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Autore: millyray    29/01/2014    1 recensioni
Connie torna a Londra dopo tanti anni e con sé porta dietro tanti ricordi spiacevoli, tante esperienze terrificanti che non sono mai state dimenticate, tanti sentimenti negativi, risvegliando un lato nella personalità di Sherlock che i suoi amici più intimi non hanno mai conosciuto.
Ma non solo questo... Connie è una ragazza speciale, sa il fatto suo, sa osservare ma soprattutto sa vedere quello che non c'è in superficie. Perché lei, a differenza di qualcun altro che ben conosce, è in grado di vedere col cuore.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: John Watson, Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO TRE

 Mycroft guardò il fratello con un'espressione impassibile e imperturbabile, eppure dal suo volto traspariva tutta la sorpresa che stava provando in quel momento; sorpresa mista a un certo scetticismo.

 "Tornata? Come tornata?"

 Sherlock sospirò; ma perché la gente faceva domande stupide?

 "È tornata", ripeté infine, puntando gli occhi sul bordo della scrivania del fratello.

"Ne sai il motivo?"

Il consulente detective rialzo lo sguardo sull'uomo che aveva di fronte e con un semplice sguardo cercò di comunicargli quello che pensava. Com'era abbastanza prevedibile Mycroft non recepì il messaggio.

"Non lo so".

 Il maggiore alzò gli occhi al cielo e, anche se fu un gesto impercettibile, Sherlock se ne accorse ma non disse nulla.

"Non glielo hai chiesto?"

"Certo che no", rispose come fosse la cosa più ovvia del mondo ma dallo sguardo del fratello capi che per lui non era cosi. Perciò aggiunse: "Nostra sorella è appena tornata a Londra dopo ben dieci anni. Scusami se non le ho fatto il terzo grado".

Il terzo grado? Da quando Sherlock si preoccupava di fare il terzo grado a qualcuno? Pensò Mycroft. Questo non era mai stato un problema per lui.

"Be' io te l'ho detto", concluse il detective alzandosi in piedi. Non vedeva l'ora di uscire da quel posto. "Ora posso andare".

Il fratello decise che era inutile insistere. "E con il caso come procede?"

Il più giovane attese un attimo prima di rispondere. "Ci sto lavorando". Raggiunse la porta in poche rapide falcate e vide il fratello muoversi per raggiungerlo. Ma Sherlock lo blocco lì dov'era: "Conosco la strada".

Quando il fratello abbandonò il suo ufficio, Mycroft si accascio sulla sua sedia girevole e si passò le mani sul viso con aria stanca. Nonostante non avesse fatto niente quella mattina si sentiva spossato. E come se non bastasse aveva una bruttissima sensazione.  Già il fatto che Sherlock fosse venuto a trovarlo era di per sé strano visto che non lo faceva mai e ora veniva pure a sapere che Connie era tornata a Londra. Non sarebbe venuto fuori nulla di buono, ne era certo.

Doveva saperne di più.

 

John salutò i due simpaticissimi vecchietti che avevano occupato il suo studio per quasi un’ora e tirò un sospiro di sollievo. Aveva seriamente temuto che non se ne sarebbero più andati; il signore aveva dei normalissimi problemi alla prostata, ma sua moglie non aveva fatto altro che tartassarlo di domande, dubbi e preoccupazioni, mettendo quasi in dubbio la sua carriera di medico militare. Detestava quel tipo di persone, erano così asfissianti e… noiosi. Sì, noiosi era la parola giusta. Oddio, si stava Sherlockizzando!

Aveva bisogno di un caffè, uno forte.
Uscì dal suo ufficio, salutò Sarah e raggiunse la macchinetta  nella salta d’attesa. Per fortuna non c’era nessuno, così non gli toccò nemmeno fare la fila.
Inserì le monete nella fessura e schiacciò un paio di numeri, poi aspettò che il suo caffè si preparasse.
Finché aspettava, la sua mente cominciò a vagare per conto suo, destreggiandosi tra i vari pensieri incasinati che lo stavano assillando dalla sera precedente e il tutto chiaramente riguardava Sherlock… Sherlock e Connie a voler essere precisi. Perché il detective non gli aveva parlato di sua sorella, perché non gliel’aveva nemmeno accennata? Invece, come al solito, era venuto a scoprirlo così, come se si trattasse semplicemente del suo piatto preferito.
Doveva confessarlo, si era sentito ferito, molto. Sapeva che c’erano molte cose che Sherlock non gli aveva detto del suo passato e John lo rispettava, davvero, capiva benissimo che alcune cose potevano risvegliare in lui sofferenze e ricordi spiacevoli, però pensava che avesse iniziato a fidarsi e che le cose importanti, come l’avere una sorella, si potessero anche raccontare. E la cosa peggiore era che sicuramente era l’unico a non averlo mai saputo. Era un po’ come quando non gli aveva detto di essere vivo, mentre c’erano almeno una trentina di persone che lo sapevano. No, anzi, questa volta era peggio perché almeno, nell’altra occasione, l’aveva fatto per un motivo valido, o comunque un motivo che poteva accettare. Ma adesso…

La macchinetta emise un suono lungo indicandogli che il suo caffè era pronto.
Meglio se si rimetteva al lavoro o sarebbe veramente andato fuori di testa.

 

Quando Mycroft salì nell’appartamento di John e Sherlock, rimase piuttosto sbigottito di fronte a quello che si trovò davanti: Connie, in pantaloni di pigiama e reggiseno, si dimenava per tutta la stanza, cantando a squarciagola una canzone che lui non conosceva. Ma anche se l’avesse già sentita, di certo non l’avrebbe riconosciuta; la ragazza non era propriamente intonata. Anzi, sembrava più il gracchiare di un corvo. Tuttavia non tentò di fermarla, ma rimase sulla soglia a guardarla.

Quando lei si girò verso la porta e lo vide lì, si bloccò di colpo, nella posizione in cui era, piuttosto scomoda e ridicola, e si tolse immediatamente le cuffie dell’i-pod dalle orecchie.

“Myky!” esclamò Connie, sorpresa di trovarlo lì.
“Constance”, salutò lui con voce inespressiva. Continuava a fissarla però, come se avesse di fronte una pazza scappata dal manicomio.

Lei sospirò: “Uff, lo sai che odio il mio nome”.

“Però ti chiami così”.

“Sei noioso”.

La ragazza poggiò sul tavolo del salotto il suo i-pod e andò in cucina a prendersi da bere. Mycroft la seguì, rimanendole comunque a debita distanza, quasi la temesse. Oppure era solo la solita reazione esagerata che assumeva quando si trovava con qualcuno che non conosceva.

“Come mai sei qui, Connie?”
Lei svuotò il bicchiere e lo poggiò sul tavolo, non curandosi di non farlo sbattere. “Anche io sono contenta di vederti, fratellone”.

Ecco, non era cambiata affatto; aveva ancora quel fastidioso e snervante modo di cambiare argomento quando quello di cui si stava parlando non le piaceva.
“Sono serio”.
“Anche io lo sono!” Questa volta la ragazza gli aveva puntato addosso i suoi occhi chiari, sostenendo il suo sguardo, orgogliosa e prepotente. “Dico solo che potresti mostrare almeno un minimo di contentezza nel vedermi. Sono tua sorella”.

Mycroft sospirò e distolse per un attimo lo sguardo. “Hai ragione. Sono contento di vederti”.

Lei si morse il labbro inferiore e ritornò in salotto, buttandosi sulla poltrona di Sherlock. “Lo so che non è vero, ma farò finta di crederci”.

Rimasero in silenzio per un po’, Connie a osservare il fratello con fare indifferente e lui a guardarsi attorno per evitare il suo sguardo.

“Allora mi dici come mai sei qui?”

La ragazza sbuffò gonfiando le guance e si sedette a gambe incrociate. “Non posso semplicemente venire a trovare la mia famiglia”.

Lui le lanciò un’occhiataccia come per dirle che non ci cascava.

“Perché pensi che debba avere altri scopi?”

“Perché tu li hai sempre”.

“Hai così poca stima di me?” L’espressione ferita della sorella gli parve sincera e l’uomo si sentì leggermente in colpa per averla trattata così. Si sedette sulla poltrona di fronte a lei e cercò di sorriderle teneramente, ma lui non era in grado di sorridere teneramente, anzi, non era proprio in grado di sorridere, perciò quello che ne uscì fu una cosa piuttosto inquietante. Ma Connie decise di non farci caso e apprezzò il gesto. “Sei invecchiato, Mycroft”, notò.

“Anche tu”, le rispose. Però non era vero; il tempo non sembrava averla segnata e non aveva nessuna ruga in volto. Era rimasta bella ed esuberante come la ricordava. Era rimasta uguale in tutto, forse.

 

Quando John quella sera tornò a casa, trovò Connie dalla signora Hudson; le due donne sedevano al tavolo rotondo davanti a una tazza di tè per ciascuna e sembravano divertirsi molto per qualcosa, a giudicare dalle risate che si sentivano persino nell’ingresso.

“Oh, ciao, John!” lo salutò l’anziana donna, rivolgendogli un largo sorriso. “Vuoi unirti a noi?”

Lui le guardò dalla soglia della porta, inarcando le sopracciglia.

“Connie mi stava raccontando di quando lei e Sherlock erano bambini”, spiegò la signora Hudson intuendo la sua muta domanda.

“Davvero?” chiese lui interessato.
“Sì. Sapevi che Sherlock ha tentato di rubare le mele dall’albero del vicino e quello lo aveva seguito brandendo un bastone per tutto il vicinato?” fece la donna, emozionata come una bimba il giorno di natale. Adorava sentire quelle storie.

“Sherlock diceva che voleva fare un esperimento”, aggiunse Connie. “Ma quell’uomo era matto, tutti i bambini ne avevano paura e persino qualche adulto”.

John avrebbe ascoltato volentieri quelle storie, ma si sentiva piuttosto stanco e voleva solo farsi una doccia rilassante. Perciò salutò le due donne e andò al piano di sopra, dove trovò Sherlock intento a qualche esperimento in cucina.

“Ciao, Sherlock”, lo salutò buttando la giacca sulla poltrona. Il detective gli rispose con un debole mugugno, troppo concentrato sul suo lavoro.

“Vado a fare la doccia”, lo informò il dottore dirigendosi in bagno.

“John!” lo chiamò l’altro, puntandogli gli occhi sulla schiena. “Le hai comprate tu le caramelle Kitsy?”

“Sì”.

“Perché?”

John lo osservò perplesso non capendo il motivo di quella domanda. “Perché so che ti piacciono”.

“Ah, ok”, rispose semplicemente il moro, tornando poi sulle sue boccette da chimico e l’altro capì che l’interrogatorio era finito. Mah, Sherlock era proprio strano. E lui si era persino scordato di aver comprato quelle caramelle.

John finalmente poté entrare nella doccia e lasciar scorrere l’acqua sul proprio corpo, cercando di liberare la testa da ogni pensiero. Era da un po’ che lui e Sherlock non si trovavano immischiati in qualche caso e cominciava a pesargli tutta quella monotonia. Be’, eccetto per Connie.

Ad un tratto sentì la porta del bagno aprirsi e vide qualcuno entrare. Per un attimo temette che fosse Connie, ma poi riconobbe, attraverso il vetro opaco della tenda, la siluette e la statura alta del suo coinquilino e si rilassò. Ma in ogni caso era coperto e di certo nessuno avrebbe potuto vederlo dall’altra parte.

Sherlock, silenziosamente, si chinò per prendere qualcosa da sotto il lavello e rimase lì per un po’, cercando di trovare quello che gli serviva.
E allora, senza che lui riuscisse in qualche modo a fermarla, la mente del dottore iniziò ad andarsene per conto suo, spogliando il detective con lo sguardo, immaginandolo nudo sotto la doccia. Magari insieme a lui.

Ma che gli saltava in testa?

Sherlock finalmente uscì dal bagno e John tirò un sospiro di sollievo. Ormai però il guaio era fatto e il suo amichetto lì sotto ne era la prova.

 

 

MILLY’S SPACE

 

Wow! Non l’avrei mai detto ma sono riuscita ad aggiornare di nuovo ^^ due sere di fila. È che questa fanfiction mi ispira proprio e spero ispiri anche voi. Lo so che ora è un po’ troppo tranquilla e che non succede nulla ma non preoccupatevi, presto ci saranno delle succulente novità.

Intanto, ditemi cosa ne pensate, se vi piace o se secondo voi dovrei rinunciare.

E fatemi una visita anche sulla mia pagina face: (https://www.facebook.com/MillysSpace)

 

Bacioni, M.

  
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