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Autore: lady hawke    08/02/2014    1 recensioni
Il Dio osservò come, anche nella sconfitta, Sigyn mantenesse intatta tutta la propria dignità e la propria regalità. Con un marito diverso avrebbe potuto aspirare ad essere una regina; sempre così composta e beneducata, ma con il fuoco dentro. Una rosa che aveva scelto di crescere in un giardino di erbacce. Peggio per lei, pensò Loki.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Loki, Sigyn
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'I've been waiting here patiently'
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Autore: Ladyhawke
Fandom: Thor
Titolo:  L’attesa
Personaggi: Loki, Sigyn
Riassunto:  Il Dio osservò come, anche nella sconfitta, Sigyn mantenesse intatta tutta la propria dignità e la propria regalità. Con un marito diverso avrebbe potuto aspirare ad essere una regina; sempre così composta e beneducata, ma con il fuoco dentro. Una rosa che aveva scelto di crescere in un giardino di erbacce. Peggio per lei, pensò Loki
Rating: Pg13
Word:  3952
Generi: Introspettivo
Avvisi: Nessuno
Note:  Storia seguito ideale della mia precedente onesto scelta, basata sulla prima notte di nozze di Loki e Sigyn. In questa mi sono immaginata come Loki e Sigyn avrebbero potuto gestire l’arrivo di un bambino. Fa strano, no, immaginarli genitori? Ho fatto il mio tentativo.
Beta: Emme, la cui pazienza è sempre troppa.



Quando un dio
Ti punisce,
Avvera i tuoi
Più sudici desideri
E in quel fruscio di ali su
Che non c' è un angelo
Lo so.
 
Vivrò così
Lasciando che
Si mastichi la mia anima
E in quel fruscio di ali su
Che non c' è un angelo
Lo so.

 
Ma io lottando ho avuto te
E non c' è altro che vorrò.

Subsonica, L’angelo



Per essere una sposa, Sigyn passava gran parte del proprio tempo in solitudine. Non le pesava granché, era sempre stata una creatura piuttosto mite e silenziosa, che riusciva ad occupare il suo tempo intrattenendosi con semplici attività. Gran parte del suo isolamento derivava dal timore che le dame di corte avevano nell’intrattenersi con lei. Non era una paura a lei rivolta, ma a suo marito: Loki era in grado di spaventare gli uomini, figuriamoci un gruppo di fanciulle. Non che queste si tirassero indietro da compiere il loro dovere di dame di compagnia, ma lo facevano sempre un po’ in punta di piedi, pronte a fuggire nel caso in cui il Dio degli Inganni si fosse presentato.
Una preoccupazione che Sigyn trovava inutile: non compariva quasi mai. Che fosse per punizione divina o per sua volontà, Loki disdegnava Asgard. Asgard non gli apparteneva, nonostante l’avesse desiderata con tutte le sue forze, e Sigyn non aveva niente per trattenerlo lì. Oh, anche lei lo temeva. La prima volta che si erano trovati soli e insieme, dopo le loro discusse nozze, aveva tremato più per le parole del marito che per i suoi gesti, perché le parole erano state inattese. Non parlavano molto, gli uomini di Asgard, erano uomini d’azione, divinità, lo stesso Odino era un punto lontano e irraggiungibile, soprattutto dopo la scomparsa di Frigga. Già… chissà cosa avrebbe potuto dirle lei, di quel figlio così diverso, così folle, così arrabbiato.
Loki la spaventava sempre con le parole, la feriva e la avviliva. Non averlo intorno era quasi un sollievo. Non vederlo era rassicurante, eppure si era ritrovata spesso ad alzare lo sguardo verso l’orizzonte, sperando di scorgerlo. Aveva resistito pochi giorni, con lei,  e poi era fuggito, incapace di tollerare qualunque gabbia. La giovane continuava a non capire il perché di quel matrimonio e di quell’inganno, anche se aveva trovato il coraggio di chiederglielo, una volta.
“Perchè qui non succede mai niente, moglie. E se non ci fossi io a rendere questo posto vivo, Asgard non sarebbe che un sepolcro.”
Sigyn avrebbe voluto rinfacciargli che lei non era un sepolcro, che lei non aveva voluto quel gioco, ma le parole di Loki “Come vedi, Sigyn, sei tu che mi hai scelto” l’avevano profondamente scossa. Continuava a non credergli, ma continuava a ripensarci.
Chissà che cosa faceva Loki, lontano da lei. Probabilmente niente che lei desiderasse realmente conoscere, eppure, con il tempo, aveva finito per sviluppare una sorta di abitudine a lui. Tremava quando lo aveva attorno, ma le mancava quella sensazione di tensione quando lui non c’era. Si era chiesta se fosse amore, quello che provava, e si disse, con serena accettazione, che non lo era. Al massimo poteva definirlo attaccamento.
Eppure quella costante, noiosa solitudine finiva per avvilirla e renderla sensibile al tempo atmosferico. La pioggia continua, la luce malata che riusciva a rendere opaco perfino lo splendore di Asgard finivano per renderla malinconica. Arrivò a chiedersi se Loki sarebbe mai tornato indietro. Non avrebbe saputo dire se la cosa avesse il potere di renderla più felice o più triste, ma certo era che lei sarebbe rimasta lì in attesa, con un titolo di Dea della Fedeltà di cui, in effetti, avrebbe fatto a meno.
Loki, alla fine, tornò in un giorno la pioggia battente, arruffato come un gatto, irrompendo negli appartamenti di Sigyn come un demone. Fu probabilmente per contrasto al panico che l’apparizione aveva scatenato nelle sue ancelle che lei rimase tranquilla e posata.
“Mio signore, siete tornato.” Cercò di dirlo con voce incolore, ma c’era sollievo nei suoi silenzi, e questo l’aveva tradita.
“Sono forse mancato alla mia sposa?” sorrise Loki, avvicinandosi. “Perché, se così fosse, sarebbe un fatto eccezionale.”
Le dame, in mancanza di un esplicito ordine ad andarsene, erano rimaste ferme e con gli occhi bassi, in attesa. Seguivano quel colloquio senza un grande desiderio di essere lì.
“Non ho avuto vostre notizie per sei settimane.” Si giustificò Sigyn. Non era capace di accettare che Loki potesse essere gentile e, quando lo diventava, la ragazza finiva per mettersi sulla difensiva. La cortesia era la sua arma peggiore e arrivava a farle dubitare di ogni cosa, facendola sentire in torto anche quando non la era.
“E così siamo giunti a questo, a contare perfino i giorni.” Loki gettò a terra il mantello zuppo d’acqua, facendo cenno ad una delle fanciulle di raccoglierlo. La ragazza designata impallidìe si mosse solo a seguito di un gesto della sua signora. “Una devozione così totale è inaspettata.”
“E sembrate dispiacervene.” Rispose Sigyn, che si sentiva presa in giro.
“Oh no, affatto. L’imprevedibilità è molto rara, di questi tempi.”
C’erano molte cose che Sigyn avrebbe potuto dire o chiedere, a quel punto, ma la situazione era frustrante e questo la rese sfacciata. “Non sono certa di comprendervi, l’inaspettato popola di rado le mie giornate.”
Gli occhi di Loki furono come attraversati da un fulminee Sigyn capì che era rabbia.
“Credo sia giunto il momento di lasciar andare le tue compagne.” Lo disse senza cortesia e senza sorrisi, ma ancora una volta, per quanto a disagio, le ancelle attesero Sigyn. Quando lei annuì impercettibilmente, rigida come una colonna, svanirono come nebbia.
“Vedo che la solitudine non ti fa bene.” Si avvicinò a lei e la ragazza indietreggiò di un passo. Voleva mantenere le distanze, così come tentava di farlo dandogli del voi, quando Loki aveva sempre usato del tu.
“Voi mi abbandonate, mio signore.”
“E’ forse una critica al mio modo di agire, Sigyn?” Loki ridacchiò, divertito all’idea. “Una mossa rischiosa, per la mia piccola sposa. Dovresti sapere che ho diritto di vita e di morte, su di te.”
Messa all’angolo, la giovane dovette chinare il capo. Il Dio osservò come, anche nella sconfitta, Sigyn mantenesse intatta tutta la propria dignità e la propria regalità. Con un marito diverso avrebbe potuto aspirare ad essere una regina; sempre così composta e beneducata, ma con il fuoco dentro. Una rosa che aveva scelto di crescere in un giardino di erbacce. Peggio per lei, pensò Loki.
“Vi chiedo perdono.”
“Oh, fosse così facile, piccola Sigyn.” Si avvicinò ancora, di nuovo gentile. Lei non si mosse più, rassegnata all’obbedienza. “Se bastasse chiedere scusa, io di certo non sarei lo spauracchio di questo regno, non credi?”
“… non saprei dire.” la ragazza scostò lo sguardo, certa che Loki potesse leggere nei suoi occhi ciò che pensava davvero.
“Sei sposata da troppo poco tempo per essere realmente sincera con tuo marito, lo capisco.” Sorrise Loki, passandole una mano dietro la schiena, sfiorandole la colonna vertebrale dalla base fino in cima alla nuca e facendola rabbrividire. “Da così poco tempo che tremi ancora al solo vedermi.” Disse, prima di scoppiare a ridere.
“È colpa delle vostre mani gelide.”
Loki sorrise pazientemente, come se dovesse spiegarsi con un bambino. “Temo che la mia natura mi impedisca di essere differente.”
“Mentite. Sappiamo entrambi che ci sono occasioni in cui non siete gelido.” Fu la pronta risposta di Sigyn, mentre arrossiva fino alla punta dei capelli e si voltava per allontanarsi da lui. Il Dio degli Inganni non le diede il tempo di portare a termine i suoi propositie la baciò come lei desiderava essere baciata da sei settimane.
“Occasioni come queste, intendi?” sorrise, vedendola sgranare gli occhi, e sorrise ancora di più quando sentì le braccia di lei stringergli la vita. “E io che pensavo che la pioggia che mi sono trascinato dietro ti avrebbe fermato.” Era una gioia particolare, quella che provava Loki, slegata dall’affetto che la sua giovane moglie poteva provare per lui, ma semplicemente dovuta alla soddisfazione di averla in suo potere, completamente domata. Erano sorrisi di soddisfazione per avere qualcuno completamente sotto il suo controllo.
Non giacque però con Sigyn, quella notte, né le successive. Si limitò ad aleggiare attorno a lei come una presenza sinistra e nefasta, senza spingersi oltre. Dopo le prime notti immediatamente successive alla celebrazione delle nozze, in cui era riuscito ad averla a sua disposizione, docile e accondiscendente, si comportò come se si fosse stancato di lei.
Sigyn ne rimase addolorata e cominciò a sentirsi la colpevole causa di quell’unione così male assortita. Continuò a rimuginarci, soffrendo dell’indifferenza del marito, fino a che lui un mattino non la invitò a passeggiare.
“Passi troppo tempo in gabbia, Sigyn. Non è salutare.” In quelle parole, dette con tono quasi paterno, Sigyn aveva avvertito il pericolo, ma non vi si era opposta: un po’ perché sapeva che era suo dovere obbedire, un po’ perché sentiva lei stessa il bisogno di un po’ di libertà all’aria aperta, a godersi l’aria ormai fredda e un timido sole. Si erano messi a camminare vicini, senza sfiorarsi e senza parlarsi. Era stato Loki il primo ad aprire bocca, dopo lungo tempo, per il semplice gusto di mettersi a giocare con lei.
“A cosa è dovuta questa timidezza, Sigyn? Ti spavento, forse?”
La ragazza era rimasta in silenzio e lui non aveva fatto pressioni. Aveva notato dalla sua espressione concentrata che stava cercando la risposta più adatta ed era curioso di scoprirla. Per questo non l’avrebbe forzata, e quando finalmente lei parlò lo fece con cautela.
“Conoscete la risposta, mio signore.” Camminavano per il grande parco, sufficientemente immenso da dare l’illusione di trovarsi in aperta campagna e non in un giardino meticolosamente recintato. Un’illusione che Loki aveva incontrato spesso. “Mi avete promesso dolore e sofferenza.”
“Avrei potuto mentirti e non l’ho fatto.”
“Già, e le vostre parole trafiggono come spade.” Alzò lo sguardo sul suo sposo, né triste, né rassegnata, ma semplicemente consapevole. “Bugie o verità che siano, nessuna delle due porta mai sollievo, con voi.”
Loki rimase in silenzio a sua volta per un po’, come se dovesse formulare attentamente la frase.
“Dare sollievo non è mio compito, ma il tuo, Sigyn.” Rispose, serio, prima di aggiungere con tono divertito. “Dovrai pur far qualcosa per guadagnarti il titolo che ti è stato assegnato.”
Le baciò una mano, mentre lei lo osservava, corrucciata. “Spero tu conosca da sola la via per il palazzo.”
“Mi abbandonate ancora, dunque, senza che io possa sapere per quale ragione.”
Il Dio le sorrise, accarezzandole la guancia. “Sii felice della tua ignoranza, finché puoi mantenerla.” Le diede le spalle e si incamminò per la sua strada, lasciandola sola e confusa. L’aveva scelto, continuava a ripetersi Sigyn, senza spiegarsi il perché. Desiderava salvarlo? Compiacerlo? Dargli sollievo, come aveva appena detto? Lei non lo sapeva, e mantenne la sua ignoranza, così come le era stato consigliato.
Continuò a non sapere niente di dove passasse il tempo il suo sposoe non osò più chiedere, pur mantenendo una certa dose di curiosità. Loki, del resto, viaggiava tra i mondi, percorrendo distanze che lei non avrebbe nemmeno potuto immaginare, seminando discordia, così come gli piaceva. La sua unica consolazione era che, per il momento, Odino non avesse più deciso di punirlo e rinchiuderlo. Punizioni inefficaci, si era presto capito, ma ancora molto utilizzate.
La nuova fuga di Loki fu breve, tanto che quando fece nuovamente irruzione nelle sue stanze,Sigyn fu sorpresa di rivederlo. L’inverno era iniziato da poco, la neve compariva ancora solo per lasciare delicate spolverate bianche sulle strade e i tetti delle case; la ragazza si fece trovare seduta vicino al fuoco, con i capelli umidi e solo una veste leggera a coprirla, da poco reduce da un lungo bagno riposante. Si sentì nuda, davanti allo sguardo indagatore del marito, e strinse le braccia al petto quando lui le si avvicinò. Il Dio non si preoccupò nemmeno di rivolgerle la parola e si avvicinò come un gatto. La baciò più di una volta, lasciandola confusa, accarezzandole i capelli umidi e pettinati con cura.
“Perché tutto questo?”  chiese lei, non appena le fu concessa tregua. “Qual è la ragione?”
“Non cercare cose che non puoi trovare, Sigyn, è tempo perso.” La strinse di più a sé e la baciò ancora.
Sigyn sentì che le mani di Loki non erano fredde e ne fu felice.
“Credo che sia giunto il momento di darti un figlio, mia giovane Sigyn.”
La ragazza sgranò gli occhi e l’ansia si impadronì di lei. Da Loki si sarebbe aspettata molte cose, ma mai questa. Per il tipo di uomo con cui aveva avuto a che fare non aveva mai nemmeno considerato l’idea che il Dio degli Inganni potesse desiderare una discendenza. Lasciò cadere le braccia lungo i suoi fianchi, inermi. Anche Loki si staccò da lei. Le prese il mento con la mano e le sollevò la testa. “La cosa forse non compiace la mia sposa?”
“Non l’ho mai nemmeno pensato, mio signore, sono solo sorpresa…”
“E invece hai pensato Sigyn, e in fretta.” Era serio, quasi incattivito. Non c’era finta cortesia o gentilezza in lui, non c’erano maschere, e poteva scorgere il suo vero temperamento. “Ti sei chiesta cosa penseranno di te, mentre porti nel ventre una creatura per metà sicuramente mostruosa? Ti compatiranno, questo è certo, si chiederanno cosa ne uscirà e ti scruteranno con sospetto. Non sarai mai più come loro, è questo che ti turba?”
“Mi attribuite troppi pensieri in troppo poco tempo.”
“La mente corre rapida.”
“Mai come la vostra.” Sigyn posò una mano sul braccio di Loki per convincerlo a mollare la presa su di lei. “Dunque è questa la ragione per cui siete tornato da me. C’era e non avete voluto dirmelo.”
Era difficile che le lusinghe potessero funzionare, su Loki, che sapeva distinguere il vero dal falso con molta precisione e che sapeva capire le intenzioni delle persone come nessun altro. Leggeva Sigyn come un libro aperto, e il fatto che lui la giudicasse sincera le evitò la sua ira.
“Mi pensi mosso da ragioni molto semplici.” Rispose lui, lasciando il mento della donna e afferrandole la mano.
“Mi avete suggerito di non cercare di sapere cosa vi spinge davvero.” Era stato un buon consiglio. Sigyn dubitava che fosse dettato da una coscienza e pregava che derivasse da affetto sincero. “Non chiederò oltre, ma dimenticate che io non so se sarò in grado di darvi figli oppure figlie.”
Loki sorrise, inquietante. “Sono certo che saresti in grado di mettere al mondo figlie belle ed aggraziate quanto te.” Le accarezzava la mano, mentre parlava. Un gesto così tenero, se paragonato alla freddezza della sua voce. “Ma non è ciò che desidero, non me ne farei niente. Ti converrà rispettare i piani.”
Sigyn annuì, preoccupata. Non era la prima moglie messa di fronte alla necessità di generare solo e soltanto maschi e non sarebbe stata l’ultima, ma la minaccia era reale, e lei non desiderava deluderlo. Per un attimo si chiese cosa avrebbe preferito lei, ma si rese conto che era un pensiero sciocco ed inutile, così lo accantonò in fretta.
“Non posso darvi nessuna certezza…” la ragazza pigolò, quasi sentendosi in colpa non potendo pretendere di più.
“Le certezze sono compito mio, Sigyn, non tuo.”
La giovane arrossì, un po’ per il calore dovuto alla sua vicinanza al camino, un po’ per le parole del marito. Il riflesso del fuoco sui suoi capelli biondi riusciva a farli sembrare in grado di emanare luce propria. Loki l’attirò a sé con dolcezza e Sigyn si lasciò prendere.
La permanenza di Loki fu costante per tutto l’inverno. Pur non dormendo mai con lei, visitava spesso Sigyn e altrettanto spesso la conduceva fuori, all’aperto, a respirare il gelo dell’inverno e l’aria limpida. Per quanto assuefatte alle erbacce, il Dio sapeva che le rose avevano bisogno di luce e di sole, e aveva deciso di non negarle niente di tutto ciò.
“A chi nuoce davvero la gabbia, a me o a voi?” chiese una volta, Sigyn.
“A chiunque capisca di abitarne una.” Fu la criptica risposta del marito.
Si instaurò in quei mesi una sorta di quieta abitudine domestica che placò molte delle ansie e delle paure della giovane, al punto dal farla sentire una sposa quasi normale. Forte di questo non prese tempo e annunciò a Loki di attendere un figlio non appena se ne accorse.
Non diede segno di essere felice, ma diede segno di essere soddisfatto.
“Oserei dire che la prima parte del nostro accordo è andata a buon fine.” Camminavano fuori dai confini del parco, immersi nella boscaglia, lontano da tutti come mai avevano fatto prima. Era stata forse quell’intimità così totale ed inaspettata a convincere Sigyn a parlare.
“È così che lo definireste?”
“Non c’è altro modo.”
“Non mi pare di aver preso molte decisioni.” Commentò Sigyn, appoggiandosi al tronco di un albero.
“Se tu fossi capace di dimenticare che mi devi obbedienza, avresti trovato un migliaio di altre strade da percorrere e un milione di modi per andare contro il mio volere.”
“A che pro?” la ragazza mise le braccia attorno al collo del marito, quando questi si avvicinò a lei. Loki le slacciò il mantello per poterle baciare il collo. I brividi di Sigyn non furono dovuti al freddo, né in quel momento, né quando lui le posò le mani sui fianchi.
“Per il gusto della sfida, moglie. Questa e nessun' altra ragione.”
Fu l’ultima volta che Sigyn vide Loki per molto tempo. Svanì nella notte come un brutto sogno. Venne la primavera e venne l’estate, il ventre di Sigyn crebbe e lei rimase sola. Fu in quell’occasione che pianse per la prima volta a causa sua. Pianse perché si sentiva tradita, infelice e sola. Sapeva bene che a nessuno sarebbe importato se il bambino o la bambina - e a quel punto non seppe più cosa sperare - scalciava dentro di lei. Nessuno avrebbe voluto prendersi carico di quella che, capiva, sarebbe stato considerata un asgardiano soltanto a metà, un meticcio. Quando Thor si propose per andare a cercare il fratello disgraziato, Sigyn rifiutò: non avrebbe mai trovato chi non voleva essere rintracciato. Non lui e di sicuro nessuno dei suoi prodi compagni di avventura, poco propensi a portare a termine un compito ingrato.
Sigyn rimase esteriormente calma, cercando di imparare a cavarsela da sola per sé e per la sua piccola creatura. Fece del suo meglio, ma quando sentì le doglie del parto fu invasa dalla paura e nessuna parola di conforto delle sue ancelle fu sufficiente.
Mettere al mondo il suo primo erede fu lungo, doloroso e difficile. Aveva temuto la sua prima notte di nozze come una sciocca, si ritrovò a pensare, non troppo lucida, a malapena consapevole di quanto sangue stesse perdendo. Si rilassò quando, sudata e stremata, sentì il vagito di un neonato, segno che ce l’aveva fatta. Stremata e confusa, attese di sentire dalla voce della levatrice se il bambino stava bene, se era un maschio o una femmina, ma fu una voce maschile assai nota a sorprenderla.
“Obbediente e fedele, la mia buona sposa Sigyn. Hai dato alla luce un maschio.”
Un altro marito, un altro asgardiano sarebbe stato cacciato dalla levatrice con voce decisa fuori dalla stanza, ma non Loki, che rimase lì, appoggiato allo stipite della porta. Le donne portarono via il bambino per essere lavato, mentre un paio di loro rimasero ad occuparsi della madre.
Sigyn si lasciò ripulire e cambiare docilmente, stanca e dolorante, ignorando il marito. Parlò solo dopo che fu lasciata sola con il bambino tra le braccia.
“Il vostro tempismo è encomiabile.” Commentò. Non aveva paura di lui, non in quel momento. Si lasciò invadere dalla rabbia e non lo nascose.
“Spero sia stato lo stesso per la levatrice che si è premurata di avvisarvi a voce bassissima che sarebbe rimasta nella stanza accanto in caso tu avessi avuto bisogno, come se non mi fosse concesso udire.”
Sigyn abbassò lo sguardo sul bambino, osservandolo per la prima volta. Era piccolo e serio, come un qualunque neonato asgardiano; non voleva sapere cosa aveva preso da Loki, non ancora.
“Spero di aver assolto il compito in maniera soddisfacente.”
“Non è un tono che ti si addice, Sigyn, non sei nata per sferzare le persone con le parole.” Loki si era avvicinato al letto della donna, vi si era seduto e aveva allungato una mano per sfiorarle una guancia. Era un tocco gentile e fresco, e a Sigyn si inumidirono gli occhi.
“E voi non siete nato per dare sollievo.”
“Né consolazione. Non cercarla in me, ti feriresti.”
Il bambino si agitò e Sigyn si adoperò per attaccarlo al seno. Per un piccolo momento questo la fece sentire bene,  la rimise in pace con il mondo. Lasciò che lo sguardo vagasse sul neonato e si accorse di nuovo di Loki solo quando lui le sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
“Sono stata lasciata sola nel momento in cui ho avuto più bisogno di voi.” Lo accusò apertamente, senza guardarlo. Temeva sarebbe scoppiata a piangere e non voleva.
“Io non avevo bisogno di te, Sigyn, né tu di me. Non avrei potuto fare niente. Tutto sarebbe avvenuto allo stesso modo.”
La neomadre accarezzò la testa del bambino, cercando di calmarsi, almeno per lui.
“Ho avuto paura.”
“Io creo paura, non l’allontano. Mi dai ancora del voi e pretendi che io sia accanto a te quando devi combattere le tue battaglie?”
Sigyn non rispose e Loki riprese a parlare con quel tono quasi paterno che assumeva nei momenti in cui sceglieva di essere clemente con la sua sposa.
“La condizione di donna non ti rende esente dal combattere, Sigyn. Cambia il campo di battaglia, solo questo. C’è dolore e sangue qui come in guerra. Hai vinto la tua, hai portato a termine il tuo compito.”
“E cos’altro mi aspetta, ora?” la voce di Sigyn era stanca, i suoi occhi velati.
“Forse altri figli, e di sicuro altre prove.”
“Mi accontenterei di essere felice, mio signore. Per una volta vorrei sentirmi dire questo.” E in parte forse già lo era, pensò Sigyn, guardando il bambino.
“Non te lo dirò. Non durerebbe per sempre.”
“Nemmeno il dolore lo fa.”
Loki non rispose, evitando di entrare in argomento. Accarezzò ancora la guancia della sposa, poi la spalla e il braccio, seguendolo fino a sfiorare il bambino. “Il suo nome sarà Narfi.”
“Come il mio signore desidera.”
Loki si alzò in piedi e si avviò di nuovo verso la porta.
“Loki?” Sigyn lo chiamò con voce incrinata. “Non di nuovo, non un altro abbandono.”
“Non hai bisogno di me, ma di riposo.”
“E dove sarete al mio risveglio?”
“Dove potrete trovarmi.”
“Ma non durerà a lungo, non è così?”
Loki indugiò sulla porta già aperta. “Nulla è fatto per durare, Sigyn, te l’ho già detto.”
“E rimarrò di nuovo sola a vostro piacimento.”
“No. Avrai Narfi.” Loki lasciò la stanza, e madre e figlio rimasero soli.
Sigyn fissò Narfi con dolcezza e lo cullò, in attesa che la levatrice rientrasse per metterlo nella culla. Lo amava, nonostante le particolari circostanze che l’avevano condotto fino a lei. Era più di quanto non potesse dire di suo marito, il motore di tutto che agiva per ragioni imperscrutabili e note solo a lui. Non le aveva portato altro che dubbi, paure e pensieri, ma le aveva anche donato un figlio. Per un momento pensò che Narfi fosse un regalo, che lo scopo per cui l’avesse messo al mondo fosse per lasciarlo nelle sue mani, a stemperare una solitudine che altrimenti avrebbe potuto consumarla.
Era un pensiero sciocco, nato da sentimenti che di certo non animavano il Dio degli Inganni, ma si insinuò in Sigyn, bisognosa di trovare un senso, e di trovare gioia. Che Narfi fosse o meno l’unica consolazione che Loki fosse in grado di donare alla moglie, lei l’accolse e gliene fu grata come se si trattasse per davvero di amore.




 
  
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