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Autore: Deb    17/01/2014    7 recensioni
Davanti a me c'è Caesar Flickerman e credo che al mio cuore sia mancato un battito, per poi accelerare. Lo sento pompare veloce il sangue, fino alla testa. Pulsa anche quella e fa male. Improvvisamente.
Non capisco il motivo per il quale sia qui, nel Distretto 12, a bussare alla mia porta per ricordarmi i momenti più brutti della mia vita. Non che siano stati quelli con lui, ma ha la capacità di farmeli ripresentare tutti: la Mietitura, il viaggio, l'intervista, l'Arena, e ancora per una seconda volta. La rivoluzione, Peeta intervistato da lui quando era tenuto prigioniero. Io che non potevo salvarlo. Primrose che mi diceva di non darlo per spacciato. Capitol City. Peeta. Finnick. Prim.
Credo di aver smesso di respirare per un attimo perché comincia a girarmi la testa e ho solo voglia di sedermi e cercare di dimenticare il suo arrivo.

{Post-Mockingjay}
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Caesar Flickerman, Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Feelings After-war ~ Katniss/Peeta'
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Davanti a me c'è Caesar Flickerman e credo che al mio cuore sia mancato un battito, per poi accelerare. Lo sento pompare veloce il sangue, fino alla testa. Pulsa anche quella e fa male. Improvvisamente.
Non capisco il motivo per il quale sia qui, nel Distretto 12, a bussare alla mia porta per ricordarmi i momenti più brutti della mia vita. Non che siano stati quelli con lui, ma ha la capacità di farmeli ripresentare tutti: la Mietitura, il viaggio, l'intervista, l'Arena, e ancora per una seconda volta. La rivoluzione, Peeta intervistato da lui quando era tenuto prigioniero. Io che non potevo salvarlo. Primrose che mi diceva di non darlo per spacciato. Capitol City. Peeta. Finnick. Prim.
Credo di aver smesso di respirare per un attimo perché comincia a girarmi la testa e ho solo voglia di sedermi e cercare di dimenticare il suo arrivo.
«Respira».
Il suono della sua voce mi fa sussultare ed inspirare con forza tutta l'aria possibile. Credo di cominciare ad avere una crisi di panico. Vorrei andare via, nascondermi, ma sono raggelata sull'uscio della porta e non riesco a muovere un muscolo, come se fossi sulla pedana e dovesse ancora cominciare il conto dei sessanta secondi. Se mi muovo, esploderò in aria. Non riesco a parlare, l'unica cosa che faccio è muovere le iridi dei miei occhi cercando di non guardare mai nei suoi.
«Forse avrei dovuto chiamare, prima». Afferma ridacchiando. Come nelle interviste.
Credevo fosse morto. Anzi, non mi sono mai interessata di sapere che fine avesse fatto, cosa poteva importarmene? Lui lavorava per Snow. Caesar doveva pagare. Intervistava i Tributi, rideva con loro e gioiva nel guardare le loro uccisioni. Non ha il diritto di stare davanti a me con con quello sguardo apprensivo. È strano, comunque, vederlo in quelle vesti. All'inizio non l'avevo nemmeno riconosciuto, poi l'ho guardato negli occhi e ho capito chi fosse. Nessuna parrucca adorna la sua testa, nessun trucco, né vestiti dai colori sgargianti. Ha i capelli rasati, una pelle chiara, occhiali grandi a coprire i suoi occhi ed indossa una semplice maglia e dei pantaloni beige. Non sembra il Caesar che ho avuto modo di conoscere io, quello appariscente, con la voce profonda e una cadenza lenta. Non c'era nessuna risata, nessuna richiesta di applausi. Davanti a me c'è soltanto un uomo che sembra appena uscito dal suo ambiente naturale. È spaesato, spaventato e non sa come muoversi. Mi sembra difficile pensare che si senta un pesce fuor d'acqua, ma è proprio quella la sensazione che provo nell'osservarlo.
Ad ogni modo, non lo voglio qui. Non voglio che mi parli, non voglio che mi sorrida, non voglio nulla da lui.
«Caesar?» Scatto verso la voce e vedo Peeta con le sopracciglia inarcate, sorpreso di vederlo tanto quanto me. Sto quasi per urlargli di nascondersi, di scappare quando mi blocco nel notarlo avvicinarsi e... abbracciarlo?
Perché Peeta abbraccia Caesar Flickerman?
«Come stai?» Gli domanda, dandogli una pacca sulla spalla.
«Molto meglio, Peeta. Molto meglio, grazie». Peeta sembra felice di vederlo e me ne domando il motivo. Io, nel vederlo così sereno, mi tranquillizzo un po'. In fondo è soltanto un presentatore, quando noi due siamo Tributi, abbiamo ucciso. Sappiamo difenderci in caso di necessità. Caesar cosa potrebbe farci? Niente, assolutamente nulla se non porci domande.
«Perché sei qui?» Domando, allora, senza spostarmi di un millimetro. A casa mia non ci entra comunque. Se era tanto in buoni rapporti con Peeta non poteva andare a trovare direttamente lui?
«Volevo vedere come se la passasse la mia ragazza preferita». Sembra quasi emozionato ed un sorriso gli si allarga sul volto. Io continuo a non capirlo. Pensa davvero che potrei anche solo lontanamente vederlo e parlargli? Perché sicuramente non andrei a raccontare a lui di come ogni mattina alzarsi è sempre così difficile, di come io e Peeta non ci parliamo, anche se cerchiamo di tollerare la presenza dell'altro, imparando lentamente a fidarci di noi stessi, senza grande successo. Perché lui, a volte, continua a vedermi come un ibrido pronto ad ucciderlo ed io, quando non mi insulta, sono sempre in all'erta del prossimo attacco. Non gli direi mai che Prim è costantemente nei miei pensieri, né che ho pensato più volte di porre fine alla mia vita, se non fosse che Peeta ne rimarrebbe troppo deluso, visto che so bene quanto io sia importante per la sua guarigione. Almeno così mi ha detto il dottor Aurelius ed io ho trovato una nuova ragione di vita. Cercare di non far impazzire completamente il ragazzo del pane. Non è facile, ma trovo che possa farlo. È una punizione che posso sopportare dopo tutto quello che è successo per colpa mia. Non voglio avere anche lui sulla coscienza, anche da morta. Quindi cerco di alzarmi dal letto la mattina, di fare colazione, di andare a caccia e di aiutare Peeta a ritrovare se stesso. È un processo lento e spesso lo sconforto prende il sopravvento. Oggi è la prima volta che lo vedo in una settimana. Non ce la facevo più, avevo bisogno di una pausa e, a quanto pare, anche lui. Mi sembra stia meglio ora che non mi vede da un po'.
«Vieni. Ti offro una tazza di caffè». Peeta è sempre molto cordiale, a differenza di me. Non capisco come possa perdonarlo dopo ciò che ha fatto. Non solo perché gioiva per la morte di noi tributi, ma perché l'ha intervistato. Caesar era al corrente di tutto, del depistaggio, di Peeta torturato, eppure davanti alle telecamere è sempre apparso sorridente e felice. Non c'era nulla che lo toccasse.
Mi stringo nelle spalle e faccio per rientrare in casa, chiudere la porta e girare la chiave a due mandate affinché possa essere certa che quel mostro non possa tornare qui, ma la voce di Peeta mi blocca: «Tu non vieni, Katniss?» E mi sembra che voglia sgridarmi per essere maleducata. Non si trattano così gli ospiti. Così faccio quello che so fare meglio, rimango in silenzio, lo guardo per un po' sperando, per una volta, che perda la ragione. Se dovesse succedere ho un motivo in più per chiudermi dentro.
«Katniss?» Mi richiama ancora una volta, scocciato dei miei tempi.
Sospiro. Non posso fare altro che andargli dietro. «Arrivo».
È un passo avanti, comunque, l'esserci scambiati queste parole visto che praticamente non abbiamo avuto nemmeno il coraggio di salutarci nella settimana appena trascorsa. Chiudo la porta alle mie spalle e li raggiungo, cercando di mantenere sempre una distanza di sicurezza.

«È strano vederti così». Peeta ci fa accomodare gentilmente in cucina e comincia ad armeggiare con la macchina per il caffè. Appoggio i gomiti sul tavolo, in un punto dove posso osservare tutta la stanza. Se devo difendermi o scappare, ho la possibilità di farlo.
Caesar ride, ma è una risata un po' fiacca, anche se non finta come quelle che ci propinava durante lo show. «Io sono così».
Mi chiedo cosa diavolo voglia dire. Non ha senso quel che dice, non che mi interessi.
«Anche Caesar era prigioniero». Peeta sembra leggermi la mente, forse sta cercando di farmi sapere cosa intendesse.
«Non lo sapeva?»
«Non credo». Fa una pausa per accendere il fuoco. «Caesar e Plutarch lavoravano insieme. Plutarch è riuscito a scappare, Caesar no».
Serro i pugni. «Faceva parte dei ribelli?» Davvero?
Caesar prende un profondo respiro e si prepara a parlare, osservando il suo viso con più attenzione, noto come sia contratto in una smorfia. Nemmeno a lui, sicuramente, piace raccontare il passato.
«Devi sapere, Katniss, che quando fai un lavoro come il mio, ti affezioni ai ragazzi. Sono stato lì quarant'anni. Ho conosciuto tantissimi ragazzi e ne vedevo tornare a casa soltanto uno. Erano ragazzi, soltanto bambini. A lungo andare questo lavoro ti logora. All'inizio non ci pensi, ti piace, addirittura, visto come siamo cresciuti noi di Capitol City, ma dopo, con il tempo, rimanere dentro quella macchina che veniva chiamata Hunger Games, ti logorava. Ma sai anche cosa succedeva a chi non faceva bene il proprio lavoro. Prendi Seneca che è stata la prima vittima. Cosa potevo fare io, un umile presentatore? L'unica cosa nelle mie mani era cercare di elogiare i tributi. Dovevo continuare, andare avanti. Cos'altro potevo fare, Katniss?»
Durante la sua spiegazione i suoi occhi si sono incupiti sempre di più, fino a chiudersi. La bocca incurvata verso il basso e la voce tremante. Non credo di averlo mai visto sotto questo punto di vista. Lui era un ribelle. Anche lui, come Cinna e Plutarch, voleva cambiare il sistema. Anche lui, nel suo piccolo, voleva contribuire alla causa.
«Aspetta, cosa? Seneca Crane è stata la prima vittima?»
«Avrebbe dovuto incenerirti, ma non l'ha fatto. È stato lui a far sì che vinceste tutti e due. Una volta c'erano queste persone che venivano chiamate kamikaze, si uccidevano per una causa che loro credevano importante. Seneca sapeva che sarebbe stato giustiziato, ma l'ha fatto ugualmente. Era pronto».
Quindi, chi aveva messo in moto tutta la rivoluzione eravamo stati noi quattro. Io che inconsciamente ho sfidato il sistema e loro tre: Crane, Plutarch e Flickerman che hanno mosso le cose dall'interno. Ognuno a modo loro. Plutarch con l'ideazione del piano, probabilmente, Crane con i suoi poteri da capo stratega e Flickerman che ha cercato di farmi sempre fare bella figura. Perché lui non è morto, allora? Snow avrebbe dovuto ucciderlo una volta che i soldati del Distretto 13 avevano messo in salvo Peeta. Perché è rimasto vivo? No, non è importante sapere perché. In fondo se lo merita. E poi probabilmente è soltanto perché Caesar era un volto noto, familiare ed i capitolini pendevano dalle sue labbra. Lui serviva a Snow per mandare i suoi messaggi e quindi ha cercato di utilizzarlo fino alla fine.
È colpa loro se io sono in queste condizioni, se Peeta è depistato, distrutto, cambiato. È colpa sua. La mia sedia cade a terra con un tonfo e non mi rendo nemmeno conto di stare correndo verso di lui, puntandogli alla gola. Le mie mani si serrano contro il suo collo e stringo, stringo finché Peeta non mi spintona, finché non mi rendo davvero conto di ciò che sto facendo. La vista è annebbiata dalle lacrime e mi rilasso sentendo le braccia di Peeta stringermi. Che gli venisse un episodio, che mi uccidesse, penso.
Sento Caesar tossire e Peeta porgere le scuse al mio posto.
«Me lo merito». Ribatte, mentre io singhiozzo, stringendo Peeta a mia volta. Non mi abbraccia per consolarmi, mi stringe sperando che non faccia nulla di avventato. La verità è che mi sento comunque al sicuro qui tra le sue braccia, anche se non dovrei; la verità è che mi piace potermi affidare così a lui, senza pensare all'eventualità di morire. Penso solo a sfogarmi, a piangere contro il suo petto, singhiozzare e urlare, anche. Non voglio che mi lasci e non importa cosa accadrà, ho bisogno di questo ora e non intendo rinunciarvi. Non so cosa potrei fare se mi lasciasse andare. Probabilmente troverei il modo per uccidere Flickerman. Lo farei davvero perché tanto non ho assolutamente nulla da perdere. Non ho Prim vicino a me, non ho mia madre, non ho Gale e non ho Peeta. Non ho nessuno ed è tutta colpa loro. Di quei tre che hanno deciso di voler sfidare il sistema e se da un parte è giusto, dall'altra è assolutamente sbagliato continuare a giocare con dei poveri ragazzini come noi. Perché noi siamo state le pedine di Capitol City, ma lo siamo state anche dei ribelli. Non abbiamo mai vissuto la nostra vita come se fosse nostra, ma sempre e solo nelle mani di qualcun altro.
Sento Caesar uscire di casa, non so cosa si siano detti ancora. Mi sono isolata in me stessa cercando di cullarmi nel calore del petto di Peeta. So che non durerà ancora a lungo, che mi lascerà, che il depistaggio prenderà il sopravvento. Ma non importa, non adesso. Ho bisogno di un appiglio. Ho bisogno di lui anche se probabilmente io non sono così fondamentale per Peeta.
Il caffè alla fine non l'ha più offerto e lo sento bollire. Sta sicuramente sporcando tutto il piano gas. Peeta cerca di sciogliere quell'abbraccio forzato da cause maggiori, ma lo stringo ulteriormente a me.
«Non lasciarmi». Farfuglio in un sussurro talmente tremolante che non sono sicura mi abbia capito.
Ma lo sento accarezzarmi i capelli, e rilassare la sua schiena contro il muro, le sue gambe che circondano le mie. Siamo mezzi seduti e mezzi distesi sul pavimento.
«Mai. Non ti lascerò mai».
Ed alla fine riesco a calmarmi, anche se il senso di oppressione dovuto a tutti gli anni passati non mi abbandonerà mai del tutto. L'importante è cercare di andare avanti e se è vero che Peeta non mi lascerà mai, allora forse potremo ricominciare a crescere, cercando di mettere il passato alle spalle, anche quando è sempre vivido nei nostri pensieri. Se saremo in due, forse sarà un po' più semplice non cadere in nessun baratro.

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A me Caesar piace e volevo scriverci una storia sopra post-Mockingjay. ♥
Ovviamente dovevo inserirci anche dell'Everlark se no non sarebbe stato da me. :')
Non mi ha mai dato l'idea che fosse cattivo ed ho pensato a questo headcanon dove i primi a voler la rivoluzione sono proprio loro tre: Plutarch, Crane e Caesar. Hanno visto Katniss, l'hanno conosciuta e l'hanno scelta, anche per merito di Cinna che è un altro che voleva la rivoluzione ♥ Quindi Crane, da capo stratega quale era, non ha incenerito Katniss – Snow dice che l'avrebbe dovuto fare in CF – così da far sì che arrivasse un preciso messaggio ai Distretti. Ha fatto, per l'appunto, da kamikaze, sapendo bene quale sarebbe stato il suo destino.
Ho pensato anche che Caesar potesse essere tenuto prigioniero e che Peeta sappia un po' la verità, sicuramente l'ha sentita tutta in questa fic. Ma loro due vanno molto d'accordo e sono carini insieme. LOL
La fine Everlark ♥ Potevo non mettercela? Eh no. Dovevo xD Nella mia testa non è passato moltissimo dalla fine della rivoluzione. Peeta e Katniss non sono vicinissimi, hanno ancora un sacco di problemi e non si fidano l'uno dell'altro, ma con la fine, volevo che Peeta mandasse un messaggio a Katniss. Lui non la lascerà comunque mai. Ci possono essere momenti più brutti di altri, periodi in cui stanno lontani, ma tornerà sempre. Non la lascerà mai veramente da sola. Devono soltanto avere pazienza. Finalmente la possono smettere di essere dei burattini e cominciare un po' a vivere.
Mi sono soffermata sul fatto che Katniss avesse la consapevolezza ulteriore di essere stata usata sia da una che dall'altra fazione. Sia da Snow che dai ribelli perché è così. Katniss è stata usata, manipolata, e poi rispedita nel 12 a vivere da sola. Con un vicino depistato che lotta contro il desiderio di odiarla e con la mente piena di rimorsi per ciò che è accaduto. Non dev'essere per nulla facile, povera cara. Scritta POV Katniss proprio per soffermarmi su questi punti, altrimenti avrei preferito scrivere POV Peeta, ma lui è più intelligente e non tardona come lei, quindi sarebbe mancata quella spinta d'odio che Katniss ha avuto.
Spero vi sia piaciuta! :)
Baci
Deb
   
 
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