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Autore: lady hawke    28/01/2014    1 recensioni
Sonia è alta e bionda, Lavinia ha i capelli rossi. Una corre in bici per il paese, l'altra gioca nella vecchia casa abbandonata. Una ha caldo, l'altra freddo. Entrambe sognano, sognano e sognano, e tutto ha un senso, nel loro mondo, finché non viene ora di aprire gli occhi, vedere il mondo reale e capire che qualcosa non va.
Genere: Introspettivo, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note: Storia nonsense, creata in pochissimo tempo grazie all’ispirazione di non so bene che musa. Siccome mi piace il sovrannaturale e l’introspezione, così come mi piace l’incrocio di personalità ho buttato giù questa brevissima shot, che spero possa piacere a qualcuno. Grazie alle Muse e ai loro pacchetti, e al supporto nelle drabblenight così come nella vita!
Pacchetto Dickens

 

 

 

Citazione: «I sogni sembrano reali finché ci siamo dentro. Solo quando ci svegliamo ci rendiamo conto che c'era qualcosa di strano», Inception.




Il problema si è posto quando non hai più capito chi diavolo eri. Cioè, lo sapevi, o almeno credevi di chiamarti Sonia, di essere alta e bionda. Sul colore degli occhi non avevi certezze, a quel punto della faccenda, ma ti piaceva il verde, e verde scegliesti. Se pensavi a te, pensavi a Sonia. Solo che poi, mentre camminavi nella vecchia villa Contabili, posto abbandonato da anni e che tutti frequentavano per pomiciare o tentare sfide di paura, ti venne in mente il nome Lavinia, e da quella volta non ti è più uscito dalla mente.
Lavinia, come avevi compreso guardandoti allo specchio dell’umido salone di villa Contabili, aveva i capelli rossi e gli occhi blu. Un rosso quasi arancione, per la verità. Lavinia vestiva sempre di verde, e siccome la cosa di piaceva, avevi accantonato Sonia senza tanti pensieri.
Il gioco era stato facile. Se eri dentro quella casa eri Lavinia, se eri fuori eri Sonia. Nessuno sembrava lamentarsi, e a tutti andava bene così.
Ti sei sentita un po’ matta, a dire il vero, ma il fatto che quando camminavi per quelle mura tu sentissi davvero tutta la dannata umidità dl mondo ti rassicurava del fatto che sì, era reale. Solitario, magari, ma reale. Solo Sonia aveva caldo, quando camminava nei prati al sole, quando inseguiva le anatre. Quando si faceva aria con la gonna, quasi sempre celeste.
Avevi scoperto che, a volte, passando davanti allo specchio correndo, eri entrambe.
Una volta sei uscita di casa di notte, da sola, senza gli amici, perché a villa Contabili sei sempre sola, e hai sempre la fortuna di non incontrare nessuno. C’è un vecchio piano tarlato e a volte lo suoni pur non sapendolo fare. C’è un letto pieno di muffa e tu ci salti sopra come fai con il tuo a casa. Ci sono mozziconi di candela che accendi per poi correre in giro dando l’idea che nella casa ci siano i fantasmi. C’è il salone delle feste dove ricordi di aver ballato non sai quando. C’è anche l’albero genealogico di famiglia, e alcuni nomi li hai già sentiti. Tutto semplice, perfetto.

Poi c’è stato il giorno in cui ti sei svegliata, e hai capito che non potevi essere sia l’una che l’altra. Il giorno in cui hai capito che effettivamente qualcosa che non andava c’era. Il giorno in cui, leggendo un libro della vecchia biblioteca, hai trovato l’annuncio del giornale che diceva che Lavinia Contabili era morta nel 1936 affogata nel lago di famiglia, e hai avuto freddo. E il giorno in cui sei passata in bici per le vie del paese e hai visto che Sonia Orsini stava giocando a pallone con gli amici prima di stramazzare al suolo perché, dissero poi, avevi un cuore un po’ troppo fragile.
E’ stato il giorno in cui hai gettato la bici e sei corsa al lago per vedere il tuo riflesso, ed eri Sonia, e poi sei corsa dentro alla villa, allo specchio, ed eri Lavinia. Ti sei tirata i capelli, per vedere se così cambiavano colore, ma non era successo niente.
“A volte va così, coi morti fanno un po’ di confusione.” La voce di una vecchia signora ti aveva scosso, e ti eri voltata sorpresa.
“In che senso?” avevi chiesto.
La signora aveva un bell’abito anni ’20, e doveva essere tornata da poco da una festa divertente.
“Non badano tanto ai morti, e a volte ci mischiano un po’. Due ragazzine morte nello stesso paese e più o meno alla stessa età, nell’arco di cinquant’anni… per loro è uguale. Mettono insieme i pezzi un po’ a caso.”
“Non credo di capire.” Avevi insistito.
“C’è un po’ di anarchia, nel mondo dei morti. Io non ho ancora capito se sono stata pugnalata o se sono morta di vecchiaia a cinquantasei o a settantanove anni, ma suppongo non faccia una gran differenza, non credi?”
Continuava a non avere molto senso, per Lavinia, e nemmeno per Sonia.
“Come si chiama, lei?”
“Ah, ragazzina, e il tuo nome lo sai?”
“Lo sapevo, un po’ di tempo fa. Adesso sono indecisa.”
“Succede a tutti.” La donna si avvicinò allo specchio e il suo riflesso sembrò più vecchio di lei, e il naso più aquilino. C’erano due donne, nella sconosciuta signora.
“Sembra di sognare.”
“Nei sogni tutto ha un senso, ragazzina. È da svegli che la magia sparisce e i nodi vengono al pettine.” La guardasti sistemarsi un po’, controllarsi le rughe, pettinarsi un capello.
“Prima non ho mai incontrato nessuno, però.”
“Oh, ma abbiamo tutti incontrato te e le tue candele lanciate in giro. Temevamo volessi dar fuoco a tutti quanti.”
“Mi dispiace.”
La signora ridacchiò. “Mi piace questa nuova versione di te. La ragazzina dai capelli rossi e basta era un po’ troppo lagnosa. Piangeva un sacco.”
“Lavinia?”
“I nomi non contano, qui. Ne abbiamo tutti troppi.” Insistette la vecchia, passando a sistemarsi la veste. “Fossi in te andrei all’aria aperta a prendere un po’ di sole. L’umidità non ti fa bene.”
“Ma farò altri incontri?” chiedesti a nome di Sonia, o forse Lavinia, un po’ tesa.
“E’ probabile.”
“E non avranno senso.”
“Vai fuori a giocare, ragazzina.”
Andasti fuori e ritrovasti la bici, e assieme a lei i tuoi amici. Amici che ora avevano volti diversi, voci diverse, e che sembravano conoscerti. Erano sconosciuti e noti, volti che non avevi mai visto ma che ti guardavano con fiducia, come capita nei sogni. Eri però sveglia, dovevi esserlo, perché ti sembrava strano e non normale. Viva o morta riprendesti a giocare, e smettesti di chiederti quale fosse il tuo nome, perché come aveva detto la signora, a nessuno importava granchè. Smettesti anche di guardarti riflessa nell’acqua o nello specchio e fu un peccato, perchè avresti visto ciocche bionde e un po’ rosse mescolate insieme, occhi un po’ verdi e un po’ blu. E chissà, forse l’avresti trovato strano, o forse l’avresti trovato normale, come capita a chi sogna.


 
  
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