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Autore: Lady Vibeke    03/02/2014    5 recensioni
– Non hai fatto in tempo a mettere piede qui dentro e già hai seminato scompiglio. –
Lucius rise.
Shin era apparso accanto lui dal nulla, silenzioso come suo solito.
– Non lo porto io, è lo scompiglio che segue me. –
L’altro arricciò appena le labbra.
– Questione di punti di vista, suppongo. Hai già visto Regan? –
La fronte di Lucius si increspò. La sua intenzione era stata di andare a cercarla immediatamente, ma quando era finalmente riuscito a trovare i ragazzi Edelberg, lei non c’era, quindi scosse la testa.
– È nervosa? – si informò poi.
L’amico lo scrutò di sottecchi, il nero della maschera e quello delle iridi a malapena distinguibili, non fosse stato per lo scintillio delle luci che si rifletteva negli occhi.
– Frustrata, più che altro. Ma c’era da aspettarselo. –
Lucius annuì.
Immaginò Regan costretta a infiocchettarsi come una bambola e a comportarsi da fanciulla docile e compita e si disse che avrebbe dovuto essere con lei in un momento simile.
– Alla mia cerbiattina non piace sentirsi in gabbia. –
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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PROLOGO

 

This place is paradise
It's the place I call home
The moon on the mountains
The whisper through the trees
The waves on the water
Let nothing come between this and me

This Is Where I Belong, Bryan Adams

 

 

Un urlo agghiacciante riempì i corridoi deserti del palazzo, facendo vibrare i vetri delle finestre.

Fuori la pioggia scrosciava furiosa, abbattendosi su strade, alberi e case come una tempesta di aghi d’argento, finissimi e pungenti. Il grigio dominava su tutto, sbiadendo i colori, offuscando le luci. Sembrava di essere in una sfera di cristallo in bianco e nero. L’acquazzone nascondeva l’ormai prossima primavera dietro una giornata cupa come quelle del pieno inverno.

Da qualche parte ai piani superiori una porta sbatté violentemente, infrangendo prepotentemente il silenzio, in concomitanza con l’esplosione di un tuono.

Due paia di identici occhi neri tradirono una risata repressa.

– Adesso la senti. –

– Stavolta qualcuno ci lascia le penne. Anzi, il pelo. –

Regan gemette e richiuse svogliatamente il grosso libro che aveva sulle ginocchia. Sulla sua spalla, Mello si appallottolò su se stesso, nascondendosi sotto ai capelli.

Era poco più piccolo di un gatto, con enormi occhioni neri e minuscole orecchie tonde e sensibili, ed era una bestiolina davvero adorabile. Con un’inopportuna passione smodata per tutto ciò che luccicava.

Lo afferrò per la collottola e se lo strappò di dosso, anche se lui, recalcitrante, tentava in tutti i modi di aggrapparsi al suo vestito.

– Cosa diavolo hai combinato, stavolta, si può sapere? – sospirò, contando mentalmente il numero di porte che sbattevano, sempre più vicine, per avere una stima approssimativa di quando iniziare a campare scuse.

– REGAN! –

Puntuale come un orologio, sua cugina Anneli fece irruzione nella stanza, i capelli ondosi sciolti sulle spalle e la vestaglia di seta blu drappeggiata addosso in modo decisamente approssimativo sopra la camicia da notte.

– Quel tuo maledetto mostriciattolo ha di nuovo rubato la mia spilla! –

Mello tremò in mano a Regan, gorgogliando pauroso, e le rivolse uno sguardo che implorava pietà e misericordia. Era stato lui a scegliere lei, a scegliere di essere suo, e che lei fosse sua, e a volte la combinazione entrava pericolosamente in conflitto, viste soprattutto le folli manie del piccolo mascalzone.

– Sei proprio uno sfacciato! – sbuffò Regan, prima di rivolgersi alla cugina: – Scusalo, lo sai che non lo fa di proposito. –

– Non mi interessa se lo fa di proposito o no, voglio che tu tenga quel piccolo cleptomane fuori dalla mia stanza, lontano dalle mie cose e soprattutto alla larga da me! –

– Rilassati, sorellina, ti si stanno afflosciando i capelli – le disse suo fratello Mariek, con un gesto annoiato.

Lui e il gemello Ember sedevano di fronte a una partita a scacchi che stavano portando avanti con la stessa dedizione con cui avrebbero contato i granelli di polvere adagiati sul tavolo. In compenso, sembravano trovare molto più edificante e costruttivo il vassoio di biscotti che Donna Melyor, la governante, aveva portato loro pochi minuti prima e che era già vuoto per metà.

Anneli scoccò a Mariek un’occhiata di sufficienza e tornò a puntare il dito verso Regan e Mello:

– Fa’ in modo che la mia spilla salti fuori, o ti giuro che è la volta buona che nel mio guardaroba comparirà all’improvviso un manicotto di pelliccia rossa! –

Ciò detto, girò sui tacchi e uscì di gran carriera, scansando appena in tempo Prince, il maggiore dei suoi fratelli, che entrava nel salotto sbadigliando, completamente fradicio.

Il suo vero nome era Tristan, come il padre, il nonno e il bisnonno, ma per evitare confusioni tutti lo chiamavano Prince, perché fin dalla sua nascita, essendo il primogenito, era stato un po’ il principino di casa. Regan lo aveva sempre trovato molto attraente ed era più che certa che l’accezione con cui le ragazze lo chiamavano Prince era ben diversa da quella usata dai suoi fratelli.

Prince si avvicinò al camino acceso, prese una sedia e iniziò a depositarvi sopra strati di vestiti zuppi che ben presto contribuirono alla formazione di una discreta pozza d’acqua per terra.

– Cosa le prende? – domandò, riferendosi al malumore della sorella.

– Mello le ha di nuovo rubato la spilla dell’Accademia. – ridacchiò Ember, muovendo un alfiere.

Prince si girò verso Regan con un sopracciglio inarcato e lei assunse l’espressione più contrita che le riuscisse.

– Non è colpa sua! –

Prince, che ultimamente si era fatto stranamente distratto, scosse la testa e continuò a svestirsi. Non fosse stato per Donna Melyor, che entrò a fermarlo, si sarebbe tolto anche i pantaloni.

– Screanzato! – esclamò la donna, buttandogli addosso una coperta. – Ti sembra decoroso spogliarti di fronte a una signora? –

Prince si guardò intorno, confuso, presumibilmente cercando la signora in questione. Il suo sguardo incontrò Regan e passò oltre, e poi, dopo una breve esitazione, tornò indietro perplesso.

– Ma è solo… mia cugina. –

Regan ormai lo conosceva abbastanza bene da saper leggere perfettamente tra le righe: era solo una bambina. Il che cominciava a seccarla, perché, da ragazza ormai avviata verso il tramonto dell’adolescenza, desiderava essere considerata tutto fuorché una bambina.

Il problema era che il suo aspetto non la aiutava: era ancora molto acerba, magra con un giunco, curve a malapena accennate, e un visetto tondo e ingenuo che sembrava rubato a una bambola di porcellana.

Peccato solo che non esistessero bambole con i capelli color del sangue.

– Tua cugina o tua sorella che siano, è inappropriato! – berciò Melyor, spingendolo verso la porta, i vestiti bagnati ammucchiati su un braccio. – Via, via, andiamo di là! Ti preparo qualcosa di caldo. –

Prince si lasciò sequestrare con un’espressione di affettuosa sopportazione. Mentre uscivano, Regan sentì Donna Melyor che borbottava:

– Questi turni di notte non mi piacciono. Se tu avessi famiglia, dovresti lasciare tua moglie e i tuoi figli da soli, e con i tempi che corrono… –

La risposta di Prince finì inghiottita da fragore di un altro tuono.

Regan si accoccolò meglio sul divano e riprese la lettura da dove l’aveva lasciata.

Adorava le giornate di pioggia, starsene in casa al caldo e all’asciutto mentre il temporale imperversava di fuori, e godersi una buona lettura con il sottofondo rilassante dell’acqua battente.

Aveva trascorso tutta la prima parte della sua vita tenuta prigioniera da un uomo il cui scopo era stato solo e unicamente quello di impadronirsi di un potere oscuro che lei custodiva, ma che non aveva mai dato alcun segno di possedere. Almeno fino a che non aveva letteralmente distrutto il castello in cui era segregata.

Adesso era libera, e anche se i suoi genitori non c’erano più, aveva la fortuna di avere ancora il resto della famiglia ad occuparsi di lei: lo zio, Lord Tristan Edelberg, e sua moglie Arista, e i loro sei figli, che l’avevano accolta come una sorella. E poi c’erano zia Persefone, giovane sorella minore di Tristan, moglie e madre realizzata, ma anche importante figura politica, in quanto Coordinatore della Terra di Brenner.

Le due persone che più avevano aiutato Regan nella sua nuova vita, però, non erano suoi parenti. Una era Lucius, il demone che l’aveva trovata e tratta in salvo il giorno in cui lei, accecata dal dolore per l’uccisione del suo allora unico amico, aveva fatto crollare il castello di Lord Desmond, il suo aguzzino. Lucius era stato molto buono con lei: l’aveva accolta in casa sua e si era adoperato per rintracciare il passato che lei aveva dimenticato, e la aveva sempre protetta. E poi c’era Shin, il giovanissimo angelo capace di sedare qualsiasi turbamento con un semplice sorriso, la persona più buona e gentile che lei avesse mai conosciuto.

Tutti loro, adesso, erano la sua famiglia.

Un rumore di zoccoli all’esterno annunciò il rientro di Lord Tristan e di Aiden, il più giovane dei figli maschi di casa Edelberg, poco più grande di Regan. Erano usciti di prima mattina per sbrigare una commissione e ritornavano appena in tempo per il pranzo.

– Chissà dove sono stati tutta la mattinata – si domandò, mettendosi a sedere in maniera più composta. Allo zio piaceva vederla comportarsi in modo consono a una fanciulla del suo rango, anche se lei, a tutti gli effetti, non possedeva alcun titolo: suo padre era stato diseredato dal nonno Edelberg per essere fuggito con la figlia di una famiglia rivale: Aranel, la madre di Regan.

Mariek ed Ember fecero finta di niente e si concentrarono sulla loro partita con degli strani sorrisetti.

Regan continuò a leggere indisturbata per un po’.

Il trattato di Storia che aveva in grembo era grosso e pesante, ma l’argomento le interessava, nonostante avesse saltato di sana pianta alcune parti decisamente troppo boriose. Da due mesi a quella parte non aveva quasi fatto altro che divorare libri.

Il fatto era che, essendo cresciuta isolata dal mondo, le sue conoscenze in merito ad esso erano marginali e anche quel poco che sapeva lo doveva solamente a Derian, l’angelo che aveva condiviso con lei gli ultimi anni di prigionia, prima che Lord Desmond, il loro carceriere, lo uccidesse davanti a lei.

Regan avrebbe sempre sentito la sua mancanza.

La parte di Storia che stava leggendo al momento era quella che la affascinava di più: durante un periodo tumultuoso di carestie e disgrazie, la Monarchia non era stata in grado di gestire i disordini delle Sette Terre, allora riunite sotto un unico reame, e il popolo, istigato da alcune famiglie potenti, era insorto contro il re, il quale, impotente, aveva scelto di destituirsi e lasciare che la sua gente risolvesse a modo proprio la crisi.

Così, a furor di popolo, si era venuta a creare la Lega: ciascuna delle Sette Terre acquisì un’autonomia propria ed elesse una propria guida, i Coordinatori, i quale avrebbero avuto il compito di gestire gli affari politici delle rispettive Terre e al contempo rispondere al Consiglio. Da lì in avanti, la famiglia reale, i Leljen, rimase all’apice della società, non più come simbolo della Corona, ma come semplice casata nobiliare, e colui che era stato il Monarca venne premiato per la sua scelta con l’elezione a Coordinatore Generale, figura cui tutti gli altri Coordinatori avrebbero fatto riferimento.

Regan conosceva di persona l’ultima discendente di questa stirpe: Lady Soile Leljen, una donna bellissima e altrettanto fredda, che attualmente rivestiva la carica di Coordinatore della Terra di Norden.

Norden, pensò, con una stretta emozionata al cuore.

La terra dei ghiacci e del freddo, della neve, delle cavalcate notturne lungo le strade che nel buio risplendevano della tenue luminescenza del kival, la pietra di luna. Anche se non avesse mai scoperto dove risiedessero le sue vere radici, Regan non avrebbe comunque avuto dubbi sul fatto che Norden fosse casa sua. Se ne sentiva parte come una foglia era parte di un albero: se l’avessero portata via, sarebbe appassita.

Macinò tre capitoli tutti d’un fiato, poi realizzò che Mello era sparito.

Si guardò attorno spazientita e lo scovò in fondo alla stanza, appiattito a terra, che tentava di sgattaiolare verso la porta socchiusa. Sfortunatamente, si accorse di essere osservato e, con uno scatto fulmineo, fuggì via come un dardo.

– Mello, maledizione! – esclamò, arrabbiata, correndogli dietro, e aggiunse un altro paio di improperi non proprio signorili nel vedersi del tutto ignorata.

I gemelli ridacchiarono. Da qualche parte, invece, si sollevò l’ululato di protesta di Melyor, che poteva anche avere una certa età, ma possedeva ancora l’udito di un segugio:

– Modera il linguaggio, impudente! –

Regan si morse la lingua e continuò a correre lungo il corridoio. Seguiva alla cieca i piccoli rumori che Mello si lasciava indietro, ma non lo vedeva da nessuna parte. Probabilmente aveva approfittato della sua momentanea distrazione per correre a nascondere meglio la spilla di Anneli. Il che poteva significare che la avesse lasciata in un posto abbastanza ovvio da essere trovata, e che quindi esistesse qualche speranza di appianare, almeno in parte, il malumore di Anneli prima che il pranzo fosse servito.

Era appena arrivata al terzo piano quando udì uno scricchiolio propagarsi nel corridoio. La porta in fondo era aperta. Sulla pietra scura del pavimento, tuoni e fulmini si mescolavano alla calda e pallida luce delle lampade a olio.

Era lo studio personale dello zio Tristan e nonostante nessuno avesse mai ricevuto l’esplicito divieto di entrarci, era di tacito e comune accordo che nessuno si permettesse di metterci piede se non dietro a esplicito invito. Ma se Mello era là dentro, doveva portarlo via prima che combinasse qualche guaio serio, o, peggio, prima che rubasse qualche oggetto prezioso dello zio.

Entrò di soppiatto, cercando di non fare rumore. Anche se in giro non c’era nessuno, era probabile che Tristan, appena rientrato, salisse a momenti. La stanza era buia, le pesanti tende tirate. Tutto ciò che si poteva vedere erano ombre. Ombre di scaffali pieni di libri e mobili austeri, ombre di ritratti appesi alle pareti e pallidi riflessi che la luce fioca proveniente del corridoio creava incontrando il vetro delle teche in cui erano custoditi i cimeli di famiglia più importanti. Regan li aveva visti una volta sola e per lo più ricordava armi, diari e gioielli.

– Mello? Dove sei? Vieni fuori, avanti, prima che qualcuno ci scopra! –

Non si sentiva ancora del tutto a suo agio in quel palazzo che ormai chiamava casa, e quella stanza la metteva in soggezione. Era come se una proiezione di Tristan fosse seduta sulla pesante poltrona intarsiata dietro alla scrivania e la stesse sorvegliando in segreto.

C’era una pipa, accuratamente ripulita, dimenticata sul tavolino di fronte al divano accanto a una tabacchiera d’argento. E Mello era appollaiato proprio lì sopra, gli occhioni neri che luccicavano di tutta l’innocenza del mondo nella semioscurità.

Regan si portò le mani ai fianchi nel modo minaccioso aveva imparato da Donna Melyor.

– Chi spereresti di ingannare, per curiosità? –

Le orecchiette di Mello fremettero di insicurezza.

– Non ti azzardare a muoverti! – lo avvertì, mentre si avvicinava. Lui, che invece sembrava avere esattamente quell’intenzione, sembrò restringersi in se stesso, impotente, e rimase immobile ad attendere che la mano di lei lo sollevasse. Il modo in cui la guardò, gorgogliando sommessamente, le fece sciogliere il cuore.

Sospirò.

– Prima o poi capirò come si fa a non lasciarsi incantare dalle tue moine, e allora sarà peggio per te – borbottò, puntandogli sconfitta un dito contro il naso umido.

Lui chiuse gli occhi, sornione, ed emise un versetto contento.

Regan riportò la propria attenzione sulla tabacchiera: il coperchio era storto, leggermente  sollevato perché il suo perimetro non si incastrava correttamente nel bordo della scatola. Si chinò per aprirlo: tra il mucchio di foglie secche e spezzettate dall’intenso aroma acre individuò qualcosa che luccicava. Gettò un’occhiatina di rimprovero alla sua bestiola e recuperò l’oggetto, scoprendo che era esattamente ciò che aveva sospettato.

Lasciò andare Mello, il quale gemette in segno di protesta per il suo tesoro profanato e si diresse offeso verso la porta, ma Regan non gli badò. Ripulì velocemente l’ovale dorato, aiutandosi con le unghie per togliere anche i pezzetti più piccoli che si erano incastrati tra i raggi della stella a sette punte che vi era incisa, simbolo storico delle Sette Terre: sette unità a sé stanti che condividevano il medesimo nucleo. Quel nucleo un tempo era stato il re; adesso era la Lega, i cui membri, infatti, portavano al collo una stella identica a quella.

Rimise tutto a posto il più rapidamente e accuratamente possibile, poi, accertatasi che Mello fosse andato via, uscì e chiuse.

 

 

Le camere da letto erano al secondo piano. Al quarto, l’ultimo, c’erano la Biblioteca e il salone dove i ragazzi erano soliti allenarsi durante l’inverno o le giornatacce come quella.

Arrivata alla stanza di Anneli, bussò.

– Avanti. –

Dal tono svogliato, capì che la cugina non sarebbe stata granché bendisposta al dialogo, né alle sue ennesime scuse.

Entrò riluttante. La camera era illuminata a giorno, lampade e candele sparsi ovunque. Era facile, guardando le sue cose, capire che fosse figlia di suo padre: lo stesso gusto per l’eleganza sobria, talvolta persino essenziale, e una predilezione per l’ordine e la tranquillità. Tutto l’opposto di sua madre Arista e dei suoi fratelli Ember e Mariek, estroversi e solari, più propensi a farsi una risata in compagnia che a badare all’ordine.

Anneli era davanti alla grande specchiera della sua toeletta, seduta in una postura rigida e perfettamente eretta che Regan non avrebbe saputo replicare nemmeno con un bustino di metallo addosso.

– Ti ho riportato la spilla. –

Gliela posò accanto alla spazzola, su cui lei teneva una mano, anche se i suoi occhi, vuoti e assenti, erano assorti a fissare lo specchio, un oggetto che Regan di solito preferiva evitare.

Anneli, invece, era piuttosto vanitosa, e nessuno avrebbe potuto biasimarla: era davvero molto bella. Lineamenti fini, un corpo femminile, ben tornito, e in lei non restava più nulla di una bambina. Spesso, anzi, il suo sguardo era offuscato da un tormento interiore fin troppo adulto per una ragazza giovane come lei. Regan conosceva e riconosceva parte di quel tormento, perché era qualcosa che dimorava anche in lei: la vana speranza di un sentimento che non sarebbe mai stato ricambiato.

Anneli prese la spilla e la appoggiò dentro al portagioie aperto che aveva davanti senza nemmeno guardarla. Era triste e irritabile da qualche giorno, e Regan non aveva bisogno di domandarsi perché, dato che si sentiva allo stesso modo e per lo stesso motivo.

Un motivo che aveva occhi di cielo e muscoli armoniosi.

Lucius.

Non si faceva vivo da giorni, e anche se aveva ben avvertito che sarebbe stato assente per un po’, un velo di preoccupazione rimaneva sempre. Sapeva badare a sé stesso e, anzi, di norma era chi incrociava il suo cammino a doversi preoccupare.

Era un amico di vecchia data della famiglia Edelberg, da prima che Regan stessa lo conoscesse, e sia lei che la cugina avevano sempre avuto un inconfessato ma altrettanto palese debole per lui.

– Ti manca, vero? –

Anneli aveva parlato con voce così bassa e sottile che il temporale l’aveva quasi cancellata.

Regan non aveva bisogno di chiedere di chi parlasse. Lunghi capelli corvini, fisico statuario, occhi di un celeste limpido e irriverente, e una pelle chiara rovinata da più cicatrici di quante se ne potessero contare: Lucius Henker.

Il suo Lucius.

Non rispose, ma i denti che le affondavano nel labbro lo fecero per lei.

L’altra prese a spazzolarsi i capelli.

– Sai, all’inizio penso di averti odiata perché lui si occupava di te con molta dedizione, una tenerezza quasi famigliare… Ci ho messo un po’ a ricordarmi che anche con me si comportava così, una volta. –

Un’ombra di nostalgia le solcò il viso per un momento, accompagnata dal sorriso più amaro che Regan avesse mai visto.

– Quando ha capito che per me qualcosa stava cambiando ha smesso di trattarmi come una bambina e ha iniziato a essere più cerimonioso e distaccato. Ho lasciato perdere le illusioni inutili, ormai, quindi è inutile che io continui a portarti rancore per una colpa che non hai e non avrai mai. –

La verità nelle sue parole era dolorosa, ma priva di cattiveria. Ciononostante, Regan scelse di non vederla.

– Cosa vuoi dire? –

– Siamo oneste con noi stesse: Lucius ha gusti così ambiziosi che tu ed io non siamo nemmeno contemplate nell’eleggibile. –

E chi lo era, visto l’altro termine di paragone?

– Non hai già abbastanza problemi a cui pensare? Custodisci un potere che molti si venderebbero l’anima per avere e che qualcun altro invece vorrebbe annientare. In entrambi i casi, la tua vita è già sufficientemente complicata, senza che tu perda il sonno per qualcuno che non potrà mai darti quello che cerchi. Lo dico per il tuo bene, credimi. –

Regan poteva capire il suo punto di vista: Anneli aveva già passato la maggiore età e a quel punto molte ragazze erano già sposate, alcune addirittura avevano dei figli, ma lei, nonostante le pressioni del padre, non voleva saperne di accettare la corte di uno dei suoi molti pretendenti. I suoi fratelli maggiori, invece, avevano ancora tempo per trovarsi una sposa, e non avrebbero avuto che l’imbarazzo della scelta, anche se Regan spesso trovava comunque squallido che si dovesse scegliere il compagno o la compagna di tutta la vita in base al consenso espresso da qualcun altro.

Alle loro spalle, la pendola che c’era tra la grande finestra in fondo alla stanza e il piccolo scrittoio rintoccò il mezzodì preciso.

– Ci staranno aspettando per il pranzo. –

Anneli continuò a spazzolarsi i capelli, del tutto disinteressata al pranzo.

– Scusati da parte mia, di’ che non ho appetito. –

Regan si voltò indietro appena prima di uscire:

– Melyor ti verrà a prendere per le orecchie. –

Anneli scrollò le spalle in modo ben poco signorile.

– Che faccia pure. Non mi farà certo tornare la fame. –

 

 

Più tardi, a tavola, mentre veniva servito il dolce, lo zio si schiarì rumorosamente la gola. Quando ebbe avuto l’attenzione di tutta la famiglia, esordì:

– Si stanno avvicinando le celebrazioni per l’Equinozio di Primavera. È un evento mondano a cui parteciperanno tutti gli esponenti dell’alta società. Mi rincresce solo che si terrà a Shjarna. Sarebbe stato più adatta l’occasione del Solstizio d’Inverno, dato che gli Edelberg sono fieri figli di Norden, tuttavia non vorrei attendere tanto. –

Regan era perplessa. Per tutta la durata del pranzo era rimasta chiusa in una dimensione parallela a sé stante, vuotando il piatto senza nemmeno badare a cosa le veniva messo sotto il naso. Rimuginava sul proprio imminente futuro: era debole, rispetto a ogni altro demone della sua età, e non aveva la minima dimestichezza con i propri poteri; non sapeva invocarli né gestirli, e se voleva essere in grado di badare almeno un minimo a se stessa avrebbe dovuto rimboccarsi le maniche e darsi da fare per imparare.

– Padre, ti spiacerebbe venire al dunque? – soggiunse Ember, alla prima pausa. – Ho programmi per la serata. –

– Porta rispetto, impertinente! – berciò Donna Melyor, allungandogli uno scappellotto sulla nuca mentre serviva la torta alle mele. Era stata la balia dei ragazzi quand’erano piccoli, e tuttora aiutava Arista a crescere ed educare la piccola Luce.

Gli altri fratelli se la risero sotto i baffi.

La torta fu servita a tutti tranne che a Ember, che stava sicuramente provando per la prima volta nella sua vita qualcosa di vagamente simile alla contrizione, a giudicare dalle occhiatine invidiose che gettava ai piatti degli altri.

Approfittando delle bocche impegnate a masticare, Tristan riprese parola:

– Prima di essere interrotto, stavo per parlare di qualcosa di importante. Regan è parte integrante della famiglia, ora, e vorrei ufficializzare la questione al più presto. Siamo una casata in vista, la gente sta già chiacchierando e speculando, e non mi sta bene. Voglio che Regan sia presentata in società come si deve e che tutti sappiano chi è. –

La diretta interessata inghiottì a fatica un boccone di torta e dovette prendere un paio di sorsi d’acqua per liberarsi dalla sensazione di soffocamento che questo le lasciò.

– Quindi, per tutelare la buona reputazione degli Edelberg, andremo davanti a tutta la nobiltà delle Sette Terre e annunceremo pubblicamente che Regan è la figlia illegittima di due rampolli di famiglie storicamente rivali che sono fuggiti insieme coprendosi di disonore? –

La battuta di Ember si conquistò un ceffone da parte di Donna Melyor, che, purtroppo per lui, era ancora negli immediati paraggi.

– Non è una figlia illegittima – sottolineò Tristan, severo. – Ardal sposò Aranel prima che si stabilissero ad Aurin. Ho parlato con la donna che li accolse in casa propria, ha detto che portavano entrambi un anello nuziale. Regan è una Edelberg tanto quanto lo siete voi. –

– Una Edelberg diseredata – borbottò Mariek sottovoce.

Donna Melyor, che era stava servendo una porzione di torta ad Arista, dall’altro lato del tavolo, lo trafisse con un’occhiataccia che lo fece ritrarre nelle spalle.

– Faccio da solo – bisbigliò, e si portò una mano dietro la testa per punirsi spontaneamente, risparmiando a Melyor la seccatura di aggirare l’intero tavolo.

­– Non posso cambiare ciò che mio padre stabilì a suo tempo – riprese Tristan, ignorando le schermaglie di sottofondo in corso. – Ma io e Persefone abbiamo ereditato gli averi che sarebbero spettati ad Ardal, e in seguito anche quelli di Malissa. Se è un patrimonio che manca a Regan, glielo possiamo tranquillamente fornire. –

Malissa e Ardal, rispettivamente zia e padre di Regan, erano i due fratelli di mezzo della penultima generazione degli Edelberg ed erano entrambi morti da anni. Almeno in via ufficiale, perché non molto tempo prima, in circostanze alquanto singolari, lei aveva avuto il piacere di incontrare in gran segreto colei che sarebbe dovuta essere la defunta Malissa, e la aveva trovata decisamente in salute, per essere pubblicamente deceduta.

– Voglio che abbia un futuro sereno e avrà la stessa dote che spetta alle mie figlie, benché non ritenga le serva un patrimonio per attirare l’attenzione di eventuali pretendenti. –

Regan arrossì a quell’ultima frase, non per l’imbarazzo, ma perché sentì del calore paterno in un complimento che prima d’ora non aveva mai ricevuto. Le faceva piacere sapere che lo zio la considerasse meritevole di attenzioni maschili, anche se lei era abbastanza realista da sapere che ciò che i ragazzi cercavano in una ragazza lei non lo aveva. Non ancora. Ma non faceva che ripetersi che prima o poi sarebbe cresciuta anche lei.

– Un momento, perché adesso stiamo parlando di matrimonio? – intervenne Aiden, accigliato, scostandosi due ciuffi di capelli biondi dal viso cesellato.

– Regan è in età da marito – disse Anneli, sprezzante. Era stata costretta a presenziare al pranzo, anche se non aveva intenzione di toccare cibo, e il suo umore era ulteriormente peggiorato. – È tempo che trovi un ragazzo rispettabile e si sistemi. –

Il solo pensiero fece inorridire Regan: al momento gli affari di cuore erano l’ultima cosa di cui voleva preoccuparsi.

– Ma io non… –

– C’è tempo per questo – tagliò corto Tristan, in un tono gentile ma che non ammetteva repliche. – Per ora mi preme che tu faccia come si deve il tuo debutto in società. E affinché questo avvenga, dovrai prima presentata ai tuoi nonni materni, Lord e Lady Dresden. –

Regan si sentì sprofondare nella sua sedia. Come al solito, stava succedendo tutto troppo in fretta, e senza che lei si sentisse pronta per affrontarlo.

Si era discusso spesso di come e quando lei avesse dovuto incontrare i Dresden, ed era sempre stato in termini così fumosi e vaghi che non aveva mai preso seriamente in considerazione l’eventualità.

– Domani Lucius verrà ricevuto a casa loro e cercherà di spiegare come stanno le cose. Ho pensato che fosse saggio mandare qualcuno di neutrale per comunicare loro la… novità. –

La mascella di Tristan si contrasse impercettibilmente. I Dresden erano una di quelle casate ritenute responsabili della Grande Rivolta che aveva messo fine alla Monarchia, e gli Edelberg, invece, erano sempre stati tra le più fedeli alla Corona, e i secoli non erano riusciti a cancellare questa storica rivalità. Era quindi comprensibile che il più anziano degli uni fosse tutt’altro che lieto di condividere una nipote con il più anziano degli altri.

Regan era furiosa, ma troppo sconvolta per reagire. Si sentiva una marionetta mossa dai fili di volontà altrui: ancora una volta era stato deciso tutto senza che lei fosse interpellata. Avrebbe voluto avere Shin accanto, adesso, con la sua calma e la sua razionalità, il suo innato potere rasserenante.

– Naturalmente spetta solo a te decidere quando incontrarli – si affrettò ad aggiungere Arista con tatto, gettando al marito uno sguardo di ammonimento. – Quando ti sentirai pronta. Non è vero, caro? –

– Ma certo – annuì lui in fretta. – Devi capire che era necessario metterli al corrente della situazione al più presto, perché se per disgrazia lo venissero a scoprire da altri, ne verrebbe fuori una guerra. Ci accuserebbero di tramare alle loro spalle, di voler tenere loro nascosta la loro unica nipote… –

Dalla tensione nella sua voce e nella sua espressione, Regan capì che i suoi timori erano sinceri, e la cosa la spaventò. Non voleva mettere nei guai nessuno, e ancor meno finire contesa su due fronti rivali. Non conoscendo i nonni materni, non aveva mezzi per fare paragoni, ma vivere a casa Edelberg le piaceva ed era stato soprattutto grazie ai suoi cugini che si era ambientata così bene e in fretta. Non voleva nemmeno pensare di dover essere strappata a quell’ambiente famigliare che si era duramente conquistata.

Per tutto il pomeriggio ebbe solo l’incontro di Lucius con i Dresden in testa. Persino il suo libro non riuscì a distrarla, tanto che alla fine, dopo aver sfogliato tre pagine senza aver assorbito niente, decise di lasciar perdere.

Riuscì a calmarsi un poco solo quando, verso il calar del sole, un grosso gufo bruno si presentò alla finestra della sua stanza stringendo qualcosa tra gli artigli. Era Libra, la Guardiana del suo amico Shin.

La fece entrare. Anche se ormai non pioveva più, le sue ali gocciolavano, così come le piante e i tetti delle case, e sparsero gocce d’acqua su tutto il pavimento, ma Regan non se ne curò. Ringraziò piuttosto che Mello non fosse nei paraggi, perché la sua esuberanza infastidiva spesso il carattere schivo di Libra.

Per la verità, nemmeno Regan stessa stava granché simpatica al rapace, che vedeva in chiunque si avvicinasse al suo protetto una minaccia incombente, anche se quel chiunque sarebbe morto piuttosto che fare del male a Shin. La gelosia, evidentemente, non era una prerogativa solo delle persone.

Libra le cedette con riluttanza la busta che aveva portato. Era un messaggio da parte di Shin.

Libra non attese che lei lo aprisse: le scoccò un’occhiatina malevola e spiccò il volo nel mosaico di nuvole e sprazzi di cielo limpido che il temporale aveva lasciato dietro di sé.

Sollevata di essersela cavata con così poco ed essere scampata a uno dei soliti attentati mordaci, Regan aprì la busta e lesse le poche righe vergate sul foglietto che vi era stato riposto:

“Scusa per l’assenza di questi giorni. Sono stato impegnato a Medilana e ogni volta che avrei voluto scriverti alla fine c’era sempre qualcosa che me lo impediva. Sono appena tornato a Kauneus e pensavo che forse ti piacerebbe uscire un po’ e distrarti, fare quattro chiacchiere.”

Regan sorrise. Ancora una volta, anche da lontano, Shin sapeva capirla meglio di chiunque altro.

“Passerò domani in mattinata a vedere come stai. Spero che sia tutto a posto. A presto. Shin.”

Fu più facile addormentarsi, quella notte, sapendo che aveva qualcosa di positivo ad attenderla il giorno dopo. Sentiva molto la mancanza di Shin e parlare con lui le avrebbe fatto bene. Inoltre era sicura che lui potesse soddisfare le sue curiosità riguardo ai Dresden e a cosa sarebbe potuto accadere a lei se questi ultimi avessero deciso di avanzare pretese su di lei e la sua tutela.




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A/N: ed eccomi qui, dopo mille mila anni, a iniziare a pubblicare anche Temptation. :) Ci ho messo tantissimo e me ne scuso, ma tra lavoro, vagabondaggi vari e un periodo di ispirazione scarsa, ho faticato a ingranare con questo nuovo capitolo della saga. Adesso, a metà stesura, mi sento abbastanza sicura da poter iniziare a pubblicare. La frequenza di aggiornamento sarà di circa una volta alla settimana, dato che parecchi capitoli sono già pronti. Spero che mi seguirete ancora, dopo Innocence, e che vorrete continuare a recensire e aiutarmi con i vostri consigli.

Alla prossima!

P.S. se qualche lettrice avesse un blog letterario e fosse interessata a organizzare interviste e/o giveaway, alla sottoscritta farebbe molto piacere, quindi contattatemi pure, se avete idee o proposte! :)
   
 
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