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Autore: Aniel_    03/02/2014    5 recensioni
Dean lavora in una tavola calda del Kansas.
Castiel è al verde e alla disperata ricerca di un lavoro... e di un amico.
[2 Broke Girls!AU]
Genere: Commedia, Demenziale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Jo, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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Fandom: Supernatural
Pairing/Personaggi: Dean Winchester, Castiel, Balthazar, Jo, Garth, vari.
Rating: SAFE
Genere: introspettivo, demenziale, comico
Warning: 2 Broke Girls!AU
Words:  2288 (
fiumidiparole)
Note: one-shot scritta per la prima missione della quarta settimana del COW-T 4.
Disclaimer: nessun personaggio mi appartiene, nemmeno le bottiglie di senape unite in matrimonio.

... e il nuovo arrivato
 
Dean si appuntò la prima ordinazione mentre il ragazzo magrolino in compagnia della madre sfogliava pigramente il menù, alla ricerca di qualcosa di verde/salutare/insapore, tutte cose di cui Dean aveva sentito solo parlare. Un po’ come la leggenda metropolitana dell’imminente Apocalisse che aveva riempito le strade nel 2010.
Dean Winchester viveva in un sudicio buco del Kansas e di certo Dio non gli avrebbe fatto il gran favore di spazzare via la tavola calda in cui sarebbe stato costretto a lavorare per il resto della vita. Il grande capo non era un suo fan, aveva ventitré anni di figure di merda che lo avrebbero testimoniato.
«Avete tofu saltato con verdure all’arancia?» domandò il ragazzino – Kevin gli era sembrato di capire – lanciando un’occhiata alla madre che, disgustata, era troppo occupata a puntare con lo sguardo una macchiolina chiara nell’angolo del tavolo.
«Verdure all’arancia?» domandò Dean, incredulo, strabuzzando gli occhi.
Kevin annuì. «Non ne hai mai sentito parlare?»
«No, mai.» ammise Dean. «Siamo nel 2014, chi vuoi che creda all’esistenza delle verdure? Mio fratello dice di mangiare verdure ma è al college quindi dubito che si tratti della stessa roba verde che intendiamo io e te.»
Il ragazzo aggrottò la fronte, perplesso.
«Ma sì, che te lo dico a fare. Non avrai mai visto una canna nemmeno da lontano.» si arrese Dean, ignorando l’occhiataccia della madre di Kevin che lo aveva appena attraversato da parte a parte. «Ti porto un cheeseburger, ragazzino. Guardati… ancora un altro tofu e di profilo ti vedremo in 2D.»
Fece per andarsene ma la vocina impaurita del ragazzo lo fermò a pochi metri dal bancone. «Cameriere, io sono vegano.»
Dean sorrise. «Io sono un maniaco compulsivo, non ti sto giudicando.»
«Dean?»
Dean si voltò, trovandosi faccia a faccia – beh, non proprio faccia a faccia dato che parlare con il suo capo era un po’ come parlare con un bambino la notte di Halloween – con Garth.
«Non ho caramelle con me.» replicò, frugandosi nelle tasche del jeans e tirando fuori un preservativo. Chissà da quanto tempo era lì. «Ecco tieni. So che li collezioni.»
Garth sbuffò e indicò un ragazzo alle sue spalle: un tipo distinto che sembrava sul serio capitato lì per caso, con un impermeabile che nascondeva solo in parte il completo griffato.
«Finalmente qualcuno ha deciso di comprare questo posto? Congratulazioni!»
Garth scosse il capo. «No, lui è il nuovo cameriere.»
Dean strizzò le palpebre, facendosi più vicino. «Non puoi licenziarmi. So dove abiti.»
«Abito qui.»
«Appunto.»
«No, Dean. Non ti sto licenziando.» replicò, massaggiandosi le tempie. «Hai bisogno di aiuto dopo quello che è successo con l’ultimo cameriere.»
«Intendi Gabriel? Pensavo fosse morto. Che fine ha fatto?»
«Regalava caramelle ai bambini.»
«E allora?»
«C’era droga nelle caramelle.»
Dean sbatté le palpebre, sorpreso. «Ripeto: e allora?»
Garth, indignato, fece un passo indietro. «Non ti drogherai mica?»
«Certo, Garth. Il mercato dello spaccio è precipitato e ora posso permettermi l’eroina di cui ho tanto bisogno con i miei tre dollari di mance.» ironizzò. «Sono troppo povero per potermi permettere la droga, Garth. E i soldi che io e Jo tiriamo su barando al biliardo ci servono per il fondo dell’università dei nostri figli.»
Balthazar si affacciò dalla cucina con le ordinazioni. «Hai dei figli, Dean?»
Dean scrollò le spalle. «Potrei averli.»
Garth sorrise, pronto all’abbraccio giornaliero che Dean era bravissimo ad evitare. Non gli piaceva quando la gente lo toccava.
«Oh, Dean, sei un romanticone allora. Vuoi mettere su famiglia!»
Dean alzò le mani, allontanando quel piccolo affettuoso uomo da sé. «Potrei averli perché sono talmente tante le ragazze che hanno provato a richiamarmi dopo una notte passata a casa loro che è possibile che esista un buon 60% di possibilità che siano rimaste incinte e nel caso in cui la mia futura prole voglia venire a conoscermi non mi farò trovare a mani vuote.» spiegò. «Non sono una persona cattiva.»
Il ragazzo alle spalle di Garth si avvicinò, interrompendoli. «Chiedo scusa, signor Fitzgerald. C’è qualche problema?»
«No, nessun problema. Lui è Dean, ti presenterà gli altri e ti dirà cosa fare. Ma il tuo curriculum è ottimo, sono certo che non avrai problemi.»
E prima che Dean potesse fare o dire qualcosa – perché, andiamo, non aveva alcuna voglia di diventare una balia – Garth era già andato via, lasciandolo faccia a faccia con quello strano tipo.
Si fissarono per diversi secondi e Dean fece del suo meglio per intimidirlo con la sua faccia da psicopatico. Non poteva restare: le mance erano una miseria, non poteva permettersi di dividerle con uno che aveva tutta l’aria di potersi permettere una Harley-Davidson.
Ma quando l’altro non fece una piega e si limitò solo a ricambiare l’occhiata, Dean sospirò e si arrese.
«Ciao. Sono Dean.»                                                                                
«Castiel.» rispose il ragazzo, porgendogli la mano.
Dean la guardò, sospettoso. «Se non hai dei soldi faresti meglio a rimettertela in tasca.» sbottò. «E non fare il maleducato… dovresti presentarmi anche il tuo amico dato che lavoreremo insieme.»
Castiel infilò le mani nelle tasche del trench e inclinò il capo, confuso. «Il mio amico?»
«Sì. Il palo che hai infilato su per il culo. Ha un nome?» domandò, non dandogli però il tempo di replicare. Gli afferrò le mani e le guardò con attenzione. «Tu non hai mai fatto il cameriere in vita tua.»
«Da cosa lo hai capito?» arrossì Castiel, cercando di tirare via le mani da quelle di Dean.
«Sono perfette e odorano di cocco. Nessuno qui ha le mani come le tue, nemmeno Jo lì alla cassa. E lei è una signora.»
Entrambi si voltarono verso la ragazza bionda alla cassa che si stava abbuffando con un cheeseburger. Le usciva maionese da ogni orifizio del viso.
«Più o meno.» si corresse Dean, leggermente disgustato. Diede un’ultima occhiata ai palmi di Castiel e mollò la presa. «Se non altro le dimensioni del tuo uccello dovrebbero compensare l’inesperienza. Quindi vai sul retro e ti raccomando: niente sconti. Dì ai clienti che farai tutto il repertorio per un centone. Cinquanta la bocca, solo perché sei raffinato. Intesi?»
Castiel spalancò gli occhi, deglutendo a fatica. «Dovrei pro- pro-» balbettò, in preda al panico. «Prostituirmi nel vicolo?»
«Le vuoi le mance o no?»
Castiel sembrava sul punto di andare in iperventilazione e Dean alzò gli occhi al cielo, spingendolo. «Stavo scherzando, rilassati. Metti l’uniforme, è quella gialla e rossa con macchie biancastre nell’armadietto. Per la tua sanità mentale non chiedere mai a nessuno che genere di macchie sono. In particolare a Balthazar.»
Balthazar ridacchiò, grattandosi la guancia. «Un uomo deve pur divertirsi.» osservò, tendendo la mano verso Castiel. «Io sono Balthe e io e te dovremmo conoscerci meglio. C’è tanto spazio, perché non vieni a farmi compagnia?»
«Balthe, è un uomo.» lo informò Dean.
«Davvero?» domandò, colpito. «Ne sei sicuro? Ha un trench di Burberry.»
Dean lo ignorò e accompagnò Castiel nello spogliatoio, recuperando l’uniforme spiegazzata.
«Allora… cosa ti porta da queste parti?»
«Mi serviva un lavoro.» spiegò, annusando l’uniforme e allontanandola poi dal viso con un’espressione disgustata. «A New York ho sentito tanti di quei “Novak? No, grazie.” da avere la nausea, credimi.»
Dean quasi non si strozzò con la propria saliva. «Novak? Mi prendi per il culo, vero? Tuo padre è quel latitante che è scappato con i soldi lasciando tutti i suoi dipendenti nella merda. Quel Novak? Oddio… è una celebrità da queste parti!»
Castiel sospirò. «Ho dovuto cambiare qualcosa nel mio curriculum o non avrei ottenuto nemmeno questo lavoro. Ti prego, non dire niente. Posso aiutare… imparo in fretta.» lo pregò, guardando il proprio riflesso nello specchio. «Questa uniforme puzza.»
«Prima regola: mai fare domande. Accetta tutto quello che viene.» ordinò, facendo nuovamente strada. «Non ci vuole una laurea a Stanford: prendi le ordinazioni, le porti a Balthe e poi prendi i piatti pronti. Tutto chiaro?»
Ma Castiel si era già allontanato, infilando una monetina nel jukebox. Le prime note di Twist&Shout invasero l’aria, rendendola improvvisamente satura di tristezza.
Dean iniziò a correre ma Jo fu più veloce e staccò la spina appena in tempo.
«Ma dico, sei impazzito?» domandò la ragazza, sconvolta.
«Io non sapevo che non si potesse usare, mi dispiace.» mormorò Castiel, affranto.
«No, puoi usare il jukebox.» spiegò Dean, sussurrando. «Ma non puoi mettere quella canzone. I clienti tristi non danno mance, Castiel. E io ci vivo con le mance.»
«Perché dovrebbero diventare tristi con Twist&Shout?»
«Perché ricorderebbe a tutti quella storia in cui uno va in guerra mentre il ragazzo lo aspetta e poi entrambi muoiono. In realtà non so se muoiono tutti e due, non sono mai arrivato alla fine.»
Castiel aggrottò la fronte. «Non capisco.»
«Mai mettere Twist&Shout al jukebox. È la regola numero due, non infrangerla mai o ci ritroveremo a dover gestire ragazzine in lacrime alle quali “non dispiace Elvis”. Mi piaceva Elvis ma siamo stati costretti ad eliminare il suo repertorio per forza maggiore.»
«Questo posto è strano.» commentò Castiel.
«Benvenuto al Roadhouse. E ora prendi le ordinazioni.»
 
*°*°*
 
«Allora…» esordì Jo, lasciando tra le mani di Dean una manciata di dollari, parecchi dei quali macchiati di ketchup – o forse era sangue? – e qualcosa che il cameriere preferì non riconoscere. «Come è andato il primo giorno del nostro nuovo amico?»
Dean si voltò verso Castiel che tamburellava con le dita sul tavolo. Il locale si era svuotato da un pezzo.
«Non male, a parte la celebrazione del matrimonio delle bottiglie di senape. “Unisci la senape” non significa uniscila per sempre di fronte al Signore.» rispose il ragazzo, incrociando le braccia. «Poi ha fatto divorziare tutte le bottiglie e credo sia stato un duro colpo per lui.» aggiunse.
«È un angelo.» osservò Jo. «Lui può solo portare l’amore.»
Dean scrollò le spalle e raggiunse Castiel, sedendosi di fronte a lui. «Allora superstar, adesso ci dividiamo le mance, okay? Io ho fatto venti dollari, quindi dieci sono per te. Tu?»
Castiel infilò una mano nella tasca del trench e lasciò il contenuto sul tavolo, seguito da un irritante tintinnare. «Ho solo questo.»
Dean aggrottò la fronte prima di sospirare e iniziare a dividere le monetine. «È più di quanto immaginassi.» ammise. Si prese qualche momento prima di domandare neutro «dov’è che stai tu?»
«Io… uhm… dormo da due giorni in metropolitana.» confessò Castiel, chiaramente a disagio. «E tu?»
«In una casa e di solito dormo in un letto. Sai, come le persone normali che non siano spacciatori di crack. Sei uno spacciatore, Castiel? Perché in questo caso dobbiamo dividere anche le tue di “mance”.»
Castiel scosse prontamente il capo. «Potrei venire da te?» domandò.
Dean ghignò, incrociando le braccia. «Dovresti prima invitarmi a cena.» gli fece notare, alquanto interessato alla piega che stava prendendo quella conversazione.
«Non hai capito, Dean. Intendevo se posso venire a stare da te.»
«Ti direi di sì solo se potessi ripagarmi del disturbo e, mi dispiace, hai solo pochi spiccioli.»
Castiel chinò la testa, abbattuto. «Non ti faccio neanche un po’ di pena? Cavolo, Dean. È come se non provassi nulla.»
Dean sorrise. «È la stessa cosa che una volta mi ha detto un cliente, un vecchiaccio tutto in tiro che “voleva ciò che voleva, tutto e subito”. Gli ho rubato l’anello che portava, l’ho venduto e con i soldi che ho ottenuto mi sono comprato una pistola. Sai, è pieno di brutta gente.»
«Ma… ma… Dean! È orribile!»
«Lo so.» ribatté il ragazzo, stringendosi nelle spalle. «Cosa vuoi che ti dica. Sono morto dentro.»
Dean controllò l’ora: erano le due passate e il giorno seguente lo avrebbe atteso una lunga e sfiancante giornata da babysitter.
«Okay, è stato un piacere fare affari con te. Ora me ne vado.» fece per congedarsi, ma Castiel lo afferrò per il polso, supplicandolo con lo sguardo. «Cosa?»
«Posso venire con te fino alla metropolitana? Non voglio andarci da solo, è pieno di brutti ceffi che saltano fuori dai cartoni per spaventarmi.»
«Persino i senza tetto che vivono dentro i cartoni hanno una casa a differenza tua quindi non capisco perché dovrebbero o vorrebbero farti del male.»
«Per piacere, Dean. Solo per oggi e non ti chiederò mai più nulla.»
«È una promessa?»
Castiel annuì e Dean cedette: come faceva a dire di no a quella faccia da cucciolo non ancora svezzato di Cavalier King?
«Okay, ma solo per questa sera!» lo avvertì, minaccioso, prima di inclinare il capo e guardare con attenzione il suo viso e i suoi capelli.
«Cosa c’è?»
Dean si mordicchiò l’interno della guancia e passò la mano tra i capelli morbidi di Castiel, più e più volte, fino a quando ottennero un volume accettabile. «Già sembri un esattore delle tasse e tutti quelli che mi conoscono penseranno che finalmente il fisco è riuscito a raggiungermi, se poi devi anche continuare ad assumere quella parvenza da chierichetto tanto vale mandare a puttane la mia reputazione una volta per tutte.»
I due si incamminarono in silenzio; ogni tanto Dean commentava le strade, le auto e le puttane, ma non più di poche parole.
Quando raggiunsero la stazione della metro si guardarono, sorridendo.
«Eccoci qua.» tentennò Castiel, incrociando le braccia.
«Eccoci qua.» ripeté Dean, infilando le mani nelle tasche.
«Allora io vado.» annunciò l’altro, restando tuttavia immobile.
«Ti vedo ancora, Castiel.»
Castiel annuì e scese pochi scalini, voltandosi un’ultima volta e sorridendo apertamente. «Grazie Dean, e buonanotte.»
Tutto qui. Un caldo e sincero augurio di buonanotte.
Lo osservò scendere tutti i gradini fino a sparire e sentì qualcosa allo stomaco, una sensazione a cui non era abituato e che gli ricordava terribilmente l’indigestione da nachos scaduti di qualche mese prima.
Senso di colpa.
“Mi odierò per tutta la vita per questo” pensò, scendendo velocemente le scale e imprecando a denti stretti contro se stesso.
Castiel era appoggiato ad una delle colonne, con gli occhi già chiusi.
«Ehi.» lo chiamò, non troppo da vicino. «Potrei aver bisogno di un coinquilino. Prometti solo che non farai nulla di imbarazzante o che possa rovinare in alcun modo il mio tenore di vita.»
Castiel aggrottò la fronte. «Tenore di vita? Dean, lavori in una tavola calda del Kansas. Io non lo definirei un grande tenore di vita!»
«Detto da quello che dormiva in metropolitana ha un gran valore per me.» replicò Dean, sarcastico. «Vogliamo andare? Non ho intenzione di addormentarmi qui.»
Castiel annuì e lo seguì, felice, e quella felicità avrebbe portato un mare di guai, Dean poteva esserne sicuro.



Note dell'autrice: io so di essere indietro con tutte le fic e siete autorizzate a rimproverarmi. Me lo merito. La mia beta pretende i suoi patati che le mie fic vengano portate a termine e lo saranno. Giuro che lo saranno. Cerco di mettermi alle spalle il prossimo esame e mi dedicherò alla scrittura per ben 15 giorni. Quindi, per farmi perdonare un po' della mia assenza, vi lascio con della buona, pura e semplice demenzialità. Sto recuperando 2 Broke Girls - che consiglio vivamente se volete farvi quattro risate- e non ho saputo resistere. Esattamente come gli episodi, 2 Broke Boys sarà una raccolta di scenette divertenti, non eccessivamente lunghe, che spero possano strapparvi un sorriso. Vi abbraccio forte e alla prossima! 

 
 
 
   
 
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