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Autore: Nocturnia    10/01/2014    3 recensioni
"La storia è carogna, perché a voltarsi indietro trovi sempre qualcuno di diverso a guardarti. [...]
Connor l'ha stretta tra le dita quella storia, un groviglio di vetri e sangue, sentimenti repressi - mai ammessi - e altri urlati a voce fin troppo alta."
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Connor Kenway, Haytham Kenway
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: Connor Kenway, Haytham Kenway e tutti gli altri personaggi appartengono alla Ubisoft e a chi detiene i diritti sull'opera. Questa storia è stata scritta per puro diletto personale, pertanto non ha alcun fine lucrativo. Nessun copyright si ritiene leso. L’intreccio qui descritto rappresenta invece copyright dell'autrice (Nocturnia) e non ne è ammessa la citazione altrove, a meno che non sia autorizzata dalla stessa tramite permesso scritto


"Se fare il ragazzo significa imparare a vivere allora fare l'adulto significa imparare a morire."

- Stephen King -


L'ultimo volo dell'aquila


La storia è carogna, perché a voltarsi indietro trovi sempre qualcuno di diverso a guardarti.
Segue le correnti del cuore - del desiderio e della speranza - una pietra che muta e sfuma in base a chi la racconta - a chi la vive.
Si ammanta di leggenda e martirio, salvo poi scoprire che chi ha vinto l'ha fatto per un puro colpo di fortuna e chi è crepato come un cane era il vero eroe.
È una maschera senza volto la storia, una cera molle e cui noi diamo forma, uomini e fallaci imitazioni d'idoli di pietra e luce.
Connor l'ha stretta tra le dita quella storia, un groviglio di vetri e sangue, sentimenti repressi - mai ammessi - e altri urlati a voce fin troppo alta.
Sfiora le pagine del diario di suo padre come se dovessero pungerlo da un momento all'altro, parole che grondano vendetta, odio, rimpianto.
Il fuoco si arrotola dentro il camino come un gatto selvatico, illuminandogli gli zigomi e occhi così scuri da essere baratri insondabili.

Ho paura di guardare mio figlio negli occhi, un giorno, e vedere in lui quello stesso sguardo.

Quale, madre? vorrebbe chiedere Quello di un bambino che ha visto crepare come cani i suoi genitori? Oppure quello rabbioso e divorato dal dolore di uomo svenduto, fallito?

Ma i suoi occhi... i suoi occhi guardavano verso un futuro dominato da lui e dai suoi fratelli Templari.

E i tuoi, Connor, verso cosa guardano?

La libertà.

"La libertà non è sempre caos, anarchia."
Haytham aveva inclinato la testa verso Connor, come a volerlo ascoltare più attentamente.
"E nell'ordine non c'è sempre dittatura, coercizione, ragazzo."
Il giovane Kenway aveva emesso uno sbuffo contrariato, arricciando le labbra.
"E chi decide per chi? Chi dice che quelli al potere siano davvero in grado di garantire la sicurezza - il benessere - di un popolo?"
"Noi."
"Troppo facile così." aveva replicato Connor "Non si può decidere la vita degli altri, in nessun caso."
"Eppure anche la democrazia è fallace, figlio mio, perché le masse sono manipolabili e, alla fine, chi è il cacciatore e chi la preda? Chi sceglie davvero?"
Ratonhnhaké:ton fissa Haytham con una forza inaspettata, ma il suo cuore grida più forte e sa, con assoluta certezza, che il suo compito è combattere - abbattere - le imposizioni e la tirannia.
"Mia madre mi ha insegnato a ribellarmi, sempre e comunque."
Sorride Haytham ed è... strano.
"Non mi aspettavo niente di meno da lei; è sempre stata una guerriera."
Poi Church entra nella birreria e sono solo le lame celate a parlare.

Una civetta si lamenta in lontananza e Connor si sfrega le palpebre con il dorso delle mani, terribilmente stanco.
La Tenuta di Achilles è silenziosa, una tomba che ha accolto i suoi ultimi morti.
Si sposta sulla sedia Connor e si impone di continuare, perché le guance sono ancora sporche del suo sangue e perché domani potrebbe non aver più lacrime da piangere.
Perché la storia ha bisogno di essere conosciuta per essere compresa; per essere perdonata.

Charles Lee ha lasciato impronte sia nella carne che nella mente, dita violacee che se sono andate dopo settimane e un lutto che ancora lo veste come una seconda pelle.
Non sa bene il perché - in fondo, è stata la prima cosa che gli ha mostrato Achilles - ma pensare che suo padre ne sia il Maestro lo riempie di uno strano senso di... delusione?
Haytham è troppo impegnato a cercare di asciugarsi i vestiti bagnati per accorgersi del suo sguardo, ma quando lo fa gli restituisce un'occhiata perplessa e curiosa.
Le parole muoiono ancora prima d'aver tempo d'affiorare sulle labbra.

Racconta l'amore Haytham e Connor ricorda gli occhi distanti di sua madre quando ne parlava, il sorriso che le adornava sempre il viso e l'illusione - il desiderio - che vi leggeva in essi.

L'amava?

Ha l'odore della terra in cui è cresciuto e degli orizzonti che ha conosciuto quel diario, un cuore che suo padre ha lasciato colare sulle pagine e tra le parole.
Si sente strappare dall'interno Connor e l'immagine di suo padre si scioglie a ogni foglio, sempre più difficile da far coincidere con l'uomo che doveva morire.
Ha la gola secca Ratonhnhaké:ton e il sonno gli stringe il petto, ma non è ancora tempo di ascoltarlo.
Non quando il rosso dell'alba brucerà ogni cosa lui abbia mai conosciuto.

Nonostante sia un nemico, Connor si ritrova ad apprezzare lo stile di combattimento di Haytham.
Per essere un uomo di più di cinquant'anni scivola tra gli avversari con una grazia quasi giovanile, colpi che non lasciano speranze e affondi fin dentro le ossa.
Se Ratonhnhaké:ton è potenza, forza bruta e una certa tecnica, Haytham ha il ghiaccio nelle vene, un vecchio lupo mai domo e mai sazio.
Quando anche l'ultimo mercenario cade, si ritrovano schiena a schiena, il sangue ruggire nelle tempie e tra le dita spade e lame celate.

Assassini.

E Connor si chiede se non fosse questo il loro destino fin dall'inizio.

Va schiarendosi l'orizzonte e assume una sfumatura lattiginosa, corone rossastre a lambire scampoli di cielo ancora nero.
È quasi alla fine Connor e il fuoco si è ormai ridotto a un'esangue scintilla covata dalla cenere.
Il sangue è andato seccandosi e le labbra si sono spaccate dove le ha morse, perché tanto non ci sarebbe stato nessuno ad ascoltare i suoi lamenti - le sue scuse, le sue recriminazioni, le sue speranze.
Si è alzato il vento e sussurra tra gli interstizi della casa, fantasmi che non smetteranno mai di ossessionarlo.
Sfoglia l'ultima pagina - un commiato rassegnato e disperato - e si concede l'ultimo dolore, perché la storia avrebbe poi inghiottito tutto, come era stato per molti altri prima di lui.
Come avrebbe continuato a fare, ora e per sempre.

Se l'amore è una ferita che va infettandosi, Connor era la prova vivente che quelle di Haytham si erano mutate in cancrene inarrestabili.
Combatte con la foga di una bestia Kenway e si erano frantumati i suoi occhi, specchi che non riflettevano più nulla.
Colpisce Connor alla nuca e poi al mento, sfogando la sua incapacità, le sue rinunce, i suoi dubbi e tutto ciò che non avrebbe mai più potuto avere.
Ratonhnhaké:ton ribatte con la stessa violenza e non si accorge che Haytham sta già diventando polvere tra le sue dita.
Non si accorge di uccidere un uomo che non è altro che un guscio vuoto e scavato dal rimpianto.
Un uomo che, nonostante tutto, era suo padre; e questo neppure il tempo avrebbe potuto cancellarlo dal suo sangue.

L'alba lo sorprende nel buio di una cantina che è stata casa per anni, dita che illuminano un volto stanco e improvvisamente invecchiato.
Non ci sono tende che possano ripararlo dall'agonia di quel sole incredibilmente arrogante e soffia poi su quel fuoco quasi spento, nutrendolo con le immagini di una lotta che si è appena conclusa.
Bruciano Charles e tutti gli altri, truffatori, predicatori e bastardi travestiti da brave persone.
Bruciano e gli lasciano un sapore dolce sul palato, la soddisfazione d'aver tenuto fede a una vecchia promessa.
Quando tocca all'ultimo ritratto, il cuore di Connor manca un battito.

Sono acciaio e neve quegli occhi.
Anche nella morte mantengono una loro inquietante bellezza, giudicano e vedono - scrutano.
Ziio temeva che, un giorno non troppo lontano, anche quelli di Connor sarebbero diventati come quelli di Haytham; sempre lanciati al futuro, avidi e tormentati.
Non poteva sapere che a nulla sarebbero valsi i suoi sforzi, perché la strada era già stata segnata - già percorsa.
Aveva amato con la quieta forza delle femmine della sua razza un uomo che era venuto da lontano, un desiderio mormorato a fior di labbra.
Era stata amata con la stessa disperata consapevolezza, dita che stringevano per non lasciar andare - perché la felicità aveva il sapore di una terra sconosciuta e dell'abbandono con cui gli si concedeva.
Era figlio di quel sentimento Connor, eppure nulla di tutto ciò l'aveva salvato dalla sofferenza e dalla solitudine: dall'essere un bambino che, alla fine, voleva solo sentire il calore dei suoi genitori un'ultima volta.

Diventano un grumo nerastro e grigio le memorie - sue, di Haytham, di Achilles, di tutto - e le osserva fino a quando non diventano grani sottili come polvere.
Si alza - e la gamba un po' gli cede, perché è stato seduto tutta la notte nella stessa posizione - e si sfiora il fianco, dove la ferita inferta da suo padre brucia ancora.
Si incammina verso l'uscita, schiena dritta e la veste degli Assassini ad avvolgerlo, soffermandosi sull'accetta che aveva piantato all'inizio della guerra.
La estrae con un colpo secco, mettendo la parola fine a una storia che l'aveva portato ovunque, ma soprattutto in se stesso.
Un'aquila compie la prima caccia del mattino e Connor ne segue il volo fino a quando non scompare oltre la montagna.

Figlio mio.

Sorride, ma non c'è allegria sul suo viso, perché i fantasmi sono solo sbavature nelle pagine della storia, sussurri tra le righe e verità a fondo capitolo.

Connor.

"Mi dispiace." e lo dice a entrambi, coprendosi il volto con il cappuccio e porgendo le mani al vento "Vi ho deluso."

E le lacrime riprendono da dove si erano interrotte.

   
 
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