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Autore: millyray    28/01/2014    0 recensioni
Connie torna a Londra dopo tanti anni e con sé porta dietro tanti ricordi spiacevoli, tante esperienze terrificanti che non sono mai state dimenticate, tanti sentimenti negativi, risvegliando un lato nella personalità di Sherlock che i suoi amici più intimi non hanno mai conosciuto.
Ma non solo questo... Connie è una ragazza speciale, sa il fatto suo, sa osservare ma soprattutto sa vedere quello che non c'è in superficie. Perché lei, a differenza di qualcun altro che ben conosce, è in grado di vedere col cuore.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: John Watson, Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO DUE

“Cosa?!” gridò John con voce quasi isterica, spostando freneticamente lo sguardo da Sherlock alla ragazza che aveva appena varcato la soglia del loro appartamento. La signora Hudson se ne stava ferma sull’uscio, immobile come una statua, ma il suo viso esprimeva tutta la perplessità che stava provando in quel momento.

Fratellino? Davvero l’aveva chiamato fratellino?

Il detective, invece, se ne stava in piedi, a poca distanza dalla sconosciuta e la fissava… semplicemente la fissava, con le labbra serrate e gli occhi chiari aperti e vigili. O la stava studiando oppure era immerso in qualche sua elucubrazione intensa.

“Be’, non mi fai accomodare?” chiese allora la ragazza che ricambiava lo sguardo del moro senza battere ciglio, per niente intimorita o confusa, come di solito capitava agli altri quando si vedevano osservare così da Sherlock Holmes.

John, allora, si schiarì la gola e decise di prendere in mano la situazione e fare il bravo padrone di casa, visto che il suo coinquilino non sembrava assolutamente intenzionato a farlo. Nonostante quello fosse affar suo, sicuramente affar suo.

“Ehm… sì, accomodati”, le disse, indicandole il divano appoggiato al muro e spostandosi per permetterle di passare. Lei obbedì ma non ringraziò, impassibile e imperturbabile. John, quando quella strana tipa gli passò accanto, si sentì quasi raggelare dal suo sguardo freddo e scrutatore. Eppure lei non gli rivolse altro che una rapida e breve occhiata, giusto il tempo per vederlo un attimo in volto.
Appoggiò la borsa a terra e si sedette dove le era stato detto di fare, rigida e dritta con la schiena.

Soltanto allora Sherlock parve reagire: si destò dallo stato catatonico nel quale sembrava essere caduto e si sedette sulla sedia dove di solito faceva accomodare i suoi clienti, di fronte al divano e di fronte alla ragazza. Ma non disse niente. Continuò a fissarla. E lei faceva altrettanto; si era sporta in avanti con i gomiti appoggiati alle ginocchia e il mento sorretto dal dorso delle mani.

“Oh be’, vado a fare un po’ di tè”, disse a quel punto la signora Hudson, interrompendo il silenzio. Nessuno le rispose né fece intendere di averla sentita, così lei si ritirò nella sua tana. Poi il silenzio calò di nuovo. John invece andò in cucina e si appoggiò col didietro al tavolo, osservando i due e chiedendosi che cosa mai quello strano scambio di sguardi poteva significare. Che stessero comunicando mentalmente? Ma questo era impossibile… o forse no. Dopotutto si trattava di Sherlock.
No, veramente non avrebbe saputo darsi una spiegazione, purtroppo lui non era così deduttivo.

Ma dopo cinque minuti in cui non si sentì volare nemmeno una mosca, il dottore ne ebbe abbastanza. “Oh, ma insomma! Avete intenzione di continuare così per tutta la notte?”

Le labbra della ragazza si piegarono in un sorriso, lo stesso sorriso che aveva mostrato quando aveva visto Sherlock. “Il tuo amico non è molto perspicace”.
Il moro ricambiò quel sorriso, nella stessa identica maniera. “No, però potrebbe sorprenderti”.
“Non ne dubito”.
E a quel punto entrambi scoppiarono a ridere. Solo un po’ e soltanto per un po’. Non si lasciarono andare a una risata troppo sguaiata né troppo solare, come se volessero mantenere un certo contegno, però c’era… c’era una strana complicità e forse persino qualcosa di molto… molto dolce. John lo notò o almeno credette di averlo notato, per questo non se la prese nonostante stessero ridendo di lui.

“Che ci fai qui, Connie?” chiese allora Sherlock, quando il silenzio fu calato di nuovo.

“Anche io sono felice di vederti”, fu la risposta dell’altra, le labbra piegate in una smorfia sghemba che chiaramente faceva intendere che stava nascondendo qualcosa.

“E’ da molto che non vieni a Londra”, commentò il moro.

“Più di dieci anni”, confermò la ragazza, in tono indifferente. “Ho perso il conto. O forse non l’ho mai tenuto”.

Il detective ridacchiò, abbassando lo sguardo. “Quando sei tornata?”

“Il mio aereo è atterrato un’ora fa. Ho preso il taxi e sono venuta subito qui”.

“Come hai fatto a trovarmi?”

“Ho i miei metodi”. Connie socchiuse gli occhi in un’espressione malevola, ma davanti al volto confuso e sbigottito di Sherlock, sospirò e spiegò: “Ho semplicemente cercato su Google. Sei famoso”.

“Ma insomma, Sherlock! Mi vorresti spiegare?” sbottò allora John, spazientito. Possibile che il suo dannato coinquilino si fosse dimenticato di lui?

Il detective scattò in piedi, pareva effettivamente ricordarsi del dottore soltanto in quel momento, e si affiancò a lui che lo aveva raggiunto in salotto. “Connie, lui è John. John, lei è mia sorella Connie”.

“Molto piacere, John”, disse lei in tono gentile, ma senza alzarsi dal divano o porgergli la mano. Lui restò a guadarla sbigottito, come se vedesse un fantasma. “Tua… sorella?”

Sherlock lo guardò come se tutto d’un colpo si fosse rimbambito: “Sorella è il termine che indica una persona di sesso femminile…”

“So cosa diavolo è una sorella, Sherlock!” lo interruppe il dottore spazientito. A volte si chiedeva se lo stesse semplicemente prendendo in giro o se veramente il suo cervello, così intelligente e così perspicace, non riuscisse a capire certe cose elementari. “Non mi hai mai detto di avere una sorella!”

“Come? Non hai detto al tuo fidanzato di me, Sherly?”

Sherlock ormai si sentiva messo alle strette, ma non capiva il reale motivo di tutti quei sconvolgimenti. John, d’altro canto, era troppo… oh, non sapeva nemmeno lui cos’era, ma sicuramente era qualcosa di molto forte visto che non si accorse che la sorella di Sherlock lo aveva scambiato per il suo fidanzato.

Il detective era ammutolito di nuovo e certamente non era una cosa che capitava tutti i giorni, che il grande Sherlock Holmes rimanesse senza parole per ben due volte nella stessa ora.

“Be’, poco male, direi”, concluse alla fine Connie, ma parve rassegnata. “Devo chiederti un favore”, aggiunse, riportando gli occhi sul moro.

In quel momento, però, vennero interrotti dalla signora Hudson che portava un vassoio carico di tazze di tè. “Vi ho portato qualcosa da bere”.

Connie sorrise e un velo di malinconia parve attraversare i suoi occhi verde acqua, veloce come un fulmine. “Tè. Avevo scordato queste confortevoli tradizioni inglesi”.

“Oh, allora serviti, cara”, la invitò l’anziana proprietaria del 221B con un sorriso cortese.

“Grazie mille, signora…”.

“Hudson! Sono la proprietaria di questo appartamento”.

“Oh, è molto carino. Comunque, io sono Connie, la sorella di Sherlock”.

“E’ un piacere conoscerti, cara”.

“Anche per me”.

Aveva un sorriso radioso quella ragazza, pensò John, un sorriso dolce e tenero e tutto quello che aveva visto prima in lei, il velo di malinconia, il gelo negli occhi, non sembravano nemmeno appartenerle.
Era una tipa… particolare, sì. Questo era certo. Be’, dopotutto era la sorella di Sherlock. Di Sherlock e quindi anche di Mycroft. Strano che nemmeno lui l’avesse mai nominata. Ciò significava che rappresentava qualcosa di significativo per i due fratelli Holmes.

“Che cosa mi dovevi chiedere?” chiese a quel punto il detective, tornando sul punto della situazione. La ragazza, seduta a bere il suo tè al tavolo della cucina, sembrò riscuotersi improvvisamente da un sogno. “Sì, giusto”, iniziò e il suo tono questa volta era molto più indeciso. “Vorrei che mi ospitassi per qualche giorno, giusto il tempo di sistemarmi”.

Il detective restò a guardare per qualche attimo, come se stesse cercando di assimilare le sue parole.

“Mi andrà bene anche il divano”, aggiunse lei a mo’ di supplica.

“Ok”, rispose semplicemente lui, senza alcuna espressione. “John ti darà delle coperte”.

John, chiamato in causa, si voltò verso di lui e lo guardò perplesso. “Cosa? Sherlock!” Cercò di aggiungere qualcos’altro, tipo che non era gentile far dormire sua sorella su un divano scomodo, primo perché era una donna e secondo perché era l’ospite, ma non fece in tempo visto che quello se ne sparì con uno svolazzo del suo lungo cappotto.
Il dottore riportò lo sguardo sulle due donne con un sospiro.

“Ti va del tè, caro?” chiese la signora Hudson.

 

Il mattino dopo John entrò in cucina come suo solito e per poco non saltò contro il soffitto nel trovarsi di fronte una donna seduta al loro tavolo.
Ah, giusto! Connie… se n’era quasi scordato.

“Buongiorno”, la salutò trascinandosi ai fornelli.

“’Giorno”, ricambiò lei senza guardarlo, troppo impegnata a mettersi lo smalto sulle unghie. Il dottore si preparò la colazione e si voltò a osservare la ragazza; l’altra sera non aveva avuto modo di vederla bene, dato che indossava il cappotto, ma ora poteva notare che aveva un fisico snello e atletico. Sicuramente si teneva in forma. Il seno non era molto grande però era ben fatto, così come i fianchi e le gambe lunghe. Il volto pallido, poi, aveva degli zigomi piuttosto pronunciati, ma non le stavano male, e su di esso spiccavano due occhi identici a quelli di Sherlock. Tutto in lei ricordava Sherlock e John avrebbe potuto scommettere che anche i suoi capelli, ora raccolti in uno chignon in cima alla testa, avevano gli stessi boccoli del fratello. Somigliava a lui più di quanto Sherlock non somigliasse a Mycroft. Ed era molto bella.
C’erano solo un paio di cose che la differenziavano dal detective: le braccia piene di tatuaggi – John non avrebbe proprio saputo dire quanti e quali tipi di animali e creature mitologiche ci fossero disegnate – e il piercing sul naso. Il che faceva dedurre che era una persona differente da Sherlock. Sorrise tra sé e sé per questa deduzione; abitare col consulente detective migliore del mondo portava anche i suoi frutti.

“Lo sai che non è gentile fissare la gente?” La sua voce gli raggiunse le orecchie come una stilettata e per poco non si strozzò con il tè. “S – scusa”.

“Non ti preoccupare. Mi piace quando la gente mi fissa”. Connie non aveva ancora tolto gli occhi dalle sue unghie che ora stava accuratamente passando con la lima; sembrava che fosse un’operazione di vitale importanza. “Dai, fammi compagnia”, gli disse poi, indicandogli la sedia di fronte a sé.

John obbedì senza protestare, portandosi dietro la sua tazza di tè. “Vuoi del tè?”

“Oh no, grazie. Stanotte mi sono alzata due volte per pisciare”. Soffiò sulle unghie per spazzare via la polvere e dispiegò le dita di fronte a sé per ammirare il proprio capolavoro. Aveva fatto un bel lavoro, ammise John tra sé e sé, e ci aveva disegnato dei ghirigori piuttosto elaborati. Infine portò lo sguardo su di lui e rimase a scrutarlo per qualche secondo. “Scusa, mi potresti ripetere il tuo nome?”

Ecco, quella domanda non se l’aspettava. Tuttavia il dottore rispose, anche se con voce un po’ roca: “John, John Watson”.

“Bene, John Watson. Scusa, ma non sono brava a ricordarmi i nomi comuni”.

“Anche Connie è un nome comune”, le fece notare l’uomo.

“Sì, ma Connie sta per Constance”.

Be’, certo: Mycroft, Sherlock e Constance. I loro genitori dovevano essersi sbizzarriti nella scelta dei nomi.

“E’ un bel nome, Constance”.

“A me non piace”. La ragazza sembro notare un piccolo dettaglio sull’unghia dell’indice che non le piaceva perché aprì di nuovo la boccetta dello smalto e intinse il pennello.

“E sei più piccola di Sherlock, Connie?”

“Sì, ma solo di un paio di anni”.

John non l’avrebbe mai detto, sembrava molto più giovane.  Ma dopotutto, nemmeno Sherlock mostrava più di quei trent’anni che aveva.

“E tu che lavoro fai, John?” chiese lei a quel punto, guardando il dottore di sottecchi.

“Sono un medico”.

“Capisco. Be’, certo, mio fratello sa scegliere bene”, commentò, ma sembrò parlare più a sé stessa che non a lui. “E da quanto tempo state insieme?”

L’uomo la guardò confuso. “Come, scusa?”

Lei sospirò quasi esasperata. “Da quanto tu e Sherlock state insieme?”

“Io e lui non… non stiamo insieme. Viviamo insieme, ma siamo solo amici”.

“Oh, quindi, non fate sesso?”

Decisamente quella era la sorella di Sherlock, nessuno poteva averla scambiata nella culla. Fare domande di quel genere senza provare il minimo imbarazzo doveva essere un vizio di famiglia.

“No”.

“Ah, peccato”.

John ora avrebbe voluto chiederle che cosa intendeva con quell’ultima esclamazione, ma preferì tenere la bocca chiusa e lanciarle un’occhiata indagatrice senza che lei se ne accorgesse. A Sherlock di solito non faceva mai troppe domande e cercava di non indagare mai sulle sue elucubrazioni, perciò con Connie doveva essere lo stesso.
Avrebbe però voluto restare a chiacchierare con lei ancora per un po’ e magari farle domande sul fratello, ma era tardi e lui doveva andare al lavoro.

 

Quando John abbandonò l’appartamento e lei rimase da sola – Sherlock se n’era andato prima che lei si alzasse e lo aveva sentito benissimo che si defilava fuori dalla porta – Connie si abbandonò contro la sedia e tirò un sospiro. Sentiva una strana pesantezza all’altezza dello stomaco e non era affatto dovuto a qualcosa che aveva mangiato, ne era certa.
Non si era aspettata quel benvenuto da parte del fratello, si era aspettata piuttosto… a dire la verità non sapeva nemmeno lei che cosa si fosse aspettata. Di certo no baci e abbracci, non era da Sherlock, certo, però… non si aspettava nemmeno quella freddezza. No, decisamente no. Dopo tutti quegli anni che non si vedevano, poi. Se la sarebbe aspettata di più da parte di Mycroft, lo doveva confessare, con lui il rapporto è sempre stato un po’ teso, ma con Sherlock…

Sentì le sue viscere e il suo stomaco agitarsi dentro di lei e fu costretta ad alzarsi di scatto e a correre in bagno per vomitare nella tazza del water quel poco che aveva mangiato a colazione.

Connie, sei una stupida, si disse.

 

 

MILLY’S SPACE

Di solito non sono così veloce ad aggiornare, però visto che ora ho un po’ di tempo ho deciso di concederlo un po’ a questa fanfiction a cui tengo molto.
Qui si scopre qualcosa di più su questa Connie, spero che come personaggio vi piaccia. Ovviamente lei appartiene a me, tutti gli altri invece sono di quel genio di Arthur Conan Doyle : )
Volevo specificare una cosa che l’altra volta mi sono dimenticata: questa storia è ambientata dopo la seconda stagione, però non tiene conto di quello che è successo nella terza.

Ecco, penso sia tutto. Presto posterò delle foto di Connie sulla mia pagina facebook, così vi fate un’idea di come dovrebbe essere ; ) perciò venitemi a trovare anche lì.

Un bacione grande grande e notte a tutti.

Milly.

ERULE: grazie per la recensione, sono contenta che il primo capitolo ti sia piaciuto. Spero continuerai a seguire. Un bacione, M.

  
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