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Autore: monalisasmile    15/06/2008    3 recensioni
La Corsara è la prima parte della trilogia di Eär Lindë (Il Canto del Mare).
Jill è una Corsara del regno di Umbar che ha assistito impotente alla distruzione della sua città per mano dell'Oscuro Signore. Raccolta da Gandalf e condotta a Isengard in qualità di apprendista dei due stregoni, è costretta alla fuga a causa del tradimento di Saruman. Ferita e confusa, bramosa di vendetta e di trovar risposta alle molte domande che l'assillano, intraprenderà un lungo viaggio attraverso la Terra di Mezzo alla ricerca di se stessa.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Legolas, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1

Gandalf crollò a terra. Lei sapeva che non ce l’avrebbe fatta: Saruman l’aveva colto di sorpresa e ne aveva approfittato per attaccarlo senza pietà. Di nuovo lo stregone bianco sollevò il bastone.
Jill vide la grigia figura sollevarsi dal freddo pavimento e scomparire tra le ombre dell’alto soffitto. Lo scontro era terminato.
La ragazza non si muoveva, l’occhio ancora accostato alla porta. Quando era venuta a conoscenza dell’inattesa visita del Grigio, Jill non aveva saputo resistere: doveva essere successo qualcosa di grave. Sapeva che non le era permesso assistere agli incontri che si tenevano in quella parte della struttura, ma la curiosità e l’istinto avevano avuto, come di consueto, la meglio sul buon senso.
Sebbene fosse cosciente che la sua vista non era in alcun modo difettosa, non riusciva a credere a ciò che aveva visto. Saruman l’aveva tradito. Peggio, aveva tradito tutta la Terra di Mezzo… e anche lei. Sapeva che l’Oscuro Signore stava riacquistando il suo antico potere e ora che possedeva un alleato quale lo stregone, la sua avanzata sarebbe stata inarrestabile. E di lei che ne sarebbe stato? Come si sarebbe comportato il traditore con la sua apprendista? Che ne volesse fare una seguace di Sauron?
Strinse i pugni. No. Questo non sarebbe mai successo. Non gli avrebbe permesso di sfruttarla, di manovrarla come un burattino ai fini del Signore di Mordor. Piuttosto sarebbe morta.
In quel momento lo stregone si voltò verso la porta e i loro sguardi si incrociarono per un breve istante. Poi lei agì d’istinto: si scansò dall’uscio con un balzo, giusto in tempo per evitare l’attacco che si abbatté sulla parete. Si sollevò subito e corse via: non aveva idea di ciò che avrebbe fatto, sapeva solo che doveva mettere più distanza possibile tra lei e il suo inseguitore.
Sfrecciava lungo gli ampi corridoi, rapida e leggera. La lunga treccia rossa batteva sulla sua schiena, i piedi si posavano sulla fredda pietra provocando tonfi leggeri, la seta della tunica frusciava dolcemente. Jill era un’apprendista, ma prima di tutto una Corsara. Sapeva come muoversi sul ponte di una nave come sulla terra ferma. Era agile, tanto da potersi arrampicare senza difficoltà sull’albero maestro come sulla più ripida delle scogliere. Era veloce, poteva battere tanti uomini nella corsa. Eppure in quel momento si sentì lenta e impacciata, i piedi intralciati dalla lunga veste.
Un sentimento a lei molesto stava prendendo possesso della sua persona: aveva paura. Per la prima volta da tanto tempo aveva paura. Sapeva che se fosse stata catturata per lei sarebbe stata la fine. Si sforzò di accelerare il passo: non era allenata. Se solo avesse avuto la sua spada… ma anche con quella non avrebbe potuto fronteggiare lo stregone. E nemmeno la magia sarebbe valsa a nulla: Saruman era un Istari e se neppure Gandalf era riuscito a fronteggiarlo, lei non avrebbe avuto speranze.
Sentiva la presenza dello stregone alle sue spalle e il cuore le si strinse in una morsa. Non riusciva ancora a credere che stesse fuggendo dalla stessa persona che solo qualche anno prima l’aveva accolta e accettata come apprendista. Il suo maestro e tutore aveva calpestato la sua fiducia e tra poco avrebbe calpestato il suo stesso corpo.
Percepì un’ondata di energia alle sue spalle e svoltò l’angolo appena in tempo. Un portone andò in frantumi. Imboccò un altro corridoio per poi scendere le scale. Ad ogni balzo il cuore le saltava in gola. Un altro attacco e la dura pietra andò in pezzi sul suo capo. Abbassò la testa per schivare le schegge. Ma non si fermò.
L’intera torre di Isengard tremava sotto i colpi e lei correva a perdifiato. Poi accadde un imprevisto: si trovò davanti ad un’immensa vetrata. Era in trappola. Sotto di lei vide qualcosa che le fece sgranare gli occhi: orchetti. Centinaia di orchetti si radunavano ai piedi della torre. Ma lo stupore, lo sdegno e la rabbia non ebbero il tempo di farsi strada nel suo cuore.
In quel momento seppe che lui era alle sue spalle e si voltò di scatto, appena in tempo per vedere l’uomo che alzava il bastone e lo puntava al suo petto.
Accadde tutto in un attimo: l’attacco la colpì in pieno e con tale potenza da spingerla indietro. La vetrata s’infranse e lei precipitò. La sua veste fluttuò nell’aria e per un attimo Jill dimenticò tutto. La sua coscienza si ridusse alla sensazione di librarsi nella notte, l’aria fredda che le sferzava il volto, i pensieri che volavano lontani. Quando la sua caduta si arrestò, aveva già perso i sensi.

Un dolore lancinante le attraversava il corpo. Doveva essersi rotta qualcosa. Sapeva di essere viva, eppure non riusciva a muoversi. Aprì gli occhi e capì che c’era qualcosa di strano. Credeva di aver volato, o meglio di essere precipitata giù dalla torre. Possibile che avesse solo sognato?
No, altrimenti non avrebbe potuto spiegare le ferite che aveva riportato in tutto il corpo. Un freddo peso ai polsi e alle caviglie le diede la conferma: catene.
Si trovava nella sua stanza, imbavagliata e sdraiata sul suo letto.
“ Inchiodata al mio letto!” si corresse.
In quel momento tutto le tornò in mente: la visita di Gandalf, le parole di Saruman, lo scontro fra i due e la sconfitta del Grigio. E infine la disperata fuga da tutto ciò cui aveva assistito. A quanto pareva la sua caduta nel vuoto era stata arrestata dall’intervento dello stregone.
Un odore ripugnante la raggiunse e lei si sforzò si alzare un poco il capo. Di fronte a lei c’era uno degli anonimi subalterni di Saruman: non conosceva il suo vero nome, ammesso che ne avesse uno, ma si faceva chiamare Vermilinguo. Non aveva mai potuto fare a meno di disprezzare quel viscido personaggio e trovarselo di fronte in quel momento le fece venire la pelle d’oca. Quando lui si accorse del suo sguardo le rivolse un sorriso lascivo.
“ Davvero vomitevole.”
E avrebbe tanto voluto dar di stomaco, ma sapeva che, anche se non avesse avuto in fazzoletto davanti alla bocca, non ne avrebbe avuto la forza. Voltò invece il capo dall’altro lato e si accorse della seconda presenza: Saruman.
Lo stregone stava ritto in piedi e la guardava, l’espressione indecifrabile.
- Ben svegliata, Jill. –
Lei si dimenò violentemente, strattonando le catene e agitando il capo. Avrebbe voluto urlare e sfogare la sua rabbia. Avrebbe voluto ucciderlo. Perché era un traditore e un ingannatore, perché aveva fatto del male a lei e Gandalf e perché si era schierato dalla parte dell’acerrimo nemico della ragazza.
Lui esibì un freddo sorriso, privo di allegria.
- Visto che sei così piena di energie, cominciamo subito. –
Da sotto un panno estrasse una sfera scura. Jill ricordò di averla vista nella sala dove i due stregoni si erano affrontati e dove il suo maestro aveva trascorso intere giornate. Saruman l’aveva mostrata a Gandalf, che l’aveva prontamente ricoperta. Recentemente ricordava di aver letto qualcosa al riguardo: si chiamavano Palantiri e ne esistevano sette. Il loro nome significava “coloro che sorvegliano da lontano” ed era una sorta di metodo di comunicazione tra i loro possessori . Eppure, a quanto ne sapesse lei, quegli oggetti erano scomparsi tempo fa.
Una domanda si insinuò per un attimo nella sua mente: con chi comunicava Saruman? Chi altro poteva possedere un Palantir?
Non fece in tempo a darsi una risposta. Lo stregone aveva posizionato la sfera di fronte al suo viso e stava borbottando delle parole incomprensibili. Poi l’oggetto parve prender vita: potenti fiamme percorsero la sua superficie e la ragazza s’irrigidì. La mano di Saruman tremava, mentre un occhio senza palpebre compariva nel Palantir.
Jill sbiancò: Sauron. Il suo sguardo s’incatenò a quell’immagine e non riuscì a distoglierlo. Però mantenne fermamente il controllo: non avrebbe mai ceduto di fronte al suo nemico. In fondo era o non era un’indomita corsara?
Poi una voce si fece strada nella sua mente. Non capiva le parole, ma il tono era perentorio, il suono forte e carico di potere. Tentò di resistere, di chiudergli ogni via di accesso, di respingerlo. La fronte era imperlata di sudore e il corpo tremava nello sforzo. Era uno scontro diverso da quelli a cui aveva partecipato fino a quel momento. Non era preparata e agiva d’istinto, incanalando tutte le sue energie per erigere una barriera, esattamente come le diceva spesso Gandalf. Stava mettendo a frutto le ore trascorse con il mago e si rammaricò di non aver prestato più attenzione alle sue parole.
Jill era fatta così. Sfacciata e cocciuta, non dava mai retta ai consigli degli altri. Agiva sempre di testa sua e spesso avventatamente. Il che era rischioso già per un corsaro, figurarsi per uno stregone! Se c’era una cosa che aveva imparato, infatti, era che la magia era uno strumento potente quanto imprevedibile e che bisognava utilizzarla con cautela e sagacia. Motivo per cui non si era mai mostrata molto interessata alle lezioni del Grigio. Gandalf insisteva a farle studiare sia la pratica che la teoria, a compiere piccoli passi alla volta. Ma lei era troppo impaziente per stare ai suoi ritmi e spesso preferiva le ore trascorse con lo stregone bianco. Lui era l’esatto opposto: si interessava alla scienza e alla meccanica, guardava al futuro. I suoi studi pullulavano di oggetti dalle strane forme e le sue pergamene abbondavano di formule incomprensibili. Il che attraeva Jil molto più della storia o della geografia.
E ora si ritrovò a pensare che, al contrario di quanto affermasse sempre Saruman, la scienza non era la risposta alle esigenze. Come poteva uno strano congegno o una formula chimica aiutarla in quel momento? La tecnologia poteva forse contribuire a migliorare la vita delle persone, ma di certo non a salvarla!
Il suo corpo implorava pietà e la sua mente era stanca. Al contrario l’Oscuro Signore sembrava attingere ad una riserva inestinguibile di energia. In un ultimo atto di coraggio, o forse di disperazione, tentò un’offensiva. Fece esattamente come le aveva detto Gandalf: concentrò le sue energie in un punto e colpì, sfoderando un affondo come avrebbe fatto con una spada in pugno. Ma Sauron non parve neppure accorgersene e ne approfittò. Con uno slanciò affondò nella sua mente come nelle acque di un lago. Jill sentì quella presenza dentro di sé scavarle l’anima e si dimenò forsennatamente. La stava scrutando a fondo, troppo a fondo. La stava violando dall’interno.
Un urlo si alzò dalla sua bocca bendata e il fazzoletto cadde a terra. Il suono squarciò l’aria, carico di rabbia, orrore e… potere. Calde lacrime sgorgarono dagli occhi, rigando il volto contratto. Le pareti tremarono e Vermilinguo arretrò fino alla porta, pronto a fuggire. Lo stregone bianco vacillò, piegando le ginocchia. Sauron si ritrasse, come scottato.
Il grido si spense: la ragazza aveva di nuovo perso i sensi.

Saruman si accasciò al suolo, stordito. Percepì la presenza dell’Oscuro Sire e afferrò nuovamente il Palantir. Vi posò sopra la mano scarna e ristabilì il contatto.
A quanto pareva il signore di Mordor era rimasto soddisfatto da ciò che aveva trovato. Lo stregone si concentrò sulle sue parole e non rimase molto sorpreso dai progetti che gli venivano rivelati. Promise che avrebbe provveduto al più presto e poi si congedò.
La sua coscienza tornò nella buia stanza di Isengard e lo sguardo freddo si posò sull’uomo curvo vicino all’uscita.
- Occupati di lei. È entrata in uno stato di coma e penso che non si risveglierà per diversi giorni. Intanto fai in modo che la sua voce taccia per sempre. – gli ordinò.
- Intende dire che… - sbiascicò l’altro.
Saruman posò un dito lungo e ossuto sul collo della giovane e lo fece scivolare lentamente.
- Un taglio netto e preciso. Niente infezioni o pagherai con la vita la tua inettitudine. –
- Sì, mio signore. –
- Ricorda, Verme: hai fra le mani la tua futura Regina. Vedi di non oltraggiarla. – e si richiuse la porta alle spalle.
Con un brivido l’uomo pensò che non ne aveva alcuna intenzione, o almeno non più. Con un brivido di terrore, che non era certo dovuto all’operazione in sé, afferrò un coltellino e posizionò tutto l’occorrente su un tavolino. Appoggiò la fredda lama sul collo e una goccia di sudore gli imperlò la fronte pallida. Si chinò e raccolse il fazzoletto per legarglielo con cura davanti alla bocca.
Recuperata un po’ più di calma, afferrò di nuovo il coltello e lo disinfettò sulla fiamma. Poi, con un movimento deciso, tagliò.

Purtroppo per lui, lo stregone non aveva tenuto conto della straordinaria capacità di recupero di Jill.
Vermilinguo si stava occupando delle ferite ai polsi, non senza borbottii e imprecazioni, quando la sua mente riemerse dal torpore in cui era precipitata. Non sapeva per quanti giorni era rimasta stesa in quel letto, ma sentiva di aver recuperato in parte le energie. E soprattutto che era il momento giusto per agire e tentare la fuga.
Non percependo il peso delle catene alle braccia, aprì gli occhi e incontrò lo sguardo dell’uomo. Questi sgranò gli occhi sorpreso e allarmato, ma non ebbe il tempo di aprir bocca. Un pugno lo raggiunse sul viso, seguito da un colpo preciso sulla nuca. Vermilinguo stramazzò al suolo, svenuto. Liberatasi anche delle catene che le fermavano i piedi, Jill si alzò per sgranchire un po’ i muscoli indolenziti dall’inattività. Lanciando uno sguardo fugace allo specchio poté finalmente fare un controllo dei danni subiti. A parte un paio di lividi e graffi, sembrava in perfetta forma. Poi però si accorse della benda che le fasciava il collo. Un’ombra di terribile dubbio le attraversò lo sguardo e la sua bocca si aprì. Niente. L’aria usciva in suoni sibilanti, priva di toni o articolazioni. Aveva perso la voce. O meglio, gliel’avevano tolta! Saruman le aveva fatto strappare le corde vocali e non faceva fatica a indovinare chi fosse stato il chirurgo.
Il primo istinto fu quello di strangolare il corpo privo di conoscenza che giaceva sul pavimento. Sarebbe stato facile. Ma qualcosa dentro di lei le diceva che non sarebbe stato corretto togliere la vita ad un uomo indifeso, per quanto giusto le potesse sembrare.
“ Accidenti all’onore dei corsari!” imprecò fra sé.
Infatti, per quanto potessero sparlare gli altri popoli, i corsari di Umbar avevano un codice e delle regole ferree. Certo, non tutti erano dei santi, ma ognuno aveva i suoi principi e ideali a cui si atteneva fedelmente. Era uno dei motivi per cui lei aveva deciso di prendere il mare, o almeno fino a quando…
Ma non era il momento migliore per pensarci. Ora doveva solo pensare a fuggire da quella torre. Sapeva dove si sarebbe diretta: a Gran Burrone, la residenza di Mastro Elrond. Era il solo luogo dove poteva sperare di trovare protezione… e conforto. Forse in quella dimora di pace avrebbe potuto scacciare dalla sua mente l’orribile sensazione che le provocava il ricordo del Palantir. In ogni caso era meglio che rimanere prigioniera fra quelle fredde mura.
Si avviò a grandi passi verso il fondo della stanza e frugò fra i suoi abiti, fino a trovare dei calzoni, una tunica e un mantello adatti ad un viaggio. Li indossò in fretta e si impegnò a nascondere i capelli sotto il cappuccio, in modo che non fosse riconoscibile a distanza. Rimpianse un poco i giorni in cui si arrampicava sul sartiame della nave, la spada stretta in pugno e i capelli al vento come uno stendardo di fuoco.
Poi armeggiò un poco con le tavole del suo baule ed estrasse un cinturone, alcuni coltelli e infine lei, la sua spada. Era l’unico oggetto che le fosse rimasto quale ricordo della sua vita precedente e del suo amato padre. Era un tesoro inestimabile e ormai faceva parte di lei. Durante gli anni passati nella torre di Isengard aveva dovuto nasconderla, poiché lo stregone bianco non gradiva che la sua allieva portasse delle armi. Aveva continuato ad esercitarsi in segreto e di tanto in tanto riusciva a convincere Gandalf a dei piccoli duelli nella foresta, lontano dagli sguardi dell’altro tutore. Non che il Grigio fosse un grande spadaccino, ma era certo meglio di niente. Ed ecco un punto a favore del mago: mentre Saruman andava dicendo che la ragione era l’arma migliore, lui sosteneva la necessità di sapersi difendere in ogni evenienza, sia con le armi,sia, chi ne aveva la possibilità, con la magia. Era convinto che fosse un peccato non approfittare di tutte le proprie possibilità e di sfruttarle nel momento del bisogno. E ora Jill capiva quanto avesse avuto ragione.
Strinse il fodero fra le mani, con rabbia. Un giorno avrebbe vendicato anche lui. Appena si fosse risistemata sarebbe tornata a Isengard e avrebbe compiuto il suo dovere di discepola nei confronti del maestro.
Estrasse l’arma con un gesto fluido e sicuro. Non si stancava mai di ammirarne la perfetta fusione dei metalli, la straordinaria leggerezza, la punta acuminata, la lama perfettamente bilanciata. Era scura e lucente, dai riflessi rossastri, fatta di un materiale introvabile in quelle terre ed estremamente resistente. L’elsa era elaborata e un mostruoso drago marino si avvolgeva fino all’attaccatura della lama. Il suo nome era Carcharoth, “ Zanna Rossa”, preso in prestito da una delle lezioni di storia di Gandalf. Così era infatti chiamato il lupo che con un solo morso staccò la mano di Beren che reggeva il Silmarillion. Una spada demoniaca che incuteva timore, forgiata dal miglior armaiolo di tutto il territorio di Umbar. Un’opera d’arte che si era rivelata capace di grandi prodezze in diverse occasioni. Anche adesso, impugnandola, Jill poteva sentire il sangue ribollirle nel corpo e la voglia di mettersi alla prova. Finalmente sarebbe potuta entrare in azione.
Si impose il controllo. Non poteva lasciarsi andare con tanta leggerezza e lo sapeva bene. Era sola in quella situazione ed evadere da quella prigione non sarebbe stato affatto facile.
Una volta ricontrollato di avere preso tutto il necessario, o meglio tutte le armi necessarie, dato che non poteva permettersi un bagaglio, aprì con cautela la porta e uscì nel corridoio.

Non incontrò grandi difficoltà a raggiungere le stalle. Strani personaggi circolavano a Isengard di quei tempi e gli orchetti non badarono a quella figura incappucciata e a capo chino, che camminava con passo sicuro attraverso le sale.
Raggiunto il piano terra, Jill scelse un cavallo dall’aspetto comune che non desse nell’occhio, ma comunque forte ed energico. Stava per avventurarsi in quello che una volta era il giardino, quando le si pararono dinanzi due orchi. Lei si preparò ad oltrepassarli come aveva fatto con tutti gli altri, quando un grido d’allarme squarciò l’aria.
- È fuggita! La prigioniera è fuggita! Bisogna catturala! –
Dopo un attimo di smarrimento i due si voltarono verso di lei.
- Levati il cappuccio! – sbraitò il primo, nella loro lingua gutturale che la ragazza aveva imparato a comprendere.
Si arrestò ma non proferì parola.
- Sei sordo, forse?! Ti abbiamo detto di… - ma il secondo non riuscì a terminare la frase, poiché un taglio preciso alla gola l’aveva fatto crollare al suolo.
L’altro si voltò pronto ad attaccare, ma non ebbe neppure il tempo di sfoderare l’arma. Jill lo trapassò da parte a parte con un solo fendente.
Poi, sentendo dei passi pesanti che si avvicinavano in corsa, balzò in sella al cavallo e lo spronò in avanti. Balzò all’aperto e non si distrasse nemmeno un secondo, nonostante la vista degli alberi secolari sradicati le facesse piangere il cuore. Saruman aveva tanto amato quegli alti fusti e ora era disposto a tagliarli per i propri scopi. Non c’era dubbio sul fatto che lo stregone avesse perso completamente il lume della ragione.
Dei carri si rovesciarono al suo passaggio, ma lei li saltò facilmente, senza arrestare la sua corsa. Doveva superare i cancelli. Attorno a lei gli orchetti schizzavano in ogni direzione, confusi in quanto non avevano ancora ricevuto la notizia.
Era già in vista delle mura esterne, quando udì un corno risuonare alle sue spalle. Si concesse di lanciare un rapido sguardo indietro e strinse i denti: Mannari. Quelle odiose bestie si erano gettate alla sua caccia e non avrebbero desistito tanto facilmente. Tanto meno gli orchetti che li cavalcavano.
Superò i cancelli e si gettò a perdifiato nella campagna. Doveva escogitare qualcosa. Non poteva certo affrontarle in un terreno aperto, dato che erano numericamente superiori e lei era armata solo di una spada, adatta agli attacchi frontali. Doveva raggiungere la Breccia di Rohan, ma prima di tutto liberarsi degli inseguitori.
In lontananza intravide una linea scura ed irregolare e capì cosa avrebbe fatto. Corresse la direzione dell’animale e puntò sulla Foresta di Fangorn.

Continua…



Ciao a tutti e grazie per aver letto questo primo cap!

Questa fic si incentrerà sul personaggio di Jill, che è di mia invenzione. Tutti gli altri saranno veri autentici originali di Tolkien.

Vi avverto fin da subito: ho letto il libro e visto i film, ma è stato un bel po’ di tempo fa, perciò può darsi (anzi, penso sarà abbastanza probabile!) che farò qualche errore qua e là. Prego in anticipo i fan del Signore degli Anelli di perdonarmi!

Detto questo… non mi resta che augurarvi buona lettura! (ovviamente i commenti sono sempre graditi!)

Monalisasmile

  
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