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Autore: Erodiade    28/01/2014    11 recensioni
Albus Dumbledore è l’unico in grado di riconoscere il volto di Tom Riddle attraverso la maschera. È anche il primo ad indossarne una.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Albus Silente, Tom O. Riddle
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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Disclaimer: i personaggi di Harry Potter non mi appartengono.
Personaggi: Albus Dumbledore, Tom Marvolo Riddle
Genere: Introspettivo
Note: Missing moment | slash velato | cenni ad Albus/Gellert
Parole: 6.720 circa | One shot
Legenda dei nomi inglese/italiano: Dumbledore/Silente, Marvolo/Orvoloson, Morfin/Orfin, Slughorn/Lumacorno
N.d.A.: Studio di due personaggi a confronto, tra dissimulazione, antagonismo e involontaria fascinazione, con tutte le differenze e le somiglianze del caso.
 



 
MAESTRO D’INGANNI


 
Tutto ciò che è profondo ama la maschera, e le cose più profonde nutrono addirittura odio per ciò che è immagine e somiglianza.
~
Al di là del bene e del male, Friedrich Nietzsche


 
Un armadio in fiamme e uno sguardo ammonitore: quello l’ingresso di Tom Marvolo Riddle nel Mondo Magico. Dumbledore era stato il suo primo maestro di dissimulazione – lo pensò in seguito con tutto il sarcasmo che la parola ‘maestro’ potesse contenere. Divertente come una lezione morale si fosse rivelata una lezione immorale, perché da allora aveva fatto attenzione a celare una certa parte di sé, quel lato da cui altri, fragili e stolti, sarebbero stati terrorizzati. La paura non era ancora ciò che utilizzava per manovrare le persone; prima di Lord Voldemort, Tom Riddle si era basato sulla seduzione pura e semplice.

Seduzione è tante cose: un’aria umile e gentile, il gusto per il sapere, il fascino dell’intelligenza e le lodi misurate, pronunciate con un’onestà tanto fasulla da apparire autentica; è guardare l’interlocutore negli occhi con interesse, sapendo ascoltare e offrendo consigli, essere in grado di capirlo e ottenerne la fiducia. Seduzione non è l’aria altera e la pelle nivea di una Walburga Black, non c’entra con la bellezza, l’età, il Casato; è recitare, e a Tom riusciva bene comprendere gli altri senza che l’empatia gli rovinasse l’umore.

Difatti Riddle era completamente, meravigliosamente privo d’empatia.

Ciò che lo infastidiva di più al mondo era essere scoperto. Dumbledore lo aveva colto sul fatto, con il trucco dell’armadio, ed era molto irritato che uno sciocco episodio d’infanzia avesse avuto ripercussioni di tale portata. Il Vicepreside era l’unico dei professori ad osservarlo con occhi diversi, a trapassarlo di netto e a cogliere la brama che gli circolava nel sangue. Lo rendeva cauto, troppo cauto, e la sua recita diveniva all’improvviso forzata, come se il vecchio avesse il potere di accusarlo – eppure non l’aveva, nessuno poteva possederne neppure la presunzione; lui era un Gaunt per parte di madre, e un giorno si sarebbe rivelato al mondo come Lord Voldemort.

Tom si era sbarazzato del misero Babbano di cui portava il nome, quell’estate, e prima ancora aveva dato inizio al completamento della nobile opera del suo antenato aprendo la Camera dei Segreti, ma Dumbledore contro di lui non aveva prove, e nessuna prova significava nessun potere. Una tigre di carta.
Che ragione aveva, allora, d’irrigidirsi?

“Bell’anello, Tom.”
Un lampo di denti bianchi nella barba ramata, sorriso che non raggiunse l’azzurro delle iridi indagatrici.

“Grazie, signore.”
Il giovane non lo nascose; anzi, ne accarezzò la montatura con l’indice, replicando con un sorriso ancora più largo, affilato.

“Acquisito da poco?”

“L’ho dall’infanzia, mi appartiene.”
Sottolineò morbido l’ultimo termine. Tanto, qualsiasi cosa dicesse, il Vicepreside la considerava menzogna. Se richiesto, poteva raccontare fosse l’ultimo ricordo di sua madre; meglio però non tentare un azzardo del genere con quell’uomo senza che se ne presentasse la necessità.

“La pietra è… particolare. Posso vederlo?”

Esitò, l’impulso di ritrarre la mano contro il petto; poi il sorriso tornò al suo posto. “Certo.”

Se lo sfilò dall’anulare, porgendoglielo. Le dita di Dumbledore furono un contatto tiepido, delicato, che gli innervò brividi viscidi lungo la spina dorsale.
Non si era preoccupato di celare agli insegnanti l’anello dei Peverell, rubato a quel rifiuto umano di Morfin Gaunt. L’uomo era già stato accusato e arrestato, aveva confessato e i giornali non avevano sprecato che poche righe sull’omicidio di tre Babbani da parte di un pregiudicato con il vizio del whiskey. Riddle si riteneva completamente al sicuro, da quel punto di vista; nonostante tutto, rimase in tensione durante l’intera durata dell’esame.
Dumbledore non sembrava, però, intenzionato a rigirare il coltello nella piaga. Troppo discreto per infierire, troppo abile per ricorrere a mezzucci quali mettere sotto pressione l’avversario tramite un interrogatorio serrato. Preferiva far rimordere la coscienza a chi l’aveva e far contorcere dal dubbio il colpevole che farlo scappare senza ottenere nulla.

“Non ti facevo interessato agli oggetti preziosi” commentò, restituendogli l’anello con un guizzo della larga manica blu notte.

“M’interessano certe leghe metalliche forgiate dai goblin, alcune pietre degli elfi…”
Stava parlando troppo, lo sentiva. E sapeva che Dumbledore sapeva stesse mentendo: non gli importava nulla dei Senza Bacchetta e dei gingilli che creavano con la loro magia inferiore.

“… la storia” soggiunse il mago. “La storia dei cimeli antichi.”

Una pausa. “A volte” concesse Tom, interiormente turbato.

Si guardarono, il professore con quella luce arguta e un po’ cupa che aveva negli occhi quando l’osservava e il ragazzo esibendo nient’altro che lineamenti rilassati.
Alla fine il vecchio gli allungò un sorriso luminoso, quasi spiazzante.

“Ti auguro un buon sesto anno, Tom…”

Le pupille si puntarono su alcuni ragazzini che ridevano dirigendosi verso l’uscita e Riddle riebbe coscienza della Sala Grande gremita di alunni appena dopo il pranzo, dei Valpurga (1) che si erano fermati poco più in là ad aspettarlo e assistevano alla conversazione senza poterla udire. Si era agli inizi di settembre.

“… e spero che tu abbia trascorso bene la tua estate.”
Era tanto più fastidioso quanto più infondeva amabilità nelle sue frasette stucchevoli.

“Buon anno di scuola anche a lei” ribatté, più freddo di come avrebbe dovuto; notando che non si muoveva lo precedette, il gruppo di Slytherin che si affrettava a raggiungerlo.

Rosier gli scoccò un’occhiata interrogativa; Abraxas nascose l’interesse fingendo di sistemarsi la divisa già impeccabile; Alphard, che non era dei suoi, tenne lo sguardo ostinatamente in avanti, simulando disinteresse.

“Tarderemo a lezione se non ci muoviamo” concluse Orion Black con una scrollata di spalle, consapevole che, se non parlava per primo, non ne avrebbe parlato e basta.

Tom Riddle notò a malapena la curiosità generale; lo sguardo di Dumbledore gli bruciava ancora sulla nuca. Odiava dargli le spalle.


 
“Credo che Dumbledore è il solo di cui Tu-Sai-Chi avesse paura.” – HP & la Pietra Filosofale


 
Non ricordava d’aver mai provato invidia, non davvero. I primi anni a Hogwarts aveva sentito la rabbia riempirlo gelida di fronte alla noncuranza sprezzante degli Slytherin nei suoi confronti, ma non li aveva mai invidiati per la loro purezza, lui nel cui sangue scorreva l’eredità di Salazar in persona. Bastava davvero un cognome a fare un mago? Erano maghi coloro i quali si nascondevano dietro il prestigio del Casato e si fingevano ignari della decadenza che li affliggeva? Sangue puro sprecato per nutrire menti ottuse...
Adesso gli stessi Purosangue che gli avevano negato il saluto e rivolto sottili offese si piegavano davanti a lui, dimostrando quanto malleabili, avidi e deboli fossero. Facili pedine. La sfida vera stava in chi non accettava d’inchinarsi, in chi ancora, scioccamente, si considerava superiore a lui. C’erano, ma badavano di nasconderlo senza sfidarlo – lo chiamavano Mezzosangue alle spalle e temevano il suo ascendente e il suo potere. Codardi, dunque.

Pensava che l’invidia gli fosse estranea, tuttavia ogni percezione in Tom Riddle veniva distorta da una sensibilità ridotta rispetto alla media; era una caratteristica che lo rendeva incapace di paura, più lucido nelle situazioni di pericolo, più forte. Così, impiegò molto a dare un nome a ciò che avvertiva. Lo assaliva di scatto, una serpe che schizza verso la preda, un fremito sottocute, e solo quando Dumbledore tentava di rivolgergli la parola.

Dumbledore. Riddle lo disprezzava con ogni fibra di sé – i sorrisi ipocriti, gli occhi che luccicavano dietro le lenti a mezzaluna, le vesti sgargianti… L’intera maschera da nonno benevolo lo nauseava. D’altronde anche lui era impegnato ad indossare la propria: era ovvio che due giocatori si fossero riconosciuti a vicenda sin dal primo sguardo. Il fatto che lo detestasse, però, non significava che non provasse per lui una sorta di rancorosa, insinuante ammirazione. L’abilità con cui conduceva le sue mosse nascondendosi dietro il fare garbato, il suo potere…
La magia l’aveva sempre attratto in ogni forma, manifesta o latente. Dumbledore ne possedeva una talmente vasta che la sua aura pareva circondarlo come un campo magnetico, di solito placida, invisibile ai più, ma capace di diramarsi come elettricità in attimi della durata d’un battito cardiaco.

Riddle, a dispetto di quanto si potesse credere, sapeva riconoscere i propri limiti. All’epoca era consapevole di essere ancora un ragazzo senza M.A.G.O. con un percorso immenso davanti per arrivare al potere di Dumbledore e superarlo; sapeva di dover chinare il capo prima di potersi ergere su quella Hogwarts che gli spettava per diritto di sangue, su una società che stava andando in rovina. Per questo non poteva fare a meno d’invidiarlo un poco: ambiva a ciò che ancora non aveva.

E gli rimordeva che il professore non fosse nella sua rosa di adoratori: sarebbe stato un tale vantaggio poter apprendere dalla fonte; possedere il suo appoggio avrebbe incrementato il suo ascendente al castello, e averlo come mentore al posto di Slughorn gli avrebbe insegnato ben più di qualche pettegolezzo zuccherino tra un ananas candito e l’altro. Dumbledore era però destinato ad essergli solo maestro d’inganni.

Ogni mattina a colazione, ogni sera a cena si sentiva i suoi occhi addosso in cerca di qualcosa. Le posate divenivano più pesanti, i muscoli si tendevano all’erta con la sensazione d’essere un rettile afferrato per la coda e costretto in una cesta. Nessun allarme traspariva dalla sua espressione distesa mentre fingeva d’ascoltare i Valpurga che parlavano di sciocchezze alla luce del sole ma, raggiunto il bagno dei Prefetti, l’abbraccio bollente dell’acqua era l’unica cosa che riuscisse a rilassarlo, l’unica cosa capace di lavargli via il sottile strato di sudore gelido incollato alla schiena.

E, nelle volute di tepore che risalivano pigre dal fondale marmoreo, intravedeva uno sguardo pungente e un sorriso malinconico, quello che Dumbledore riservava solo a lui.


 
“Come ho già detto, avevo deciso di tenerlo d’occhio, e così feci. Non posso fingere di aver tratto molto dalla mia osservazione, all’inizio. Era molto prudente con me; sono sicuro che nell’emozione di scoprire la sua vera identità sentiva di essersi lasciato sfuggire troppe cose.” – HP & il Principe Mezzosangue


 
Albus percepiva fragrante il profumo dell’autunno, foglie rosse smangiucchiate che ammantavano il suolo e sole dorato al crepuscolo, tiepido sulla pelle. Il sabato era uno dei suoi giorni preferiti, secondo solo al lunedì, che rappresentava l’inizio di una nuova settimana. Se apprezzava gli inizi, amava anche i pochi pomeriggi liberi, soprattutto quando la luce galleggiava sull’acqua del lago in quel modo ipnotico e le risate degli studenti si libravano nell’aria come polline dolce. Si sentiva felice, una sensazione così colmante che gli veniva da canticchiare – e spesso davvero lo faceva, senza infastidire nessuno poiché suscitava simpatia nei piccoli e stima negli anziani. Aveva il sospetto che lo credessero un po’ tocco; d’altronde, ‘normale’ non era un’etichetta che gli piacesse… Doveva esser così noioso, comportarsi da persone normali!

Lo sguardo gli cadde da un Ravenclaw del quinto che lo salutò allegramente al losco gruppetto di Slytherin all’ombra del faggio. All’apparenza non esisteva nulla di losco in cinque ragazzi appoggiati con indolenza alla corteccia e immersi in conversazione, eppure il suo ginocchio prudeva sempre quando c’era di mezzo Tom Riddle – e una ferita da maledizione che riportava la piantina della metropolitana londinese non poteva sbagliare…
Orion Black giocava ad intrecciare steli d’erba mentre Abraxas Malfoy aveva steso un panno e si stava azzardando ad accomodarvisi con la sua divisa di sartoria senza sporcarla, il labbro superiore sporto in una smorfia caratteristica; Avery, invece, ridacchiava ad una battuta sussurrata a mezza voce da Ned Rosier. Tom Riddle, seppur al centro, pareva estraneo al quadro, concentrato sulle pagine di pergamena ruvida del tomo che stava sfogliando con calma; era tipico di lui stare nel mezzo della scena, essere circondato dall’attenzione altrui e risultarne comunque staccato, indifferente ai complimenti, ai bei voti, agli sguardi.

Albus seguiva da anni le mosse di quei giovani, Riddle in particolare, nel segreto tentativo di coglierli in fallo e nell’ardente speranza che fosse solo una paranoia personale. Non aveva mai trovato nulla – un’unica volta, in un’aula abbandonata, aveva raccolto i poveri resti di una creatura morta, forse torturata da un anatema illegale per esercizio o divertimento, ma nessun modo per risalire ai colpevoli. La povera Myrtle era spirata l’anno prima, un anello sospetto era comparso all’anulare di Tom, sfoggiante una pietra che gli aveva fatto trattenere il fiato, eppure le sue ipotesi rimanevano indimostrabili.

Si guardava bene dal riservare a Riddle un posto d’onore nella sua classe, badava a non elogiarlo come facevano purtroppo i suoi colleghi, nel timore d’incrementare un ego che credeva essere abbastanza montato di suo, tuttavia non poteva evitare di riconoscergli i suoi meriti e le sue E in Trasfigurazione, né di provare rabbia e rammarico nei confronti di tanto talento sprecato per inseguire scopi privi di giustizia.

Forse era l’età, forse erano i ricordi, ma gli dispiaceva talmente… Ed era così che, a volte, l’ebano dei capelli diveniva oro, le iridi d’inchiostro e le pupille vuote si screziavano del verde e dell’intelligenza viva di un altro giovane, uno che adesso non lo era più. La passione per la conoscenza riservava tali drammi a quei bambini prodigio che si credevano grandi! Le Arti Oscure sapevano essere insinuanti più di una notte d’amore, e ingannevoli come veli a celare un ghigno.
Albus si sentiva un codardo a guardare Tom Riddle cadere e a non tendergli la mano per la convinzione d’esser rifiutato; si sentiva un codardo ad ignorare le insistenti richieste di soccorso dalla Germania per timore del passato. Era un maestro nel fingere che nulla stesse accadendo a Hogwarts come lo era nel fingere che la Seconda Guerra Mondiale non lo riguardasse.

E se davvero Tom Riddle stava ricercando i Doni, se l’incisione su quell’anello non fosse stata un caso…

All’improvviso, udì un grido e uno schianto. Un ragazzino ruzzolò a terra pestando forte il naso mentre un giovane più grande gli ringhiava qualcosa, la bacchetta che spariva in fretta nella veste e una pila di volumi che crollava sul prato. Albus si avvicinò sollecito, inginocchiandosi accanto allo studente ferito e aprendo la bocca per togliere punti, ma una voce fredda intervenne più velocemente, secca come una frustata:

“Lestrange, cosa pensavi di fare? Dieci punti in meno.”

“Mi ha fatto cadere i libri!” protestò l’altro Slytherin avvampando oltraggiato.

Riddle lo fissava inflessibile, quasi arrabbiato; pareva più infastidito di Dumbledore stesso dal comportamento scorretto di uno studente della sua Casa davanti a tutti quei testimoni. La gara di sguardi non durò molto e Lestrange distolse presto il suo, puntandolo brevemente, curiosamente ai piedi del giovane prima di rizzare le spalle e Levitare i tomi, tornando per altro da dov’era venuto.
Albus si distrasse dall’alunno che stava soccorrendo abbastanza da cogliere l’occhiata fulminea di Riddle verso di lui. Forse, se fosse stato in presenza di un altro professore, si sarebbe degnato di chiedere all’alunno ferito come stesse, ma sapeva che Dumbledore non ci sarebbe cascato, così lo ignorò e guardò l’insegnante dall’alto in basso prima di voltarsi.

Albus si riscosse, rassicurando con un sorriso nonnesco l’Hufflepuff e mormorando un ‘Epismendo’ per il suo naso. “Uhm, forse sarà necessaria un po’ di pomata curativa dalla nostra brava infermiera,” gli disse facendolo alzare piano, “ma un naso rotto non è peggio di un  trauma cranico cadendo da una scopa.”

“Oh!” emise il ragazzino sorpreso, il rossore che moltiplicava le sue lentiggini. Difatti l’alunno, non poi così piccolo ma solo basso di statura, era stato Cercatore l’anno passato, e Dumbledore aveva un’ottima memoria per i nomi dei suoi studenti. “La ringrazio.”

“Andiamo. Caramella?”

Mentre il quindicenne accettava una Tutti Gusti +1 ignaro che fosse al cerume, gli parve di scorgere l’ombra di una smorfia sul viso impassibile di Riddle che lo sogguardava attorniato dai suoi accoliti.
Albus aveva notato che, se gli sorrideva nel modo giusto, le iridi di Tom s’infiammavano d’odio lasciando l’espressione immutata. Almeno non apparivano più come quelle di un morto.


 
“Sembrava educato, tranquillo e avido di sapere. Quasi tutti furono assai favorevolmente colpiti da lui.” – HP & il Principe Mezzosangue


 
Per Yule, Slughorn aveva addobbato l’ufficio di drappi viola scuro e fate danzanti, supportato da un’equipe che vedeva Walburga Black e Druella Rosier collaborare quasi come se andassero d’accordo e non fossero in costante competizione per accaparrarsi il partito migliore in vista del debut in società.
Tom sorseggiava del vino elfico da un pregiato calice di cristallo giocherellando col suo anello, il distintivo di Prefetto che brillava alle luci di quelle misere creature svolazzanti. Era accomodato su una sedia accanto all’insegnante, il brusio della festa un sottofondo sgradevole e la compagnia dell’uomo poco allettante anch’essa, pur se necessaria. Aveva atteso a lungo che facessero ala attorno a sé e a Slughorn o che questi la smettesse di chiamare a raccolta i suoi preziosi favoriti di altri tempi, e finalmente il professore pareva accontentarsi di lui e di un cosciotto di fagiano, sorridendo gioviale ad entrambi.

Il ragazzo si sporse con discrezione a versargli altro idromele, le labbra arricciate in un sorriso calcolato. “E così, mi diceva che il nipote di Bathilda Bagshot è proprio lui?” chiese piano, attento a non essere udito da qualcuno nei paraggi. Aveva imparato che il modo migliore per passare inosservato era proprio rimanere dove tutti potevano vederlo. Essere contemplati non è essere guardati davvero.

Era da settembre che si lisciava Slughorn meglio degli anni precedenti. Gli serviva riscuotere la massima approvazione da lui in vista di certe informazioni che avrebbe dovuto fornirgli in futuro, informazioni di un’importanza fondamentale, che doveva essere certo di poter ottenere.
Slughorn, povero ingenuo, cuoceva a fuoco lento. Oh, sapeva essere sveglio quando voleva, ma se si trattava dei suoi adorati e di Tom in particolare, diveniva immensamente stupido. I suoi piccoli occhi si posarono vispi sul sedicenne, il pancione che si tendeva contro i bottoni dorati e la faccia da luna piena rossa di sbronza.

“Ah, Tom, non dovrei dirtelo!” esclamò con l’immancabile occhiolino. “Non dovrei proprio, sono affari riservati della mia carissima amica storiografa…”

“Ma lei ha detto che la signora Bagshot non è più molto lucida,” replicò Riddle, “dunque, se anche me ne parlasse, garantendosi il mio totale riserbo, la suddetta non ne soffrirebbe… Lei sa che sono un tipo riservato.”

Eccome se lo era. Con tutte le volte che Slughorn gli aveva sfiorato il dorso della mano e osservato un po’ troppo fissamente la curva della gola, Tom avrebbe potuto accusarlo e fargli rassegnare le dimissioni. Pensava però che sarebbe stato più utile, in caso di necessità, usare l’arma del ricatto. Montare una calunnia sulla base di qualche sguardo sbavante lo avrebbe compromesso, danneggiandolo più di quanto potesse giovargli.

“Riservato e molto furbo!” ridacchiò il professore, allungando le unte dita a salsiccia e posandole sulla sua divisa inamidata. Disgustato, Tom dovette trattenersi per non scrollarsele di dosso con una fattura. “Ma d’altro canto è così che si fa! Dove si arriva senza un po’ di savoir-faire?” Quando era alticcio, Slughorn aveva la brutta abitudine di accostarsi al viso della gente, così da mandare una zaffata del suo alito dolciastro d’idromele…

Ributtante, pensò Riddle rabbrividendo. “Sono d’accordo, professore” annuì docile.

“Secondo la mia amica Bathilda, lui era venuto a trovarla anni fa, un’estate, si parla della metà del secolo scorso, e…” Diede in un gesto teatrale che quasi non gli rovesciò il bicchiere in grembo. “Sai chi abitava a Godric’s Hollow, proprio accanto a Bathilda?”

Il livello d’interesse di Tom per il pettegolezzo aumentò notevolmente. Aveva sperato di raccogliere informazioni di prima mano su Grindelwald, il cui operato era avvolto nel mistero, ma quello era molto meglio. “I Dumbledore.”

“Risposta pronta come al solito!” approvò Slughorn su di giri. Poi si calmò, rattristandosi nel modo scenico con cui si apprestava a trattare un argomento serio o drammatico. “Non era un bel periodo, per loro, proprio no… La sorellina malata, il fratello minore così strambo, e il nostro Vicepreside all’epoca era solo un ragazzo costretto dalla morte della madre a prendersi cura della famiglia…”

Tom sapeva poco di quella storia. Aveva cercato notizie riguardo al passato di Albus Dumbledore controllando maniacalmente i Profeta di quei mesi cruciali, ma ogni articolo riportava una versione diversa e sempre parziale dei motivi dell’incarcerazione del padre Percival e della scomparsa di Kendra, mentre la malattia di Ariana era lasciata nell’ombra.

“Dovette rinunciare a molte occasioni appena dopo i suoi M.A.G.O., e per uno come Albus dev’essere stato terribile.” L’uomo scosse il capo, afflitto. “E quando un giovane tedesco si presentò a casa della zia nello stesso villaggio in cui risiedeva, beh…”

Gli occhi dello Slytherin brillarono. Se avesse potuto, avrebbe esternato la gioia selvaggia che lo aveva invaso in quell’istante. Dumbledore, proprio il bianco, buon Dumbledore, lui del quale solo Tom sembrava in grado di notare il fare subdolo, quel Dumbledore che si nascondeva così bene… in combutta con Gellert Grindelwald. Non poi così immacolato, allora… Un ipocrita, proprio come aveva sempre pensato!

“In che rapporti erano?” incalzò, senza riuscire ad impedire ad un tono di comando di prendere il sopravvento. Chinò il capo e si contenne, aggiungendo un interrogativo ‘signore?’ di cortesia.

Ma Slughorn dovette intuire qualcosa nonostante il suo stato obnubilato, perché si arrestò sulle spine, riaccomodando sulla poltrona imbottita il suo grasso deretano. “Loro… si conobbero” fece vago. “Solo per poco, un’amicizia passeggera che non ha nulla a che vedere con il mio collega… con quello che il mio collega fa ora, insomma…”

Riddle non si diede per vinto; fece scorrere lo sguardo per l’intera sala e, assicuratosi che nessuno lo stesse guardando, si bagnò le labbra di sfuggita. Slughorn ebbe una specie di paralisi nel notare il gesto e deglutì, decidendo d’ingollare un altro po’ di alcool allo scopo di schiarirsi le idee.

“È sicuro che non fossero intimi?” insinuò Tom con lieve malizia.

Il professore divenne violaceo, strozzandosi col suo drink. Tossì sonoramente prima di spiegare: “A detta di Bathilda, in verità… secondo lei erano amici. Si vedevano sempre, passavano intere giornate insieme. E poi, di colpo, fine. Grindelwald che se ne va, Dumbledore che resta a piangere il corpo della sorella e Aberforth che lo coinvolge in una rissa al funerale. Tutto molto sinistro, non trovi?” Lo guardò spalancando gli occhietti, rendendosi conto in ritardo di quanto aveva rivelato. “Ma davvero, non è bene pensare male di un professore, né di un collega… No, non è affatto cosa da incoraggiare!” Alzò l’indice e lo scosse da una parte all’altra, solenne come il più retto dei membri del Wizengamot. “Adesso Albus Dumbledore è una persona rispettabile, ti pare valido diffamarlo a causa di due mesi della sua vita, per colpa di eventi che risalgono a molti anni fa?”

“Nient’affatto” assentì Tom rigoroso.

“I maghi migliori hanno sempre avuto una certa inclinazione per… Sono l’ambizione, la curiosità che si accompagnano al genio, e non c’è nulla di male se per un breve periodo…”

“Oh, concordo” mormorò deliziato. Forse il terreno era divenuto fertile prima di quanto credesse. “Non deve sentirsi a disagio per quel che mi ha rivelato… Sarò molto prudente, so che si fa per parlare…”

Slughorn parve consolarsi davanti al sorriso che gli offrì. “Sei proprio un ragazzo d’oro, Tom…”

E, mentre il professore gli stringeva il braccio con le iridi umide di lacrime commosse, Riddle si augurò che restasse in vita a dispetto della glicemia elevata, almeno finché non avesse terminato d’essergli utile.


 
“Dumbledore non mi ha mai apprezzato quanto gli altri insegnanti…” – HP & la Camera dei Segreti


 
Trascorso il Natale, Dumbledore li introdusse alla Trasfigurazione umana. Come dimostrazione, si esibì in cambi di colore ai capelli e in spettacolari mutamenti dei connotanti accompagnati da battute – ridicolaggini, valutò Tom, pur se degne di un Metamorfomagus. Lo preferiva quando avevano lezione senza Gryffindor di mezzo, perché con gli Slytherin soli tralasciava le frivolezze, concentrandosi sulla materia. Non era come avrebbe desiderato che gli fosse insegnata – avrebbe gradito un programma più vasto e avanzato, meno ripasso, ritmi serrati, qualcosa su misura che non lo costringesse ad adeguarsi alla lentezza dei più scarsi – ma non era neppure un percorso pessimo, doveva ammetterlo a malincuore.

Dumbledore favoriva l’impegno più del talento, incoraggiava il debole e abbassava la cresta all’astuto arrivista: Avery aveva provato ad alzarsi la media cercando d’ingraziarselo, ricavandone giusto una battuta ironica e un sorriso pietoso. Non che ostacolasse o fosse meno entusiasta dei successi dei bravi – eppure, davanti alle abilità di Tom rimaneva impassibile, anche quando scriveva una E sul registro lo faceva con sufficienza. Lo premiava con dei punti se doveva, ma a volte si era permesso di dargli meno di quanto meritasse, stizzendosi appena all’accorgersi che era solo un modo per vederlo migliorare ancora.

Riddle sapeva di non piacergli, sapeva quanto l’uomo fosse sospettoso riguardo la sua bravura, il livello di considerazione di cui era investito, i suoi modi dissimulatori e l’orgoglio; alla fine, erano le stesse caratteristiche che Tom detestava in lui. Tuttavia, per quanto l’odio fosse reciproco, per quanto non avesse bisogno di gente che lo elogiava, bramava un riconoscimento da parte sua. Perché Dumbledore non era l’allegro, cieco Slughorn, né un Valpurga pronto a vendersi l’anima per la sua approvazione, non era nemmeno uno di quei vili che gli sussurravano malignità alle spalle – era un mago potente e l’unico insegnante ad essere scaltro abbastanza da capire chi fosse Tom Marvolo Riddle.

Tom era nell’età in cui ancora sentiva il bisogno di un mentore. Presto si sarebbe liberato di quell’unica debolezza, quella fame di confrontarsi con qualcuno alla pari. D’altronde, lo scettro del Potere può appartenere ad un solo re, e Dumbledore vi aveva rinunciato voltando le spalle a Grindelwald e rifiutando di sconfiggerlo per conquistarsi il trono.
Albus Dumbledore, difensore dei Babbani e sostenitore della Magia Bianca, in compagnia di Gellert Grindelwald, l’ultimo, grande Mago Oscuro del secolo. L’idea continuava a divertirlo immensamente, dato il controsenso vivente che rappresentava, e adesso, quando guardava il professore, nuovo scherno si mescolava all’inchiostro delle iridi.

“Tom…” L’insegnante, intento ad esporre il corretto movimento della bacchetta per formulare l’incantesimo, dovette notare il modo strano in cui l’osservava. “Vuoi darci una dimostrazione pratica?”

Riddle acconsentì con un cenno del capo, puntando la bacchetta in mezzo alla fronte di un atterrito Nott, suo compagno di banco; un lieve gesto e le sopracciglia biondo grano divennero di un acceso rosso irlandese.

Dumbledore annuì. “Niente male,” giudicò, “ma la prossima volta segui. Non avevo chiesto una magia non verbale, per iniziare.” Si allontanò tra i banchi, lasciando Tom più infastidito di quanto avrebbe voluto.

Dargliela sempre vinta senza poter ribattere apertamente era quanto di più irritante potesse immaginare: comportava una sconfitta, per giunta sotto gli occhi di tutti. Alla fine dell’ora, a coronare quella che Riddle percepiva come un’umiliazione personale, l’insegnante lo fermò.

“Dopo pranzo, mi piacerebbe che ti recassi nel mio ufficio.”

Interdetto, Tom lo studiò da dietro le ciglia. “È per i compiti, professore?” chiese, consapevole che il motivo fosse diverso.

“No. È per il tuo futuro” rispose l’altro fissandolo intensamente.

Come poteva, quel vecchio, non rendersi conto di usare sempre le parole sbagliate per accattivarselo e quelle giuste per infuriarlo?


 
“È lontano il tempo in cui potevo spaventarti con un armadio incendiato e costringerti a fare ammenda per i tuoi crimini. Ma vorrei riuscirci ancora, Tom… vorrei riuscirci…” – HP & il Principe Mezzosangue

 

Tom Riddle si presentò da lui in perfetto orario, con la perfetta piega della sua divisa, la perfetta scriminatura a lato del capo e la perfetta espressione neutra che lo caratterizzava quando gli si rivolgeva. Occlumanzia, senza dubbio, e nessuna recita d’umiltà o di gaiezza con lui, solo il minimo indispensabile per non risultare maleducato.

Albus si chiedeva se fosse salutare per un ragazzo apparire talmente irreprensibile, soprattutto se dentro non lo era affatto. Lui a sedici anni aveva una buona condotta, ma si lasciava scappare del sarcasmo ai danni di qualche professore poco sveglio, oppure era solito divagare, smettere d’ascoltare di punto in bianco un discorso che lo annoiava e per di più sopravvalutarsi. Conscio adesso di quanto fosse pericoloso l’orgoglio, tentava la via della modestia.

Lo invitò con un gesto accogliente che fece ondeggiare le ampie maniche della veste color vinaccia. “Accomodati pure.”

Il ragazzo prese posto davanti alla scrivania con un ‘grazie’ mormorato, ignorando la bellissima fenice nella gabbia dorata e i delicati oggetti ronzanti nell’ufficio che, sebbene piccolo e stipato di cose, era ordinato e luminoso.

All’improvviso, Albus provò una certa ansia. Da dove iniziare? Come fare perché Riddle lo ascoltasse? “Non era mia intenzione farti venire per sottoporti ad un esame –”

“Mi piacerebbe sapere perché sono qui, se non per motivi inerenti a Trasfigurazione” fu interrotto in tono sostenuto, eppure Tom esibiva ancora l’espressione più pacata che esistesse.

“Per una gentile chiacchierata con un tuo insegnante…?” suggerì.

Riddle non sorrise: furono solo le sue labbra a distendersi e i suoi denti a scoprirsi.

Albus lo scrutò a fondo, indugiando sull’anulare che ostentava la Pietra incastonata nell’oro. “Armando mi ha riferito che ti piacerebbe insegnare, finiti gli studi.”

“È così.”

“Perché?”

Un sopracciglio inarcato brevemente. “Ho grande interesse verso la magia. Mi dicono inoltre che sono molto versato.”

“Credi di avere talento?”

Un’esitazione irritata e un lampo calcolatore nello sguardo. “Sì, signore.” Ammissione che suonava naturale, colma di quell’umiltà che nessuno dei due possedeva.

“Hai talento” replicò Dumbledore in forma di semplice constatazione.

Questo lo spiazzò un poco; era il primo complimento che gli avesse mai rivolto. Il Vicepreside sapeva di essere l’unico in grado di fargli quell’effetto. Domanda dopo domanda, la maschera dal sorriso freddo si era crepata sino a rivelare un viso altero e due occhi torbidi che parevano risucchiare la luce al loro interno.

“Immagino che non verrò assunto” commentò, e ad Albus parve di sentire un ‘per colpa sua’ aleggiare tra loro.

Percepì improvvisa una punta di divertimento. “Devi proprio detestarmi!” esclamò allegro, l’azzurro chiaro delle iridi che brillava.

Tom gli scoccò uno sguardo subdolo e guardingo, e lui lo rammentò da piccolo, al brefotrofio, quando era balzato in piedi accusandolo di volerlo internare in un manicomio ed intimandogli di dire la verità. Avvertì terribile il rimorso. Magari, se invece di dare le fiamme ad un armadio per il gusto d’impartirgli una lezione gli avesse accarezzato il capo e dato spiegazioni che potesse comprendere e accettare…

“L’anno scorso, se non erro,” proseguì il professore, “avevi espresso il desiderio di rimanere al castello per l’estate.”

Riddle inclinò appena il viso da un lato, senza che il sospetto sfumasse dai suoi lineamenti. “L’anno scorso era contrario al regolamento. Quest’anno non lo è più, forse?”

Oh, il sarcasmo. “Lo è. Ma esistono le eccezioni.” Albus rifletté per un attimo, e quando parlò lo fece calibrando al massimo le parole da dietro le dita intrecciate: “Ti prego di mettere da parte i pregiudizi che covi nei miei confronti e di rivolgerti a me con onestà; da parte mia farò lo stesso. Ebbene, no, non mi fido a consigliare ad Armando di darti una cattedra. Questo non perché io pensi che non saresti una scelta eccellente, Tom… Tu sai perché. È un motivo che ritengo valido. Un insegnante deve rappresentare un esempio etico, più ancora che essere un mago di cultura. Tuttavia, se dimostrassi che puoi divenire un buon maestro di arti magiche…”

“Detto da lei…” replicò Riddle, una goccia di dolce fiele nelle sillabe. “Lei, professore, che presume di sapere cosa penso e come agisco, che mi accusa da sempre senza nemmeno ipotizzare di starsi sbagliando… lei non è un modello così etico come vuole far credere.”

Ed eccolo, allora, il suo viso privo di maschere, la stessa intensità febbrile che aveva scorto sul suo volto di bambino, odio al posto dell’esaltazione. ‘Vuoi dare ascolto a me o ad un ignorante capraio? Albus, smettila di fingerti ciò che non sei e per una volta prova a volare. Sei un mago, il mago più brillante che conosca, e sembri non esserti mai sollevato da terra!’ rammentò di colpo – meno veleno, ma lo stesso rancore represso di chi desidera qualcosa ardentemente e non può averla, la stessa impazienza di chi si sfoga rivelando la propria indole nascosta.
Quanto conosceva quel giovane del suo passato?

“Ho commesso i miei sbagli, come tutti, ma dai miei sbagli ho imparato, come ahimé fanno in pochi.” Dumbledore sostenne il suo sguardo. “Se gli anni mi hanno insegnato qualcosa, è che non è mai troppo tardi per intraprendere la strada più difficile.”

“La strada più difficile” ripeté Tom atono, l’astio dissipatosi nell’indifferenza. “Mi sta offrendo una cattedra in cambio di trascorrere l’estate a Hogwarts?”

“Corretto.”

Una pausa. “Dov’è l’inganno?”

“Nessun inganno” garantì l’adulto con innocenza.

“Mi scusi se le sto sembrando scortese, ma mi lascia molto interdetto.” Uno scintillio negli occhi. “Lei risiede al castello, d’estate, giusto?”

Albus annuì, sulle labbra un sorriso arguto. E, con un filo di sorpresa, lo vide esitare, l’aria sottilmente spietata che scompariva pian piano. Stava pensando a ciò che avrebbe potuto imparare da lui? Dumbledore puntava a quello: l’ambizione del giovane in cambio di un po’ di tempo con lui, abbastanza da determinare la gravità del danno, da smuovergli una coscienza dentro. Si riteneva sveglio a sufficienza per capire quando mentiva e quando era sincero, dunque non temeva di essere raggirato; piuttosto, sarebbe stata un’impresa convincerlo, anche solo riuscirgli gradito… non impossibile, però: nulla lo era, tranne la vita eterna e i Cannoni di Chudley che vincevano il campionato.

“Questo si chiama ricatto” dichiarò Tom. Appariva quasi compiaciuto.

“Chiamalo come desideri.” La cosa, di fronte alla salvezza di un’anima, non gli sembrava della minima rilevanza. “Potremmo approfondire i tuoi studi, nel caso accettassi. Sono piuttosto ferrato nelle tecniche di duello.”

Ah, quello sì che gli interessava. Era come se Riddle si trattenesse a stento dal fremere. “Per quale motivo, professore?” chiese infine. “Che cosa ne otterrebbe? A parte osservazioni su uno studente che la insospettisce solo perché Slytherin e con l’ambizione nel sangue. O è proprio questo?”

Avrebbe potuto rispondergli qualsiasi cosa: che voleva aiutarlo, che voleva salvarlo, che nulla era perduto, ma sapeva che il ragazzo ne avrebbe riso. “Mi ricordi… una persona.”

Se non ci fosse stato lui, si sarebbe comportato diversamente con Tom? Avrebbe ancora avuto quel lampo buio nello sguardo vedendolo, o ne avrebbe ammirato le doti come tutti? Magari, se non avesse conosciuto Gellert Grindelwald, non avrebbe rivisto nella figura cupa e pallida del giovane una sagoma dorata e luminosa, e con meno preconcetti il loro rapporto avrebbe potuto essere diverso…

“Una persona a lei cara?” Espressioni come quelle somigliavano a scherni sulla sua lingua.

“L’amavo.”

La smorfia sarcastica di chi non capisce. “E le ha donato qualcosa, l’amore?”

“Mi ha distrutto. E poi mi ha ricostruito pezzo per pezzo. L’amore è l’unica forza generatrice e ricostitutrice della natura. Dalle ceneri la vita, come la fenice.” Levò la mano dicendolo, e Fawkes diede in un basso verso musicale.

“Molto… poetico.”

“Giuro che non ti tedierei con discorsi del genere per tutto il tempo.”

Silenzio. Nonostante la derisione velata per il riferimento ai sentimenti, Tom appariva ancora pervaso da un’intensa soddisfazione. “Lei di certo conosce il piacere di godere dei frutti dei propri sforzi” iniziò in tono argomentativo. “Impegnarsi per conseguire uno scopo e bearsi non solo del traguardo raggiunto, ma soprattutto della consapevolezza di averlo conquistato da soli, senza l’intervento di altri. Mi capirebbe dunque se le confessassi che mi sentirei più a mio agio se ciò che ottenessi fosse solo mio. Temo di non aver bisogno del suo aiuto per progredire negli studi, ma le sono grato per l’interesse dimostratomi.”

Albus s’incupì, l’azzurro chiaro degli occhi che perdeva la sua luce. “Sei… un ragazzo molto indipendente” ammise, lieve eufemismo di ciò che pensava.

“E preferisco continuare ad esserlo” sussurrò Riddle piegando il capo in una specie d’inchino, un sorriso felino che gli incurvava un angolo delle labbra.

Il professore lo guardò uscire sospirando. Ancora non lo sapeva, ma Tom sarebbe stato il più terribile dei suoi fallimenti.


 
“Allora non abbiamo nient’altro da dirci.”
“No, niente” replicò Dumbledore, e un’infinita tristezza gli pervase il volto.
– HP & il Principe Mezzosangue

 

Fu la prima e ultima volta che giocarono a carte scoperte, in tutta onestà, senza che si fronteggiassero con una bacchetta in pugno.
Era stato appagante venire paragonato a Gellert Grindelwald, il Mago Oscuro più potente del secolo, ma ancor più lo era stato declinare un’offerta di pace da parte dell’uomo che lo aveva rifiutato per primo. Il grande Albus Dumbledore era venuto per accoglierlo sotto la sua ala, e lui, Voldemort, lo aveva respinto! Si trattava di un piccolo ma inebriante trionfo.
Nessuno poteva permettersi di giudicarlo dall’alto di una qualche morale e poi cercare di manipolarlo. Nessuno.

Per Tom Riddle esistevano due categorie di persone: i mezzi e coloro che li usavano per giungere ai propri fini. Avrebbe potuto accettare l’offerta di Dumbledore e spremerlo sinché ne era in grado, ricavandone il massimo prima di sfuggirgli, ma avrebbe dovuto rinunciare alla propria autonomia, quella libertà di agire da solo che lo rendeva un fine e non un mezzo.
E Riddle, che aveva una sola morale – la sua – un solo obiettivo – il suo – una sola influenza – la propria, non intendeva essere condizionato in alcun modo dal quasi immacolato, ipocrita Albus Dumbledore. Per questo, solo per questo preferì tornare all’odioso brefotrofio e privarsi dell’unico maestro di magia che avrebbe mai desiderato avere.

Il successo lo compiacque poco meno della creazione del suo secondo Horcrux, una maledizione che lo sfibrava e gli provocava una sofferenza immensa, ma dolce.

Raggiunse la fine del settimo anno col massimo dei voti nei M.A.G.O. e il riconoscimento da parte della quasi totalità del corpo docenti e della popolazione studentesca. Al banchetto serale, la vittoria della Coppa delle Case fu il simbolo della sua affermazione personale; di sicuro i Valpurga lo guardavano come se fosse tutto merito suo – e loro.

La mattina della partenza si svegliò all’alba. Volle dileguarsi in solitudine per dare l’addio a Hogwarts e ai suoi arcani, quelli che solo lui conosceva; vi sarebbe tornato come Erede, un giorno, ma prevedeva di dover aspettare decenni prima di allora. Accarezzò le vesti di pietra del suo antenato nella Camera dei Segreti, contemplando gli smeraldi incastonati a guisa d’occhi nei serpenti scolpiti all’ingresso e respirando nella semioscurità smeraldina del luogo; vagò tra gli scaffali della Stanza degli Oggetti Nascosti, che conservava i segreti degli abitanti del castello attraverso le epoche e mutava forma a seconda di cosa lui desiderasse prima d’entrarvi; osservò con più attenzione ogni statua dietro la quale si celava un tunnel e contemplò gli abitanti dei quadri e le armature cigolanti con nuovo interesse, come se fosse la prima volta.

Pensò al se stesso di sette anni prima, ignorante e stupito di fronte all’ignoto; dunque a ciò che era ora, un giovane mago pieno di talento e ambizione; infine a ciò che sarebbe diventato, il Signore Oscuro più potente nei secoli dei secoli. Il suo passato, il suo presente, il suo futuro… Tutto nasceva da Hogwarts, continuava a Hogwarts – e a Hogwarts sarebbe finito, anche se non poteva prevederlo.

“Tom, già sveglio?”

La voce di Dumbledore lo colse alla sprovvista, portandolo ad irrigidirsi. Si voltò, seccato per l’interruzione: il professore indossava una veste di una disgustosa sfumatura borgogna con cappello coordinato e ricami in oro e, peggio ancora, esibiva il suo solito sorriso benevolo.

“Anche lei è sveglio.”

“Touché. Stavi ammirando Hogwarts per l’ultima volta?”

Quanto lo irritava che riuscisse sempre a smascherarlo… Al contempo, notò la sua espressione sognante mentre lasciava vagare lo sguardo azzurro per il corridoio e si sentì strano: quell’uomo amava il castello proprio come lui. Motivo in più per essere infastidito.

“Tutti amano questo luogo” continuò piano. “È come… casa.”

La verità in tale frase lo lasciò per un istante senza difese. Masticò l’idea di replicare con ironia sprezzante a tanta melensaggine, ma era il suo ultimo giorno, lo aspettavano grandi cose e poteva anche concedere ad Albus Dumbledore di aver ragione. “La è” assentì con una singolare eco nostalgica.
Il mago, giunto ormai al suo fianco, fece allora una cosa totalmente inaspettata: gli posò una mano sulla spalla. Fu un contatto leggero, tiepido, permeato dalla sua magia immensa, un potere che avviluppò Tom in una specie di bozzolo pacifico – almeno finché non se ne accorse e non oppose una ferrea resistenza mentale.

“Mi dispiace” gli disse Dumbledore venato di una malinconia lieve, e la presa aumentò un poco. Nel silenzio, il sole del mattino splendeva glorioso dalle alte finestre e conferiva alla barba fulva riflessi dorati.

Percepì una nuova ondata d’irritazione. “Non ne ha motivo, professore. Non amo essere compatito.” Tom pose le proprie dita sulle sue, sfiorandole, e lo sogguardò di lato beandosi della reazione: si era infatti vagamente impietrito. Dalla sorpresa, oppure…?

Il retto, immacolato Dumbledore, sogghignò tra sé.

La stretta si sciolse e l’insegnante si scostò. Sconfiggere Grindelwald l’aveva invecchiato, pensò Riddle, e lo aveva reso più sentimentale di quanto già non fosse, debole. Si sentì in vantaggio. Era da tempo che il distacco ostentato nei suoi confronti a lezione aveva smesso di convincerlo.

Dumbledore sospirò. “Se posso permettermi di darti un consiglio… Non commettere l’errore di crederti al centro del mondo, Tom. E prenditi cura di te.”

“Lo farò senza dubbio” gli assicurò, stringendogli la mano tesa con fare solenne, indignato per la compassione nella sua voce. “E la ringrazio per tutto ciò che mi ha insegnato in questi anni. È stato un valido maestro.”

L’ultima immagine che ebbe di lui fu di un uomo ormai anziano, le rughe attorno alle labbra e un sopracciglio inarcato. Camminando, avvertì il suo sguardo malinconico puntato sulla schiena e lo detestò ferocemente.
Forse, chissà, un giorno l’avrebbe affrontato e, al contrario di Gellert Grindelwald, l’avrebbe ucciso. Un piccolo brivido lo attraversò al pensiero di duellarvi, non seppe se d’eccitazione o di timore. Rammentò il tepore del suo palmo sulla spalla, la sensazione della sua magia che lo intossicava, e il desiderio di assalirlo divenne irresistibile.

Decisamente, liberarsi di lui sarebbe stato un sollievo.



 
(1) i Valpurga (per esteso, Cavalieri di Valpurga, Walpurgis Knights) sono i precursori scolastici dei Mangiamorte, o almeno così si usa tra le fanwriter. La Rowling aveva preso in considerazione il nome all’inizio, ma in seguito l'ha sostituito con 'Mangiamorte'.



 
   
 
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