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Autore: TheHeartIsALonelyHunter    20/01/2014    2 recensioni
Non c’è nulla se non la consapevolezza che tra poco l’oblio finirà, e il dolore ritornerà più forte che mai, a premere sul petto per soffocarlo, a premere sugli occhi per uscire, a premere sulla testa per fargliela scoppiare.
Non c’è nulla se non i pensieri confusi, gli sprazzi di conversazione, e la voce.
E l’Essenza di Dittamo sulla sua mano.
[Seconda classificata al contest a turni "Il vostro contest, il contest creato da voi" indetto da Leti-Lily]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sorpresa, Teddy Lupin | Coppie: Teddy/Victorie
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nuova generazione
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Un sorso.
La mano ricade lievemente accanto a lui.
Non c’è nulla se non l’odore della birra, di sigaro e di fumo.
Non c’è nulla se non il vuoto della sua testa, il vuoto che tenta di creare, il vuoto che mai ci sarà.
Non c’è nulla se non la consapevolezza che tra poco l’oblio finirà, e il dolore ritornerà più forte che mai, a premere sul petto per soffocarlo, a premere sugli occhi per uscire, a premere sulla testa per fargliela scoppiare.
Non c’è nulla se non i pensieri confusi, gli sprazzi di conversazione, e la voce.
E l’Essenza di Dittamo sulla sua mano.

 
“Devi finirla di comportarti così”.
“Sembra tanto facile detto in questo modo, vero?”, ridacchia lui, sorridendo di un sorriso sghembo e spezzato.
“È vero. Infatti non ho detto che è facile, Remus”.
Richiude gli occhi e serra i pugni sanguinanti con uno scatto d’ira.
“Non chiamarmi così, ti prego…” sibila, in quella che sembra una richiesta supplice più che un ordine perentorio.
“Perché? Ti dà così fastidio pensare a tuo padre?”
“Mi dà fastidio pensare che mi abbia abbandonato”.
 
Due sorsi.
Gli occhi si dischiudono lentamente, mentre tra i chiaroscuri dell’alcool chiama il barman per un altro drink.
La sua voce suona metallica, scheletrica, come la lama affilata di un coltello, come il rumore di una pallottola contro una lastra di ferro.
Non c’è nessuno, ora, a guardarlo, né Harry con il suo asfissiante “Tuo padre non vorrebbe vederti così” (allora perché l’ha abbandonato?), né la voce a turbare le sue idee più sincere e i suoi valori più radicati.
Non c’è nessuno a frenarlo. Nessuno che potrebbe impedirgli di morire.
Teddy si sente immensamente solo.

La testa pulsa nervosamente, la voce continua a parlare.
Ma perché non lo lascia in pace?
“Non ti ha abbandonato, Remus. Ti ha dato un futuro migliore”.
Una risata che suona straordinariamente sorda gli esce dalla bocca, mentre reclina all’indietro la testa.
“Certo, mi ha abbandonato per darmi un futuro migliore…”

La voce rimane zitta per un secondo.
“È per questo che ti comporti così”. Non è una domanda. È un’affermazione.
 
Tre sorsi.
Qualcuno nel bar comincia a notare che forse sei decisamente troppo brillo, ma non commenta.
La tua mano, nei chiaroscuri dell’alcool, sembra quella di uno scheletro: non c’è carne a ricoprirla, non c’è il roseo sicuro della pelle a colorarla. C’è solo il bianco delle ossa, e quell’Essenza di Dittamo sopra.
Teddy non fa in tempo a chiedersi se sia la realtà o la sua mente confusa che gli sta giocando qualche scherzo.
Quattro sorsi.
                                                                                                                                                                                         
“Non devi comportarti così, Remus. Non devi.”
“E chi sei tu per dirmi cosa devo o non devo fare, ragazzina?” sbraita lui con forza. Un gemito gli esce dalla gola, ma lui  lo sente quasi esterno, come se non appartenesse al tuo corpo, come se non fosse lui ad averlo emesso.
“Sono un’amica. Tutto qui” risponde la voce.
Il dolore è anch’esso esterno, come ogni parte del suo corpo: ossa, carne, sangue, cuore.
L’unica cosa abbastanza interna da poter essere provata è il tocco della voce, di quella voce che ancora non hai riconosciuto, il tocco placido della sua mano sulle sue dita sanguinanti.
“Non ti conosco, però” ribatte, solo per dire qualcosa, mentre lentamente il suo tocco diventa sempre più leggero e morbido. Puoi sentire ogni suo singolo dito che preme sulla sua pelle rossa, ogni singolo nervo che duole un po’ di meno quando la ragazza (perché dalla voce sembra proprio una ragazza) passa le sue mani sulla ferita.
Un sospiro di sollievo gli esce dalla gola senza che lui se ne accorga, e i suoi occhi si chiudono lentamente, mentre tutto il suo corpo si rilassa.
“Tu mi conosci, Remus…” sussurra la voce in un angolo remoto della sua mente. “E io conosco te”.
 
Non ci sono certezze, nella mente di Teddy Remus Lupin.
O meglio, ci sono poche certezze.
La prima è che suo padre, il padre di cui porta il nome, il padre di cui ha avuto la sfortuna di essere figlio, i padre che mai ha amato e che mai ha avuto l’occasione di amare, l’ha abbandonato.
“Non ti ha abbandonato, Remus, e lo sai”.
Il bicchiere si infrange in mille frammenti nella sua mano.
“Per l’ultima volta,NON chiamarmi Remus”.
La voce non sembra essere turbata dalla sua rabbia.
“Ha fatto finire una guerra, e tutto questo solo per te, Remus. Solo perché tu non dovessi vivere ciò che aveva vissuto lui”.
Teddy non dice nulla, perché sa che ha ragione.

La seconda è che l’alcool, il rassicurante e straordinariamente refrigerante fuoco che gli brucia in corpo anche ora, è tutto ciò di cui ha bisogno per vivere.
 
“Tu bevi perché hai paura. Non vuoi affrontare la realtà, ovvero il fatto che sei solo. E allora ti rifugi nell’alcool, provi a dimenticare tutto”.
Come in segno di sfida, lui manda giù un intero bicchiere senza dire una parola. La mano sanguina ma lui la ignora. Il sangue macchia il bicchiere ma lui lo ignora. Il dolore è da qualche parte, ovattato dal senso di stordimento e dalla confusione (la confusione che da diciotto anni lo accompagna).
“Non è così che dimenticherai, Remus. Non è così che si risolverà tutto”.
Teddy non dice nulla, perché sa che ha ragione.
 
La terza è che l’alcool,il rassicurante e refrigerante fuoco che lentamente inizia a spegnersi riportandolo alla crudele realtà e al freddo del mondo, non è ciò di cui ha bisogno per vivere.
 
“È dell’oblio che hai bisogno. L’oblio che solo l’alcool può darti. Ecco perché bevi così tanto. Se l’alcool non ti desse l’oblio non lo berresti” sussurra la voce, senza scalfirlo.
“È la verità. A volte anche papà beveva. Per dimenticare, sai” continua, dolce. Nella sua mente, le ultime parole si ripetono per ben due volte. Si porta le mani alla testa che pulsa e deglutisce lievemente.
“Credo che per oggi abbia fatto abbastanza, non trovi?” dice, il tono sincero e per nulla di scherno.
Teddy non dice nulla, perché sa che ha ragione.

 
La quarta è che, con sole poche e coincise parole, la voce, la voce che credeva essere solo una sua fantasia e ha scoperto essere realtà, la voce che, come un angelo
l’ha accompagnato nella confusione nera della sua follia, la voce ha demolito le tre convinzioni che hanno retto fino a quel momento il suo mondo, la voce ha reciso con un solo colpo di forbice tutto ciò che per una vita ha pensato, creduto, saputo.
 
“Fa male, diamine…” sussurra, quando il dolce refrigerio comincia a diventare bruciore intenso. Serra la mascella con uno scatto e richiude i denti.
“È come con l’alcool” sussurra la voce, lontana, profonda, confusa eco in una miriade di suoni e di rumori.
“Prima fa bene, dà piacere, e poi fa più male di prima…”
Teddy non dice nulla, perché sa che ha ragione.
 
La quinta è che la voce, la voce che una sola volta è venuta a carezzare la sua mano in un tocco che mai dimenticherà, è l’unica voce che vorrebbe sentire nella sua testa, l’unica voce in mezzo a tante altre che ha mai potuto lenire almeno un po’ il dolore, l’unica voce che, Teddy ne è certo, potrebbe permettersi di chiamarlo Remus, dieci volte, cento volte, mille volte. Lui glielo permetterebbe.
 
Lui sbuffa, tentando di non lasciar trapelare dalla sua voce il suo dolore.
“Se davvero non credi che io abbia bisogno dell’alcool, chiunque tu sia, allora di cosa credi abbia bisogno?”
Un altro tocco, un’altra carezza. La testa pulsa sempre di meno, e lentamente la confusione comincia a diventare lucidità, il caos ordine.
E Teddy non sente più il sangue viscido  sulla mano.
“Non hai bisogno né di alcool, né di oblio,Remus” risponde la voce. Il ragazzo non riesce ancora a distinguere il viso a cui essa appartiene, e tantomeno gli interessa: un’altra voce tra le altre, un’altra venuta a dirgli cosa fare e cosa non fare. Un’altra venuta a ricordargli che lui è la pecora nera della famiglia, l’unico in un branco di diligenti e studiosi ragazzi, l’unico che ha lasciato Hogwarts in un mare di E, l’unico gobbo tra ragazzi alti e dritti d’orgoglio per la famiglia a cui appartenevano.
“E allora di cosa ho bisogno, di grazia?” tenta di nuovo, duro, mentre un’altra fitta lo prende al ventre. Geme senza potersi trattenere, mentre la voce continua a massaggiarti il palmo lentamente.
“Bè, non sono certo io a dovertelo dire, Remus”.
 
Un respiro.
Il profumo di violetta ti inebria anima e sensi.
Un tocco.
La pelle liscia come il mare d’estate è calda e rassicurante sotto i suoi polpastrelli.
Uno sguardo.
I suoi occhi sono azzurri come il cielo, accesi di un’allegria e di una forza miscelati da una grazia signorile e da una infantile innocenza.
Un bacio.
La sua bocca sa di cioccolata, la cioccolata che solo poco prima avete trangugiato insieme dal barattolo della Nutella come due bambini piccoli.
Una voce.
“Ti amo, Teddy”.
LA voce.
“Ti prego, Victoire, chiamami Remus”.
 
“Cosa credi che mi serva per stare meglio, scusa?” ritenta lui, acido, volutamente tagliente.
“Sei tu che devi scoprirlo, Remus.Solo tu puoi sapere di cosa hai bisogno per vivere” spiega la voce, passandogli un’ultima volta le dita sulla mano.
Un’ultima fitta di dolore.
“Ma si può sapere che diamine è quella cosa?” domanda Teddy, stringendo i denti in uno spasmo di dolore.
“Essenza di Dittamo” afferma la voce. “Vedi, all’inizio fa male. Molto male. Ma cicatrizza le ferite e poi non resta più nulla del dolore. Se non il ricordo”.
Teddy inizia a riacquistare il possesso della mano ferita. Non sente più il sangue, non sente segni di ferite, non sente nulla se non la pelle liscia, liscia come non è mai stata in diciotto anni.
“Vedi, credo sia di questo che tu abbia bisogno” constata la voce. “Hai bisogno di un po’ di Essenza di Dittamo”.
 
Se è vero che Teddy è la ferita da richiudere, Victoire è la sua Essenza di Dittamo.

 
  
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