PROLOGO
This place is paradise
It's the place I call home
The moon on the mountains
The whisper through the trees
The waves on the water
Let nothing come between this and me
– This Is Where I Belong, Bryan
Adams –
Un urlo agghiacciante
riempì i
corridoi deserti del palazzo, facendo vibrare i vetri delle finestre.
Fuori la pioggia
scrosciava
furiosa, abbattendosi su strade, alberi e case come una tempesta di
aghi
d’argento, finissimi e pungenti. Il grigio dominava su tutto,
sbiadendo i
colori, offuscando le luci. Sembrava di essere in una sfera di
cristallo in
bianco e nero. L’acquazzone nascondeva l’ormai
prossima primavera dietro una
giornata cupa come quelle del pieno inverno.
Da qualche parte ai
piani
superiori una porta sbatté violentemente, infrangendo
prepotentemente il
silenzio, in concomitanza con l’esplosione di un tuono.
Due paia di identici
occhi neri
tradirono una risata repressa.
– Adesso la
senti. –
– Stavolta
qualcuno ci lascia le
penne. Anzi, il pelo.
–
Regan gemette e richiuse
svogliatamente
il grosso libro che aveva sulle ginocchia. Sulla sua spalla, Mello si
appallottolò su se stesso, nascondendosi sotto ai capelli.
Era poco più
piccolo di un gatto,
con enormi occhioni neri e minuscole orecchie tonde e sensibili, ed era
una
bestiolina davvero adorabile. Con un’inopportuna passione
smodata per tutto ciò
che luccicava.
Lo afferrò
per la collottola e se
lo strappò di dosso, anche se lui, recalcitrante, tentava in
tutti i modi di
aggrapparsi al suo vestito.
– Cosa diavolo
hai combinato, stavolta,
si può sapere? – sospirò, contando
mentalmente il numero di porte che
sbattevano, sempre più vicine, per avere una stima
approssimativa di quando
iniziare a campare scuse.
– REGAN!
–
Puntuale come un
orologio, sua
cugina Anneli fece irruzione nella stanza, i capelli ondosi sciolti
sulle
spalle e la vestaglia di seta blu drappeggiata addosso in modo
decisamente
approssimativo sopra la camicia da notte.
– Quel tuo
maledetto
mostriciattolo ha di nuovo rubato la mia spilla! –
Mello tremò
in mano a Regan,
gorgogliando pauroso, e le rivolse uno sguardo che implorava
pietà e
misericordia. Era stato lui a scegliere lei, a scegliere di essere suo,
e che lei fosse sua,
e a volte la combinazione entrava
pericolosamente in conflitto, viste soprattutto le folli manie del
piccolo mascalzone.
– Sei proprio
uno sfacciato! –
sbuffò Regan, prima di rivolgersi alla cugina: –
Scusalo, lo sai che non lo fa
di proposito. –
– Non mi
interessa se lo fa di
proposito o no, voglio che tu tenga quel piccolo cleptomane fuori dalla
mia
stanza, lontano dalle mie cose e soprattutto alla larga da me!
–
– Rilassati,
sorellina, ti si
stanno afflosciando i capelli – le disse suo fratello Mariek,
con un gesto
annoiato.
Lui e il gemello Ember
sedevano
di fronte a una partita a scacchi che stavano portando avanti con la
stessa
dedizione con cui avrebbero contato i granelli di polvere adagiati sul
tavolo.
In compenso, sembravano trovare molto più edificante e
costruttivo il vassoio
di biscotti che Donna Melyor, la governante, aveva portato loro pochi
minuti
prima e che era già vuoto per metà.
Anneli scoccò
a Mariek
un’occhiata di sufficienza e tornò a puntare il
dito verso Regan e Mello:
–
Fa’ in modo che la mia spilla
salti fuori, o ti giuro che è la volta buona che nel mio
guardaroba comparirà
all’improvviso un manicotto di pelliccia rossa! –
Ciò detto,
girò sui tacchi e uscì
di gran carriera, scansando appena in tempo Prince, il maggiore dei
suoi
fratelli, che entrava nel salotto sbadigliando, completamente fradicio.
Il suo vero nome era
Tristan,
come il padre, il nonno e il bisnonno, ma per evitare confusioni tutti
lo
chiamavano Prince, perché fin dalla sua nascita, essendo il
primogenito, era
stato un po’ il principino di casa. Regan lo aveva sempre
trovato molto
attraente ed era più che certa che l’accezione con
cui le ragazze lo chiamavano
Prince era ben diversa da quella usata dai suoi fratelli.
Prince si
avvicinò al camino
acceso, prese una sedia e iniziò a depositarvi sopra strati
di vestiti zuppi
che ben presto contribuirono alla formazione di una discreta pozza
d’acqua per
terra.
– Cosa le
prende? – domandò,
riferendosi al malumore della sorella.
– Mello le ha
di nuovo rubato la
spilla dell’Accademia. – ridacchiò
Ember, muovendo un alfiere.
Prince si
girò verso Regan con un
sopracciglio inarcato e lei assunse l’espressione
più contrita che le
riuscisse.
– Non
è colpa sua! –
Prince, che ultimamente
si era
fatto stranamente distratto, scosse la testa e continuò a
svestirsi. Non fosse
stato per Donna Melyor, che entrò a fermarlo, si sarebbe
tolto anche i
pantaloni.
– Screanzato!
– esclamò la donna,
buttandogli addosso una coperta. – Ti sembra decoroso
spogliarti di fronte a
una signora? –
Prince si
guardò intorno,
confuso, presumibilmente cercando la signora in questione. Il suo
sguardo incontrò
Regan e passò oltre, e poi, dopo una breve esitazione,
tornò indietro
perplesso.
– Ma
è solo… mia cugina. –
Regan ormai lo conosceva
abbastanza bene da saper leggere perfettamente tra le righe: era solo
una bambina.
Il che cominciava a seccarla,
perché, da ragazza ormai avviata verso il tramonto
dell’adolescenza, desiderava
essere considerata tutto fuorché una bambina.
Il problema era che il
suo
aspetto non la aiutava: era ancora molto acerba, magra con un giunco,
curve a
malapena accennate, e un visetto tondo e ingenuo che sembrava rubato a
una
bambola di porcellana.
Peccato solo che non
esistessero
bambole con i capelli color del sangue.
– Tua cugina o
tua sorella che
siano, è inappropriato! – berciò
Melyor, spingendolo verso la porta, i vestiti
bagnati ammucchiati su un braccio. – Via, via, andiamo di
là! Ti preparo
qualcosa di caldo. –
Prince si
lasciò sequestrare con
un’espressione di affettuosa sopportazione. Mentre uscivano,
Regan sentì Donna
Melyor che borbottava:
– Questi turni
di notte non mi
piacciono. Se tu avessi famiglia, dovresti lasciare tua moglie e i tuoi
figli
da soli, e con i tempi che corrono… –
La risposta di Prince
finì
inghiottita da fragore di un altro tuono.
Regan si
accoccolò meglio sul
divano e riprese la lettura da dove l’aveva lasciata.
Adorava le giornate di
pioggia,
starsene in casa al caldo e all’asciutto mentre il temporale
imperversava di
fuori, e godersi una buona lettura con il sottofondo rilassante
dell’acqua
battente.
Aveva trascorso tutta la
prima
parte della sua vita tenuta prigioniera da un uomo il cui scopo era
stato solo
e unicamente quello di impadronirsi di un potere oscuro che lei
custodiva, ma
che non aveva mai dato alcun segno di possedere. Almeno fino a che non
aveva
letteralmente distrutto il castello in cui era segregata.
Adesso era libera, e
anche se i
suoi genitori non c’erano più, aveva la fortuna di
avere ancora il resto della
famiglia ad occuparsi di lei: lo zio, Lord Tristan Edelberg, e sua
moglie
Arista, e i loro sei figli, che l’avevano accolta come una
sorella. E poi
c’erano zia Persefone, giovane sorella minore di Tristan,
moglie e madre
realizzata, ma anche importante figura politica, in quanto Coordinatore
della
Terra di Brenner.
Le due persone che
più avevano
aiutato Regan nella sua nuova vita, però, non erano suoi
parenti. Una era Lucius,
il demone che l’aveva trovata e tratta in salvo il giorno in
cui lei, accecata
dal dolore per l’uccisione del suo allora unico amico, aveva
fatto crollare il
castello di Lord Desmond, il suo aguzzino. Lucius era stato molto buono
con
lei: l’aveva accolta in casa sua e si era adoperato per
rintracciare il passato
che lei aveva dimenticato, e la aveva sempre protetta. E poi
c’era Shin, il
giovanissimo angelo capace di sedare qualsiasi turbamento con un
semplice sorriso,
la persona più buona e gentile che lei avesse mai conosciuto.
Tutti loro, adesso,
erano la sua
famiglia.
Un rumore di zoccoli
all’esterno
annunciò il rientro di Lord Tristan e di Aiden, il
più giovane dei figli maschi
di casa Edelberg, poco più grande di Regan. Erano usciti di
prima mattina per
sbrigare una commissione e ritornavano appena in tempo per il pranzo.
–
Chissà dove sono stati tutta la
mattinata – si domandò, mettendosi a sedere in
maniera più composta. Allo zio
piaceva vederla comportarsi in modo consono a una fanciulla del suo
rango,
anche se lei, a tutti gli effetti, non possedeva alcun titolo: suo
padre era
stato diseredato dal nonno Edelberg per essere fuggito con la figlia di
una
famiglia rivale: Aranel, la madre di Regan.
Mariek ed Ember fecero
finta di
niente e si concentrarono sulla loro partita con degli strani
sorrisetti.
Regan
continuò a leggere
indisturbata per un po’.
Il trattato di Storia
che aveva
in grembo era grosso e pesante, ma l’argomento le
interessava, nonostante avesse
saltato di sana pianta alcune parti decisamente troppo boriose. Da due
mesi a
quella parte non aveva quasi fatto altro che divorare libri.
Il fatto era che,
essendo
cresciuta isolata dal mondo, le sue conoscenze in merito ad esso erano
marginali e anche quel poco che sapeva lo doveva solamente a Derian,
l’angelo
che aveva condiviso con lei gli ultimi anni di prigionia, prima che
Lord
Desmond, il loro carceriere, lo uccidesse davanti a lei.
Regan avrebbe sempre
sentito la
sua mancanza.
La parte di Storia che
stava
leggendo al momento era quella che la affascinava di più:
durante un periodo
tumultuoso di carestie e disgrazie, la Monarchia non era stata in grado
di
gestire i disordini delle Sette Terre, allora riunite sotto un unico
reame, e
il popolo, istigato da alcune famiglie potenti, era insorto contro il
re, il
quale, impotente, aveva scelto di destituirsi e lasciare che la sua
gente
risolvesse a modo proprio la crisi.
Così, a furor
di popolo, si era
venuta a creare la Lega: ciascuna delle Sette Terre acquisì
un’autonomia
propria ed elesse una propria guida, i Coordinatori, i quale avrebbero
avuto il
compito di gestire gli affari politici delle rispettive Terre e al
contempo
rispondere al Consiglio. Da lì in avanti, la famiglia reale,
i Leljen, rimase all’apice
della società, non più come simbolo della Corona,
ma come semplice casata
nobiliare, e colui che era stato il Monarca venne premiato per la sua
scelta
con l’elezione a Coordinatore Generale, figura cui tutti gli
altri Coordinatori
avrebbero fatto riferimento.
Regan conosceva di
persona
l’ultima discendente di questa stirpe: Lady Soile Leljen, una
donna bellissima
e altrettanto fredda, che attualmente rivestiva la carica di
Coordinatore della
Terra di Norden.
Norden,
pensò, con una stretta emozionata al cuore.
La terra dei ghiacci e
del
freddo, della neve, delle cavalcate notturne lungo le strade che nel
buio
risplendevano della tenue luminescenza del kival,
la pietra di luna. Anche se non avesse mai scoperto dove risiedessero
le sue
vere radici, Regan non avrebbe comunque avuto dubbi sul fatto che
Norden fosse
casa sua. Se ne sentiva parte come una foglia era parte di un albero:
se
l’avessero portata via, sarebbe appassita.
Macinò tre
capitoli tutti d’un
fiato, poi realizzò che Mello era sparito.
Si guardò
attorno spazientita e
lo scovò in fondo alla stanza, appiattito a terra, che
tentava di sgattaiolare
verso la porta socchiusa. Sfortunatamente, si accorse di essere
osservato e,
con uno scatto fulmineo, fuggì via come un dardo.
– Mello,
maledizione! – esclamò,
arrabbiata, correndogli dietro, e aggiunse un altro paio di improperi
non
proprio signorili nel vedersi del tutto ignorata.
I gemelli ridacchiarono.
Da
qualche parte, invece, si sollevò l’ululato di
protesta di Melyor, che poteva
anche avere una certa età, ma possedeva ancora
l’udito di un segugio:
– Modera il
linguaggio,
impudente! –
Regan si morse la lingua
e
continuò a correre lungo il corridoio. Seguiva alla cieca i
piccoli rumori che
Mello si lasciava indietro, ma non lo vedeva da nessuna parte.
Probabilmente
aveva approfittato della sua momentanea distrazione per correre a
nascondere
meglio la spilla di Anneli. Il che poteva significare che la avesse
lasciata in
un posto abbastanza ovvio da essere trovata, e che quindi esistesse
qualche speranza
di appianare, almeno in parte, il malumore di Anneli prima che il
pranzo fosse
servito.
Era appena arrivata al
terzo
piano quando udì uno scricchiolio propagarsi nel corridoio.
La porta in fondo
era aperta. Sulla pietra scura del pavimento, tuoni e fulmini si
mescolavano
alla calda e pallida luce delle lampade a olio.
Era lo studio personale
dello zio
Tristan e nonostante nessuno avesse mai ricevuto l’esplicito
divieto di
entrarci, era di tacito e comune accordo che nessuno si permettesse di
metterci
piede se non dietro a esplicito invito. Ma se Mello era là
dentro, doveva
portarlo via prima che combinasse qualche guaio serio, o, peggio, prima
che
rubasse qualche oggetto prezioso dello zio.
Entrò di
soppiatto, cercando di
non fare rumore. Anche se in giro non c’era nessuno, era
probabile che Tristan,
appena rientrato, salisse a momenti. La stanza era buia, le pesanti
tende
tirate. Tutto ciò che si poteva vedere erano ombre. Ombre di
scaffali pieni di
libri e mobili austeri, ombre di ritratti appesi alle pareti e pallidi
riflessi
che la luce fioca proveniente del corridoio creava incontrando il vetro
delle
teche in cui erano custoditi i cimeli di famiglia più
importanti. Regan li
aveva visti una volta sola e per lo più ricordava armi,
diari e gioielli.
– Mello? Dove
sei? Vieni fuori,
avanti, prima che qualcuno ci scopra! –
Non si sentiva ancora
del tutto a
suo agio in quel palazzo che ormai chiamava casa,
e quella stanza la metteva in soggezione. Era come se una proiezione di
Tristan
fosse seduta sulla pesante poltrona intarsiata dietro alla scrivania e
la
stesse sorvegliando in segreto.
C’era una
pipa, accuratamente
ripulita, dimenticata sul tavolino di fronte al divano accanto a una
tabacchiera d’argento. E Mello era appollaiato proprio
lì sopra, gli occhioni
neri che luccicavano di tutta l’innocenza del mondo nella
semioscurità.
Regan si
portò le mani ai fianchi
nel modo minaccioso aveva imparato da Donna Melyor.
– Chi
spereresti di ingannare,
per curiosità? –
Le orecchiette di Mello
fremettero di insicurezza.
– Non ti
azzardare a muoverti! –
lo avvertì, mentre si avvicinava. Lui, che invece sembrava
avere esattamente
quell’intenzione, sembrò restringersi in se
stesso, impotente, e rimase
immobile ad attendere che la mano di lei lo sollevasse. Il modo in cui
la
guardò, gorgogliando sommessamente, le fece sciogliere il
cuore.
Sospirò.
– Prima o poi
capirò come si fa a
non lasciarsi incantare dalle tue moine, e allora sarà
peggio per te –
borbottò, puntandogli sconfitta un dito contro il naso umido.
Lui chiuse gli occhi,
sornione,
ed emise un versetto contento.
Regan riportò
la propria
attenzione sulla tabacchiera: il coperchio era storto, leggermente sollevato
perché il suo perimetro non si
incastrava correttamente nel bordo della scatola. Si chinò
per aprirlo: tra il
mucchio di foglie secche e spezzettate dall’intenso aroma
acre individuò
qualcosa che luccicava. Gettò un’occhiatina di
rimprovero alla sua bestiola e
recuperò l’oggetto, scoprendo che era esattamente
ciò che aveva sospettato.
Lasciò andare
Mello, il quale
gemette in segno di protesta per il suo tesoro profanato e si diresse
offeso
verso la porta, ma Regan non gli badò. Ripulì
velocemente l’ovale dorato,
aiutandosi con le unghie per togliere anche i pezzetti più
piccoli che si erano
incastrati tra i raggi della stella a sette punte che vi era incisa,
simbolo
storico delle Sette Terre: sette unità a sé
stanti che condividevano il
medesimo nucleo. Quel nucleo un tempo era stato il re; adesso era la
Lega, i
cui membri, infatti, portavano al collo una stella identica a quella.
Rimise tutto a posto il
più
rapidamente e accuratamente possibile, poi, accertatasi che Mello fosse
andato
via, uscì e chiuse.
Le camere da letto erano
al
secondo piano. Al quarto, l’ultimo, c’erano la
Biblioteca e il salone dove i
ragazzi erano soliti allenarsi durante l’inverno o le
giornatacce come quella.
Arrivata alla stanza di
Anneli,
bussò.
– Avanti.
–
Dal tono svogliato,
capì che la
cugina non sarebbe stata granché bendisposta al dialogo,
né alle sue ennesime
scuse.
Entrò
riluttante. La camera era
illuminata a giorno, lampade e candele sparsi ovunque. Era facile,
guardando le
sue cose, capire che fosse figlia di suo padre: lo stesso gusto per
l’eleganza
sobria, talvolta persino essenziale, e una predilezione per
l’ordine e la
tranquillità. Tutto l’opposto di sua madre Arista
e dei suoi fratelli Ember e
Mariek, estroversi e solari, più propensi a farsi una risata
in compagnia che a
badare all’ordine.
Anneli era davanti alla
grande
specchiera della sua toeletta, seduta in una postura rigida e
perfettamente
eretta che Regan non avrebbe saputo replicare nemmeno con un bustino di
metallo
addosso.
– Ti ho
riportato la spilla. –
Gliela posò
accanto alla
spazzola, su cui lei teneva una mano, anche se i suoi occhi, vuoti e
assenti, erano
assorti a fissare lo specchio, un oggetto che Regan di solito preferiva
evitare.
Anneli, invece, era
piuttosto
vanitosa, e nessuno avrebbe potuto biasimarla: era davvero molto bella.
Lineamenti fini, un corpo femminile, ben tornito, e in lei non restava
più
nulla di una bambina. Spesso, anzi, il suo sguardo era offuscato da un
tormento
interiore fin troppo adulto per una ragazza giovane come lei. Regan
conosceva e
riconosceva parte di quel tormento, perché era qualcosa che
dimorava anche in
lei: la vana speranza di un sentimento che non sarebbe mai stato
ricambiato.
Anneli prese la spilla e
la
appoggiò dentro al portagioie aperto che aveva davanti senza
nemmeno guardarla.
Era triste e irritabile da qualche giorno, e Regan non aveva bisogno di
domandarsi perché, dato che si sentiva allo stesso modo e
per lo stesso motivo.
Un motivo che aveva
occhi di
cielo e muscoli armoniosi.
Lucius.
Non si faceva vivo da
giorni, e
anche se aveva ben avvertito che sarebbe stato assente per un
po’, un velo di
preoccupazione rimaneva sempre. Sapeva badare a sé stesso e,
anzi, di norma era
chi incrociava il suo cammino a doversi preoccupare.
Era un amico di vecchia
data
della famiglia Edelberg, da prima che Regan stessa lo conoscesse, e sia
lei che
la cugina avevano sempre avuto un inconfessato ma altrettanto palese
debole per
lui.
– Ti manca,
vero? –
Anneli aveva parlato con
voce
così bassa e sottile che il temporale l’aveva
quasi cancellata.
Regan non aveva bisogno
di
chiedere di chi parlasse. Lunghi capelli corvini, fisico statuario,
occhi di un
celeste limpido e irriverente, e una pelle chiara rovinata da
più cicatrici di
quante se ne potessero contare: Lucius Henker.
Il suo
Lucius.
Non rispose, ma i denti
che le
affondavano nel labbro lo fecero per lei.
L’altra prese
a spazzolarsi i
capelli.
– Sai,
all’inizio penso di averti
odiata perché lui si occupava di te con molta dedizione, una
tenerezza quasi
famigliare… Ci ho messo un po’ a ricordarmi che
anche con me si comportava
così, una volta. –
Un’ombra di
nostalgia le solcò il
viso per un momento, accompagnata dal sorriso più amaro che
Regan avesse mai
visto.
– Quando ha
capito che per me
qualcosa stava cambiando ha smesso di trattarmi come una bambina e ha
iniziato
a essere più cerimonioso e distaccato. Ho lasciato perdere
le illusioni
inutili, ormai, quindi è inutile che io continui a portarti
rancore per una
colpa che non hai e non avrai mai. –
La verità
nelle sue parole era
dolorosa, ma priva di cattiveria. Ciononostante, Regan scelse di non
vederla.
– Cosa vuoi
dire? –
– Siamo oneste
con noi stesse:
Lucius ha gusti così ambiziosi che tu ed io non siamo
nemmeno contemplate
nell’eleggibile. –
E chi lo era, visto
l’altro
termine di paragone?
– Non hai
già abbastanza problemi
a cui pensare? Custodisci un potere che molti si venderebbero
l’anima per avere
e che qualcun altro invece vorrebbe annientare. In entrambi i casi, la
tua vita
è già sufficientemente complicata, senza che tu
perda il sonno per qualcuno che
non potrà mai darti quello che cerchi. Lo dico per il tuo
bene, credimi. –
Regan poteva capire il
suo punto
di vista: Anneli aveva già passato la maggiore
età e a quel punto molte ragazze
erano già sposate, alcune addirittura avevano dei figli, ma
lei, nonostante le
pressioni del padre, non voleva saperne di accettare la corte di uno
dei suoi
molti pretendenti. I suoi fratelli maggiori, invece, avevano ancora
tempo per
trovarsi una sposa, e non avrebbero avuto che l’imbarazzo
della scelta, anche
se Regan spesso trovava comunque squallido che si dovesse scegliere il
compagno
o la compagna di tutta la vita in base al consenso espresso da qualcun
altro.
Alle loro spalle, la
pendola che
c’era tra la grande finestra in fondo alla stanza e il
piccolo scrittoio
rintoccò il mezzodì preciso.
– Ci staranno
aspettando per il
pranzo. –
Anneli
continuò a spazzolarsi i
capelli, del tutto disinteressata al pranzo.
– Scusati da
parte mia, di’ che
non ho appetito. –
Regan si
voltò indietro appena
prima di uscire:
– Melyor ti
verrà a prendere per
le orecchie. –
Anneli
scrollò le spalle in modo
ben poco signorile.
– Che faccia
pure. Non mi farà
certo tornare la fame. –
Più tardi, a
tavola, mentre
veniva servito il dolce, lo zio si schiarì rumorosamente la
gola. Quando ebbe
avuto l’attenzione di tutta la famiglia, esordì:
– Si stanno
avvicinando le
celebrazioni per l’Equinozio di Primavera. È un
evento mondano a cui
parteciperanno tutti gli esponenti dell’alta
società. Mi rincresce solo che si
terrà a Shjarna. Sarebbe stato più adatta
l’occasione del Solstizio d’Inverno,
dato che gli Edelberg sono fieri figli di Norden, tuttavia non vorrei
attendere
tanto. –
Regan era perplessa. Per
tutta la
durata del pranzo era rimasta chiusa in una dimensione parallela a
sé stante,
vuotando il piatto senza nemmeno badare a cosa le veniva messo sotto il
naso.
Rimuginava sul proprio imminente futuro: era debole, rispetto a ogni
altro
demone della sua età, e non aveva la minima dimestichezza
con i propri poteri;
non sapeva invocarli né gestirli, e se voleva essere in
grado di badare almeno
un minimo a se stessa avrebbe dovuto rimboccarsi le maniche e darsi da
fare per
imparare.
– Padre, ti
spiacerebbe venire al
dunque? – soggiunse Ember, alla prima pausa. – Ho
programmi per la serata. –
– Porta
rispetto, impertinente! –
berciò Donna Melyor, allungandogli uno scappellotto sulla
nuca mentre serviva
la torta alle mele. Era stata la balia dei ragazzi
quand’erano piccoli, e
tuttora aiutava Arista a crescere ed educare la piccola Luce.
Gli altri fratelli se la
risero
sotto i baffi.
La torta fu servita a
tutti
tranne che a Ember, che stava sicuramente provando per la prima volta
nella sua
vita qualcosa di vagamente simile alla contrizione, a giudicare dalle
occhiatine invidiose che gettava ai piatti degli altri.
Approfittando delle
bocche
impegnate a masticare, Tristan riprese parola:
– Prima di
essere interrotto,
stavo per parlare di qualcosa di importante. Regan è parte
integrante della
famiglia, ora, e vorrei ufficializzare la questione al più
presto. Siamo una casata
in vista, la gente sta già chiacchierando e speculando, e
non mi sta bene.
Voglio che Regan sia presentata in società come si deve e
che tutti sappiano
chi è. –
La diretta interessata
inghiottì
a fatica un boccone di torta e dovette prendere un paio di sorsi
d’acqua per
liberarsi dalla sensazione di soffocamento che questo le
lasciò.
– Quindi, per
tutelare la buona
reputazione degli Edelberg, andremo davanti a tutta la
nobiltà delle Sette
Terre e annunceremo pubblicamente che Regan è la figlia
illegittima di due
rampolli di famiglie storicamente rivali che sono fuggiti insieme
coprendosi di
disonore? –
La battuta di Ember si
conquistò
un ceffone da parte di Donna Melyor, che, purtroppo per lui, era ancora
negli
immediati paraggi.
– Non
è una figlia illegittima –
sottolineò Tristan, severo. – Ardal
sposò Aranel prima che si stabilissero ad
Aurin. Ho parlato con la donna che li accolse in casa propria, ha detto
che
portavano entrambi un anello nuziale. Regan è una Edelberg
tanto quanto lo
siete voi. –
– Una Edelberg
diseredata –
borbottò Mariek sottovoce.
Donna Melyor, che era
stava
servendo una porzione di torta ad Arista, dall’altro lato del
tavolo, lo
trafisse con un’occhiataccia che lo fece ritrarre nelle
spalle.
– Faccio da
solo – bisbigliò, e
si portò una mano dietro la testa per punirsi
spontaneamente, risparmiando a
Melyor la seccatura di aggirare l’intero tavolo.
– Non
posso cambiare ciò che mio
padre stabilì a suo tempo – riprese Tristan,
ignorando le schermaglie di
sottofondo in corso. – Ma io e Persefone abbiamo ereditato
gli averi che
sarebbero spettati ad Ardal, e in seguito anche quelli di Malissa. Se
è un
patrimonio che manca a Regan, glielo possiamo tranquillamente fornire.
–
Malissa e Ardal,
rispettivamente
zia e padre di Regan, erano i due fratelli di mezzo della penultima
generazione
degli Edelberg ed erano entrambi morti da anni. Almeno in via
ufficiale, perché
non molto tempo prima, in circostanze alquanto singolari, lei aveva
avuto il
piacere di incontrare in gran segreto colei che sarebbe dovuta essere
la
defunta Malissa, e la aveva trovata decisamente in salute, per essere
pubblicamente deceduta.
– Voglio che
abbia un futuro
sereno e avrà la stessa dote che spetta alle mie figlie,
benché non ritenga le
serva un patrimonio per attirare l’attenzione di eventuali
pretendenti. –
Regan arrossì
a quell’ultima
frase, non per l’imbarazzo, ma perché
sentì del calore paterno in un
complimento che prima d’ora non aveva mai ricevuto. Le faceva
piacere sapere
che lo zio la considerasse meritevole di attenzioni maschili, anche se
lei era
abbastanza realista da sapere che ciò che i ragazzi
cercavano in una ragazza
lei non lo aveva. Non ancora. Ma non faceva che ripetersi che prima o
poi
sarebbe cresciuta anche lei.
– Un momento,
perché adesso
stiamo parlando di matrimonio? – intervenne Aiden,
accigliato, scostandosi due
ciuffi di capelli biondi dal viso cesellato.
– Regan
è in età da marito –
disse Anneli, sprezzante. Era stata costretta a presenziare al pranzo,
anche se
non aveva intenzione di toccare cibo, e il suo umore era ulteriormente
peggiorato. – È tempo che trovi un ragazzo
rispettabile e si sistemi. –
Il solo pensiero fece
inorridire
Regan: al momento gli affari di cuore erano l’ultima cosa di
cui voleva
preoccuparsi.
– Ma io
non… –
–
C’è tempo per questo – tagliò
corto Tristan, in un tono gentile ma che non ammetteva repliche.
– Per ora mi
preme che tu faccia come si deve il tuo debutto in società.
E affinché questo
avvenga, dovrai prima presentata ai tuoi nonni materni, Lord e Lady
Dresden. –
Regan si
sentì sprofondare nella
sua sedia. Come al solito, stava succedendo tutto troppo in fretta, e
senza che
lei si sentisse pronta per affrontarlo.
Si era discusso spesso
di come e
quando lei avesse dovuto incontrare i Dresden, ed era sempre stato in
termini
così fumosi e vaghi che non aveva mai preso seriamente in
considerazione
l’eventualità.
– Domani
Lucius verrà ricevuto a
casa loro e cercherà di spiegare come stanno le cose. Ho
pensato che fosse
saggio mandare qualcuno di neutrale
per comunicare loro la… novità. –
La mascella di Tristan
si
contrasse impercettibilmente. I Dresden erano una di quelle casate
ritenute
responsabili della Grande Rivolta che aveva messo fine alla Monarchia,
e gli
Edelberg, invece, erano sempre stati tra le più fedeli alla
Corona, e i secoli
non erano riusciti a cancellare questa storica rivalità. Era
quindi
comprensibile che il più anziano degli uni fosse
tutt’altro che lieto di
condividere una nipote con il più anziano degli altri.
Regan era furiosa, ma
troppo
sconvolta per reagire. Si sentiva una marionetta mossa dai fili di
volontà
altrui: ancora una volta era stato deciso tutto senza che lei fosse
interpellata. Avrebbe voluto avere Shin accanto, adesso, con la sua
calma e la
sua razionalità, il suo innato potere rasserenante.
– Naturalmente
spetta solo a te
decidere quando incontrarli – si affrettò ad
aggiungere Arista con tatto,
gettando al marito uno sguardo di ammonimento. – Quando ti
sentirai pronta. Non
è vero, caro? –
– Ma certo
– annuì lui in fretta.
– Devi capire che era necessario metterli al corrente della
situazione al più
presto, perché se per disgrazia lo venissero a scoprire da
altri, ne verrebbe
fuori una guerra. Ci accuserebbero di tramare alle loro spalle, di
voler tenere
loro nascosta la loro unica nipote… –
Dalla tensione nella sua
voce e
nella sua espressione, Regan capì che i suoi timori erano
sinceri, e la cosa la
spaventò. Non voleva mettere nei guai nessuno, e ancor meno
finire contesa su
due fronti rivali. Non conoscendo i nonni materni, non aveva mezzi per
fare
paragoni, ma vivere a casa Edelberg le piaceva ed era stato soprattutto
grazie
ai suoi cugini che si era ambientata così bene e in fretta.
Non voleva nemmeno
pensare di dover essere strappata a quell’ambiente famigliare
che si era
duramente conquistata.
Per tutto il pomeriggio
ebbe solo
l’incontro di Lucius con i Dresden in testa. Persino il suo
libro non riuscì a
distrarla, tanto che alla fine, dopo aver sfogliato tre pagine senza
aver
assorbito niente, decise di lasciar perdere.
Riuscì a
calmarsi un poco solo
quando, verso il calar del sole, un grosso gufo bruno si
presentò alla finestra
della sua stanza stringendo qualcosa tra gli artigli. Era Libra, la
Guardiana
del suo amico Shin.
La fece entrare. Anche
se ormai
non pioveva più, le sue ali gocciolavano, così
come le piante e i tetti delle
case, e sparsero gocce d’acqua su tutto il pavimento, ma
Regan non se ne curò.
Ringraziò piuttosto che Mello non fosse nei paraggi,
perché la sua esuberanza
infastidiva spesso il carattere schivo di Libra.
Per la
verità, nemmeno Regan
stessa stava granché simpatica al rapace, che vedeva in
chiunque si avvicinasse
al suo protetto una minaccia incombente, anche se quel chiunque sarebbe
morto
piuttosto che fare del male a Shin. La gelosia, evidentemente, non era
una
prerogativa solo delle persone.
Libra le cedette con
riluttanza
la busta che aveva portato. Era un messaggio da parte di Shin.
Libra non attese che lei
lo
aprisse: le scoccò un’occhiatina malevola e
spiccò il volo nel mosaico di
nuvole e sprazzi di cielo limpido che il temporale aveva lasciato
dietro di sé.
Sollevata di essersela
cavata con
così poco ed essere scampata a uno dei soliti attentati
mordaci, Regan aprì la
busta e lesse le poche righe vergate sul foglietto che vi era stato
riposto:
“Scusa per l’assenza di
questi giorni. Sono stato impegnato a Medilana
e ogni volta che avrei voluto scriverti alla fine c’era
sempre qualcosa che me
lo impediva. Sono appena tornato a Kauneus e pensavo che forse ti
piacerebbe
uscire un po’ e distrarti, fare quattro
chiacchiere.”
Regan sorrise. Ancora
una volta,
anche da lontano, Shin sapeva capirla meglio di chiunque altro.
“Passerò domani in
mattinata a vedere come stai. Spero che sia tutto a
posto. A presto. Shin.”
Fu più facile
addormentarsi,
quella notte, sapendo che aveva qualcosa di positivo ad attenderla il
giorno
dopo. Sentiva molto la mancanza di Shin e parlare con lui le avrebbe
fatto
bene. Inoltre era sicura che lui potesse soddisfare le sue
curiosità riguardo
ai Dresden e a cosa sarebbe potuto accadere a lei se questi ultimi
avessero
deciso di avanzare pretese su di lei e la sua tutela.
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A/N: ed eccomi qui, dopo mille mila anni, a iniziare a pubblicare anche Temptation. :) Ci ho messo tantissimo e me ne scuso, ma tra lavoro, vagabondaggi vari e un periodo di ispirazione scarsa, ho faticato a ingranare con questo nuovo capitolo della saga. Adesso, a metà stesura, mi sento abbastanza sicura da poter iniziare a pubblicare. La frequenza di aggiornamento sarà di circa una volta alla settimana, dato che parecchi capitoli sono già pronti. Spero che mi seguirete ancora, dopo Innocence, e che vorrete continuare a recensire e aiutarmi con i vostri consigli.
Alla prossima!
P.S. se qualche lettrice avesse un blog letterario e fosse interessata a organizzare interviste e/o giveaway, alla sottoscritta farebbe molto piacere, quindi contattatemi pure, se avete idee o proposte! :)