strapiombo. Kurt si chiuse la porta della Cabina Telefonica alle spalle, seguendo il Dottore che si addentrava nella foresta davanti a loro.
Camminarono per almeno dieci minuti, prima di notare i primi segni di vita: dei fili di fumo s'innalzavano davanti a loro, da quelle che, continuando a camminare, riconobbero come rudimentali abitazioni di origine greca. Erano piuttosto umili ed intorno ad esse si aggiravano persone vestite in maniera simile a loro, forse con abiti un po' più consumati.
Il Dottore avanzò allegramente e Kurt lo seguì, senza aver bene idea di cosa aspettarsi. Continuava a guardarsi intorno sconvolto ed emozionato, ma anche vagamente in soggezione. Quel posto gli dava l'idea di nascondere qualcosa o di essere in lutto. Le persone non sorridevano e, a differenza degli altri luoghi da loro frequentati, era quasi silenzioso e privo di vita.
«Che cos'è successo a queste persone?» domandò Kurt sottovoce, raggiungendo l'uomo ed affiancandolo.
«Non lo so… mi scusi, signore!» esclamò il Dottore, avvicinandosi ad un uomo che stava scaricando grandi mattoni d'argilla da un carretto di legno. «Veniamo da fuori, penso che ci fermeremo qualche giorno… sa dirci dove possiamo alloggiare?»
L'uomo finì di scaricare l'ultimo grosso mattone con un grugnito, quindi si voltò verso il Dottore, squadrandolo da capo a piedi. Lanciò un'occhiata anche a Kurt, aggrottando le sopracciglia.
«Siete di Atene? Non mi piacciono gli atenesi… troppi grilli per la testa.» affermò l'uomo, afferrando un altro mattone d'argilla e tornando a scaricare. «No, siamo… veniamo da molto lontano, i nostri cavalli sono scappati ed abbiamo trovato questo villaggio. Ci chiedevamo se ci fosse un posto nel quale riposare, per lo meno per qualche notte.» continuò il Dottore, guardando Kurt e facendo spallucce.
L'uomo li osservò ancora, sospettoso, quindi fece un cenno con il mento, indicando una casupola dall'altra parte della piazzola che, probabilmente, consisteva nel centro del villaggio.
«Shelby affitta le camere anche per sette lune… provate a chiedere a lei.» disse semplicemente l'uomo, scaricando in fretta l'ultimo mattone di argilla e sollevando il carretto, per sparire del retro.
Il Dottore fece un cenno a Kurt, che lo seguì fino alla locanda indicata dall'uomo.

Shelby era una donna dal naso un po' prominente, ma incredibilmente affascinante. Aveva conquistato da subito il cuore di Kurt, intraprendendo con lui una conversazione sul canto mentre serviva loro vino dolce, pane alle olive ancora tiepido e formaggio fresco. Non erano i soli clienti, comunque: c'erano un paio di uomini in un angolo ed anche una donna, seduta da sola e con lo sguardo triste. Mancava la tipica aria gioiosa e vagamente brilla che pervade una locanda di solito.
«Shelby, sa dirci come mai questo villaggio è così silenzioso?» domandò il Dottore ad un certo punto, sorseggiando il suo vino.
La donna sembrò congelare forzatamente il sorriso sulle proprie labbra, quindi si voltò e cominciò a strofinare delle ciotole di ceramica.
«Beh… non sono buoni giorni per essere in visita, questi. C'è una Fiera, vicino alla città, che si è presa due giovani. L'Arpia, la chiamano. Io non l'ho mai vista di persona, ma dicono che sia bella un attimo prima, dolce come ambrosia e con voce paragonabile solo a quella di una Musa, poi terribile un attimo dopo, con viso di aquila, occhi di diavolo e fuoco tra le dita dalle unghie aguzze. Che Apollo ci protegga, se quella si avvicina al villaggio siamo tutti perduti, è certo!» esclamò la donna, sottovoce, indicando con un cenno del mento la donna che sedeva da sola. Il Dottore e Kurt si voltarono a fissarla per un istante, prima di guardare di nuovo Shelby.
«Il figlio di quella donna è stato portato via da lei. Dicono che l'amasse e che se lo sia presa, insieme al figlio del vecchio artigiano. Quei due passavano molto tempo con lei. Tutti sapevano che un giorno se li sarebbe presi, ma nessuno ha mai fatto nulla per impedirlo ed ora i nostri uomini vanno ogni due giorni nella foresta, a cercarla, per darle la giusta punizione per il suo crimine. Quella povera donna piange tutte le notti e di giorno viene qui.»
Kurt ed il Dottore si voltarono per osservare la donna: aveva i capelli ricci e castani, lunghi, e lo sguardo spento. Se ne stava seduta ingobbita, guardando una specie di ciotola di ceramica -dotata di manico- davanti a lei, visibilmente piena di vino denso.
«Dovresti parlarle...» sussurrò il Dottore, colpendolo lievemente con il gomito.
Il ragazzo si voltò a guardarlo, sollevando le sopracciglia.
«Io? Perchè?» chiese, sempre sottovoce, Kurt.
«Beh, tu sei umano, lei è umana... avete un sacco di cose in comune!» esclamò il Dottore, dando una leggera pacca sulla schiena all'altro, facendolo dondolare sullo sgabello sul quale era seduto e costringendolo ad alzarsi.
Kurt trattenne un mugolio, mentre inciampava un po' in avanti; si voltò per lanciare un'occhiataccia al Dottore, quindi si avviò verso la donna.
«Posso sedermi?» domandò Kurt, fermandosi a mezzo metro dal tavolo della signora. Guardandola più da vicino, si potevano notare i segni dello stress sul viso ancora relativamente giovane della donna. Era chiaramente triste e gli occhi erano lucidi e gonfi di lacrime che, probabilmente, aveva passato tutta la notte a piangere. Kurt lo poté notare grazie al fatto che, prima di rispondergli, lei sollevò lo sguardo su di lui, esaminandolo attentamente.
Il ragazzo attese, spostando il peso del proprio corpo prima su una gamba, poi sull'altra, mentre la e donna lo guardava e, solo dopo alcuni secondi, gli concedeva il permesso di accomodarsi.
«Siete venuto a portarmi al Tempio di Asklepio?» domandò lei, con una lieve voce roca, quasi ormai la usasse raramente.
Kurt aggrottò le sopracciglia, inclinando un po' la testa verso destra.
«Cosa? No...! Niente Tempio... perchè dovrei portarvi lì?» domandò, sporgendosi poi verso di lei ed abbassando la voce in tono confidenziale, quasi si stessero scambiando dei segreti.
«Pensate che non lo sappia, quello che la gente del villaggio dice? Pensate che io sia sorda, oltre che pazza? Pazza di dolore, dicono. Vorrei vedere se fossero al mio posto, con il figlio preso, rapito da quel demonio, forse morto...!» la voce della donna si ruppe in un singhiozzo, mentre gli occhi le si riempivano nuovamente di lacrime e lei soffocava i suoi lamenti nel palmo della mano, premuto sulla bocca.
«Non... non fate così... Sono qui solo per parlare con voi, non credo che siate pazza! Io vorrei... vorrei che mi parlaste di vostro figlio...» sussurrò Kurt, allungando una mano e posandola su quella libera della donna. Lei spalancò gli occhi rossi, allontanandola in fretta e fissando Kurt sconvolta, quindi, lentamente, si riavvicinò. Gli strinse le dita tra le proprie, spostando anche la mano premuta davanti alla bocca. Prese un profondo respiro, quindi si spazzò via le lacrime dalle guance ed avvolse, anche con quella, la mano di Kurt.
«Mio figlio... era così bello, il mio Jesse... era così caro ad Apollo, ma forse non abbastanza. Deve avergli fatto qualche torto del quale non sono a conoscenza... Il mio Jesse suonava per il dio e cantava per lui, sempre. Cantava anche alla foresta, per Diana, ma cantava anche per quel Mostro...» disse piano la donna, tenendo lo sguardo basso.
«Quale Mostro?» domandò Kurt in un sussurro, attento.
«Quella Fiera che mio marito cerca di uccidere da quasi due lune... È bella, molto, ma è ingannatrice. Può diventare un demone dell'inferno in un istante ed ucciderti come si uccide un capretto per un sacrificio. Al mio Jesse piaceva, lei. Al mio Jesse e al figlio dell'artigiano. Quando quel ragazzo andava a far legna per il padre o a cercare i fiori per le tinture, Jesse lo accompagnava. Passavano la giornata nella foresta con quel Mostro e lui cantava per lei, così diceva... Diceva che era bella e buona e che li amava, tutti e due... ma non era vero, non era vero...»
Il respiro della donna accelerò, mentre lei soffocava un singhiozzo, di nuovo, stringendo forte il labbro inferiore tra i denti. Le mani si allontanarono da quelle di Kurt ed andarono ad avvolgere la ciotola, stringendosi attorno al manico, quindi l'avvicinò alla bocca. Kurt l'osservò bere un lungo sorso di quel vino ed aspettò che lei mettesse nuovamente giù il "bicchiere", ma non lo fece.
«Avete detto che sono quasi due lune che vostro marito cerca di uccidere questa... Creatura... È da così tanto che è scomparso vostro figlio? Signora...?»
Kurt tentò di estorcerle ancora qualche parola, ma lei non rispose più, continuò solo a borbottare tra sé e a rigirarsi la ciotola tra le dita. Alla fine, sconfitto, Kurt sospirò e tornò dal Dottore. Shelby era scomparsa, mentre il Signore del Tempo era ancora lì in silenzio, intento a bere dalla sua, di ciotola.
«Vuoi che...»
«No, non è necessario, ho sentito... Suo figlio Jesse ed il figlio dell'artigiano sono spariti da quasi due mesi. Probabilmente sono spariti insieme. So tutto quello che ho bisogno di sapere, eccetto una cosa...» disse il Dottore, tenendo lo sguardo fisso sulla donna, serio.
«Che cosa?» domandò Kurt, prendendo tra le mani la propria ciotola di vino.
Il Dottore si voltò verso di lui, mentre un lieve sorriso gli si formava sulle labbra.
«Quanto bene sai cantare, Kurt?»

Dopo aver passato una notte a grattarsi a causa delle lenzuola ruvide ed aver consumato una colazione inconsueta (latte di capra, che aveva a malapena digerito, e pane d'orzo con miele), Kurt aveva seguito il Dottore a fare un giro del villaggio in cui avevano deciso di stabilirsi momentaneamente. Entrambi avevano intuito che l'artigiano al quale era stato portato via il figlio, era lo stesso che aveva dato loro informazioni il giorno precedente. Nonostante tutto, avevano preferito non andare ad interrogarlo: il Dottore non era certo di aver fatto una buona impressione su di lui.
Proprio mentre stavano per abbandonare il piccolo mercato cittadino, due ragazzine si precipitarono per la strada, incespicando e piangendo. Kurt le seguì con lo sguardo, mentre li superavano dirette da due signore intente a sgusciare dei piselli in grandi vasi di ceramica, fuori dalla porta di casa.
«Madre! Madre, l'Arpia! Abbiamo visto l'Arpia!» esclamò la più grande, riparandosi in fretta dietro ad una delle donne, mentre la piccola si gettava tra le braccia dell'altra, rischiando di far cadere il vaso.
«Dove? Dove l'avete vista?» domandò concitata la prima signora, voltandosi e scuotendo piano le spalle della figlia.
«Al limitare della foresta, vicino al villaggio. Veniva di qui!» disse la figlia, tremando e scatenando il panico nella gente. Il Dottore, che fino a quel momento era stato in silenzio, all'improvviso afferrò il gomito di Kurt, tirandolo con sé mentre si avvicinava a quelle donne.
«Da che parte? Dove hai visto la Creatura?» chiese alla bambina, che spostò lo sguardo su di lui, confusa, come anche la madre.
«Di... di là... Uno degli uomini stava cercando di ucciderla...» sussurrò lei, mentre la madre si alzava in piedi e la spingeva in casa, allontanandola dalle domande del Dottore e dal pericolo dell'Arpia.
Gli uomini e le donne del mercato parlavano ad alta voce, arraffando le loro merci più in fretta che potevano, cercando di non rompere nulla e, contemporaneamente, di levarsi dalla strada il più in fretta possibile. Mentre tutti si dirigevano alle loro case, Kurt ed il Dottore lottavano controcorrente per allontanarsi e raggiungere la foresta.
«Dottore, non dovremmo ripararci anche noi? Se quella Creatura è pericolosa...» tentò Kurt, ma venne subito subito bloccato.
«Quella Creatura potrebbe essere proveniente da un altro pianeta, sola e dispersa, alla ricerca di qualcuno che le offra aiuto. Dobbiamo trovarla e salvarla!» ribatté il Signore del Tempo, cominciando a correre una volta superato l'ultimo fuggiasco. Kurt si affrettò a seguirlo, incespicando nei sandali.
«Dici... dici che potrebbe essere una... "Marziana" o qualcosa del genere?» domandò Kurt, ansimando, mentre il Dottore cominciava a rallentare, una volta udite le prime avvisaglie di quello che era sicuramente un piccolo scontro.
«Non essere sciocco, Kurt, lo sanno tutti che i Marziani sono prevalentemente forme di vita a base di ossigeno ed idrogeno... ALT!» esclamò il Dottore, bloccandosi all'improvviso ed allungando il braccio sinistro, per interrompere l'avanzare del Compagno.
Kurt si fermò, rischiando di andare a sbattere contro il Dottore, quindi sollevò lo sguardo, seguendo quello dell'altro. La vide.
Si librava in aria, le grandi ali squamose spiegate e gonfie di vento che sembrava nascere direttamente dal suolo. I capelli le vorticavano, scuri e gonfi, intorno al capo, come se avessero vita propria. Il viso era sfigurato, assomigliava a quello di un rapace e gli occhi erano neri e lucidi: riflettevano il rosso delle palle di fuoco che bruciavano tra le dita, dando l'impressione che le sue orbite contenessero tizzoni ardenti. Le braccia erano piegate e le dita aperte ad artiglio, ma lei non stava attaccando la piccola folla di uomini radunata a terra, intorno a lei, quasi non si accorgessero che si stava librando in aria, libera di volarsene via in qualunque momento, e volessero circondarla. La minacciavano con spade e lance e lanciandole pietre e pezzi di coccio con delle fionde improvvisate o semplicemente usando le mani.
Kurt era pietrificato e, nonostante l'aspetto terribile della Creatura, non poteva che provare pena per lei: quegli uomini la circondavano, lanciandole pietre e colpendola, facendola strillare di dolore e rabbia, ma lei non faceva altro che starsene lì, terribile e maestosa pur essendo minuta, spaventandoli con il solo aspetto. Non aveva visto una sola palla di fuoco abbandonare la sua mano.
«Oh, tu sì che sei bellissima... Fermi!» esclamò all'improvviso il Dottore, dando poi le spalle alla scena ed infilandosi le dita nei capelli acconciati dal gel. «Fermi, stupidi idioti, le farete del male!»
Sbuffò, trattenendo il respiro, prima di voltarsi verso Kurt.
«Le faranno del male...» sussurrò Kurt, mordendosi il labbro inferiore.
«Le faranno del male...» confermò il Dottore, con un piccolo cenno del capo, voltandosi a guardare la scena: gli uomini avevano iniziato a lanciare le lance, che però non arrivavano a colpire la donna, visto che lei le colpiva con piccole palle di fuoco quando erano troppo vicine per i suoi gusti.
«Le faranno del male, le faranno del male!» esclamarono insieme Kurt ed il Dottore, scompostamente, cominciando di nuovo a correre in avanti, verso gli uomini.
Mentre cercava di tenere il passo, Kurt notò che il Dottore si era infilato una mano sotto al colletto della tunica. Qualche istante dopo, il Cacciavite Sonico faceva bella mostra di sé stretto nel palmo della sua mano, anche se un po' meno sporgente del solito. Forse voleva mantenere un basso profilo, ed infatti, ad un certo punto, Kurt si sentì tirare per una spalla.
Il Dottore si nascose dietro di lui, una volta abbastanza vicino da poter prendere la mira con sicurezza. Per prima cosa, puntò il Cacciavite contro gli uomini, e quelli, in pochi istanti, lasciarono cadere le armi massaggiandosi le mani ed i polsi e guardandosi attorno stupiti. Quindi, sollevò un po' il tiro e lo puntò sulla Creatura. Il vento che la teneva sospesa cessò all'istante e nel momento in cui quella fu a terra, tutti gli uomini si allontanarono, senza nemmeno preoccuparsi di recuperare gli oggetti lasciati precedentemente cadere.
Il Cacciavite Sonico sparì presto di nuovo all'interno della tunica, in quella che Kurt presumeva essere una tasca segreta, quindi sia lui che il Dottore avanzarono verso la figuretta che se ne stava immobile al centro di quel largo cerchio di uomini e lo scomposto cerchio di armi.
I capelli cominciarono a schiarirsi, raggiungendo una tonalità un po' più simile al castano chiaro, mentre le ali squamose andavano a ritirarsi sulle scapole, permettendo alla pelle di tornare liscia e color cappuccino. Su quel corpicino magro cadeva quella che probabilmente era una semplice veste da donna, color avorio e sporca di terra in più punti, strappata in altri. Quando la Creatura sollevò lo sguardo, Kurt trattenne il fiato. Non aveva più gli occhi lucidi e neri e il profilo rapace, bensì due occhi grandi e rotondi, dalle ciglia lunghe, e le labbra piene. Non lo guardò a lungo, anzi, non lo guardò quasi per niente, si limitò ad alzarsi e a scoprire i denti, minacciosamente, verso gli uomini che avevano ripreso ad avvicinarsi. Portò nuovamente le dita piegate e separate a simulare degli artigli, con le unghie rivolte verso l'alto.
«Voi e i vostri giocattoli! Quando capirete che è tutto inutile? Potrei uccidervi in un istante e non avreste nemmeno il tempo di scegliere a quale ricordo pensare nel momento della morte, ed invece guardatevi! Mi accerchiate come lupi affamati ed io sono sola e senza colpa, l'ho ripetuto anche troppo! A meno che per voi amare sia una colpa, allora sì, lo sono! Sono colpevole!» esclamò lei, con voce tremante e carica sia di rabbia che di paura che di esasperazione.
«Taci, Mostro! Certo che sei colpevole! Se amare, dall'Inferno da cui provieni, ha lo stesso significato di uccidere, allora lo sei eccome! Due vite di questo villaggio, ti sei presa, ed ora è giusto che la tua ci sia data in cambio! A morte l'Arpia assassina!» esclamò uno degli uomini, dotato di una folta barba brizzolata, ottenendo il consenso del gruppo che era con lui.
«Non sono un'assassina, né tantomeno un'Arpia!» esclamò di nuovo lei, guardandosi attorno terrorizzata, mentre gli uomini si avvicinavano ancora di più.
Kurt si voltò verso il Dottore. Sembravano passati minuti interi, in realtà il tutto stava succedendo in pochi secondi.
«Se anche ti chiamassi Veela, non migliorerebbe la tua condizione! Sapete solo far morire gli uomini di dolore per l'amore non corrisposto o li uccidete voi stesse a mani nude! Perchè dovrei chiamarti con il tuo nome, quando assassina ti si addice meglio?»
La Veela riaprì bocca, nel tentativo di ribattere, ma un piccolo colpo dato per sbaglio dalla spalla del Dottore, avvisò Kurt che probabilmente il discorso tra quei due si sarebbe concluso in quel momento.
«Perdonatemi, perdonatemi, ma non ho potuto fare a meno di ascoltare... dopotutto, state parlando proprio qui, davanti a tutti...! Premessa: sei meravigliosa. Dico davvero, sei stupenda! Adesso, certo, ma anche prima... Uhu! Uno spettacolo! Passiamo alle cose serie, sì?» disse il Dottore, avanzando in fretta tra l'uomo e la Donna, che l'osservò con tanto d'occhi. Il Signore del Tempo si piegò a raccogliere un ciottolo, che poi fece saltellare sul palmo della mano, lanciandolo in aria e riafferrandolo al volo.
«No, dico... questa cosa dell'assassina, io non l'ho capita. Avete delle prove? È stato eseguito un regolare processo?» domandò il Dottore, stringendo il ciottolo tra pollice ed indice e puntando, con quello, l'uomo con la barba. Si fermò un istante ad osservare la propria mano, quindi fece una smorfia, scambiando un'occhiata con la Veela. «Non è proprio la stessa cosa di un Cacciavite Sonico, eh?»
«Un Cacciavi-...?» azzardò lei, per poi scuotere il capo ed arretrare in fretta di un paio di metri. Gli uomini dietro di lei si allontanarono in fretta, per non intralciarla e non toccarla. «Finiamola con queste stupidaggini! Lasciatemi! Non voglio un processo, voglio che abbiate pace! Non sono colpevole per la perdita di quei due ragazzi, voi stessi portare il peso della colpa sulle vostre spalle e non ne siete nemmeno consapevoli! Tacete, o che gli Dei vi fulminino!»
«Come osi, tu, Mostro!» esclamò un altro ragazzo, facendola voltare nella sua direzione. Lei scoprì i denti, emettendo un verso acuto e stridulo e dando a tutti le spalle, fuggendo in fretta nel folto della foresta.
«No! L'avete fatta scappare! Ignoranti uomini primitivi e ciechi, ma non vedete che è solo una creatura spaventata che voi non fate altro che torturare?!» esclamò il Dottore, guardando quanti più uomini riusciva ad osservare negli occhi, visto che molti tenevano lo sguardo basso o fisso sul punto nel quale era sparita lei.
«No, quella è una potete Creatura che incarna il male della natura. Non fatevi impietosire dal suo bel viso, quella ragazza ha ucciso due figli di questo villaggio!» ribatté un altro uomo ancora, raccogliendo la propria spada rudimentale da terra.
«Ma dove sono le prove??» intervenne Kurt, facendo spallucce e scuotendo il capo. «Noi non c'eravamo prima, è vero, ma lei ha solo detto che li amava e che i veri colpevoli siete... beh, voi.»
Il Dottore lo indicò, regalandogli anche un cenno del capo.
«Grazie, Kurt, ecco appunto! Perchè avrebbe dato la colpa a voi della scomparsa di quei due ragazzi? Chi ci assicura che in realtà non siano stati fatti sparire da qualcuno di voi, per chissà quale motivo?» domandò il Dottore, scuotendo il capo e lanciando il sasso in aria. Non lo guardò, per riprenderlo al volo, ma semplicemente rimase immobile, con il solo risultato che, invece di finire di nuovo nella sua mano, il sasso gli finì in testa.
«Ahi... un Cacciavite Sonico è molto meglio di te, manchi di prendibilità sensoriale, amico sasso... ma immagino che sia giusto così, dopotutto hai un cuore di pietra... in ogni caso! Dovete fidarvi di me! Io sono il Dottore e vi aiuterò a far luce in questo mistero.» esclamò il Signore del Tempo, sorridendo compiaciuto ed ammiccando verso Kurt. Il ragazzo sollevò le sopracciglia, scettico, arricciando anche le labbra.
«Il Dottore? È tipo... come un Sacerdote del Tempio?» domandò un ragazzo ad un altro.
«Più come un Signore del Tempo, a dire il vero...» rispose Kurt, con un mezzo sorriso divertito, mentre l'uomo con la barba si faceva avanti, raggiungendo il Dottore. Gli si avvicinò tanto che, se Kurt fosse stato in lui, ne avrebbe sentito l'alito sul viso.
«Vi consiglio di fare attenzione, "Dottore". Gli Dei non sono così benevoli ultimamente. Potreste attirarvi contro le loro ire e Zeus solo sa che cos'è in grado davvero di fare quella Creatura. Non voglio anche il peso della vostra morte sulla coscienza.» borbottò l'uomo, indicando anche Kurt con un cenno.
«Non vi preoccupate, io e Kurt ce la caveremo. Siamo bravi a cavarcela, vero?» rispose il Dottore, a testa alta e con un sorriso sicuro. La sua espressione era seria, per niente ironica ed anche una sua mano, per rafforzare il suo dire, corse al collo cercando di afferrare un cravattino che, ahimè, non portava. Per un istante, il Dottore si rabbuiò, cominciando ad accarezzarsi il collo nudo pensieroso.
L'uomo rimase a guardarli per un po', alternando lo sguardo da lui a Kurt, quindi fece un cenno con la testa e tutti gli uomini andarono a recuperare le loro armi e i loro strumenti da lavoro. Il brusio che avvolgeva il piccolo gruppo, non era sufficiente a coprire il peso dei pensieri di quelle persone, che sembravano scivolare nell'aria, condotti dai loro sguardi curiosi ed arrabbiati, ed andarsi a scontrare contro Kurt e il Dottore.
Senza più degnarli di uno sguardo, il Signore del Tempo diede loro le spalle e cominciò a camminare seguendo la scia della Creatura, inoltrandosi nella foresta.
«Dici che è un po' presto per inventare i cravattini?» domandò l'uomo, qualche secondo più tardi, mentre Kurt gli arrancava dietro inciampando nei sandali.
«No, se inventiamo anche i digestivi...» rispose il ragazzo, posandosi una mano sullo stomaco e trattenendo l'ennesimo rigurgito.
«Il latte di capra?» domandò il Dottore, ridacchiando e voltandosi a lanciargli un'occhiata.
«Il latte di capra...» rispose Kurt, annuendo piano e permettendo anche alle sue labbra di arcuarsi in un sorrisetto.

Trovare la Veela non fu facile. Era davvero una creatura della natura, come aveva detto l'uomo del villaggio, e in quanto creatura della natura poteva muoversi in essa in maniera sorprendente.
Dovettero raggiungere la parete del dirupo dove avevano nascosto il TARDIS, prima di poter anche avere un solo indizio della sua presenza, e ciò che "trovarono" fu abbastanza sorprendente.
La ragazza era rannicchiata su una sporgenza a circa sette metri d'altezza, raggomitolata con le gambe al petto, a piangere. Piangeva forte e in maniera quasi drammatica, nascondendo il volto tra le braccia posate sulle ginocchia.
Il primo a prendere la parola fu il Dottore, naso all'insù ed un'espressione dolce che probabilmente avrebbe convinto anche il più restio dei diffidenti.
«Oh, una Creatura bella come te non dovrebbe mai ritrovarsi con gli occhi rossi e gonfi per il pianto...! E con... il moccio che le cola dal naso e quei singhiozzi strani che le escono dalla gola e... »
«Andate via!»
No, forse non era stata una buona idea far parlare il Dottore per primo. Sobbalzò, preso in contropiede, sollevando le sopracciglia e voltandosi verso Kurt, quasi a chiedergli che cos'avesse detto di male. Kurt sospirò, lanciandogli un'occhiataccia, per poi sollevare di nuovo lo sguardo a sua volta.
«Senti, non so come tu sia arrivata lassù, ma potresti scendere? Noi non vogliamo farti del male, vogliamo solo parlare, davvero!» tentò il ragazzo, ottenendo solo che la Veela sbirciasse da sopra le braccia per lanciargli un'occhiata.
«Non voglio avere a che fare con nessuno di voi!» esclamò lei, con voce tremante, tornando a piangere e nascondendo, questa volta, il viso tra le mani.
«Non la convinceremo mai, è testarda...!» esclamò Kurt sottovoce, sporgendosi verso il Dottore, che non aveva smesso un attimo di guardarla.
«È spaventata e sola... le piace la gente che canta. Canta, Kurt, dai!» sussurrò in risposta l'uomo.
«Cantare? Ma... non canto da anni, non ho idea di cosa...» si oppose inizialmente il ragazzo, arretrando di mezzo passo.
«Oh, ti prego, ti sento quando fai la doccia!» rispose il Dottore, lanciandogli un'occhiata scettica.
Kurt rimase in silenzio, ponderando l'ipotesi di arrabbiarsi con lui, ma cedendo all'idea di intonare qualche nota. Erano, in effetti, anni che non cantava davvero. C'era stato un periodo della sua vita in cui aveva pensato che le sue doti canore l'avrebbero portato sui palchi di Broadway, ma il sogno era scemato quando era stato rifiutato alla NYADA. Il suo curriculum era troppo scarno, non aveva frequentato corsi di canto o Glee Club a scuola, perchè non ce n'erano mai stati, e tutto ciò che aveva era il suo talento che, però, non coltivato, era rimasto una semplice e comune bella voce.
«Okay...» sussurrò solamente, schiarendosi la voce e cominciando a pensare.
Non era facile, con i singhiozzi della Veela di sottofondo, ma le rotelline, nel suo cervello, stavano girando alla ricerca di una canzone che avrebbe potuto aiutarlo a convincere la ragazza a scendere da lì ed ascoltarli.
«Blackbird singing in the dead of night, take these broken wings, and learn to fly. All your life you were only waiting for this moment to arise...» intonò all'improvviso, a voce nemmeno troppo alta, tenendo lo sguardo fisso su un cespuglio davanti a lui. Poteva sentire le guance arrossarsi per l'imbarazzo di cantare, per la prima volta, davanti a qualcuno dopo così tanto tempo passato a farlo solo in casa durante le pulizie o, appunto, sotto la doccia.
Non gli era venuta in mente un'altra canzone, solo quella, che, semplicemente, parlava di un uccellino. Essendo così tanto legata alla natura, sperava che la Veela sarebbe quanto meno stata disposta a smettere di piangere per ascoltare il testo e forse, dopo, sarebbero riusciti a convincerla a scendere.
Continuò a cantare, facendosi coraggio pian piano, sollevando lo sguardo fino a posarlo sulla ragazza, che aveva smesso di piangere, ma ancora non lo guardava. Cercò di evitare di guardare il Dottore, perchè il suo sguardo ed i suoi incoraggiamenti, in questo mento, l'avrebbero di sicuro distratto.
Mentre cantava per la seconda volta il ritornello, notò che la Veela aveva spostato la testa ed adesso l'osservava. Forse prima non si era nemmeno accorta di lui, ma adesso lo stava davvero guardando e con interesse anche.
«You were only waiting for this...»
Un attimo prima era sullo spuntone di roccia, un secondo dopo si era alzata in piedi ed una folata di vento si era sollevata dal terreno, proprio davanti a Kurt. La vide gettarsi nel vuoto, tenuta in aria da quella colonna di vento, che pian piano scomparve fino a permetterle di posare i piedi a terra. I suoi occhi erano ancora rossi e gonfi, ma aveva smesso di piangere ed ora erano solo spalancati e lucidi, attenti. Gli si avvicinò così in fretta che lui, per lo spavento, sobbalzò e lasciò la frase a metà, senza concludere la canzone.
«Sei un efebo? O il figlio di una Ninfa?» chiese lei, con voce lievemente provata dalle lacrime.
«Sono... solo Kurt.» rispose lui, lanciando solo ora un'occhiata al Dottore.
L'uomo si riscosse, quando Kurt l'osservò, spostando in fretta lo sguardo sulla Veela e sorridendo largamente.
«Lui è Kurt e io sono il Dottore. Siamo qui solo per parlare con te...» disse con voce bassa e calma, profonda e rilassante.
La Veela rimase ferma ad osservarlo, per poi sospirare.
«Io non sono un'Arpia. Non sono un'assassina e nemmeno un Mostro. Prima di essere chiamata così dalla gente del villaggio, Jesse e Brody mi chiamavano Rachel. Potreste farlo anche voi...» suggerì lei, semplicemente, allontanandosi di un passo, mentre Kurt si avvicinava al Dottore.
«Chi è Brody?» sussurrò al Signore del Tempo, senza spostare lo sguardo dalla Veela.
«Il figlio dell'artigiano...» ne dedusse l'uomo rispondendogli in un sussurro, per poi aprire le braccia mostrando le mani. «Rachel. Meraviglioso. Ce ne sono altre come te, da queste parti?»
«Eravamo poche... non so quante ne sono rimaste. Forse nessuna.» rispose lei, scuotendo piano il capo. «Ehm... scusate, ma che cosa sei tu, esattamente?» domandò Kurt, alternando lo sguardo da Rachel al Dottore. Nessuno dei due rispose, quindi si guardarono, come a cercare di capire chi dovesse prendere la parola.
«Okay, facciamo così: io provo ad indovinare e tu, Rachel, mi dirai se sto dicendo bene o male. Dunque... Devo ipotizzare che tu e le tue sorelle siate il risultato di una sorta di... unione genetica extra terrestre ed umana...» cominciò il Dottore, ma subito lei lo interruppe.
«Gli Umani lo chiamano Amore e Fare Figli. Funziona così, nella mia razza. I geni Puri sono solo maschili ed hanno bisogno di geni Femminili per potersi riprodurre. I miei padri sono arrivati su questo Pianeta per costruire una loro famiglia. Per regola, non si possono usare gli stessi geni Femminili per più di un figlio.» spiegò brevemente lei, annuendo.
Il Dottore sospirò profondamente.
«Affascinante. Ho sempre saputo che voi Veele avevate qualcosa di... "spaziale". E... non ho potuto fare a meno di notare la somiglianza tra...» azzardò il Dottore, indicando, con un pollice, dietro di sé.
Rachel annuì e Kurt si ritrovò più confuso di prima.
«Non può ricordarsi di me. I miei padri hanno cancellato il ricordo di noi dalle menti degli abitanti del villaggio. Nessuno si ricorda che una volta io ho vissuto con loro...» spiegò Rachel, fissando Kurt, come se volesse accertarsi di avergli fatto capire tutto con quelle semplici parole.
Kurt scosse piano la testa e fece spallucce.
«Mi dispiace, ma non capisco. Ho capito che sei... beh, Umana, per metà, ma per metà "aliena" e che una volta vivevi al villaggio, ma che adesso nessuno si ricorda di te. Non trovo il nesso...» riassunse Kurt, voltandosi verso il Dottore, alla ricerca di spiegazioni più efficaci.
L'uomo sospirò e cominciò a camminare, per concentrarsi mentre lasciava che la sua mente deducesse le informazioni mancanti.
«Vediamo... i tuoi padri sono così innamorati e così vogliosi di avere una loro famiglia, che si fermano su questo Pianeta in boccio, trovano il villaggio e ci si stabiliscono. Con l'aiuto di Shelby...»
«Shelby?!»
«... -sì, Shelby, Kurt...- riescono ad ottenere di avere una bambina tutta loro. Ma sei una femmina, e le femmine non sono geni Puri, nella tua razza, quindi...»
«Quindi, intorno ai dodici anni, ho iniziato a mostrare i primi segni di instabilità ed una volta raggiunti di quindici anni, ce ne siamo dovuti andare.» concluse Rachel, mentre il Dottore annuiva sconsolato.
«Instabilità, sarebbe a dire... il vento e il resto?» domandò Kurt, mimando l'agitarsi di un paio di ali con le braccia.
Rachel annuì, sorridendo appena.
«Esatto. Quindi se ne sono andati e hanno modificato la memoria del villaggio. Lasciatelo dire, è stato piuttosto scorretto, è un bene che la Polizia Galattica non lo sia venuto a sapere. Comunque, adesso loro sono andati, vero? E qui sei rimasta solo tu.» concluse il Dottore, mentre Rachel cominciava a passeggiare seguendo la parete del burrone. Il Dottore e Kurt la seguirono, in silenzio.
«Già, sono rimasta solo io. È così che funziona. Quando si diventa grandi, si lascia casa e si vive da soli. I miei papà hanno portato con loro le mie sorelle, che sono nate dopo e da altre Madri, ma so che una volta cresciute anche loro, sono andate via e si sono stabilite da qualche parte nei boschi vicini. Stiamo bene, nella natura, è la nostra casa. Molto più di quanto potrebbe esserlo un villaggio. I miei fratelli, invece, sono andati con loro e presto troveranno un Compagno a loro volta.» concluse lei, con un lieve sorriso triste. «Non vedo e non sento più le mie sorelle da molte lune, ormai. Credo che siano andate via o che siano morte. Mentre io lotto contro quelli che una volta mi hanno voluto bene, cercando di difendermi per una colpa che non ho commesso, loro stanziano nell'Ade lontane ed irraggiungibili...»
«E... questo ci riporta al motivo per cui siamo qui!» esclamò il Dottore, con falsa allegria.
Rachel fece una smorfia, voltandosi per osservarli.
«No. Prima vorrei sapere chi siete. Cosa volete da me e come fate a sapere tutte queste... cose? Soprattutto voi... siete forse Dei? Siete Dei!» domandò inizialmente la ragazza, per poi sobbalzare con le mani alla bocca e gli occhi grandi spalancati.
«No! No, non siamo dei! Oh, cavolo, lo sapevo che mi avrebbero scambiato per un dio...» borbottò il Dottore, mentre Rachel si dirigeva in fretta verso Kurt e gli afferrava le mani.
«L'avevo capito! Siete Apollo, non è vero? Avete la sua voce angelica! Dovremmo cantare insieme!» esclamò lei, costringendo Kurt a sollevare le sopracciglia e a trattenere un sorrisetto.
Il dottore si accigliò, affrettandosi ad inserirsi tra i due.
«No, no... davvero, lui? Noi non siamo dei! IO non sono un dio, per quanto questo possa rattristarti o confonderti, ahimè, non lo sono!» esclamò il Dottore, afferrando un braccio di Kurt e tirandolo indietro, al suo fianco.
«No, lasciala continuare, mi piaceva... com'era? Voce angelica, eh?» ripeté Kurt, ridacchiando e beccandosi un'occhiataccia dall'altro.
«Noi siamo viaggiatori del tempo. Io sono il Dottore, anche io non sono Umano. Kurt lo è, ma non è di queste parti. Né di questi tempi.» spiegò il Dottore, ignorando l'ultimo commento del ragazzo ed osservando Rachel, che, però, non aveva smesso un attimo di lodare gli dei per averle concesso un aiuto così grande.
« ... questo spiega il piccolo Tempio Blu che ho trovato ieri sera! È sicuramente la vostra casa, divino Apollo!» esclamò di nuovo lei, voltandosi ancora verso Kurt e cercando di afferrargli di nuovo le mani.
Il Dottore si affrettò a frapporsi fra i due una seconda volta.
«No no no... hai trovato il TARDIS? È il nostro mezzo di trasporto, non è un Tempio e... noi non siamo dei!» esclamò di nuovo, mentre Rachel cominciava a cantare una canzone dedicata ad Apollo, gironzolando attorno a Kurt, che se la ridacchiava divertito.
Ci volle tutto il pomeriggio per convincerla che nessuno dei due era Apollo e per convincerla a raccontare loro la sua versione della storia. Quella sera, entrambi tornarono al villaggio stanchi, un po' straniti, ma, tutto sommato, sollevati nello scoprire che no, nessuno era morto.

-


Eccoci qua! La seconda parte verrà pubblicata domani!
Ringrazio infinitamente Alexa (DumbledoreFan), Giusy (Gipsiusy) e tutti gli altri che mi hanno fisicamente e psicologicamente assillata al fine di avere altre Doctor!Blaine/Companion!Kurt. Vi assicuro che vi amo profondamente per questo, perchè ho molte fantastiche idee!
Vi lascio il link della mia Pagina d'Autore su fb (Cliccate pure qui)!
Se volete contattarmi potete farlo anche su Twitter (The Shippinator), su Tumblr (TheShippinator (Ship All The Characters!)) e su Ask (Andy TheShippinator)

Un bacio e a domani!
Andy <3

  
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