Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: pocketsizedtitan    20/01/2014    16 recensioni
Levi/Eren | Coffee Shop AU
Eren Jaeger lavora come barista nel caffé di sua madre, ed è uno specialista di Latte Art. E poi c'è Levi, che non è esattamente il cliente tipico perchè è brusco e rozzo (il che in realtà, secondo Eren, non è poi così diverso dal cliente tipico), ma che soprattutto non fa altro che confondere il tenero cuoricino di Eren.
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Eren Jaeger, Rivaille, Un po' tutti
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Salve a tutti (ノ◕ヮ◕)ノ*:・゚✧ , qui vi parla la traduttrice della fanfiction. Ho deciso di dare la possibilità di leggere questa fic (una delle più famose nel fandom inglese di Attack On Titan) ad un pubblico più vasto perchè la trovo davvero piacevole e dolce. Sappiate che state per immergervi in un mondo di fluff / tensione sessuale e piccoli avvenimenti ma importanti. Attualmente siamo al capitolo 17 in inglese, e ho intenzione di postare almeno un capitolo a settimana (di più avendo tempo), ma la fanfiction è ancora incompleta (anche se credo che siamo verso la fine dal momento che l'autrice sta iniziando a dedicarsi ad altri progetti, che potrei tradurre nel caso in cui questa fic avrà successo :3). Vi prego se la fic vi piace e avete del tempo per scrivere un piccolo commento FATELO! Tradurrò tutti i commenti in modo che possiate avere anche una risposta! L'autrice è una persona squisita e si merita tantissimo! Per qualsiasi altra informazioni ci sono tutti i link sul profilo. Buona Lettura!
SULLA TRADUZIONE: la fic è ambientata in un coffee shop stile americano; non tradurrò tutti i nomi delle bevande perchè non esistono in italiano ma cambierò questo disclaimer di capitolo in capitolo per inserire i dettagli di traduzione/spiegazioni che ritengo utili. In questo capitolo ho lasciato i voti degli esami in lettere.


The Little Titan Café
CAPITOLO 1: Baffi di Latte

Benvenuti al Little Titan Café
Speciale di oggi: Levi

Eren lanciò un’occhiata all’orologio: erano le ventidue e trenta e non c’era molto da fare al Little Titan Café. No! Non chiedetegli come mai il locale si chiamasse così. Sua madre, la proprietaria, semplicemente pensava che suonasse carino, e nonostante Eren pensasse fosse strano, ai clienti sembrava piacere, quindi chi era lui per giudicare?

In una serata settimanale come quella non vi erano molti clienti, ad eccezione dell’occasionale studente universitario venuto ad usufruire del Wi-Fi gratuito. E, considerando che erano aperti fino a mezzanotte quasi tutte le sere – ad eccezione delle domeniche – quello era sicuramente il posto perfetto per gli studenti per venire a lavorare, terminare qualche compito, progetto o qualsiasi cosa fosse.
Sfortunatamente per lui, gli era solitamente assegnato il turno di chiusura: “Tanto comunque dormi sempre troppo. Non hai lezione che nel pomeriggio e bla bla bla.” E non è che Eren odiasse il turno di chiusura: semplicemente non sopportava quanto fosse tremendamente noioso.

Prese il cellulare per giocherellarci un po’: ventidue e venticinque. La foto di sfondo lo vedeva insieme ai suoi amici d’infanzia stretti in un angolino di quello stesso locale. Mikasa sembrava stupefatta con quel suo baffo di latte e lui ed Armin ridevano. Sorrise al ricordo e sbloccò il cellulare per rispondere ai messaggi.

Armin: Non dimenticare che hai una prova di matematica domani.

Merda. Non che loro fossero nella stessa classe – Armin era ben oltre cose come la semplice algebra – ma in qualche modo ricordava sempre quando Eren aveva un esame. Un esame che lui aveva dimenticato e per il quale sarebbe stato spacciato l’indomani. Non che fosse uno studente da A+… magari più da B… o forse qualcosa tra una D+ e una C-; dopotutto chi aveva bisogno della matematica? Non aveva neanche qualcosa a che fare con il corso di studi.

Mikasa: Ciao

Eren sbuffò, strozzando una risatina. I messaggi di Mikasa non smettevano mai di divertirlo. Nel momento in cui finì di rispondere, erano le ventidue e ventinove, pochi secondi per arrivare a trenta. Il tintinnare del campanello della porta che veniva aperta riportò l’attenzione di Eren dal suo telefono al locale. C’erano pochi metri tra il bancone e l’entrata, e quindi, quando l’aria fredda invernale entrò nel negozio, lo fece rabbrividire dalla sua posizione alla cassa.

Il ragazzo si voltò nel tentativo di scampare almeno un pò dal freddo del vento mentre salutava il cliente con un “Benvenuto al Little Titan Café”.

Se non fosse stato contrattualmente obbligato – e se non sospettasse che sua madre in qualche modo veniva a sapere ogni volta che non pronunciava tali parole a un cliente – Eren non si sarebbe mai disturbato a dire una frase tanto stupida. Ma, dopo anni che sua madre gliela aveva inculcata, si sentiva in dovere di pronunciarla ogni qualvolta sentiva il suono del campanello.

Era sempre ovvio quando un cliente veniva per la prima volta. Di solito esitavano all’entrata per guardarsi intorno, come se si aspettassero di vedere qualcosa di strano. Ed Eren non poteva biasimarli: se lui fosse entrato in un posto chiamato Little Titan Cafè (Il Caffè del Piccolo Gigante ndT), anche lui si sarebbe probabilmente aspettato qualcosa di strano. Ma se quest’uomo fosse semplicemente nuovo o solo in cerca di un posto dove sedersi era difficile da dire: la sua espressione era fissa fermamente in quella che Eren avrebbe potuto descrivere solo come apatia. Allungati occhi grigi analizzavano l’atmosfera familiare del locale, comprese le due donne che chiacchieravano vicino ad una finestra, uno studente che batteva le dita furiosamente sulla tastiera del suo pc ed una ragazza che tentava di tenersi sveglia mentre leggeva un libro.

C’erano un sacco di cose in cui Eren Jaeger non credeva. Non credeva nello svegliarsi prima delle undici al mattino. Non credeva di aver bisogno di fare colazione. Non credeva di dover guidare seguendo i limiti di velocità perché questi erano dannatamente lenti. Non credeva nella fortuna – devi prenderti quello che vuoi, non sperare di avere qualcuno che te lo serva già pronto. Non credeva nel non combattere. Non credeva nei fallimenti (senza contare il test di matematica a cui sarebbe stato bocciato l’indomani, perché non credeva nemmeno nella matematica). Non credeva, o almeno, non riteneva opportuno, far arrabbiare sua madre, perché lei sì che era paurosa quando si arrabbiava. Non credeva nelle favole o all’amore a prima vista o nel perdere la testa per qualcuno. Lui era un ragazzo, dopotutto, dunque col cavolo che gli interessava tutta quella roba sdolcinata.

Tutto ciò finché i suoi occhi non si posarono su quell’uomo dal volto apatico e iniziò a pensare di dover dare un taglio a tutte quelle miscredenze. Okay, forse non tutte: solo quella sull’amore a prima vista. Sì, perché Eren stava iniziando a crederci e non importa quanto ciò potesse essere un cliché. C’era un qualcosa nella forma dei suoi occhi, nell’inclinazione delle sue labbra, nel modo in cui la sua frangia non era divisa esattamente al centro, qualcosa nel modo in cui le sue spalle erano notevolmente ampie attraverso la giacca del suo completo – nonostante fosse una decina di centimetri più basso di lui - , un qualcosa nel modo in cui la sua sola presenza chiedeva attenzione e sì, indubbiamente aveva catturato tutta quella di Eren.

Non era un segreto per nessuno il fatto che lui fosse gay. Così tanto, talmente gay. E il suo cuoricino gay iniziò a battere alla vista dell’uomo e perse un colpo e si fermò nella sua gola quando quegli occhi grigi catturarono i suoi. Eren iniziò a pensare che il suo respiro si fosse fermato, oltretutto, perché stava iniziano a sentirsi un po’ troppo leggero e nervoso. O forse erano solo le farfalle che impazzivano nel suo stomaco mentre l’uomo si avvicinava a lui. Le sue mani si aggrapparono al suo grembiule verde, mandando le farfalle a farsi un dannato sonno ma rimaneva che Eren stava diventando un fascio di nervi solo perché quell’uomo si stava avvicinando e in quel momento non avrebbe voluto far altro che nascondersi.

Gli ritornò in mente di essere l’unico dipendente presente in negozio solo quando l’uomo occupò uno dei posti al bancone, poggiando una borsa a tracolla di pelle nera. Il cuore di Eren martellava rumorosamente nella sua gola, e forse fin nelle sue orecchie, e in ogni caso riusciva a sentirlo fin dentro le sue viscere. Cosa c’era che non andava? Tutto quello che quell’uomo aveva fatto fino a quel momento era fermarsi, osservare, entrare e sedersi, e ora si stava semplicemente togliendo la giacca e sì, quelle spalle sembravano ancora più ampie coperte solo da quella sottile camicia bianca, i cui primi bottoni aperti lasciavano intravedere la linea disegnata dalle clavicole e…- Eren inghiottì – ora la sua bocca sembrava insopportabilmente secca.

Si sentiva patetico e strano ed era assolutamente convinto che c’era qualcosa che non quadrava in lui.

“B-ben-…” Eren si schiarì la gola. La sua voce suonava ridicola alle sue stesse orecchie. Fece un lungo respiro cercando di convincersi a calmarsi e trattare l’uomo come qualsiasi altra persona. Sorrise nel miglior modo possibile: “Benvenuto al Little Titan Café. E’ la sua prima volta qui?”

“Sì.” L’uomo rispose mentre poggiava la sua giacca sulla spalliera dello sgabello vuoto accanto al suo. “Come mai questo posto si chiama così?”

Eren si rilassò alla domanda, sentendo il suo nervosismo scivolare piano piano via. “Mia madre pensava che il nome avrebbe incuriosito la gente abbastanza da farle decidere di entrare. Sembra che abbia funzionato con lei, no?”

“Vero. Quindi tua madre è la proprietaria di questo posto?”

Eren annuì. Ora che erano più vicini poteva vedere chiaramente il rossore sulle guance dell’uomo, dovuto senza dubbio al fatto che aveva camminato fuori al freddo, anche se stava già iniziando a scemare. “Cosa posso portarle? O ha bisogno di un momento per vedere il menu?”

“Mi basta un caffellatte.” Rispose questi mentre apriva la borsa per tirare fuori un pc portatile.

“Un caffellatte in arrivo.” Rispose Eren, sciogliendo la stretta sul suo grembiule. Se c’era qualcosa che sapeva fare bene, questa era sicuramente preparare un misero caffellatte. Pochi minuti dopo, stava poggiando la bevanda di fronte al fascinoso cliente – Be', non conoscendo il suo nome in quale altro modo avrebbe potuto riferirsi a lui? – sussurrando un: “Prego.”

“Grazie,” l’uomo lanciò uno sguardo sulla targhetta sul grembiule di Eren. “Eren.” E se la sua attenzione non fosse stava catturata dalla bevanda posizionata davanti a lui, avrebbe notato la maniera in cui il barista stava arrossendo nel sentirlo pronunciare il suo nome. Fortunatamente il rossore scemò in tempo mentre l’uomo osservava la foglia che era stata disegnata con la schiuma di latte, lasciando ad Eren il tempo di sostituire il suo imbarazzo con un minimo di contegno. “L’hai fatto tu? Impressionante.”

Eren fece spallucce e con un sorrisetto compiaciuto, disse: “Oh, e questo è niente.”

L’uomo lo guardò senza accennare nessun cambiamento di espressione. “Sai, quando ricevi un complimento dovresti fingere modestia e ringraziare. Moccioso.”

Eren roteò gli occhi. “Bè, se sono bravo a fare qualcosa per quale motivo dovrei fare finta che non sia così? Sarebbe stupido.”

“Magari alla gente non piacciono i ragazzini presuntuosi.”

“Ma guarda chi mi ha chiamato piccolo.”

Improvvisamente la temperatura nella stanza scese sotto lo zero. Giusto una precisazione: Eren ha la tendenza a dire cose prima di pensarci un attimo sopra, e, in quel momento, aveva capito chiaramente di aver toccato un punto dolente nel momento in cui l’espressione dell’uomo si era accigliata considerevolmente. “E con ciò cosa vorresti dire?”

“Ehm…” Lo sguardo di Eren iniziò a muoversi nervosamente verso ogni punto della stanza nel tentativo di trovare una via d’uscita, nella speranza che entrasse un nuovo cliente o che magari uno di quelli che già c’erano fosse colto da un infarto. Ma nessuno di loro sembrava abbastanza vecchio da poterne avere uno. Dannazione. “Uhm. Niente, non intendevo nulla.”

Eren pensò che fosse meglio rimangiarsi l’idea di chiedergli chi avesse iniziato tutto ciò. Qualcosa gli diceva che, bancone o no a separarli, l’uomo l’avrebbe raggiunto e strangolato. Questo gli fece ripensare un attimo alla sensazione di prima, o quello che diavolo era. Magari un momento di follia? Ora che realizzava le inclinazioni violente che erano senza dubbio nascoste sotto una maschera di apatia, Eren sembrava riprendere i sensi. Non c’era nessun amore a prima vista dopotutto. Lui stava semplicemente apprezzando il bell’aspetto dell’uomo, il suo senza-alcun-dubbio-favoloso-corpo nascosto dal suo completo, il modo in il colletto della camicia si poggiava mollemente ai muscoli del collo, e quello in cui riusciva a intravedere la pelle pallida del suo petto, e…

I suoi pensieri furono interrotti dall’uomo che prendeva la tazza, portandola alle labbra per bere un corso di caffellatte. E come Eren aveva magicamente predetto nell’arco di un secondo, un leggero baffo di schiuma di latte aveva coronato la sua bocca.

Non riuscendosi a controllare il barista poggiò le mani sui fianchi e rise.

L’uomo si fermò un attimo, stringendo gli occhi. “Cosa diavolo c’è da ridere?”

“N-Niente,” Eren boccheggiò, sogghignando. “signore.”

“Solo Levi.”

Eren sbatté gli occhi, “Come?”

“Il mio nome. E dammi del tu.”

“Ah.” Eren sbattè gli occhi una seconda volta, e poi di nuovo, mentre il nervosismo sembrava stare prendendo di nuovo il sopravvento. “Ok, Levi.”

C’era una luce nei suoi occhi grigi, uno sguardo che riusciva a far sprigionare una fiamma nel petto di Eren, la quale svanì in un attimo, trasformandosi in un’altra risata quando il suo sguardo cadde di nuovo sui baffi di latte.

Il cipiglio sul viso di Levi era decisamente bieco. “Dimmi cosa diavolo c’è di così dannatamente divertente…” Mentre diceva ciò il suo sguardo cadde sullo schermo nero del pc, e gli si aggrottarono le sopracciglia mentre fissava il suo riflesso. Levi strappò un tovagliolo dal dispenser con un borbottio. “Tu, brutto imbecille.”

“Mi scusi?” Il sorrisetto sul volto di Eren perlomeno tentava di sembrare un po’ dispiaciuto.

Non è necessario dire che quella sera al Little Titan Café era stata un po’ meno noiosa del solito per un certo barista.

  
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