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Autore: kk549210    01/02/2014    6 recensioni
Guida agli "Uffizi". Come sopravvivere a un lavoro precario nella Galleria più famosa del mondo.
Genere: Comico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CRONACA UFFIZIALE
(2001)
 
Esther vola in Bice sui Lungarni. Sono le sette e quaranta e c’è ancora un po’ di tempo prima di strisciare. L’aria è tersa e cristallina e sullo sfondo si stagliano ad una ad una cupole e sagome delle chiese d’Oltrarno. Cestello, Il Carmine, Santo Spirito. Esther canta Palestrina, come fa sempre pazzamente quando pedala, fino al limite del fiato, quando gli acuti coincidono sfigatamente con le salite o i bassi con le buche nel terreno. Che fatica, stamane! Si vede che è un po’ fuori forma e ha bevuto troppo Chianti a casa di Leo. La salitaccia in prossimità di Ponte Santa Trinita la mette un po’ in crisi, ma poi scivola veloce oltre il semaforo, sobbalzando allegramente ad ogni gommoso dosso artificiale, giallo e nero come una enorme ape metropolitana. Ponte Vecchio, Por Santa Maria, Piazza del Pesce. No, non ne ha voglia di affrontare la salitona di via Vacchereccia. Quella che ti lascia senza fiato mentre in piedi sulla bici tagli l’aria pizzichina e dribbli tra i camion che riforniscono Rivoire. Senza fiato davvero perché mentre digrigni i denti e i muscoli del culo, Palazzo Vecchio sembra venirti addosso  con tutta la sua mole di pietre bugnate e aggettanti. E l’orologio della torre sta sempre fermo da settecento anni alla stessa ora tanto che pensi di avere un monte di tempo ma ti sbagli di grosso. No, stamane è meglio lasciare perdere Arnolfo e tutta la sua vetusta e plastica architettura. Un’emozione così è cosa da poco. Cosa banale assai. Meglio tirare dritto per il Lungarno Acciaioli. Lungo il Vasariano, che tra i tesori conduce a spasso raccomandati  e soci Coop o custodi imboscati con qualche collega matura ma sdraiabilmente disponibile. E allora taglia veloce a sinistra e si infila su per il basso marciapiede. Oggi è in botta, se lo sente, e ne farà una sensazionale. Neanche don Antonio o il Sottosegretario potrebbero permetterselo. Schiva i cancelletti in ghisa e si infila in bilico sulla bici sotto il loggiato dalle alte volte a botte sotto cui ha camminato Hannibal the Cannibal. E ora Esther è la più spettacolare di tutti, mentre pedala mitica spericolata e baldanzosa sotto lo sguardo allibito – ma non troppo scomposto – di due giovani nipponiche in attesa. Come pubblico non è il massimo, anche perché quelle due non sono certo lì per ammirare le sue mattutine  ed irriverenti prodezze ciclistiche, ma per il solito Botticelli.
“Che c’avrà sto Sandro che tutti lo vogliono guardare? Ohh!! Statevene a casa vostra e lasciateci in pace anziché venire in questo supermarket dell’arte” rimugina. Ma il suo pensiero svanisce nell’aria e le due minuscole figure rimangono estatiche ed un po’ addormentate aspettando di contemplare la Venere  e di riportarsela in formato mug. 
“Ohh! Che bello” Quanto è euforica oggi. Nonostante non siano ancora le otto è veramente in botta. Sarà la gitarella in bici sotto il loggiato degli Uffizi che la mette di buon umore. O forse che è appena tornata dalle ferie sulle assolate spiagge di Matala. Ed ora è carica al punto giusto per riaffrontare il lavoro e il variegato zoo umano di colleghi. All’imbocco di via della Ninna scivola giù per la rampa di legno e scende a parcheggiare sotto il cavalcavia di Palazzo Vecchio.
Clic! Censimento delle due ruote presenti: Alberta e Claudia ci sono (ah sì quella si alza alle quattro per venire qua, cambia tre treni ma mica viene dalla provincia di Ragusa), Mau se la sta ancora dormendo  e prende l’Eurostar successivo (o sta addirittura in ferie), Pacini non c’è. Arriverà al solito con la lingua di fuori e la faccia rossa come un peperone imprecando per il guasto del motorino che lo costringe alla bicicletta.
Davanti al minuscolo portoncino della Soprintendenza, una fauna da manuale di ventenni sbarbati e figaroli che mormorano banalità da dieci alle otto: gli obiettori in attesa di cazzeggio.
Intanto da via de’ Neri sta arrivando Marta, con la sua solita camicia di jeans legata ad altezza strategica sopra la gonna nera.
“Che paura avrà che le guardino il culo! Lei che è magra come un chiodo! Io invece sono bella e rotonda come una Venere di Rubens” Esther non le sopporta le altre donne quando si imparanoiano con tutte queste menate sulla linea.
Ma Marta non è sola, c’è un tipo con lei. Esther non ci fa molto caso sulle prime. La mandria davanti al portoncino indugia rincoglionita e accidiosa. Ma, sì, quell’essere mirabolante che la accompagna è il fratello Luca. Bello e sparato. Meraviglioso e semplicemente irrecuperabile al mondo dei comuni mortali. Diploma all’Accademia. Ma l’Arte non si vende. Forse è l’unico al mondo che ancora lo crede. Concetto romantico ma decisamente poco commestibile.
Un saluto a Marta e Luca sta già puntando la sua Bice.
“Stiamo a sentire che sparerà stavolta. Forse ha da dire sulla decorazione del pianale. Fa un po’ informale ma che ci posso fare…” pensa.
-Sei mai stata in Danimarca?
-No…
-Uhm…
-Perché? (questo è più pazzo di quanto mi ricordassi…)
-Là vanno tutti in giro in bicicletta
-Ah, non lo sapevo, pensavo che il paese delle bici fosse l’Olanda, dopo la Romagna, ovviamente…
-No no là è pianura e si va benissimo…
La conversazione non è certo la più brillante. Luca Luca. Incredibile scultura in vera carne umana, ma anche una gran bella boccia persa. Meglio prepararsi ad un’allegra mattinata di full immersion nell’arte, nella bolgia e negli insulti del pubblico pagante.
Arrivano anche gli altri e si entra. Striscio e firma della presenza e del servizio. Che palle esser dannato a fare il custode quando sei stato assunto come assistente tecnico! E quando sei pure laureato con il massimo dei voti. Ma vaglielo a spiegare a Don Antonio e a Silvia la capomandria dello zoo museale. Questa è l’Italia del milione di posti di lavoro.
Esther è felicissima stamane. È alla sala sette. In quello che i custodi chiamano il giro della morte. Gioia tripudio estasi mistica. Con la figlia di Fantozzi alla due, la talpa Antonina alla trequattro, il cadavere alla cinque e il maniaco butterato come cambista! Terrore incubo panico. Sarà una mattinata speciale. Meglio rifugiarsi tra le torme di giapponesi che fotografano i culi di cavallo di Paolo Uccello o i panzoni americani che si arrampicano in collo ai Duchi di Urbino. Gardella e Michelucci pace all’anima vostra!!! C’è solo da sperare nel buon cuore e in una visitina di Mau, della Betta o di Leo che hanno avuto sale più umane.
“Ma che sta facendo quella buzzigona là? Ha scambiato la barra di protezione della battaglia di san Romano per un seggiolino… come sono poco originali i turisti. Due anni che sono qua e avrò visto questo numero migliaia di volte”
-Sorry, Madam, you aren’t allowed to sit here…
-Sorry…
La signora arrossisce imbarazzatissima e si allontana nella sala il più possibile da quella ragazzina con gli occhialini fucsia e il cartellino del Ministero che l’ha colta sul fatto.
Cosa ci si può fare? Il lavoro è questo. Esther odia fare il mastino, il poliziotto, ma don Antonio ha bisogno di “custodini, non di professorini”. E poi lei non è neppure laureata in storia dell’arte. Ma questo non è il suo posto, ne è sicura.
-Esther, hai saputo qualcosa delle supplenze là da te?
È Alberta che fa capolino dalla sala di Filippo Lippi con il suo viso botticelliano e i suoi lunghissimi e invidiatissimi capelli castani. Grazie al cielo qualcuno di carino con cui parlare.
-No, Albi, non so nulla. Da noi non si sa ancora nulla… sembra comunque che le graduatorie escano a giorni. Spero in una supplenza un po’ lunga. Non ce la faccio più a venire qua. Se non mi voglio alzare a orari indecenti devo sempre andare da qualcuno, o dalla Betta o da Leo o da Mau a Bologna. E poi ho anche gli altri lavori a Parma, sempre che mi richiamino, e la specializzazione da finire. Ho molta voglia di licenziarmi, anche se mi servono i soldi e non si può certo campare d’aria.
-Qua le cose vanno molto a rilento… e poi in storia dell’arte, posti ce n’è pochi… e poi o non ho nemmeno l’abilitazione. Beato Francesco che se n’è andato al liceo dei Salesiani. Lì ha il posto fisso… 
-Eh già…
E andrà avanti così tutta la mattina, tra vuote chiacchiere e consigli per gli acquisti, la Betta che piagnucola perché non finisce ingegneria, Leo che vuole mandare al suo coinquilino una neroniana ingiunzione di suicidio, Mau che straparla del fastoso matrimonio della cugina di Castelli. Tra clamorose confessioni e coming out  della collega apulosiceliota, la ricetta della ribollita e la triste ma incredibile storia del gatto del panaio di Osmannoro e delle sue pulci ballerine di tango uruguayano. Tra richieste di assistenza tecnica da parte di turiste con la vescica da disinnescare in fondo alla Galleria, penultima porta a sinistra, giusto prima della caffetteria con vista panoramica. Tra vani rimbrotti a  americani in mutandoni che permangono nella granitica convinzione che aver pagato il biglietto d’ingresso consenta loro di masturbare, marmoreo e impassibile, il povero Marsia del terzo corridoio. Tra fascinosi e canuti architetti teutonici incazzati neri con Esther perché nel 1560 Vasari ha fatto fuori metà di San Pier Scheraggio per incastonare questo luogo di granducale burocrazia nel cuore della Fiorenza della cerchia antica.
Quassù, nella piccionaia artistica di Francesco I, l’uomo con sei palle, a parte l’ordinamento delle sale, niente ha un ordine cronologico. Solo excerpta di follia umana si possono captare qua e là, nell’aura sanza tempo dei corridoi affrescati a grottesche e delle sale stracolme di capolavori.
Questa è la vita custodizzata di un assistente tecnico degli Uffizi con contratto part time verticale. Due giorni alla settimana. Striscia alle otto e dieci, ristriscia venti alle due. Nel mezzo il nulla, la palude mentale, lo zero, il vuoto. In Galleria il tempo non esiste. Tutto acquisisce una dimensione informale. Come il Bianco e Nero di Burri che nessuno vede all’uscita Buontalenti. Come il pensionando custode di Sesto che sembra piombato qui dal Muppet Show e che ripete a nastro “Oh, bene!”. Come la caposervizio con l’occhio di vetro che scribacchia e cancella sul tabellone dei turni, una battaglia navale incollata su un pannello di faesite100 x 70.
Travolto da una massa di turisti che consumano l’arte take away, il giovane assistente tecnico è in balia della più bieca alienazione. Non c’è più traccia dell’antica galleria, tutto è souvenirizzato, a pianterreno sembra di camminare tra i trulli di Alberobello o a San Marino il giorno prima di Pasqua, tra turisti nippoanglocorreggiani in cerca della più orrida reliquia del posto da riportare a casa a nonni e nipotini, amanti e nemici, segretarie con le lenti viola e vicini di casa con le spalle villose. Venere non più dea, ma strafiga da calendario, i pudenda dell’eroico e possente David schiaffati sul mousepad, dopo un espianto meramente commerciale dal loro scoglionato proprietario. Il Tondo Doni formato cartolina da colorare con un succintissimo kit di pennarelli giallo rosso verde blu alla modica cifra di dieci e cinquanta. Grembiuli da cucina con gli angioletti di Raffaello destinati ad essere sfoggiati in cucina nel bel mezzo della preparazione del sushi di una massaia di Kyoto. O peggio ancora, condannati da grassa sedicenne monzese improvvisatasi critica d’arte ad un’esiziale attribuzione allo stilista Fiorucci.
 
 
  
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