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Autore: lady hawke    31/01/2014    1 recensioni
Nell'Ungheria del 1300 essere una strega o un mago non è impossibile, ma decisamente complicato. Bisogna nascondersi, fingere di non avere niente a che fare con pratiche considerate demoniace e bisogna farla franca davanti ad Inquisitori e ministri di Dio. Di uno Statuto di Segretezza si continua a parlare, ma niente è stato deciso. In questo clima è cresciuta una bambina che, da adulta, verrà ricordata come Guendalina la Guercia, colei che finì sul rogo ben trentasette volte.
Genere: Avventura, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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Note: Dopo una lunghissima assenza ritorno FINALMENTE a pubblicare. Che mi era successo? Persa nella vita, più che altro. Viaggi, impegni, un nuovo lavoro, mancanza di ispirazione. La povera Guendalina ci ha perso, perso e perso, ma siccome detesto lasciar perdere i progetti a cui tengo ho stretto i denti e alla fine eccomi qua. Spero di non ricevere forconi in risposta. 
Con vergogna e sincero affetto,
Lady.

Capitolo ventitre: brezze estive

Quello che accadde poi fu prevedibile, almeno da qualcuno con qualche buona conoscenza di magia. Guendalina e le sue amiche passarono tutti i mesi che le separavano dal diploma lavorando, facendo corvee e studiando sodo. Si diplomarono come tutti gli altri sul finire dell’autunno, e con successo. Dopo una lunga fase di silenzi e di rispettose distanze, Guenda, Iwona, Izabela, Megarda, Agnuska e Draga erano riuscite a ritrovarsi, ed erano tornate amiche. Man mano che il ricordo degli eventi di Stoccolma si faceva meno vivo e più lontano, erano tornate tutte più tranquille e serene, e perfino le voci di corridoio nella scuola si erano placate, per la gioia di tutte. Erano poi tutte rientrate alle loro case, lontanissime le une dalle altre, con la promessa di mantenere un contatto epistolare. Contatto che, sorprendentemente, si era mantenuto negli anni. Non sempre continuo, non sempre regolare, ma sempre presente.

Nell’anno del signore 1377 Guendalina aveva vent’anni. Dazelburg non era cambiata, rispetto a quando era una bambina. Chi conosceva era invecchiato o cresciuto, qualcuno era morto, qualcun altro se n’era andato. Normale vita e normali storie di Babbani e maghi. Hilda aveva finito, finalmente, per sposare Franz e aveva lasciato la città alla volta di Liberec. Tutti si aspettavano che presto avrebbero iniziato a mettere al mondo altri piccoli mostriciattoli rossi.
Anche Guendalina era entrata nell’età in cui ci si aspettava da lei che trovasse marito e mettesse su famiglia, ma non sembrava averne alcuna intenzione. Lavorava alla bottega con suo padre, tenendo i conti e tenendo in ordine, aiutava sua madre in casa e scriveva molte lettere. Era una vita tranquilla, che lei trovava disperatamente noiosa, ma non si cacciava nei guai, ed era cosa di cui tutti erano davvero grati. Raccontava ancora storie ai bambini della città, seduta sui gradini della grande chiesa, spaventandoli a morte. Non aveva perso il suo talento, ma con gli anni l’aveva invece affinato. Griselda e Gottifred avevano finalmente messo al mondo un figlio maschio, un ragazzino pallido che ogni tanto si vedeva andare a caccia con il falcone assieme al padre. Non era certo che sarebbe diventato adulto, ma per ora c’era qualcuno in grado di ereditare il castello dei Trapp, ora divenuti Jasor.
Guendalina sperava che Leokadia e Kostantyna pensassero presto a sposarsi, perché l’occasione avrebbe di certo portato di nuovo a Dazelburg cavalieri, dame, giocolieri e una parvenza di vita. La piatta, dolce Ungheria, con i suoi campi e i suoi boschi era di sicuro un posto piacevole, ma nemmeno lontanamente divertente. Aveva imparato molte cose a Durmstrang, ma niente di tutto ciò le serviva a molto, in bottega.
- Ti vedo annoiata. – Adalberto aveva osservato a lungo la figlia, in quegli anni, e aveva notato come avesse cominciato a spegnersi sempre più. Non tutte le persone erano fatte per la serenità e la quiete, e il mago si era da tempo rassegnato all’idea che la figlia facesse parte di quella cerchia. La vedeva fremere in tutte le sue piccole azioni quotidiane, come si aspettasse qualcosa che non arrivava mai.
Guendalina stava lucidando un paiolo con la magia, seria e concentrata. Non smise di lavorare, mentre alzava lo sguardo sul padre. – Non pensi mai che il dono della magia sia inutile?
- Non credo di capirti.
- Sono stata sette anni in Svezia a studiare, e tutto quello che faccio è usare questa bacchetta per pulire e per rassettare.
Guendalina sbuffò, mentre il padre sorrideva, indulgente. Tutti i maghi attraversavano quella fase, e ai più passava con il tempo.
- Cambierebbe qualcosa se potessi mostrare al mondo cosa sei? Pensaci.
- No, ma mi divertirei molto di più. – commentò convinta. Avrebbe potuto colorare le mele di blu, cambiare oggetti in altri, volare in cielo in pieno giorno e altre cose meravigliose.
- I doni più preziosi sono quelli che vanno protetti di più. – si avvicinò alla figlia e le diede un bacio sui capelli. – Troverai la tua strada.
- Se non fosse la stessa che ha trovato Hilda ti dispiaceresti?
- Non ho mai pensato che avresti avuto la stessa saggezza di Hilda. – rispose Adalberto con sincerità.

Venne l’estate, e Guendalina si ritrovò a rifiorire. C’era tanto lavoro nei campi, e come le capitava da bambina si ritrovava a dare una mano ai fattori e ai contadini. Non aveva problemi ad alzarsi all’alba, ad entrare nella stalla e a mungere le mucche mentre altri si preparavano a fare la mietitura. Era una delle poche ragazze che non si lamentava nel mettere le scarpe in mezzo al letame, un po’ perché a Guendalina importava davvero poco, un po’ perché aveva i suoi sistemi per uscire da una stalla profumata come quando ci era entrata.
Aiutava a tagliare l’erba per i conigli e il fieno per gli altri animali, stava al sole e non si preoccupava di nient’altro che di sentire l’aria calda sul viso. Sudare, spettinarsi, sembrare un cespuglio incolto non aveva alcuna importanza. Sigfrida l’aveva redarguita più di una volta sul fatto che così non avrebbe mai raccolto le attenzioni di nessuno, ma Guenda non ci badava: preferiva essere libera così com’era e presto, si era detta, sarebbe stata anche fuori da quel piccolo angusto paese.
Eppure anche così scompigliata com’era era riuscita a raccogliere le attenzioni di qualcuno, anche se si trattava del perdigiorno del paese.
Dotrov non era il genere di ragazzo che una madre avrebbe approvato per la figlia. Di qualche anno più grande, rispetto a Guendalina, era noto per vivere di espedienti e ciondolare tutto il giorno in compagnia di Antonius, il figlio del ricco mugnaio che non aveva tratto molti vantaggi dallo studiare latino in monastero.
Guenda ricordava bene Antonius perché era riuscita a terrorizzarlo a morte, ancora bambina, con una delle sue storie di paura, quanto all’altro… l’aveva evitato senza doversi nemmeno impegnare, ma pareva destino che le due mine vaganti di Dazelburg finissero per incrociarsi.
Non avevano mai parlato molto prima, e Guendalina li considerava a malapena. Per un motivo o per l’altro non erano personaggi che le interessava frequentare, e lei era bravissima ad ignorare chi non le andava a genio.
Così, quando li vide passare sotto di sé, mentre lei si gustava una mela seduta a cavalcioni di una quercia, con la schiena appoggiata sul tronco, non diede nemmeno segno di averli visti.
- Ma che bella vista, mia leggiadra madamigella. - Fu così che Dotrov attirò la sua attenzione, fermandosi esattamente sotto di lei.
Se avesse avuto almeno metà del pudore che doveva avere una nubile della sua età, Guendalina sarebbe arrossita fino alle punte dei capelli, ma così non era, perciò rispose a modo.
- Messere, se voi teneste gli occhi sulla strada sarebbe più agile il vostro cammino. - Rispose, senza abbassare lo sguardo su di lui e senza ritirare le gambe.
Dotrov rise, trovando la risposta di suo gusto.
- Temi che io inciampi, Guandalina?
- Può essere che lo speri. - Allungò il collo verso terra notando che Dotrov era in compagnia del suo inseparabile compagno di birbonate. “Anche se è difficile pensare che inciamperete in due. Buon pomeriggio Antonius.”
- Che pensi di fare lassù, lontana dalle tue padelle? - chiese l’altro, ignorando l’insulto.
- Coglierti di sorpresa e spaventarti, mi riusciva bene, da bambina. - Finì la mela e tirò il torsolo per terra, ai piedi di entrambi i ragazzi. “Un’abitudine che non ho potuto conservare nel tempo.”
- Immagino che non saresti tanto arguta, coi piedi per terra.
- Solo perché sono una ragazza? Antonius, se hai sprecato il tuo tempo sui libri mi dispiace per te, ma non è mia la colpa. - Guendalina si tirò su e cominciò a scendere dall’albero; saltò quando fu ad un metro da terra. La gonna si sollevò, ma lei non ci fece caso. Ci fecero caso Dotrov e Antonius, però. Il figlio dl mugnaio accantonò per un attimo l’idea di essere offeso.
- Cosa ci facevi lassù? - le chiese Dotrov, incuriosito.
- Ser Gottifred è in giro con il figlio e i suoi falconi per la caccia, volevo vedere dove andavano.
- Io lo so dove vanno. Li ho seguiti qualche volta, a cavallo. - Disse Antonius, dandosi molta importanza.
Guendalina sembrò illuminarsi, accantonando momentaneamente l’antipatia che provava per lui. - E’ lontano?
- Galoppando no di certo.
- E hai cavalcature per tutti e tre? -chiese Dotrov con un ghigno. - Anche se potrebbe bastare per due, la ragazzina me la trascino dietro io. - Sorrise incoraggiante, e Guendalina fece lo stesso di rimando.
- Mi pare ovvio, come farebbe mio padre altrimenti? Venite con me. - Con l’aria sfrontata di chi poteva permettersi ben due cavalcature, Antonius si avviò verso il mulino di suo padre, tallonato da Guendalina e Dotrov, che passeggiavano dietro di lui, affiancati.
- Non sono mai salita a cavallo. - Confessò Guenda, camminando svelta per riuscire a tenere il passo con i suoi due accompagnatori. Non aveva particolare interesse ad avere a che fare con nessuno dei due, ma la situazione stava avendo un risvolto sufficientemente interessante da rimanere lì e seguire l’evolversi della faccenda.
- Non è difficile, al cavallo baderò io, a te non resta che rimanere aggrappata a me.
Guendalina sorrise, conscia della sbruffoneria della frase. Volava su una scopa da quando aveva undici anni e di certo avrebbe avuto un ottimo equilibrio anche a cavallo. La ragazza stette zitta e si lasciò guidare.
Il mulino della famiglia di Antonius era al limitare di Dazelburg, vicino al grande canale che faceva girare la ruota delle macine. Guendalina conosceva bene quel corso d’acqua, perché Hilda la portava sempre lì d’estate a bagnarsi i piedi, quando l’aria era rovente e il sole bruciava. Il ragazzo condusse tutti e tre nella stalla dove convivevano più o meno pacificamente tre mucche, due cavalli e un asino particolarmente territoriale che cominciò a ragliare non appena li vide.
- Ho solo una sella, la Nera la usiamo sempre per portare il carro. - Spiegò senza imbarazzo. Solo il notaio del paese aveva più di due cavalli, escluso il castello naturalmente, e nessuno avrebbe potuto biasimarli per avere sella solo per uno.
- Con una coperta e i finimenti mi arrangio, ma la donzella qui deve stare comoda. - C’era un velato tono di presa in giro nella voce di Dotrov, e sia Antonius che Guendalina lo colsero. La giovane non disse nulla e stette in disparte mentre i suoi due compari lavoravano. Fissava i cavalli con sospetto: erano animali enormi e non ci era mai andata molto vicino, anche se  immaginava che non avrebbero essere più pericolosi di una mucca. La Nera era alta e robusta, con degli zoccoli enormi e un nasone rosa; aveva una certa aria di superiorità mentre Dotrov le posava un panno sulla schiena e lo fissava con delle cinghie, mentre Tempesta, così si chiamava il piccolo gioiellino di Antonius sbruffava annoiato.
In poco tempo si ritrovarono fuori nel cortile: Antonius e Dotrov già in sella, Guendalina accanto alla Nera, indecisa.
- Non è il momento di fingersi impaurite. -Le disse il ragazzo, porgendole la mano. - O si va o si resta.
Guendalina non se lo fece ripetere due volte, e due minuti dopo galoppavano per i campi, all’inseguimento dei Jasor.
 
 
 
 

 
  
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