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Autore: millyray    09/02/2014    1 recensioni
Per chi odia le morti ingiuste anche se eroiche dove a sopravvivere sono i malvagi, perché le eccezioni esistono, esistono sempre. Per chi ama il trionfo degli amori, gli amori veri, quelli un po' platonici e un po' terreni, a volte anche scontati. Per chi odia i misteri e i segreti che si celano dietro gli occhi di qualcuno, ma ama l'aria tormentata che essi hanno.
Be', credo che siate nel posto giusto.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO QUATTORDICI - FEAR

“It’s crystal clear, I hear your voice
and all the darkness disappears”
(I belong to you, E.Ramazzotti e Anastacia)

“Non posso non dirglielo, Jack. È mia sorella”.

“E come le spieghi una cosa del genere?”

“Be’, le dirò la verità. Tanto sa già quello che facciamo. Più o meno”.

“Se ne sei sicuro”.

Il capitano parcheggiò il suv a ridosso del marciapiede, di fronte ai cancelli sbarrati di un edificio. Una volta spento, scese velocemente dal veicolo, seguito da Ianto.

“Certo che ne sono sicuro”. Il ragazzo gli si affiancò e rimase a guardare l’insegna spenta del Rose’s Hotel. “E’ questo il posto?”

“Direi di sì”.

Prima di addentrarsi dentro all’albergo, entrambi rimasero a guardarlo per un po’, come se lo stessero ascoltando. A prima vista sembrava un innocuo Hotel come ce n’erano tanto a cardiff. Non era particolarmente di lusso, ma non era nemmeno un bed and breakfast da quattro soldi. L’unica pecca che aveva erano i muri scrostati e le porte chiuse col catenaccio, segno che era stato chiuso da un po’. Precisamente da quattro anni, si erano informati Jack e Ianto prima di venire lì. Sarebbe stato molto più utile se l’avessero trasformato in un palazzo di appartamenti o se l’avessero demolito per costruirci un parco, ma la gente aveva paura, paura di quello che c’era dentro. Qualcuno giurava di sentire delle voci, delle grida provenire da lì, e che ogni tanto le luci si accendevano. La gente era convinta che ci fossero dei fantasmi. E in quegli ultimi tempi questi fenomeni sembravano accadere sempre più spesso.
Per questo Torchwood si era attivato. Dopotutto, loro risolvevano problemi di quel genere.

“Andiamo?” chiese Jack porgendo un braccio al proprio compagno come un vero cavaliere. Ianto gli sorrise e ci infilò il proprio sotto. I due, poi, salirono i pochi gradini che li separava dall’ingresso.
Al Capitano ci volle poco per scassinare il lucchetto con gli attrezzi giusti e, non appena spinsero la porta, vennero pervasi dall’odore stantio e muffoso che pervadeva quell’ambiente, chiaro segno che quel posto veramente non veniva aperto da un po’.
Davanti a loro si estendeva un corridoio che portava al bancone della reception, proprio di fronte alle porte, mentre sulla destra c’erano un basso tavolino circondato da delle poltrone. Il tutto coperto rigorosamente da teli di stoffa bianchi e pieni di polvere. Accanto al bancone, c’era una rampa di scale che si muoveva a spirale e che di certo portava alle stanze al piano di sopra.

Ianto tirò fuori da una borsa che portava a tracolla lo strumento di solito utilizzato da Toshiko per captare segnali alieni e lo accese puntandolo in varie direzioni. Ma lo strumento non emetteva alcun rumore.

“Pare non ci sia niente”.

“Aspetta. Dovremmo controllare tutta la zona”.

“Andiamo di sopra?”

Jack si era già avviato verso le scale quando, prima che Ianto potesse raggiungerlo, sembrò cambiare improvvisamente idea perché torno indietro. “Prendiamo l’ascensore”. Prese il compagno per una mano e lo trascinò fino all’ascensore che ricordava tanto lo stile degli ascensori negli anni venti.
Ianto non capiva quell’improvvisa decisione ma non cercò di indagare.

Una volta dentro, il Capitano schiacciò il numero uno e chiuse i cancelli dell’ascensore. Ianto invece notò che c’erano ben venti piani in quell’hotel e il solo pensiero che forse gli avrebbero dovuti controllare tutti gli fece salire la nausea. Letteralmente. Ma riuscì a spingerla indietro. 

L’ascensore si fermò al primo piano con un suono metallico e aprì le porte. Jack fu il primo ad uscire e immediatamente diede una rapida occhiata in entrambe le direzioni. C’era un lungo corridoio, piuttosto stretto anche, e su entrambe le pareti facevano bella mostra di sé diverse porte, tutte uguali, tutte sicuramente chiuse a chiave, ma contrassegnate da numeri differenti.

“Dobbiamo controllare tutte le stanze?” chiese Ianto.

“Solo quelle che trovi aperte. Se ne trovi”. Come per dare una mostra di ciò che aveva appena detto, Jack cercò di aprire la prima porta ma senza successo. Avrebbe potuto usare i suoi strumenti da scasso, ma non gli andava di farlo per ognuna. “Senti, perché non ci dividiamo? Tu resti qui, io vado di sopra. Se trovi qualcosa, dimmelo”. E per fargli capire come, portò la mano verso il proprio auricolare che teneva all’orecchio e ci schiacciò un bottone. Ianto lo guardò andare via con l’ascensore, quasi dispiaciuto che se ne andasse, e poi cercò di darsi un contegno. Non poteva essere nervoso. Non ce n’era bisogno. Era soltanto un’altra giornata di lavoro normale, come tutte le altre. E Jack sarebbe tornato.

Si incamminò lungo il corridoio stringendo forte il radar cerca-alieni. La nausea lo disturbava ancora e aveva paura che da un momento all’altro si trovasse piegato in un angolo a vomitare tutta la colazione. Ma sul serio le donne incinte sopportavano questo?
Cercò di non pensarci e di concentrarsi solo sulla missione affidatagli da Jack. Si avvicinò ad una delle tante porte e tentò di aprirla. Ma niente.
Allora continuò ad andare avanti, svoltando dietro ad un muro. Improvvisamente, gli sembrò di sentire una presenza alle proprie spalle. Si voltò lentamente, sperando di cogliere chiunque fosse in flagrante. Ma non c’era nessuno. Tirò un sospiro di sollievo dicendosi che era stata solo una sua sensazione. Stava diventando troppo suscettibile.

Mise avanti un altro piede per continuare la sua esplorazione attraverso l’hotel, quando gli parve di scorgere un’ombra strana provenire da una stanza a pochi metri da lui. Si incamminò in quella direzione e, più si avvicinava, più quell’ombra prendeva le sembianze di una figura umana. Il radar tuttavia non segnava niente di anomalo. Allora lo mise via ed estrasse la pistola. Gli ultimi due passi li percorse con cautela, il cuore che batteva a mille. Si parò dinanzi alla stanza aperta con la pistola ben puntata di fronte a sé, ma di nuovo scoprì che non c’era niente. E quell’ombra che lui aveva scambiato per una figura umana era nient’altro che l’ombra di una statua che doveva rappresentare una qualche dea.
Quasi rise di se stesso.

“Jack, qui non c’è niente”, disse all’auricolare legato al suo orecchio destro.

“Nemmeno qui”, si sentì rispondere dalla voce del Capitano. “Torna al pianoterra così decidiamo cosa fare”.

Ianto obbedì subito praticamente correndo verso l’ascensore. Non vedeva l’ora di ricongiungersi con Jack e di uscire da lì; aveva una brutta sensazione addosso.
Quando giunse al luogo del ritrovo, però, il Capitano non c’era ancora. La reception era sempre lì, così come le poltrone e il tavolino.
Raggiunse il bancone per dare un’occhiata al registro o scoprire qualcosa, quando dei passi dietro di lui lo fecero sobbalzare. Si voltò di scatto scoprendo che era solo Jack che scendeva le scale.

“Stai bene?” gli chiese questi, riponendo la propria pistola.

“Sì”, rispose il ragazzo ma non ne era tanto sicuro.

“Torniamo alla base e controlliamo meglio la mappa dell’hotel. Magari veniamo insieme a Gwen e Owen la prossima volta”.

“D’accordo”. Ianto, contento che stessero per abbandonare quel posto, cominciò ad andare verso la porta, quando si bloccò sul posto come paralizzato, il volto che mostrava un’orripilata espressione di panico. “Jack, dov’è la porta?”

“Cosa?!”

La porta d’ingresso dalla quale erano entrati era sparita, dissolta, come se non ci fosse mai stata. Al suo posto c’era soltanto una parete, bianca come tutte le altre. Jack le corse incontro poggiandoci sopra le mani, come per cercare una porta segreta o comunicare con il muro.
Ianto, invece, afferrò un vaso che stava dietro il bancone e ci vomitò dentro.

Poi le luci al neon sul soffitto presero ad accendersi e spegnersi.

“Chi siete? Come avete fatto ad entrare?”

Sia il Capitano sia il gallese sobbalzarono entrambi al sentire quelle voci ed estrassero contemporaneamente la pistola, puntandola contro cinque persone appena giunte lì, senza che loro li avessero sentiti arrivare. Questi alzarono immediatamente le mani, spaventati.

“Non sparate!” gridò un ragazzo vestito in stile metallaro, pieno di borchie e piercing, i capelli acconciati in una corta cresta in cima alla testa.

Ianto e Jack si lanciarono un’occhiata, come per comunicarsi qualcosa in silenzio, e poi abbassarono le armi così come le avevano tirate fuori.

Gli altri quattro, invece, erano un uomo sulla trentina vestito in modo particolare, con una camicia bianca, le bretelle, i pantaloni eleganti e una lunga giacca di stoffa rossa con bottoni elaborati e le maniche avevano una parte lavorata in pizzo. I suoi capelli, poi, erano pettinati in modo ancora più strano, lunghi riccioli biondi che gli scendevano fino alle spalle che sembravano appena stati sistemati da una parrucchiera. Sembrava venire da un altro secolo.
Poi c’era una donna vestita di semplici jeans e una felpa. Era piuttosto carina, con quei capelli rossi e gli occhi verdi. Il terzo uomo era invece piuttosto avanti con l’età, il volto era già segnato da rughe e i capelli bianchi si stavano diradando. Tuttavia, nemmeno lui pareva appartenere molto a quell’epoca.
Il quinto personaggio, era, invece, una bambina. Indossava un vestitino che le arrivava alle ginocchia, i capelli erano raccolti in due codine alte ai lati della testa e aveva le ginocchia sbucciate. I suoi enormi occhi marroni fissavano i due uomini con enorme terrore.

“Come siete arrivati qui?” chiese la donna in tono sorpreso.

“Dalla porta. Come voi, immagino”.

“Quale porta?” fece il ragazzo metallaro.

Già, quella era una bella domanda.

“Quella che ora è scomparso”, disse Ianto con voce piuttosto disperata. Non gli andava per niente di restare bloccato lì dentro.

“Chi siete voi?” domandò Jack col tono che di solito usava per dare ordini. E ciò probabilmente indusse la ragazza dai capelli rossi a rispondere subito. “Io mi chiamo Chiara Toniazzi e loro sono Jacob” e indicò il metallaro. “Il Signor Wilson” puntò il dito contro l’uomo più anziano “Oliver Quinn e Emma”. Il giovane che sembrava provenire da un altro secolo fece una riverenza e la bambina si nascose dietro le gambe di Chiara.

“Io sono il Capitano Jack Harkness e lui è Ianto Jones. Siamo di Torchwood”.

“Torchwood? Mai sentito”, bofonchiò Oliver con sguardo pensieroso. Ianto e Jack si guardarono; tutti a Cardiff avevano sentito nominare Torchwood almeno una volta benché loro cercassero di mantenerlo segreto il più possibile. Sicuramente non era del posto.

“D’accordo”, fece allora Jack cercando di prendere in mano la situazione. “Potreste dirci che posto è questo?”

“E’ un hotel maledetto”, iniziò Jacob con aria teatrale e voce spiritata. “Non potete nemmeno immaginare che cosa c’è qui dentro”.

La ragazza dai capelli rossi sospirò e fece un passo avanti. Sembrava essere la più pratica lì dentro, nonché la più collaborativa. “E’ strano. Ci sono delle cose qui… nascoste nelle stanze”.

“Quali cose?”

“Non lo so. Sono spaventose, comunque e non sappiamo come combatterle. Né come uscire da qua”.

Jack iniziò a percorrere la hall dell’albergo a grandi passi, aprendo cassetti e spulciando dietro i mobili e addirittura dietro ai quadri. Ianto invece si lasciò andare contro una poltrona coperta.

“Da quanto siete qui?”

“Non saprei. Non da molto. Ma è impossibile uscire ora”.

Il Capitano bloccò la sua andatura di colpo, rimanendo immobile di fronte ai cinque con le labbra piegate in un sorriso piuttosto furbesco. “Niente è impossibile. Non per me”. Poi corse al bancone, aprì una teca di vetro e prese un grosso mazzo di chiavi. “Ianto!” chiamò poi. Il ragazzo lo raggiunse, sicuro che aveva qualcosa in mente. “Ti prometto che ti tirerò fuori di qui”, gli sussurrò all’orecchio senza che gli altri lo potessero udire. Poi gli diede un veloce bacio a stampo. E Ianto seppe subito che così sarebbe stato. Infine Jack si rivolse di nuovo agli altri cinque che erano rimasti a guardarli curiosi. “Oliver, Jacob, voi verrete con me e Ianto. Voialtri andate a esplorare dove meglio credete e se trovate qualcosa, tirate un urlo”.

“E cosa dobbiamo cercare?” chiese il metallaro.

“Qualsiasi cosa. Non ho intenzione di rimanere qui”.

Tutti quanti sembravano aver capito che non c’era verso di contestare quelle parole, né tantomeno mettersi contro il Capitano. Così obbedirono subito agli ordini. E in ogni caso, non potevano dargli torto.

Ianto, Jack, Jacob e Oliver presero l’ascensore fino all’ultimo piano, mentre gli altri andarono a piedi partendo dal primo.

 

“Non trovate anche voi che quella fanciulla, Chiara, sia vestita in modo un po’ fuori dall’ordinario?” chiese Olver, camminando dietro gli altri tre uomini lungo il corridoio stretto dell’ultimo piano dell’hotel. “Non ho mai visto una donna portare i pantaloni?” Gli altri erano troppo distratti per stupirsi o interessarsi alle sue parole e quindi nemmeno si degnarono di rispondere, il che parve offendere leggermente il biondo.

Ianto si avvicinò ad una porta e notò che il rilevatore che teneva tra le mani si era acceso di una luce verde fosforescente, indicando un pericolo alieno.

“Jack?” chiamò il ragazzo, avvicinandosi di più alla porta.

“C’è qualcosa?”

“Non lo so”.

Il Capitano pose una mano sulla maniglia e fece per spingerla in giù. Quando ad un tratto sentirono un grido provenire da uno dei piani di sotto, sicuramente appartenente a Chiara oppure a Emma.

Jack non ci pensò due volte prima di girarsi e correre verso le scale, lasciando che il cappotto gli sbattesse contro le gambe. Scese velocemente le scale, quasi fosse inseguito da uno pterodattilo, e arrivò al quindicesimo piano dove vide Chiara inginocchiata per terra che si reggeva la testa tra le mani. Emma era nascosta dietro il muro, mentre il Signor Wilson tentava di confortarla.

“Che cos’è successo?” chiese Jack allarmato, abbassandosi al livello della ragazza.

“Non lo so. Ha aperto quella porta e ha solo urlato. Ma io non ho visto niente”, spiegò l’anziano, l’espressione che lasciava trapelare tutta la sua paura.

“Chiara?” la chiamò l’uomo prendendola per le braccia. Voleva cercare di vederla in viso. “Adesso sei al sicuro. Nessuno ti farà del male”. Quelle parole parvero confortarla immediatamente, perché smise di tremare e abbassò le mani, poggiandole sulle ginocchia. Tuttavia non alzò lo sguardo. “Che cos’hai visto?”
Chiara a quel punto rivolse il viso verso il Capitano rivolgendogli i suoi occhi scuri pieni di lacrime e puro terrore. “Era spaventoso”, esalò con una voce debolissima, tanto che si faticò a sentirla. “Enorme, più grande di me e aveva delle zanne… voleva mangiarmi”.

Il Signor Wilson lanciò un’occhiata confusa all’uomo accanto a lui, indeciso se iniziare ad avere paura o semplicemente concludere che la ragazza era impazzita tutto d’un colpo e aveva le allucinazioni.
Il volto di Jack invece… il suo volto improvvisamente si era illuminato di una luce di comprensione. Forse iniziava a capire.

Improvvisamente, si udirono altri passi dietro di loro arrivare di corsa e Ianto, Jacob e Oliver fecero la loro comparsa.

“Che cos’è successo?”

“Dobbiamo controllare le altre stanze”, ordinò Jack, rialzandosi.

“Ma non potete!” esclamò Chiara. “Il mostro… il mostro vi mangerà”.

Il Capitano le sorrise rassicurante. “Non sono tanto buono. Non mi mangerà”.

Ianto invece non esitò un attimo e cercò di aprire tutte le porte di quel piano. Si rese conto di essersi allontanato dal gruppo solo dopo un po’, ma continuò ad andare avanti.
Finalmente giunse ad una porta che doveva nascondere qualcosa, visto che il suo radar si era messo addirittura a suonare.

Allungò lentamente la mano verso la maniglia e, con molta cautela, il cuore in gola, la spinse verso il basso. La porta si aprì e un fastidioso cigolio di cardini attraverso il corridoio. Il ragazzo la spalancò ma era completamente immersa nell’oscurità.
Allora si decise a varcare la soglia, a passi molto piccoli, e a tentoni cercò l’interruttore della luce. Quando lo trovò e la stanza venne illuminata da una psichedelica lampada al neon appesa al soffitto, Ianto rimase paralizzato per ciò che vide: c’era Jack steso sul letto… o meglio, c’era il suo corpo buttato scomposto sul letto, le braccia allungate sopra la testa e le gambe piegate oltre il bordo. I suoi occhi erano spalancati ma non vedevano niente ed erano ancora più chiari del normale. Dalla bocca gli scendeva un rivolo di sangue. Anche sul suo corpo c’era del sangue, ce n’era tantissimo, gli macchiava la camicia bianca e il cappotto, il suo bellissimo cappotto. E c’era del sangue persino sui muri e sul soffitto e per terra.

Ianto cercò di urlare ma nemmeno una debole sillaba gli uscì dalla bocca. I suoi occhi erano pieni di terrore e di panico. Come poteva essere lì Jack? Se poco fa lo aveva visto insieme agli altri vivo e vegeto. Oltretutto lui non poteva morire. Si sarebbe svegliato, presto… sì… ma allora perché non si alzava? Forse qualcuno lo aveva dissanguato e non poteva più tornare indietro.

All’improvviso sentì un botto dietro di lui e con orrore si rese conto che la porta si era chiusa. Le si buttò contro per aprirla ma qualcuno l’aveva chiusa da fuori.
Ma chi? Forse uno di quei cinque che avevano conosciuto nell’hotel? Che gli volessero fare uno scherzo.

Si voltò di nuovo verso il letto, ma Jack continuava a giacere lì, lo sguardo cieco rivolto verso di lui.
Ad un tratto vide un’ombra uscire da dietro l’armadio. Era un’ombra molto grossa e molto… minacciosa. Solo quando quella fu uscita completamente allo scoperto, Ianto si rese conto di conoscere benissimo la figura che lo sovrastava. Era… era suo padre. Suo padre, molto più grosso e alto di quanto se lo ricordasse. E tutto d’un colpo gli passò davanti agli occhi la sua immagine diciassettenne che tentava di scappare a tutte le vessazioni e le botte di suo padre.

“Ciao, figliolo”, lo salutò l’uomo con un ghigno completamente inumano. In realtà non sembrava molto suo padre, sembrava più una maschera di suo padre realizzata male. Ma soprattutto realizzata per riempirlo di terrore. “Hai visto cosa ho fatto?” ringhiò, indicando con un cenno del capo il corpo di Jack steso sul letto. “Voi checche meritate solo questo. E adesso ucciderò pure te e poi mi prenderò quell’obbrobrio che porti nel ventre”.

Ianto si voltò verso la porta e cominciò a battere forte perché qualcuno, chiunque, lo liberasse. La paura lo aveva completamente attanagliato e non riuscivo a provare nient’altro. Sentiva che sarebbe morto lì all’istante, ancora prima che il padre potesse mettergli le mani addosso.

“Fatemi uscire!” gridò con tutto il fiato che aveva in gola. “Vi prego! Liberatemi!!!”

“Non serve a niente urlare. Nessuno ti può sentire”.

Il ragazzo sentiva l’uomo avvicinarsi a lui sempre di più sebbene non udisse i suoi passi. Gli mancavano solo pochi centimetri ed era sicuro che gli avrebbe mollato uno dei suoi fortissimi pugni in testa. Allora si preparò a ricevere il colpo, rassegnato al fatto che nessuno sarebbe venuto a salvarlo, nemmeno Jack. Perché Jack era morto.  E questo faceva ancora più male delle botte di suo padre.
Lasciò che le lacrime gli inondassero il viso.

Sentì il padre urlare dietro di lui, alzare il braccio e…

C’era un profumo, un profumo dolcissimo, un profumo… familiare che gli aveva inebriato tutte le narici. E poi c’erano delle braccia forti, muscolose, calde… lo tenevano al sicuro, lo stringevano forte facendogli capire che tutto sarebbe andato bene.

Alzò lo sguardo per incontrare due chiari occhi vivi e attenti, pieni di preoccupazione e paura, ma vivi.

“Jack”, sussurrò il ragazzo con un debole sorriso di contentezza.

“Che cos’è successo?” gli chiese il Capitano allontanandolo dalla porta.

Ianto non sapeva come spiegarglielo. Tutto quello che aveva vissuto fino a poco fa ora non gli sembrava altro che un bruttissimo incubo eppure se ci ripensava poteva ancora vedere chiaramente le immagini e ricordare le sensazioni che aveva provato, il terrore, il dolore…

“C’era… c’eri tu. Eri morto”.

Jack lo dovette lasciar andare per controllare nella stanza ancora aperta. Eppure quando entrò non vide niente di sospetto. C’erano solo un letto, un armadio, una finestra e due comodini. Controllò persino dentro all’armadio ma non trovò niente.

Quando uscì, vide Ianto seduto per terra, la schiena appoggiata contro il muro e un ginocchio piegato.

“Che cosa hai visto?” gli chiese, inginocchiandoglisi accanto.

“Te. Eri su quel letto… m… morto. E c’era mio padre che… che…”.

Il Capitano si protese verso di lui per stringerlo forte contro di sé. Il ragazzo affondò il viso contro il suo petto e si lasciò cullare, aggrappandosi alla sua camicia.

“Non c’è niente. Sei al sicuro adesso, nessuno ti farà del male”, continuava a sussurrargli per confortarlo. “E io sono qui con te”. E gli diede un bacio tra i capelli.

“Ragazzi!” esclamò la voce di Chiara che era arrivata di corsa in quel momento. “State bene?”

“Sì”, rispose Jack aiutando il compagno ad alzarsi. “Torniamo di sotto”.

La ragazza rimase ad indugiare con lo sguardo sui due, ma alla fine li seguì verso l’ascensore. Il Capitano premette il pulsante del piano terra e le porte si chiusero con uno schiocco. Ianto si appoggiò alla parete dietro di lui, gli occhi puntati sulla schiena di Jack, quando un improvviso e lancinante dolore gli trafisse lo stomaco. Si piegò in due e faticò a trattenere un gemito.

“Che succede?” fece Jack allarmato.

“Ho dei crampi”, biascicò il ragazzo, le braccia strette attorno alla pancia.

“Merda!”

Quando l’ascensore si fermò e le porte si furono di nuovo aperte, Jack e Chiara trascinarono Ianto fino all’atrio e lo fecero accomodare su un divano. “Lascia, faccio io”, disse la ragazza, fermando le mani del Capitano che cercavano di aprire la camicia del ragazzo. “Sono un’infermiera”. Puntò i suoi occhi su di lui per fargli capire che si poteva fidare.
“D’accordo”, concluse l’uomo. “Ti lascio nelle sue mani. Se hai bisogno di me, chiama”. Ianto annuì e lo guardò andare via, mentre un altro crampo gli faceva soffocare un gemito di dolore.

Chiara gli sbottonò la camicia scoprendogli il petto e la pancia lisci. “Quanto sono forti i crampi?”

“Abbastanza”, rispose Ianto con voce rotta.

“Hai qualche disturbo particolare?”

“Non mi crederai mai se te lo dico”.

L’infermiera dai capelli rossi rise divertita. “Siamo bloccati in un albergo senza porte né finestre con strane creature e poco fa sono stata quasi uccisa da un enorme mastino con gli occhi aguzzi. Davvero pensi che non possa credere a qualsiasi cosa hai da dirmi?”

Se non avesse avuto quei crampi dolorosi anche il gallese sarebbe scoppiato a ridere. Chiara aveva ragione, ormai pure nella sua vita aveva visto tante di quelle stranezze che niente l’avrebbe più stupito.

“Aspetto un bambino”, le disse.

“Oh!”

“Già”.

“Ok… ehm… comunque non stai avendo un aborto, non c’è sangue. Deve essere lo stress, dovresti stare un po’ tranquillo”.

Restarono per un po’ di tempo a guardarsi, Chiara leggermente imbarazzata e piena di domande da chiedergli e Ianto piuttosto sollevato perché i crampi erano passati. “Com’è successo?” gli chiese lei.

“E’ lunga da spiegare. E complicato”.

“E’ come questo?”

“Sì, diciamo che ne fa parte”.

“E’ di Jack?”

Le labbra di Ianto si piegarono in un sorriso. “Si capisce così tanto?”

“Abbastanza”, ridacchiò Chiara. “Si vede che vi amate”.

Il ragazzo spostò lo sguardo verso il profilo del Capitano, in piedi appoggiato al  bancone a leggere dei fogli.

“Comunque state bene insieme”.

“Grazie”.

“Siete sposati?”

“Oh no!”  

“Avete intenzione di farlo?”

“Non… non lo so”. Sposarsi con Jack? Non ci aveva mai pensato e a dire la verità non credeva affatto che fosse una cosa contemplata nella loro vita di coppia. Jack di certo non era tipo da matrimoni anche se era già stato sposato. “E tu?” chiese poi a Chiara per cambiare argomento.

“Magari! Sono single da un bel po’. Diciamo che non ho molta fortuna con gli uomini. Sono venuta qui anche per questo, volevo farmi una bella vacanza e magari conoscere un bel ragazzo gallese”.

“Di dove sei?”

“Vengo dall’Italia”.

“Deve essere un bel posto”.

“Sì, abbastanza. Ma nemmeno il Galles non è male”. Entrambi si sorrisero teneramente, quasi fossero complici di un segreto. Poi qualcuno dietro le spalle della ragazza tossicchiò attirando l’attenzione dei due.

“Posso parlare da solo con Ianto?”

Chiara si alzò dal divano mentre il ragazzo si richiudeva la camicia. Certo, il bambino era sopravvissuto ad una pallottola, ma non gli andava di fargli prendere freddo.

“Che succede?”

Il Capitano si mise comodo di fronte al compagno e gli prese una mano. “Ho controllato i registri dell’albergo, persino quelli vecchi”.

“Quindi?”

“Quest’hotel esiste dai primi anni del 1800”.

“Sì, lo so”. Non capendo dove Jack volesse andare a parare, Ianto lo esortò con lo sguardo a continuare.

“Oliver Quinn è stato registrato come ospite di questo albergo nel 1867, mentre il Signor Wilson è stato qui nel 1943”.

Ianto sgranò gli occhi sorpreso.

“Chiara Toniazzi pare essere stata qui cinque anni fa, mentre Jacob una settimana prima di lei. C’è anche una Emma McKeagan registrata nel 1976. E non è finita. Ho trovato anche dei documenti che attestavano la morte di tutte queste persone, deceduti in circostanze misteriose”.

“Come sarebbe a dire? Sono dei fantasmi?”

“Non lo so. Forse. O forse qualcosa li tiene bloccati qui”.

“Ma quindi? Che cos’è questo posto? E quello che ho visto?”

Jack, anziché rispondere, si alzò e si allontanò dal divano andando fino al bancone. Fece un piccolo balzo e si sedette sulla superficie liscia del mobile.

“Signore e signori!” chiamò per attirare l’attenzione. Tutti perciò rivolsero gli sguardi verso di lui. “Ascoltatemi attentamente. Tutti quanti voi avete aperto la porta di almeno una di quelle stanze e avete visto qualcosa. Giusto?”

“Sì”, confermò Jacob.

“Qualcosa che vi ha fatto molta paura”.

“Esatto!”

“Vi ricordate che cos’è successo dopo?”

Nella stanza calò il silenzio, un silenzio carico di tensione.

“Io sono svenuto. E quando mi sono risvegliato non c’era più nessuno e non riuscivo ad andarmene”, rispose Oliver con uno sguardo stralunato.

Non eri svenuto. Eri morto.

“Penso di aver capito che cosa ci minaccia”, annunciò alla fine il Capitano e, se prima non l’aveva fatto, ora aveva attirato veramente l’attenzione di tutti.

“Di cosa si tratta?”

“Delle nostre paure. Quello che vedete nelle stanze che aprite rappresenta la vostra paura più forte, la vostra paura nascosta, quella che non sapete nemmeno voi di avere”.

“Come?!”

“Ma questo è assurdo?”

“Sarebbe una maledizione?” chiese Oliver.

“Oh no! Non è affatto una maledizione”, lo contraddisse Jack. “E’ un alieno”.

“Un alieno!” esclamò il Signor Wilson. “Come può essere?”

“Un alieno che si nutre della paura delle persone. E deve essere molto potente”.

I presenti si guardavano tutti fra loro, indecisi se credere a quello strano tizio che parlava di alieni o dargli del matto. Jack, non facendoci minimamente caso, si avvicinò nell’angolo dove sedeva Emma e si piegò accanto a lei.

“Ciao, piccolina”.

Lei lo scrutò con i suoi enormi occhi spaventati ma non disse nulla.

“Tu che cosa hai visto nella tua stanza?”

La bimba abbassò lo sguardo verso la punta delle proprie scarpe. “Ho visto il buio”.

“Il buio?”

“Sì. Mi entrava nelle orecchie e nel naso”.

“Capisco. E i tuoi genitori?”

“Loro… non lo so. Non li trovo più”.

Il Capitano le diede un tenero buffetto sul naso sospirando. Purtroppo per lei non li avrebbe trovati più.

“Tu ci salverai?” chiese Emma riportando di nuovo lo sguardo sull’uomo accanto a lei. “Ci libererai da quell’alieno?”

Jack le sorrise. “Certo, tesoro. Te lo prometto”.  Non rifiutava mai di aiutare una persona quando questa glielo chiedeva. Era una cosa che aveva imparato da una persona fantastica, parecchio tempo fa. E poi, come poter dire di  no a una bambina così dolce come Emma?

Ianto, seduto ancora sul divano, fissava un punto imprecisato davanti a lui. E così lui e Jack erano in compagnia di cinque fantasmi, oltretutto provenienti da secoli diversi. Avrebbe voluto bombardare Oliver di mille domande sulla sua epoca, l’età vittoriana l’aveva sempre affascinata, ma non poteva certo rivelargli che si trovavano nel ventunesimo secolo e che lui era morto.
E dire che inizialmente aveva pensato fosse semplicemente un tipo un po’ fuori di testa.

 

“Dove pensate possa trovarsi?” chiese Jacob osservando la mappa dell’albergo aperta sul bancone della reception.

“Allora…”, iniziò Jack tracciando delle linee con un dito. “Questi sono tutti i piani delle stanze, quindi escluderei che si possa trovare qui. Questo che cos’è?”

“Deve essere la caldaia?” rispose il signor Wilson, riconoscendo il disegno dei tubi e di strani macchinari che stava indicando Jack.

“Forse è lì”.

“Può darsi. È un posto caldo. Allora direi di controllare prima lì”.

Il Capitano richiuse la mappa e fece un balzo oltre il bancone.

“Ma come si sconfigge?” domandò Chiara, legandosi i capelli in una coda.

“Se il mostro si nutre delle paure, allora serve un opposto che lo sconfigga”, ipotizzò Jacob.

“Esattamente”.

“Il coraggio?”

“No, quello non basta”.

“E allora che cosa?”

“La fede”.

A quella parola di Jack tutti gli altri si scambiarono uno sguardo confusi.

“Jack!” chiamò Ianto avvicinandosi all’uomo. “Ma come sono morti queste persone?” fece, a bassa voce perché gli altri non lo sentissero.

“Di paura”.

“Paura?”

“Sì”.

“Accidenti. E con cosa lo uccideremo?”

“Non lo so. Improvviserò qualcosa. In ogni caso, tu non vieni con me”.

“Cosa?”

Jack spinse Ianto contro un muro e lo guardò dritto negli occhi azzurri. Non aveva intenzione di portarlo con sé, già poco fa aveva rischiato di perderlo. Sarebbe morto anche lui di paura se non fosse venuto a salvarlo e questa volta il bambino che portava in grembo non l’avrebbe potuto salvare. Perciò non aveva alcuna intenzione di trascinarlo dritto nella tana del lupo.

Dovette insistere parecchio però perché il ragazzo si decidesse a rimanere. Alla fine lo convinse, promettendogli che sarebbe tornato presto. Il Capitano se ne andò nella stanza della caldaia, che stava in un’ala un po’ isolata, insieme a Oliver e Jacob, mentre Ianto se ne rimase nella hall con Chiara, il Signor Wilson e Emma, ripetendosi quanto detestasse quando Jack lo escludeva così benché fosse per il suo bene.

 

“Ragazzi! State bene?” urlò Jack guardandosi attorno. Lui e i due che l’avevano accompagnato erano appena stati attaccati da un alieno viscido e bavoso che li aveva stesi tutti quanti a terra senza che avessero nemmeno il tempo di urlare. Era molto più grosso e forte di quello che il Capitano aveva previsto e non sarebbe stato facile.

“Ho preso un colpo alla testa, ma sto bene!” gli rispose la voce di Jacob. Certo che stava bene, dopotutto era già morto e non poteva morire un’altra volta.

“Anche io sto bene”, aggiunse Oliver.

Jack si mosse di nuovo verso l’entrata della stanza dove era custodita la caldaia e sbirciò attentamente il mostro che stava dentro. Avevano svegliato il drago…
L’alieno, una creatura che somigliava a un tirannosauro Rex, solo con qualche occhio in più, lo stava fissando da un angolino nel quale si era rintanato e sicuramente preparava un attacco.

“Ricordatevi, ragazzi! Non dovete temerlo!” ricordò Jack agli altri due. “E se vi mostra qualcosa, ricordatevi che sono solo illusioni, non c’è niente di vero”. Poi afferrò una sbarra di ferro e gli si lanciò contro. Ma sapeva che non era quello il modo per ucciderlo. C’era solo una maniera con qui avrebbe potuto farlo fuori, una sola e non era certo una sbarra di ferro.

Il mostro lo spinse con la testa facendolo volare in mezzo a delle assi di legno. “Ahia”, si lamentò il Capitano, toccando una sostanza appiccicosa e rossastra che gli stava sporcando la camicia.

“Jack!” sentì urlare qualcuno. Ma non era né la voce di Jacob né tantomeno quella di Oliver. Era… era Ianto. Maledizione! Ma che ci faceva lì? Gli aveva detto di rimanere al piano terra.

“Ianto!” Jack cercò di alzarsi, non senza fatica, e strisciando contro il muro si diresse nella direzione da cui aveva sentito provenire la voce. Trovò il ragazzo fermo immobile di fronte al muso dell’alieno, l’espressione terrorizzata. “Ianto! Non avere paura. È questo che lo uccide, non devi avere paura!”

“Jaaaaaack!!!”

Jack allora saltò per afferrare la coda del mostro; gli si aggrappò come un koala e cercò di dirigerlo via dal compagno. Ma quello continuava ad agitarsi come un toro imbufalito e rischiava di far mollare la presa al suo assalitore.

Ianto invece afferrò la pistola e la puntò l’alieno. Gli sparò un paio di colpi in bocca ma ciò non servì a niente se non a farlo arrabbiare ancora di più. la creatura gli si avvicinò ancora di più e col muso lo spinse forte contro il muro. Il ragazzo sbatté la testa piuttosto violentemente e immediatamente la stanza prese a vorticargli attorno. La voce di Jack gli arrivava attutita alle orecchie e sentiva che pian piano stava perdendo coscienza.
L’alieno però non aveva intenzione di lasciarlo perdere; con le zanne protese gli ringhiava addosso.

“Ianto!” gridò Jack, in ginocchio dall’altra parte della stanza. “Ianto!”

“Jack”, sussurrò il ragazzo, senza voce. Allungò una mano per raggiungere la pistola che gli era scivolata quand’era caduto, ma non riuscì nemmeno a sfiorarla. “Jack. Ti amo”. Se stava per morire lì, in quel modo, che almeno quelle fossero le sue ultime parole. Non aveva paura, perché c’era Jack lì con lui e Jack lo amava e lo avrebbe salvato, lo faceva sempre, perciò lo avrebbe fatto anche questa volta.
Lui amava Jack e Jack amava lui.

 

“Fai piano, hai sbattuto la testa”.

Ianto aprì piano gli occhi per lasciarli abituare alla luce che, anche se debole, gli dava piuttosto fastidio. Si portò una mano alla nuca dolorante e si guardò attorno. Era steso sul divano della hall dell’albergo e Jack sedeva per terra accanto a lui. Aveva la camicia sporca di sangue ma stava bene. E anche lui stava bene, a parte il mal di testa.

“Che… che è successo?”

“Ci siamo appena scontrati con un orribile mostro alieno che voleva mangiarci”, gli rispose il Capitano con un sorrisetto furbesco.

“Oh”. Ianto si mise seduto, le ossa del corpo che gli dolevano tutte. “Adesso dov’è?”

“L’abbiamo… l’hai sconfitto”.

“Io?”

“Sì”.

“E come?”

Jack abbassò lo sguardo e assunse un’espressione strana, pensierosa. “Non lo so”.

“E che fine hanno fatto gli altri?”

“Si sono dissolti. Erano solo delle proiezioni psichiche tenute in quest’albergo dall’alieno che si nutriva delle loro paure. Se l’hotel non fosse stato chiuso avrebbe continuato a mietere vittime”.

“Ma nessun’altro poteva vederlo?”

“No, è visibile solo in questa dimensione”.

“Quindi questa è un’altra dimensione?”

“In un certo senso sì”.

“Oh”.

“Dai, andiamo via”.

 

Jack e Ianto si precipitarono subito verso il Suv senza guardarsi indietro, desiderosi solo di lasciarsi quel posto alle spalle. Il sole stava ormai tramontando dietro l’orizzonte e sicuramente gli altri dovevano essere preoccupati.

“Jack?” chiamò il ragazzo voltandosi verso il compagno.

“Dimmi”.

“Tu di cosa hai paura?”

Jack mise in moto l’auto e sistemò lo specchietto retrovisore. “Di niente. Uno che non può mai morire di cosa potrebbe avere paura?”

“Tutti hanno paura di qualcosa”.

 

 

MILLY’S SPACE

Eccoci qui. Probabilmente qualcuno di voi avrà notato una certa somiglianza tra questo capitolo e l’episodio di Doctor Who ambientato in un albergo dove c’era una creatura che si nutriva della “fede” delle persone. Effettivamente, mi sono ispirata proprio a quella puntata ^^ be’, che ne dite?

Comunque anche a me piacerebbe incontrare una persona vissuta durante l’età vittoriana o magari fare un viaggio nel tempo e andare a vederla coi miei occhi. È un’epoca che mi ha sempre molto affascinata ^^ ma mi sa che il mio sogno non si realizzerà mai : (  eh, pazienza.

Prima di chiudere vi faccio sapere che un po’ di giorni fa ho pubblicato una breve oneshot in questo fandom, si intitola “In the arms of an Angel” e se vi va andate  a leggerla : )

Detto questo, vi ricordo di lasciarmi qualche recensione.

Un bacione,

Milly.

HELLOSWAG: la tua minaccia mi ha parecchio spaventata, perciò ho fatto di tutto per aggiornare abbastanza presto ^^ non pensavo comunque di aver reso lo scorso capitolo così flaff. Cercò di non uscire mai troppo dai personaggi e credo che la dolcezza non sia contemplata tra le caratteristiche di Jack, però a volte non ne posso fare a meno : ) spero di risentirti, un abbraccio. M.

AMAYAFOX91: John è un personaggio che piace pure a me e in fondo non credo sia cattivo, semplicemente a volte fa scelte sbagliate. Spero ti sia piaciuto anche questo capitolo. Ciao. Milly.

  
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