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Autore: Jerry93    12/02/2014    7 recensioni
Dicono che siamo padroni del nostro destino. Non mentono.
Solo noi siamo i signori delle nostre decisioni e delle conseguenze di queste.
Hermione ha fatto la propria scelta, tramutando l'argine di un fiume. Draco non resterà a guardare.
Con la Guerra a fungere da scenario, la lotta per la sopravvivenza ha inizio mentre la ricerca degli Horcrux porta un gruppetto di ragazzi lontani da casa.
[Seguito di You and Me]
Genere: Avventura, Guerra, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger, Il trio protagonista, Nuovo personaggio, Un po' tutti | Coppie: Draco/Hermione, Harry/Ginny
Note: Missing Moments, OOC, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7, Da VII libro alternativo
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- Questa storia fa parte della serie 'Becoming Us'
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Chapter four, Smoky eyes

Il trascorrere del tempo aveva smesso d’essere scandito quando lei era scesa dai suoi tacchi, abbandonandoli, in un ordine spasmodico, contro la parete in cui si apriva la porta che permetteva l’accesso a quella stanza. I suoi passi, leggeri e nudi, erano un sospiro ansioso, una mano entusiasta stretta sul petto per cercare di trattenere quel sentore di vita. Lui, vestito solo d’un paio di boxer scuri, era rimasto ad assaporare la sua presenza, imponendosi di tenere gli occhi chiusi, cercando di incamerare il più grande numero di particolari per l’avvenire. Per la distanza, per la lontananza, per la separazione. Il viziato principe delle cicale stava cercando di imparare qualcosa dall’operosa signora delle formiche che, minuta e fragile, tentava di costruirsi un futuro.
Il suo profumo, ne aveva avuto un sentore quando si era piegata sulle ginocchia vicino alla sua testa per sistemare qualcosa nel cassetto del suo comodino, aveva un qualcosa di floreale e fruttato che, però non copriva il piacevole aroma della sua pelle. Avrebbe voluto morderla piano, per saggiarne con le labbra il sapore di pesca, lasciando un leggero rossore sulla pelle ambrata della sua spalla. Non lo avrebbe mai fatto, non l’avrebbe mai neppure stretta a sé, anche se avrebbe voluto, per il timore, sempre troppo forte, di vederla spezzarsi tra le sue braccia. Per la paura che lei potesse guardarlo come l’aveva vista accusare suo padre. Alla luce di ciò, aveva imparato ad accontentarsi di quell’amore a metà, si limitava a percepire quella fragranza che, nella sua mente, era associata al concetto d’ambrosia.
Cantava piano tra sé una canzone che lui non conosceva. Una qualche band Babbana che l’etichetta dei Purosangue avrebbe voluto lei non conoscesse ma che, per una qualche forma di contrabbando che correva tra le fila degli Slytherin, alimentandosi della compiacenza di molti, era giunta anche alle piccole orecchie di Daphne, la quale, da anni, fruiva di quel servizio. Chi fosse a capo di quella losca compravendita era ignoto ai più, ma Blaise era giunto alla conclusione che la Greengrass doveva essere stata in grado di svelare quel mistero. Per questo la sua collezione di cd Babbani aumentava costantemente di volume senza che lei fosse costretta a versare anche solo un galeone.
Quiescente, il ragazzo rimaneva immobile: il viso inerte sul cuscino, stritolato dalla presa delle mani frementi di molti desideri zittiti, la bocca dischiusa ancora da quel bacio che si erano scambiati.
Le aveva chiesto di venire a preparare ciò di cui aveva bisogno per il viaggio nella sua camera, visto che, per il regolamento di Hogwarts lui, uomo, non avrebbe mai potuto raggiungerla nel dormitorio femminile, sebbene fosse suo marito.  Aveva accettato senza alcuna ritrosia, incapace di trattenere un fremito di felicità all’idea di partire. Non gli era importato che lei lo avesse raggiunto senza alcuna borsa o valigia, così come non si era opposto quando lei, senza neppure chiedergli il permesso, si era messa a riordinargli la stanza. Nel farlo, raccattando qua e là gli indumenti usati dal ragazzo e poi abbandonati sul pavimento, la meticolosità della bionda l’aveva spinta anche in quella parte di stanza, ben più assettata, entro cui era Draco a soggiornare. Malfoy, cordiale, aveva lasciato loro libera la stanza, adducendo la scusante di un incontro con la Preside. Puntigliosa come solo una casalinga prossima alla disperazione avrebbe potuto essere, lei aveva ripiegato la camicia bianca che, nella fretta della fuga, il biondo aveva gettato distrattamente sulla sedia accostata alla propria scrivania.
La camera pareva essere divisa in due da una linea immaginaria: la normalità e, al di là della barricata, il pacato disordine della pigrizia di Zabini, impreziosita da una fragranza maschile costosa e dalle note acri di un paio di sigarette spente in un posacenere.
«Non pensavo la conservassi ancora» sentenziò Daphne, mentre era presa ad armeggiare con i caotici libri scolastici del suo giovane consorte. Apprezzò d’essersi finto addormentato in quella posizione: gli fu sufficiente aprire l’occhio sinistro per avere una visuale completa di ciò che stava accadendo, anche se offuscata dai ciuffi spettinati dei suoi capelli troppo lunghi. Una ciocca bionda, non più raccolta sulla nuca, le sfiorava il naso, nonostante tentasse inutilmente di portarsela dietro un orecchio. Il busto chinato in avanti per cercare di catturare un raggio luminoso, un sorriso leggero ad aprirle le labbra ed un bagliore negli occhi.
Non smise di guardarla. Riconobbe subito nella carta stropicciata che reggeva, la fotografia che Pansy Parkinson aveva scattato loro, nella Sala Comune, tre anni prima. La Slytherin, orgogliosa per il regalo ricevuto, aveva tormentato tutti i suoi compagni, rendendoli, volontariamente o meno, soggetti dei propri primi tentativi dietro la macchina fotografica. Era accaduto tutto molto rapidamente, ma Pansy, mostrando ai presenti un istinto da fotoreporter, era stata in grado di cogliere al volo il lieto evento: Daphne si era avvicinata a Blaise per sistemargli il colletto della camicia e, lui, ferino e scattante, l’aveva tratta a sé, stringendola in un abbraccio e baciandola. Il risultato, nella foto ingiallita, dava l’illusione che la Greengrass, in un attimo di voracità, avesse afferrato il ragazzo e gli avesse deflorato le labbra sottili.
«È la nostra unica fotografia» si limitò a risponderle lui, richiudendo subito gli occhi e nascondendo, oltre quelle palpebre chiuse, parole che non osava neppure pensare.
Lei non amava molto essere immortalata, anzi, lo odiava a tal punto che, in alcuni casi, era venuta alle mani con chi era stato così stupido da infastidirla. Comprendere cosa causasse tutta quella ritrosia non era affatto complesso: anni di violenze che quella ragazzina nell’immagine animata non poteva neppure rintracciare nei propri peggiori incubi, nonostante all’epoca avesse già conosciuto il colore violaceo dei lividi. Dal loro matrimonio, poi, era stato cacciato chiunque paresse intenzionato a procacciarsi una prova di tutto ciò che il vestito e il trucco non erano stati in grado di celare.
Tutti quei ricordi, d’un tratto, avevano reso il suo riposo una sofferenza. Chiuse gli occhi, nella speranza di dormire e dimenticare, ma non vi riuscì.
Poi, avvertì il peso leggero di Daphne sulla sponda del letto e la mano di lei che gli scompigliava i capelli, rendendoli ancora più caotici. Nella sua testa, Zabini s’immaginò che stesse cercando, in quel modo, di dare loro una precisa configurazione. L’ennesima ricerca di una perfezione che lui non possedeva ma per cui non vi sarebbe stato prezzo troppo alto: l’avrebbe resa propria solo per donargliela completamente, solo per permetterle di rallentare, d’amarsi. D’amarlo.
Un giorno lei si sarebbe pacificata con se stessa e, allora, lo avrebbe finalmente notato per quello che era, non solo per il ragazzo che aveva impedito a suo padre d’ammazzarla.
Fu per questo che la sua domanda lo stupì. Gli stava ancora toccando i capelli, ma la mano, dita affusolate nella carne, si era posata sul fianco scoperto di Blaise.
«Vuoi fare l’amore con me, Blaise?».
Sesso, non lo avevano mai definito in altri modi. Una piacevole attività fisica, nulla di più. Il loro amore era vero, ma era intriso dal senso di convenienza fintanto da apparire quasi una bugia. Eppure era sincero, sentito, anche se coronato da una cerimonia affrettata.
«Continuamente» le rispose lui, dopo aver riaperto l’occhio sinistro. «Davvero».
Le loro mani si incontrarono sul vestito di lei che, presto, cadde al suolo. Nei loro sguardi, resi fumosi dal piacere d’aversi, riluceva quel sentimento che ancora non potevano pronunciare ad alta voce.
 
***
 
Distanziò l’imponente villa di diversi passi, traendo la freddezza di cui aveva bisogno da un susseguirsi ritmato di boccate dalla propria sigaretta. Il sole di giugno illuminava Cambridge e il riflesso che, di questa, si creava sul fiume Cam. La dimora di Ladon Greengrass, fortezza di questa famiglia da generazioni, si apriva su uno scorcio pittoresco del corso d’acqua, sulla cui riva si approssimava una rada boscaglia che, però, creava un gioco d’ombre suggestivo e fresco. Costeggiò il torrente per diversi metri, poi, dopo essersi assicurato che nessun Babbano fosse presente, cosa improbabile visto che si trovava in uno dei più ricchi quartieri residenziali della comunità magica cittadina, impugnò la propria bacchetta.
Aveva appreso l’incanto che si apprestava a lanciare osservando i tentativi di Draco, il quale, invece, lo aveva studiato durante il corso speciale tenuto dal professor Kennan. Del trio consolidato che gli Slytherin formavano, non era lui quello che spiccava per i risultati scolastici. Daphne dominava la classifica, non brillante certo come, invece, era Hermione Granger, ma caparbia e testarda, oltre che risoluta ed astuta. La seguiva, poi, Draco: imbattibile nelle proprie materie preferite, ma capace di risultati rovinosi in tutte le altre. Infine, l’ultimo gradino spettava a lui, Blaise Zabini: troppo pigro per mettersi davvero a studiare, accontentandosi, grazie alla peculiare capacità di saper apprendere facilmente dagli altri, d’arrivare alla soglia della sufficienza. Lasciava agli altri l’onere di stringere tra le mani un libro ed impararlo a memoria, poiché, fondamentalmente, la cosa lo annoiava terribilmente, come solo i matrimoni di sua madre sapevano fare. In effetti, era un vero peccato che la donna si trovasse in viaggio: lei avrebbe saputo sicuramente come organizzare una cerimonia adatta in sole tre settimane.
Mentre malediceva per l’ennesima volta la signora che lo aveva partorito, lanciò un ben realizzato Incanto Patronus. Un rugliare feroce ruppe il silenzio, mentre, imponente, un orso luminescente prendeva consistenza a pochi centimetri di distanza dall’erede della dinastia Zabini. L’animale, in una scena che molto aveva del surreale, trasformò il suo verso minaccioso in un qualcosa di simile ad uno sbadiglio e si rannicchiò al suolo, preparandosi ad affrontare un placido sonno ristoratore.
Puntò la propria arma nuovamente contro l’animale, rendendolo capace di trasportare un messaggio.
«Corri da Draco» ordinò «Digli che ho bisogno di vederlo il prima possibile, al solito posto. Chiedigli di portare con sé anche Cissy». L’animale si rialzò, con un’espressione chiaramente scocciata. Il suo passo placido causò un’espressione basita sul volto del suo creatore. «Ho detto “corri”!» gridò furioso. L’orso lo accontentò, scuotendo la testa.
Gettò il mozzicone al suolo. Focalizzò nella sua mente la propria meta: conosceva quel luogo alla perfezione. Diede inizio alla Smaterializzazione. Vorticando, l’immagine della villa entrava ed usciva dal suo campo visivo: quando vi sarebbe tornato, trattenersi dal far finire al San Mungo Ladon Greengrass sarebbe stato molto complesso.
 
L’arrivo del messaggero di Blaise fu inaspettato. Draco e Narcissa stavano facendo colazione assieme, seduti sugli sgabelli dell’isola dal ripiano di marmo scuro che collegava la cucina al salotto, nell’attico splendidamente arredato dalla donna. Il sorgere del sole filtrava dai lucernari, accendendo di luce quel luogo, stregato per non esistere se non nella mente di chi era al corrente del suo segreto. Draco sorseggiava del caffè, accompagnandolo con dei biscotti ricolmi di gocce di cioccolato, rattristato dal non vedere più Hermione da un paio di giorni, ma felice di quel tempo che poteva trascorrere con sua madre. Narcissa, invece, reggeva tra le mani un tè Earl Grey, addentando di quando in quando una brioche, mentre il suo sguardo correva rapido sulle notizie della Gazzetta del Profeta. Non lo avrebbe mai confessato a nessuno, ma quei mesi, praticamente da reclusa se non per le uscite strettamente necessarie che le erano concesse, erano stati molto duri. Aveva scoperto peculiarità della solitudine che mai, fino a quel momento, aveva conosciuto e sapeva che, nel più prossimo avvenire, ne avrebbe rintracciate altre ancora.
Quando l’orso invase lo spazio della loro cucina, mettendo in fuga Strach, l’unico e fedelissimo elfo domestico della signora Malfoy, il quale si occupava di tutti quei compiti cui lei non poteva adempiere, il viso del ragazzo si tese in un’espressione preoccupata che la madre captò subito.
«Deve essere successo qualcosa a Daphne» disse lui, incolore nella voce, dopo aver ascoltato la missiva. In silenzio, la donna si alzò, dirigendosi verso la propria camera, così da potersi cambiare per uscire.
Non più tardi di dieci minuti dopo, i due, abbigliati come semplici Babbani, procedevano rapidi verso un vicolo secondario, dove potersi tranquillamente Smaterializzare verso la loro destinazione. Il tentativo del giovane di celare la preoccupazione sotto un paio d’occhiali da sole fallì miseramente, svelato da un movimento nervoso della mano sinistra, tesa a tamburellare sulla coscia un ritmo incalzante. Un paio di pantaloni grigi, stropicciati dall’inserimento delle mani nelle tasche, ed una camicia leggera a quadri con le maniche arrotolate fino ai gomiti, facevano di lui un ragazzo qualunque. Allo stesso modo, Narcissa, il viso rischiarato dai raggi del sole e disperso nei suoi capelli paglierini, poteva essere scambiata per una sofisticata signora della società altolocata appena ritornata da un incontro con le amiche: pantaloni leggeri e bianchi lunghi poco oltre le ginocchia, con una maglia grigia ed ampia, stretta solo sui fianchi da una fascia elastica. Alcune punte d’azzurro coloravano la sua semplicità: un paio di ballerine, un foulard svolazzante, un bracciale, degli orecchini a forma di rosa ed un’ampia borsa abbandonata nell’incavo del gomito. Taciturni, lasciarono che la sensazione soffocante di quel mezzo di trasporto tanto caro alla comunità magica scivolasse loro addosso. Ricomparirono in un angolo di Holland Park non frequentato dai non magici, all’ombra di alte frasche che mitigavano la temperatura. Tra scoiattoli e pavoni, tra salti spericolati da un ramo ad un altro e eleganti ed altezzose ruote di piume, i due attraversarono il manto erboso percorrendone i sentieri fino al Kyoto Garden. Era stata la Greengrass a proporre quello come il luogo dei loro ritrovi e non era un caso che questo si trovasse in quello che universalmente era ritenuto il parco più elegante dell’intera Londra. Era una tradizione, per loro tre, ritrovarsi lì prima di partire per un nuovo anno scolastico ad Hogwarts e ogniqualvolta uno di loro necessitasse del conforto degli altri. Daphne, colei che, tutti lo sapevano, aveva le maggiori necessità della presenza altrui, era l’unica a non richiederla mai. Troppo orgogliosa, ma anche, segretamente, troppo fragile: un albero secolare, impassibile alle più sferzanti raffiche di vento, che d’improvviso veniva spezzato da una saetta. Attendevano tutti quel punto di rottura, quello oltre il quale neppure lei sarebbe potuta spingersi, ma tutti e tre, quando i loro sguardi si incrociarono in un muto rincorrersi immobili, su una passerella di pietra, dinnanzi ad una cascata placida, videro negli altri che l’attesa era stata troppo lunga. La resistenza della Greengrass aveva superato ogni più terribile pianificazione: persino quando nessun’altro avrebbe potuto sopportare un così forte dolore, fisico e mentale, lei era rimasta in piedi, sporca di sangue e sudore, ricoperta di lividi ed escoriazioni, ma incredibilmente viva e coraggiosamente ritta sulla proprie gambe.
Non furono necessarie molte parole di Blaise, per spiegare la situazione. Prima ancora dei saluti di circostanza, la mano di Cissy aveva cercato la sua e, poi, si era posata sulla sua guancia, a lasciargli una carezza materna. Perché questo era stata lei anche per loro, non solo per Draco: era tra lei e sua nonna che Blaise si sedeva durante le celebrazioni dei vari matrimoni di chi, biologicamente, gli aveva dato la vita, era nella propria dimora che lei ospitava Daphne per festeggiare quel compleanno che Ladon scordava regolarmente. L’abbraccio in cui Blaise la strinse, muto e cupo, fu un ricercare quella forza d’andare avanti, di chiudere gli occhi sul passato e su tutto quello che lui aveva visto sul corpo della ragazza che amava. Della ragazza che, però, non capiva, non fino in fondo.
La donna gli mormorò qualcosa all’orecchio, mentre la sua mano, dalle dita affusolate e bianche, passava sulla sua schiena, seguendo il profilo delle scapole. Raccontò piano, quasi a bassa voce, quello che doveva: l’ennesima violenza subita, la richiesta d’aiuto ed il bisogno di organizzare un matrimonio in tre settimane. A ciò, poi, andava sommata la fuga di Asteria e Beth, missione che rasentava l’impossibile: nessuno entrava od usciva dalla dimora di Ladon Greengrass senza che lui ne venisse a conoscenza. Non era affatto un mito il suo sigillare tutte le porte e le finestre con numerosi incanti, affinché non vi fossero né fughe né arrivi indesiderati.
«Tre settimane» mormorò tra sé Draco, pensieroso. Nessuno avrebbe osato affermarlo, ma i dubbi sulla riuscita di ciò che si era preposti erano davvero tanti: quella casa pareva inespugnabile, tanto che neppure anni di tentativi, da parte di Daphne, si erano dimostrati utili. Superato il primo incanto, vi era una maledizione e, sciolta questa, una magia ancora più complessa di quelle affrontate. Scindere i legami stregati di questa, sebbene non impossibile in teoria, risultava impraticabile nella sostanza, a causa di un Incanto Gnaulante che, fin dall’iniziale intrusione, aveva il compito d’avvertire il capostipite del tentativo di sovversione. La ragazza, poi, era giunta alla conclusione che, oltre al limite fino a cui si era spinta, ovvero sette sigilli spezzati, ve ne fossero ancora molti altri d’affrontare, in un tempo che, solitamente, non superava i tre minuti se Ladon era in casa e i quindici se l’uomo si trovava altrove. Poiché, purtroppo, in quella casa aveva molti servitori fedeli. E viscidi.
«Io non posso aiutarvi con la fuga di Beth e sua figlia» esordì Narcissa «Ma posso organizzare il matrimonio e sono sicura che una mia vecchia conoscenza sarà più che disponibile nel darmi una mano».
Lo sguardo di Blaise, d’improvviso, s’illuminò: la sua vera preoccupazione era solo quella, suocera e cognata, ai suoi occhi, meritavano di rimanersene dov’erano, vista la facilità con cui avevano sempre permesso a Daphne di prendersi i loro castighi, per quanto questi fossero immeritati.
«So come farle scappare» disse, invece, Draco. I suoi occhi erano persi, relegati in un altrove che era solo nella sua testa e che, da dove si trovavano, Narcissa e Blaise non potevano raggiungere. «Ma sarà rischioso. E complicato».
 
Arthur Weasley possedeva uno straordinario talento: gli oggetti parevano parlargli. Gli bastava bussare con il dorso della mano contro un qualsiasi arnese per riuscire a comprenderlo, entrandovi in un’inspiegabile sintonia. Lo scrutava anche per ore, senza muoversi di un centimetro, concentrandosi sul suo rumore o sull’assenza di questo. Lo toccava, facendolo roteare tra le dita e tastandone la consistenza. Lo percepiva, sentendolo in un modo tutto suo che nessuno, neppure impegnandosi, avrebbe mai potuto interpretare. Non era stato sufficiente neppure il plurilinguismo di Albus Silente, per interpretare quella lingua astrusa, fatta di sospiri e rivelazioni improvvise, che l’uomo parlava tra sé dinnanzi all’ennesimo manufatto.
Eppure, le cose, dopo aver dialogato con lui, parevano aggiustarsi o migliorarsi.
Era stato così per la Ford Anglia, vecchio catorcio classe 1962 raccattato in una discarica Babbana, che era stato in grado di rimettere in movimento, sebbene sul suo motore malconcio pesassero già molti anni di onorato servizio. In confronto, aggiungere qualche incanto qua e là, come quello Dissimulante che la rendeva invisibile all’occorrenza o l’Estensione Irriconoscibile per farci entrare tutta la famiglia, era stata una sciocchezza. Era stato così anche per la stessa Tana, eretta per magia a partire da un semplice porcile: nonostante l’apparente instabilità suggerita dalla sua sembianza traballante e rattoppata, la dimora non era mai stata danneggiata neppure dai peggiori cataclismi. Il fatto che le stanze nascessero l’una sull’altra, come funghi sulla corteccia ruvida di un grosso tronco d’albero, la rendeva solo unica nel suo genere e non certo meno confortevole, nonostante le proteste di Ron per la sua stretta convivenza con il demone della soffitta. Uno dei suoi ultimi progetti, poi, lo aveva portato a recuperare la motocicletta di Sirius, così da potervi fare alcune modifiche per restituirla al suo legittimo proprietario, Harry. Ovviamente, lo faceva di nascosto da sua moglie Molly, sperando che questa non notasse, su quel suo maledetto orologio che si era inventata, il “Pericolo Mortale” in cui lui finiva ogni volta che vi faceva un giro di prova.
Per questo motivo, così come la donna che aveva sposato, molti anni prima, fu entusiasta all’idea di poter essere utile a Narcissa Malfoy nell’organizzare il matrimonio per Daphne Greengrass, lui rispose con un assenso infervorato al giovane Draco che era venuto a domandargli aiuto con un progetto che riguardava un Armadio Svanitore da aggiustare.
La notte era crollata loro addosso inesorabile, mettendo fine al primo giorno di luglio e alla settimana che era trascorsa dall’incontro con Blaise. Gli gnomi dei Weasley si rincorrevano l’un l’altro gridando sguaiatamente, divertiti dal gioco improvvisato, ruzzolando sui pendi che circondavano la Tana e inciampando su ciuffi d’erba troppo rigogliosi. Una luce calda e sfumata da pennellate di chiarore, come agrumi succosi e brillanti dispersi tra le foglie d’un arancio, indicava dove, in quella casa, qualcuno era ancora sveglio. Dalla finestra della cucina il volto stanco della matrona compariva ad intermittenza, mentre questa s’apprestava a finire le sue mansioni della giornata. Asciugandosi le mani sul grembiule stinto, si voltò verso un’interlocutrice che le stava porgendo dei piatti impilati: una delle due doveva aver scherzato su qualcosa, scatenando le risate d’entrambe.
Narcissa, in abiti Babbani, si era poi voltata verso una lavagna per appuntare l’ennesima voce ad una lista molto lunga. Nel salotto, invece, si erano raccolti i restanti membri della famiglia che non si trovavano altrove nel mondo: Fleur, infatti, stava facendo assaggiare le varie proposte per la torta del proprio matrimonio, che si sarebbe tenuto da lì ad un mese. Ron, ovviamente, non aveva perso l’occasione per riempirsi lo stomaco, ma anche Ginny si era impegnata: se era costretta a sopportare Flebo, riteneva d’avere il diritto di ingozzarsi a spese dei signori Delacour. Bill, affaticato e stanco, ma in lenta ripresa dall’attacco di Fenrir, guardava la scena divertito, lasciando che la fidanzata lo imboccasse con cucchiate di dolci.
Distanti, chiusi da giorni nello sgabuzzino che era l’officina e lo studio di Arthur Weasley, l’uomo e Draco Malfoy, incredibilmente suo assistente, lavoravano incessantemente sull’Armadio Svanitore.
Era stata, per il giovane Slytherin, un’idea improvvisa: si era ricordato dell’episodio di Montague, ex capitano della squadra di Quidditch delle serpi, rinchiuso in un armadio, precedentemente scagliato da Pix contro Gazza, che lo aveva tenuto prigioniero per mesi. Il ragazzo aveva affermato d’essersi trovato spesso a sentire la voce del proprietario di Magie Sinister. Il giorno successivo all’incontro con Zabini, Draco si era recato dal negoziante domandando precisazioni all’uomo: aveva scoperto che lo spesso mobile a due ante che teneva lì esposto era, come aveva supposto, il gemello di quello che, seppure rotto, si trovava ad Hogwarts. Lo aveva comperato immediatamente, inviando l’amico a recuperare l’altro nella Stanza delle Necessità della scuola, dove era stato riposto. Aveva anche tentato di estorcere al proprietario qualche informazione utile su come ripararlo, ma il proprietario del più rinomato negozio di magia nera di Notturn Alley non era stato molto collaborativo, richiedendo, per farlo, una somma di denaro fin troppo consistente.
Per questo, Draco, dopo aver dedotto che lavorandoci da solo non avrebbe mai fatto in tempo, aveva chiesto al capofamiglia dei Weasley d’aiutarlo.
Seguirlo, all’inizio, era stato impossibile: l’uomo aveva un ritmo tutto suo e pareva muoversi seguendo una voce interna misteriosa. Eppure, quell’armadio stava riprendendo forma: incredibilmente, Arthur riusciva a riportare i pezzi al loro posto, senza incrinare l’incanto originario, poiché anche intaccarlo solamente avrebbe potuto annullare il punto di contatto tra i due oggetti. Le prime ventiquattro ore erano state un umiliante susseguirsi di azioni inutili che lo avevano fatto sentire più volte nel posto sbagliato. Aveva impiegato un po’ a comprendere come muoversi in quell’ufficio, come alzarsi senza far crollare nessuna pila di inutili oggetti Babbani di ricambio, come servire a qualcosa. Alla fine, dopo un paio di giorni, era entrato anch’egli in perfetta sintonia con quella melodia straniera.
La camicia bianca, con le maniche arrotolate sino ai gomiti, gli si era appiccicata alla pelle madida di sudore, e gli occhi, segnati da occhiaie pesanti, tradivano la stanchezza che provava, eppure continua imperterrito a lavorare, levigando il legno o inchiodandolo. Fischiettava un motivetto che l’altro gli aveva messo in testa.
«Come sta Hermione?» gli domandò il più anziano, in un modo così spontaneo che stupì Draco. In quella casa, la Granger era quasi una figlia: una nuora quasi predestinata, una sorella acquisita, una moglie perfetta.
Lei non era affatto impeccabile, anzi. Lui lo sapeva molto più di altri, poiché di Hermione aveva visto la verità ed a malapena era riuscito a coprire il timore sul proprio volto. Non era una ragazza semplice, la sua fidanzata. Eppure, il suo essere scontrosa ed impertinente, il suo a volte spigoloso modo di fare, il suo intelletto vispo, la rendevano unica ai suoi occhi. Stupenda nei suoi errori e odiosa nel suo voler risolvere ogni situazione solo con le proprie forze. Tra loro due, nonostante tutto, c’era sempre stata quella distanza. Anche quando, durante il funerale dei suoi genitori, lei lo aveva cercato. Un metro soltanto, sufficiente a permettere loro d’amarsi, ma mai abbastanza per dare loro un po’ di tregua. Perché la loro era una lotta continua, una battaglia per rubarsi un bacio o per stringersi tra le coperte.
«Sono preoccupato» gli rispose lui a bassa voce, continuando imperterrito quello che stava facendo «Mi sta tenendo all’oscuro di qualcosa». L’aveva vista il giorno prima, avevano fatto l’amore nella casa dei suoi genitori. L’aveva amata con tutto se stesso e si erano presi in giro. Avevano scherzato e riso, poi si erano baciati. Molte volte. Tuttavia, quando lui le aveva chiesto cosa la tormentasse, Hermione si era ritratta in un silenzio quasi accusatorio, deviando il discorso su qualcos’altro. Scherzando, ridendo e baciandolo. Bugiarda.
«Ma forse è solo una mia impressione».
Non poteva lasciare sua nonna, malata, per aiutarli a tirare fuori Daphne da quella prigione. Non poteva mettere davanti ai propri interessi quelli di Draco, neppure per una volta.
Quella risposta negativa lo aveva ferito. Stavano parlando della Greengrass e di Zabini, non di due persone qualsiasi: se lei glielo avesse domandato, Malfoy avrebbe distrutto una montagna a pugni per impedire che Potter finisse mangiato da un drago. Si era ripetuto, di nuovo, che lei aveva le sue buone ragioni per farlo e aveva tentato di perdonarla. L’ennesimo compromesso con se stesso pur di farsi amare.
L’ultimo.
 
Quella casa si raggomitolò su se stessa non appena lui ne uscì. Le tende vennero tirate a coprire gli interni, le porte di tutte le stanze vennero chiuse a chiave e l’ampio portone d’ottone venne aperto rapidamente, come ad invitarlo ad andarsene in fretta. Blaise, realmente intimorito da quel luogo, accettò cordialmente e accelerò il passo. Non aveva avuto modo di spiegare il loro piano a Daphne, ma l’ampio quadro, largo quasi due metri, era stato fissato ad una delle pareti della sua camera. Una stanza come tante altre, in quella magione gelida: spoglia e priva di troppi orpelli, fredda e inospitale. Apparentemente, ad un occhio disattento, sarebbe potuta persino passare per abbandonata, se non fosse stato per quel anziano giardiniere che impiegava le proprie giornate, sotto le peggiori intemperie o con la più afosa delle calure, a tenere alla perfezione la varia vegetazione. Il signor Ladon voleva così. Le donne della sua vita, quelle che lui avrebbe dovuto amare con tutto se stesso, avevano il medesimo valore. Siepi da potare non appena un ramo si fosse spinto oltre il disegno voluto per loro. Bambole di porcellana da riporre su una mensola, lasciandole ad impolverare d’angoscia e tormento.
Il giovane Zabini, come avevano progettato, aveva spacciato quel dipinto come un regalo di nozze per la propria futura consorte, di modo che non finisse in qualche soffitta polverosa. Del resto, però, l’ottimo lavoro svolto da Minerva McGranitt nel Trasfigurare l’Armadio Svanitore in un piccolo capolavoro, avrebbe reso quel gesto una colpa imperdonabile: l’anziana donna, con una maestria che avrebbe fatto intimorire molti pittori, aveva lavorato un paio d’ore per riprodurre un paesaggio della sua patria, la Scozia.
Con tinte tenui, quasi d’inverno, aveva impresso nelle pieghe della tela il ricordo d’una gita fuoriporta con i propri genitori. Sullo sfondo, alcune montagne, distanti e in parte coperte dalle molte nuvole plumbee, cariche di pioggia, e dalla foschia, parevano giocare a scavallarsi l’un l’altra, quasi a rincorrersi per disarcionarsi, salvo poi d’improvviso svanire, permettendo alle nubi di far risaltare, sulla propria fumosa consistenza, il vero protagonista della scena. Ad un passo dall’osservatore, interrotto, un lago placido, idealmente sul punto di straripare oltre la cornice dorata per creare un rivolo d’acqua lungo il muro. Sulla sua superficie, posate lievemente da un tocco di divina gentilezza, alcune foglie d’alberi decidui parevano attendere: un singulto delle profondità od un reflusso d’inspiegabile provenienza, qualsiasi cosa potesse animarle, facendole danzare sulle improvvise crepe di quell’acqua mai increspata. Puntellavano il paesaggio d’improvvisi slanci entusiastici di colore, capaci d’esaltare, su quel timido spiazzo di terra inattesa e circondata d’acqua, un castello in rovina, per i cui mattoni ricoperti d’edera, una qualche donna, un tempo, aveva composto un sonetto di poesia sepolcrale. A concludere lo squarcio di memoria, qualche albero dalle fronde scure e il verde quasi brillante ai piedi del maniero. Un ponte di pietra, retto da tre archi bassi, lo collegava alla terra ferma.
Non sapeva per quale motivo l’oramai destinata a divenire ex Capocasata dei Gryffindor si spendesse con così tanto impegno per lui, ma aveva capito che, per anni, l’aveva valutata nel modo errato e, come molti altri Slytherin, aveva spesso atteso che si voltasse per scherzare su quella sua ridicola affezione al tartan. Dopo che lei lo aveva Trasfigurato durante l’attacco dei Mangiamorte ad Hogwarts, così che nessuno lo riconoscesse mentre era in compagnia di Potter e dei suoi compari, dopo avergli concesso senza alcuna ritrosia di prelevare l’Armadio Svanitore dalla Stanza delle Cose Nascoste, gli aveva chiesto come avessero intenzione di introdurre l’oggetto di nascosto e, infine, aveva fornito una sua proposta.
Vincente. Lo stesso Ladon, infatti, era rimasto stregato dalla profonda e inafferrabile bellezza di quella vista.
Blaise scrutò a lungo le colline che circondavano la zona della villa Greengrass, fino a quando non fu sicuro d’aver riconosciuta quella individuata da Draco per dare inizio al loro piano e porre il gemello dell’oggetto regalato a Daphne. Sempre che lui e il capobranco dei Weasley fossero riusciti ad ultimarlo in tempo.
Sospirò e, accendendosi una sigaretta, si Smaterializzò dinnanzi alla casa di sua madre, quella da cui si sarebbe allontanato, una volta sposato, per non farvi ritorno se non nelle più gravi ed incombenti circostanze. La donna, come spesso capitava, era in viaggio di nozze con l’ennesimo nuovo marito e poco le importava di perdere uno degli eventi più importanti della vita del suo unico figlio. Forse, però, credeva che Blaise avrebbe seguito le sue orme.
Si aspettò di trovare la solita fredda e distaccata accoglienza degli Elfi Domestici, troppo presi dalle faccende ordinate loro per rendersi conto che lui, taciturno come al solito, era rientrato da Hogwarts con l’inizio delle vacanze estive. Scorse, invece, una signora bassa e robusta, appesantitasi con gli anni, ma non per questo grassa o fiacca. Indossava un abito leggero, lungo fin poco oltre le ginocchia, d’un giallo acceso ed allegro, coordinato ad un maglioncino lasciato aperto che le raggiungeva i fianchi. Un foulard allentato, un paio d’orecchini ed un braccialetto non appariscente. Tutto, in lei, risaltava quei suoi capelli grigi, molto vicini ad essere d’un bianco brillante. Mossi e corti, si allungavano leggermente solo sulla fronte, con uno svirgolo che svelava un pizzico di geniale follia. Non appena lo vide abbandonò sul tavolino il suo bicchiere d’acqua con uno spicchio di limone e due cubetti di ghiaccio, per alzarsi aitante dal divano e raggiungerlo.
«Blaise!» esclamò entusiasta, abbracciandolo forte e scoppiando a ridere «Guardati! Sei diventato anche più bello di tuo padre».
Dopo un iniziale smarrimento, la tensione di Blaise, tra quelle braccia, si sciolse improvvisamente. Tante volte, quand’era più piccolo, quel contatto lo aveva tranquillizzato. Carolyn Gray in Zabini, sua nonna, c’era stata sempre per lui: lei era la sua costante.
Lo guardò negli occhi, mentre gli posava una mano sulla guancia. «Però, dovresti tagliare questi capelli» continuò, spettinandolo un po’ «Non vorrai farli crescere tanto come quelli di tuo padre, vero? Non mi sono mai piaciuti».
I suoi occhi si fecero lucidi, quasi fosse sul punto di piangere. Erano trascorsi molti anni da quando Oscar, il suo unico figlio, era morto e, nonostante il tempo, non era mai riuscita a superare quell’ennesima perdita. Si era trovata un nuovo compagno, di recente, ma non aveva mai avuto il coraggio di presentarlo al nipote. Temeva che, anche solo per un istante, lui potesse stimarla simile alla donna che lo aveva generato e che, quand’era ancora in fasce, aveva ucciso la figura paterna di cui, per anni, Blaise aveva sentito la mancanza. Era rimasta impunita, quella lurida arrampicatrice sociale, anche se aveva ucciso il padre del ragazzo che ora stava guardando: annegato nella piscina di un hotel Babbano, facendo ricadere la colpa su un’innocente cameriera.
«Dai, sediamoci» disse all’improvviso Carolyn, costringendosi ad un sorriso «Hai molte cose da raccontarmi, se non sbaglio».
Erano rimasti a lungo seduti vicini su quel divano. Lui, stanco e provato, disteso contro un bracciolo e reticente a parlare. Lei, curiosa ed attenta, ma circospetta e accondiscendete: conosceva i ritmi degli Zabini, così lontani dai suoi, e, per questo, si era limitata ad attendere, ponendosi perpendicolarmente a lui con il fianco destro contro lo schienale e il pugno chiuso a reggerle la testa. Gli faceva le domande giuste, cercando di sfiorare le sue ferite scoperte, così da spingerlo a parlare senza farlo soffrire troppo.
«E così le hai proposto di sposarti?» gli domandò, posando quel bicchiere d’acqua ormai vuoto che un elfo si sbrigò a riempirle.
«Sì, di nuovo. Non pensavo accettasse» le rispose lui, con un braccio davanti agli occhi per proteggerli da quella fastidiosa luce estiva «Non ci speravo più».
«Sai, vero, che lo ha fatto per salvarsi, non per amore?» insistette l’anziana signora, senza cattiveria. Un discorso come quello, probabilmente, sarebbe dovuto venire da una coppia di genitori apprensivi, ma cause di forza maggiore imponevano che fosse lei a tenerlo. Con dispiacere d’entrambi: Carolyn era colei che amava riempirlo di regali e coccolarlo, quando era piccolo, il ruolo della crudele realista avrebbe preferito lasciarlo all’odiata nuora.
«Sì». Quel monosillabo fu un macigno.
«Sai che ti farà soffrire, vero? Daphne ha vissuto per anni in uno stato di soffocante prigionia, per lei non c’è mai stato qualcuno disposto a prendere le sue difese. È stata abituata ad accettare tutto in silenzio» continuò la donna, senza risparmiare nulla al nipote «Non ti dirà cosa di te la fa soffrire, si limiterà a fingere che le sta bene. E poi comincerà a sentire quello che ora sente per suo padre: ti sopporterà perché ti deve qualcosa, perché tu, per lei, sarai colui che avrà salvato sua madre e sua sorella, ma ti odierà. Ogni giorno di più. Il tuo sguardo, il tuo silenzio, il tuo amore» gli afferrò la mano, con forza, scoprendo il suo sguardo «Blaise, qualsiasi cosa di te, per lei, sarà asfissiante. Con lei, sposerai anche i suoi problemi. Dovrai sopportare più di quanto un matrimonio normale richieda: non si tratta di difetti caratteriali o vizi, è rancore quello che per anni quella povera ragazza ha covato in sé. Sarai tu ad esserne vittima, anche se non ti spetta»
D’impeto, Blaise si mise a sedere, cercando febbrilmente il pacchetto di sigarette. Ne estrasse due, una per sé e una per sua nonna. Quasi in sincronia, se le portarono alla bocca e le accesero. In poco tempo, nell’aria si diffuse un odore pungente. C’era qualcosa, in quel gesto così abituale per entrambi, che li accumunava: il ritmo, il respirare il fumo liberato dalla bocca e, a tratti, anche il modo in cui stringevano tra le dita quell’oggetto. A volte in maniera troppo femminile, altre in modo esageratamente maschile. Del resto, il più giovane dei due aveva rubato quel vizio all’altra.
«Dovresti smetterla di fumare» lo rimproverò, come al solito.
Blaise ridacchiò. Tutte le volte che si incontravano, quindi molto spesso, quella scena si ripeteva nella stessa maniera, fin da quando Carolyn lo aveva sorpreso la prima volta. Serviva ad entrambi per pulire la propria coscienza e, poi, continuare imperterriti sulla via della distruzione che percorrevano assieme. In fin dei conti, però, nessuno avrebbe voluto che l’altro smettesse seriamente: quando avveniva quel gesto, non vi era parola che non divenisse superflua.
«Me ne pentirò, lo so, ma per me è giusto farlo». Nessuno avrebbe saputo dire con certezza a cosa si riferisse, nessuno tranne l’anziana signora con cui stava conversando. Posò la sua mano grinzosa su quella di lui, gli pizzicò una guancia e prese l’ennesima boccata dalla sigaretta.
«Fallo, allora».
Nella semplicità dei loro sorrisi, per un solo istante, apparve lampante la profonda somiglianza tra i due. Non era fisica, o caratteriale. Erano animi affini, capaci, per amore, di sacrificare anche se stessi.
 
Era rimasta immobile per delle ore intere. In silenzio, con gli occhi sbarrati nel buio e il petto squassato dal cuore pulsante. Aveva atteso anni per quel fatidico momento, quello che avrebbe permesso a sua madre e a sua sorella di fuggire da quella prigione. Le mani, quando aveva trovato, come le aveva suggerito Blaise, quel biglietto dietro il quadro, avevano preso a tremare. Un freddo innaturale le si era insinuato fin nelle ossa: era quello il calore della speranza?
Aveva avuto solo tre settimane per preparare il suo matrimonio: inizialmente, la sola idea l’aveva portata ad avere una crisi di nervi. Si era presto immaginata, prossima alle nozze, senza nulla tra le mani. Il suo futuro marito, però, l’aveva tolta dall’imbarazzo: ad intervalli irregolari, dopo averle detto di premurarsi solo degli abiti e dei fiori, le aveva fatto visita portando un tassello in più con sé. Ad una settimana dalla fatidica data, esclusione fatta per le bomboniere che avevano deciso assieme, tutto era pronto.
Un bella villa dell’Ottocento, affacciata su un laghetto artificiale, avrebbe fatto da scenario e, in uno splendido salotto, adattato all’occasione, si sarebbe tenuto il rito civile. Poi il tutto si sarebbe spostato in un ampia sala da ballo, finemente abbellita, dove un catering di classe avrebbe servito molte portate, dai sapori semplici ma presentate con un gusto minimal e raffinato. Aveva avuto modo di scegliere il colore degli addobbi e il loro genere, d’assaggiare ciò che sarebbe stato servito e di decidere la musica che sarebbe stata suonata. Per quest’ultimo punto, aveva optato per un gruppo di sette musicisti che, pizzicando le corde dei loro strumenti, avrebbero accompagnato l’evento. Per la torta, invece, non aveva avuto dubbi: pan di spagna al cacao e crema alla nocciole. Blaise, infatti, le aveva fatto capire, pur non dicendolo effettivamente per non condizionarla, che era la sua preferita.
Ladon le aveva concesso d’uscire con sua madre e sua sorella per scegliere il proprio vestito e quello della damigella, ma lei, avendo un’idea piuttosto precisa di ciò che voleva, aveva risolto le cose in poco tempo.
Ed ora era lì: a dieci ore dal momento in cui si sarebbe unita in un vincolo d’amore con Blaise Zabini. Mancavano quindici minuti a che il piano ideato da Draco avesse inizio.
Discostò il lenzuolo leggero. Rimase immobile per un momento, necessario per prendere un respiro. Il suo abito bianco, appeso alla barra della tenda, pareva suggerirle di desistere.
Avrebbe potuto essere egoista per una volta nella sua vita. Avrebbe potuto chiudere gli occhi, dormire e, poi, riposata, percorrere la navata, fingendo che suo padre l’amasse davvero. Avrebbe potuto salvarsi e smettere d’essere colei che veniva colpita tre volte. Una per le sue colpe, una per quelle di Lisbeth, una per quelle di Asteria. Nessuna meritata davvero.
Oppure, poteva impugnare la bacchetta e sfidarlo. Sputare sul suo viso e procurargli quell’affronto per cui tante volte l’aveva costretta a letto. Quando era piccola, quando era una bambina, soleva piangere molto, rea del non capire per quale motivo la odiasse tanto. Poi aveva capito, poi aveva messo a tacere anche i singhiozzi.
«Finite Incantatem» mormorò, mirando contro il castello di Scozia del dipinto.
Rapidamente, la sua profondità aumentò, divenendo più spesso, mentre i colori tenui si scurivano in un marrone scuro. Legò i capelli in una coda alta, scoprendo il collo, che la leggera vestaglia lasciava nudo. Due passi, necessari per comprendere se le gambe l’avrebbero retta, se davvero era stata capace di trovare il coraggio. Quando d’improvviso le mancò il respiro, pensò che non ci sarebbe mai riuscita, che non avrebbe mai corso quel rischio.
Due colpi rapidi ed uno più lento. Lo aveva fatto, quello era il segnale.
La luce quasi bianca dei riflessi lunari sui capelli di Draco la investì immediatamente, ritrovandosi stretta in un abbraccio quasi feroce. Avrebbe voluto dirgli qualcosa, ma riuscì solo ad aggrapparsi a lui, con quanta più forza le sue braccia, ancora ricoperte di lividi, le permettessero. Le teste ramate che seguirono, rosse come ogni Weasley che si rispetti, portavano in dono sorrisi fiduciosi. Ron e suo fratello Charlie avevano deciso di intraprendere quella missione suicida, senza neppure un baleno di timore. I loro volti, non noti a Ladon, non avrebbero portato a grosse conseguenze se questo li avesse visti. Per questa motivazione, Zabini era stato costretto a rimanere alla Tana, assieme alla signora Malfoy e a Drew Kennan, il quale avrebbe svelato il segreto di cui era Custode a Beth e Asteria, così che queste potessero nascondersi presso lo spazioso attico di Narcissa. Di ovvia sconvenienza, era la presenza in quel luogo dello Slytherin, ma, essendo l’unico capace di muoversi con una certa dimestichezza in quella casa ed avendo lui ideato quella fuga, nessuno aveva potuto scalfire il suo irremovibile ardore.
«Papà, Fred e George sono sulla collina, dall’altra parte dell’armadio, pronti a partire appena tua mamma e tua sorella saranno in salvo». Avevano studiato la cosa nei minimi particolari, arrivando a procurarsi persino un paio di manici di scopa nel caso in cui, nella fretta del partire, i ragazzi fossero rimasti bloccati nella casa. Se fossero riusciti a mettere Beth ed Asteria sedute sul sedile della Ford Anglia, quella missione sarebbe stata ritenuta un successo. Daphne, a quella notizia, si limitò ad annuire, mentre la mano dell’amico, sulla schiena, pareva quasi sorreggerla.
«Ripetiamo il piano a sommi capi» propose Draco per calmarla e per accertarsi che tutti sapessero cosa fare.
«Io e te, usciti su questo corridoio, andiamo a sinistra e raggiungiamo la camera della sorella di Daphne» cominciò Ronald, parlando piano, timoroso di farsi scoprire, ed indicando chi teneva le redini della spedizione «Sulla serratura potrebbero esserci alcuni incanti di Chiusura, dobbiamo stare attenti a non farla gridare per la paura e dobbiamo fare attenzione al non ferirci in alcun modo, poiché nell’ultimo periodo ha manifestato una forte emofobia». Compiaciuto, Draco annuì.
«E se necessario, meglio stordirla. Se urla, gli elfi domestici accorreranno e Ladon ci scoprirebbe prima di riuscire a metterla in salvo» concluse il rosso, quasi dispiaciuto dal dover pronunciare quelle frasi.
La Greengrass si staccò dal suo supporto, improvvisamente più sicura di quello che stava facendo. Recuperò un foglio che aveva nascosto tra le pagine niente affatto impolverate di un libro riposto alla perfezione nella libreria.
«Ho controllato prima» disse ai ragazzi «Sono tre, gli incanti con cui è stato stregata la serratura. Uno di questi, l’ultimo ad essere disattivato, è un incanto Gnaulante. L’allarme scatterà appena qualcuno proverà a manometterla. Dovrete attendere che io apra la porta della camera patronale per prelevare Asteria». La sua mano, ferma e decisa, porse il biglietto su cui aveva scritto la procedura per sciogliere le prime due magie. Aveva fatto molta pratica, in passato, e tutte avevano portato ad una sessione di torture e sevizie.
«Io e te» cominciò subito dopo Charlie, con un’espressione rassicurante «ci occuperemo di tua mamma. Non ci sono incanti sull’uscio della stanza, ma lei è legata al letto con un incanto oscuro. Anche se la libereremo, tenterà di opporsi per paura. Di Ladon».
Avevano deciso che fosse lui a correre questo rischio poiché era l’unico con la stazza adatta a trasportare con la forza la donna fuori dalla Magione. E poiché la maggiore esperienza, anche con i draghi, lo aveva reso molto difficile da impressionare e prendere contropiede.
«Lui dorme al suo fianco. Se riuscissimo a Schiantarlo senza svegliarlo, risolveremmo molti dei nostri problemi. Dubito sarà così». Il suo tendere al perfezionismo, l’aveva portata a rimarcare, con freddezza, tutte le difficoltà della cosa anche se nessuno dei presenti aveva bisogno di farselo ricordare.
Guardando un orologio, constatarono d’essere in ritardo sulla tabella di marcia prestabilita e che, presto, se si fossero fatti attendere ulteriormente, chi era rimasto all’esterno sarebbe venuti a cercarli.
Mentre gli altri tre schermavano i propri volti con un incanto Dissimulante per non essere riconosciuti, Daphne cominciò a sciogliere le fatture che erano state lanciate sulla porta della propria camera. Si avvicinò, si chinò e si concentrò sulla prima magia che doveva sbrogliare. Non la trovò.
Come un automa, spinse la maniglia.
Lo sguardo di suo padre, rabbioso ma soddisfatto d’averla colta in fallo, la fece rabbrividire. La soddisfazione che trasudava dall’uomo preannunciava il piacere che avrebbe provato nel corso di quella notte.
 
Uno scricchiolio. Soppesò il timore che il proprio cuore stesse frantumandosi. Le faceva male, ma non abbastanza. Impugnò la propria arma con tenacia e fece un passo fuori da quella stanza.
«Stupeficium!» gridò, furente. Ladon aveva già evocato un incanto Scudo, quando vide la mano della figlia virare bruscamente e puntare ad un altro obbiettivo. Uno dei Mangiamorte che aveva assoldato come scagnozzo venne scagliato contro una finestra: un allarme assordante si azionò e il suo corpo venne percorso da una forte scarica elettrica che lo stordì. Il fatto che, per anni, fosse stata prigioniera, l’aveva portata a conoscere alla perfezione la propria cella e i difetti di questa. Quel rumore sinistro che aveva avvertito, quel cigolare leggero, non poteva che provenire da un listello del parquet che, nel corso del tempo, si era sollevato dal massello. Una volta, un elfo domestico l’aveva colta in fallo proprio a causa di quel rumore.
Si guardò rapidamente attorno. Come Drew aveva insegnato loro, la prima azione da compiere, in un duello, era individuare il numero di nemici contro cui ci si sarebbe dovuti fronteggiare. Ne contò due. Si preparò a scagliare una magia di Disarmo, ma, con una sterzata, fu costretta a mutare l’incantesimo.
«Protego Horribilis», ebbe la forza di dire, mentre la Maledizione Cruciatus di suo padre le si avvicinava celermente. La barriera resse contro l’urto, ma s’incrinò, spezzandosi definitivamente quando uno dei tirapiedi di suo padre aggiunse all’assalto un’altra fattura.
Una ferita non molta profonda le si aprì sul fianco, tagliando sia la stoffa dell’abito leggero che la copriva sia la carne.
«Muovetevi!» urlò, mentre Draco l’aveva già raggiunta per aiutarla. Daphne distinse i due Weasley procedere verso i propri obbiettivi, eliminando, lungo il percorso, uno degli incappucciati. Charlie, sorprendendo il malcapitato avversario, gli si avventò contro fisicamente, strappandogli letteralmente di mano la bacchetta e spingendola con forza, poiché dalla corporatura pareva una donna, contro il muro. Il forte colpo le fece perdere i sensi.
Mentre la restante parte del gruppo tentava di sciogliere gli incantesimi, con non poche difficoltà, i due Slytherin si prepararono a fronteggiare Ladon e l’ultimo Mangiamorte superstite. Nel volto del primo era chiaro lo stupore: non sapeva quale degli elfi domestici l’aveva tradita, ma il mettere in giro la notizia falsa d’un semplice tentativo di fuga aveva mascherato la realtà delle cose. Sapeva che quella casa aveva orecchie indiscrete, sebbene sperasse che così non fosse, e aveva fatto la giusta decisione, forviando i possibili ascoltatori. Vide chiaramente il terrore nel viso di Ladon quando dalla sua stanza uscirono i rinforzi. La parità numerica, inattesa, volse facilmente a loro favore, poiché avevano puntato molto sull’elemento sorpresa. Finalmente, con il giovane Malfoy al suo fianco, poteva sfidare suo padre.
«Cosa stai facendo, Daphne?» le domandò l’uomo che l’aveva generata. Draco scagliò tre rapide fatture contro l’ultimo degli sgherri, il quale, pur tentando di resistere all’offensiva, cedette alla rapidità di questa.
«Immagina» gli rispose lei. Satirica e sprezzante, come non aveva mai potuto essere.
Considerato l’evidente vantaggio, i quattro credettero d’essere prossimi alla vittoria e alla conseguente riuscita della loro missione. Quando una maledizione silenziosa aprì uno squarcio nella gamba di Ron, compresero che Greengrass aveva ancora qualche asso nella manica.
Lo stoicismo con cui il ragazzo, pur ferito gravemente, continuò a tentare d’aprire la porta portò gli amici ad ingaggiare una lotta serrata contro l’ultimo oppositore alla loro missione. I due, pur riuscendo ad alternarsi ad un ritmo molto sostenuto, parevano in netto svantaggio: i loro attacchi venivano deviati o parati senza troppe difficoltà, mentre le loro difese, progressivamente, sembravano farsi meno efficaci. Alle fatture di loro, volte al solo metterlo fuori combattimento, lui rispondeva con ferocia e Maledizioni Senza Perdono. Tortura per la figlia, morte per lo sconosciuto che la stava aiutando.
Per questo, presto, Daphne cominciò a concentrarsi per tutelare Draco che, inaspettatamente risoluto e concentrato, pareva non voler cedere di un solo centimetro, pur di sconfiggere Ladon. La ferita della ragazza, intanto, pulsava, dandole fitte violente ogniqualvolta i suoi movimenti fossero troppo ampi o rapidi.
Sentì sua madre gridare, stretta tra le braccia di Charlie. Gli colpiva con forza il petto, graffiandolo e mordendolo disperata. Lisbeth non era mai stata una guerriera, eppure, al solo pensiero che suo marito pensasse che lei non si era battuta per evitare d’essere rapita, o salvata da quella prigionia, aveva manifestato un ardore che, fino a quel momento, non aveva mai visto in lei. Quasi animalesca, in quel suo dibattersi violento. Per un attimo, la immaginò come un salmone, strappato dall’acqua da un orso affamato, mentre placido procedeva nella risalita di un fiume, con un fine che qualcuno aveva imposto nella sua testa, per natura. Per dovere.
Tutto quello schiamazzare, quel berciare sgolandosi, quell’abbaiare contro colui che la stava salvando, tacque d’improvviso, quando ad alzare la voce fu Daphne.
«Smettila!». C’era, in quell’esclamazione, il tono di un’accusa e il vigore di un rimprovero. Lei lo fece. S’acquattò tra le braccia del ragazzo, con gli occhi spalancati e il corpo tremante. Accucciata contro quel torace che aveva colpito e ferito, lasciò che ciò che doveva accadere avvenisse.
«Come pensi di farla uscire da qui?» le domandò Ladon, schernendola.
Non vi fu risposta: Draco sfruttò l’occasione per un affondo che non colpì il bersaglio. Quell’uomo pareva impossibile da cogliere in fallo. Un Avada Kedavra galoppò verso il petto di Malfoy. L’amica lo spinse con quanta più forza possedeva, riuscendo a farlo finire al suolo. L’improvvisa mancanza del ragazzo all’attacco  peggiorò ancora la situazione. Proprio su questo, in quanto inerme, si abbatterono i successivi malefici. Con un’agilità che non le era solitamente propria, la ragazza bionda riuscì ad evitare che venisse colpito, ingaggiando uno scontro diretto con il padre. Sciabolate e parate: la sua testa era vuota, concentrata e precisa. L’adrenalina l’aveva resa più resistente, tanto da non sentire neppure il dolore. Ancora una volta, però, il capostipite dei Greengrass riuscì a vincerla.
«Non vuoi realmente ferirmi, come pensi di potermi sconfiggere? Stupida».
Avrebbe voluto rigurgitare un insulto dal profondo delle sue membra, ma il sentirsi chiamare, mentre la sua spalla si rialzava dal pavimento gelido di quella villa, la fece desistere.
Ron non riusciva a smuovere sua sorella. Asteria era impietrita, terrorizzata. Non ebbe bisogno di osservare la situazione troppo a lungo per capire cosa stava accadendo. I pantaloni del ragazzo erano zuppi di sangue, a causa del profondo squarcio all’altezza del polpaccio.
«Il sangue» disse solamente, rivolgendosi allo Slytherin che era al suo fianco «Vai ad aiutarli».
«Ma tu … » provò a dire Draco, più pallido del solito.
«Vai!». La stessa rabbia che aveva usato per sua madre, la rivolse anche a lui. Non c’era crudeltà, in quel suo modo di parlare, ma paura. Paura per gli altri. Draco capì in quell’istante per quale motivo lei avesse voluto salvarle: a guidarla era lo stesso motivo che l’aveva spinta a schierarsi sempre dalla sua parte, chiunque avesse contro.
Quel che accadde poi, fu molto rapido. Malfoy li raggiunse correndo a perdifiato, coprì la ferita con un “ferula”, ma Asteria non si mosse. Cercarono di scuoterla, ma il suo sguardo vitreo rimaneva fisso verso il combattimento in atto. Fu necessario uno schiaffo per farla rinsavire. Con il volto arrossato dalla sberla, nel vedere la sorella battersi per lei, la ragazzina sembrò trovare coraggio. Infilatasi sotto un braccio di Ron, claudicante, aiutò il biondo a trasportarlo verso la camera di Daphne.
Quando furono tutti nella stanza, esclusione fatta per colei che lì usava dormire, aprirono la porta dell’Armadio Svanitore. Ladon, troppo preso dall’euforia d’aver scovato la figlia, prima, e dalla rissa, poi, non lo aveva notato. La sua espressione mutò.
«Sbrigatevi» li incitò ancora una volta colei che, a differenza degli altri, sarebbe rimasta in quella casa fino alla mattina seguente. Sola. Con quella bestia irosa.
Il primo a sparire fu Charlie, con in braccio Beth. Seguirono Ron ed Asteria, presi l’uno a sostenere e fare forza all’altra. Rimase solo Draco. Incerto, teneva tra le dita una delle due ante. Avrebbe voluto rimanere in quella casa, lottare.
Ladon caricava per raggiungerli, Daphne tentava in ogni modo di rallentarlo. Fermare quell’essere, sfigurato dalla rabbia, giocato dall’astuzia di colei che aveva ritenuto sempre un scarto, era impossibile.
Lo sguardo smeraldino che investì Malfoy parve parlargli. Mormorò delle scuse, capaci di generare un sorriso sulle labbra di lei, e scomparve nell’oggetto.
La Greengrass contò fino a dieci, nella sua testa. Pochi secondi per accertarsi che nessuno si trovasse dentro l’Armadio Svanitore.
«Reducto» mormorò.
Cadde in frantumi. Frammenti di legno accatastati e scaglie sottili ed acuminate nella polvere.
Sentì le mani di Ladon afferrarla e spingerla contro il muro. Urtò con la testa e cadde al suolo, in una bozzolo di abiti leggeri e carne, sporca di sangue. Alto ed imponente, lui era già su di lei. Sentì il viso tremarle ed un singhiozzo che pensò preannunciasse un pianto, ma non fu così.
Le sfuggì una risata cristallina. Ottenne solo più colpi. I primi furono i calci.
Il sole, quel giorno, si affrettò a sorgere solo per lei.
 
Molly Weasley, indaffarata, correva da una parte all’altra della villa in cui si sarebbe tenuta la cerimonia. Ad aiutarla, vi erano solo sua figlia Ginny e la quasi nuora Fleur Delacour, entrambe tanto immerse nei preparativi del matrimonio della seconda da sapere alla perfezione cosa fare senza aver bisogno di indicazioni da parte di nessuno. A queste, poi, si era aggiunto il coordinatore del servizio catering, arrivato con un ritardo d’una quindicina di minuti e per questo ammonito dall’agguerrito terzetto. Presto, ad aiutarle, era giunta anche la signora Carolyn, nonna di Blaise, accompagnata da Airi, lontana cugina del ragazzo venuta dal Giappone appositamente per l’occasione. Le due, trovandosi subito in sintonia con le altre, si erano prodigate per essere utili. La prima, con il suo finto cipiglio severo, aveva redarguito tutti coloro che tardavano nel compiere gli ordini della signora Weasley ed aveva accolto l’officiante, suggerendo d’accorciare il più possibile la cerimonia. Si era poi permessa di proporre qualche cambio nella disposizione dei tavoli, per evitare che le prozie del nipote bisticciassero, e aveva fornito uno scaletta al gruppo musicale. La seconda, invece, vestita con un improbabile abito svolazzante e colorato, si era prodigata per creare, con i fiori in eccesso ordinati per errore, dei magnifici centrotavola, a cui nessuno aveva avuto modo di pensare, dimostrando una straordinaria abilità nell’arte dell’ikebana. Il fatto che, poi, fosse rovinata tragicamente nel laghetto, aveva suscitato le risate generali e le sue. Felice, forse più di prima, aveva addotto d’avere una scusante per cambiarsi d’abito e così, in effetti, era stato.
L’arrivo di Ladon, puntuale, allo scoccare delle dieci, aveva creato, invece, scompiglio. Trascinava, qualcosa di informe, reticente a muoversi. Il dolore e la vergogna la facevano stare piegata in due, mentre tentava, con le mani e le braccia, ferite in più punti, di reggere quella vestaglia leggera, ricolma di tagli e scuciture, con cui si era coperta durante la notte.
«Ho portato la sposa». Questo aveva detto l’uomo, mentre lei, trascinando le gambe, indifesa come mai era stata, si era raggomitolata contro il muro. La prima ad accorrere era stata Ginny, seguita a ruota da Airi. La rossa cominciò ad insultarlo ad alta voce, attirando l’attenzione di molti. Quando Molly vide la scena, pur sapendo qual’era il vizio di quell’uomo poiché Narcissa gliene aveva abbondantemente parlato, rimase senza parole. Avrebbe voluto dire qualcosa a quella bestia, ma qualsiasi discorso la sua mente formulasse, improvvisamente questo si sgretolava, lasciandola ad imprecare qualche divinità. La sua espressione era quella che solitamente intimava i suoi figli a scappare dalla cucina prima di ricevere una padella tra gli occhi.
Quando Carolyn sopraggiunse, la sicurezza dell’uomo ebbe un cedimento: non si aspettava che la matriarca si trovasse in quel luogo.
«Esattamente come tuo padre» esordì l’anziana signora «Un verme». Gli sorrise, scuotendo piano la testa. Lentamente, raggiunse la sua borsetta e ne trasse un foglio ripiegato. Nella sigaretta che si accese, poi, trovò calma e lucidità. «Per l’abito, i fiori e la dote».
Dicendo quelle parole, gli porse un assegno. «Noterai che c’è un grosso supplemento per il tuo disturbo. Ritienilo pure un incentivo per uscire ora da questo edificio e per non infastidire più mio nipote e la sua sposa per il resto dei tuoi miseri giorni. Non penso, sinceramente, che qualcuno rimpiangerà la tua assenza».
Sentendo quelle parole, l’uomo divenne rosso in viso e parve voler alzare le mani pure sulla signora Gray, la quale, però, non retrocesse neppure di un millimetro.
«Lei è mia figlia, io la accompagnerò all’altare» provò a dire quello, fieramente.
La mano di Carolyn si serrò con forza sul suo mento, costringendolo a guardarla.
«No» disse semplicemente «Hai perso questo diritto la prima volta che le hai messo le mani addosso. E dovresti ringraziare il tuo buon diavolo custode che mio nipote non si trovi qui in questo momento, non penso che ti avrebbe permesso d’uscire vivo da questo casa».
Ladon parve voltarsi per andarsene. Fu una finta, a cui tutti coloro che lo conoscevano erano preparati. Impugnava già la bacchetta, pronto a colpire chiunque si fosse messo in mezzo a questioni che lo riguardavano così da vicino. Furente, perché ora che Daphne poteva ufficialmente ritenersi una donna libera, lui non aveva più nessuno da costringere sotto il proprio giogo, dopo che Beth ed Asteria erano fuggite. Vipera, non avendo più nulla, avrebbe morso fino ad esaurire la propria fiele.
«Crucio». La voce era un sospiro fievole, rotta dal pianto, mentre con una mano, cercava di trattenere le lacrime che aveva lottato per arrestare fino a quel momento. Il sale dei suoi occhi si mischiò al sapore ferroso del suo sangue, ma nonostante l’occhio nero e il labbro contuso, quel volto tumefatto era ancora quello di Daphne Greengrass. L’orgoglio e il senso della giustizia l’avevano portata ancora una volta a difendere qualcun altro dalle azioni di quell’uomo. Aveva afferrato la propria bacchetta, quella che l’uomo le aveva restituito così che potesse Dissimulare, ancora una volta, le sue ferite. Aveva disubbidito, poiché la sua stecca di legno, quella che aveva ricucito tante volte la sua carne e che aveva attenuato le sue sofferenze, aveva funto da catalizzatore per l’odio che provava verso di lui.
Molly Weasley, impastoiandolo per evitare che colpisse Carolyn, aveva fissato quel momento: crollato sulle proprie ginocchia, con i muscoli tesi, il viso digrignato in una smorfia e gli occhi spalancati.
«Non credo affatto che rispondere alla violenza con un altro maltrattamento sia un buon modo di fare giustizia» cominciò la più anziana del gruppo, non colpita da ciò che era accaduto «So anche, però, che tu non imparerai mai. Puoi mettere addosso ad un verme un bel viso e dei vestiti costosi, ma questo resta sempre un viscido invertebrato».
Daphne, scossa da tremiti violenti, era riuscita a mettersi in piedi.
«Un giorno, qualcuno farà giustizia. E tu pagherai le tue colpe, le tue violenze» prese un’ultima boccata dalla sua sigaretta «Nel mentre, permetti a questa anziana signora, barbara e becera, di lasciarti un promemoria». Con quelle parole, spense il tizzone sulla pupilla dell’occhio sinistro, accecandolo. Poi, con un cenno della mano, chiamò due camerieri nerboruti.
«Scusate, ragazzi, so che non rientra nelle vostre mansioni, ma potreste togliere questo schifo dal pavimento? Temo inquieterebbe gli invitati».
Qualcuno rise, altri si congratularono. Nella calca del momento, la Greengrass traballò fino a colei che l’aveva appena liberata da quell’uomo per ringraziarla.
«Devi credermi, è stato un vero piacere» le rispose quella, sorridendole e scostandole una ciocca di capelli dal viso insanguinato «Ma dovrai dire tu a Blaise che l’ho fatto uscire da qui vivo» scherzò poco dopo.
Vedeva chiaramente quando problematico sarebbe stato, per quella ragazza, amare qualcuno, ma, in quel momento, seppe per quale motivo suo nipote si era perdutamente innamorato di lei. Dentro, era più bella che fuori. E molto più fragile.
 
La situazione, molto più grave di quello che era stato previsto, richiese il maggior aiuto possibile. Per questo, i maschi Weasley, Ron compreso, poiché era stato rimesso in piedi con un’abbondante dose d’Essenza di Dittamo, vennero reclutati per aiutare per gli ultimi preparativi. Le signore, infatti, vennero tutte impiegate nel cercare di rendere presentabile Daphne.
Molly scrisse un gufo a Narcissa dicendole che il loro arrivo sarebbe dovuto essere anticipato. Tempo mezzora e la donna, accompagnata da Draco, testimone stropicciato e stanco, aveva bussato alla porta della stanza dedicata alla preparazione della sposa. Colei che si preparava ad abbandonare definitivamente il proprio nubilato, seduta davanti ad una toeletta dall’aspetto antica, osservava il suo riflesso, provata, mentre molte donne, amiche che non credeva di avere, le volteggiavano attorno, prodigandosi per arrestare il sangue dalle ferite e poggiare del ghiaccio sulle sue ferite. Presto, compresa la gravità del suo stato di salute, cominciò a vorticare la notizia che le nozze sarebbero state rimandate a data da destinarsi. Quando Blaise l’aprì, la porta di quella stanza quasi si scardinò. D’improvviso, tutto quel danzare intorno si chetò, in aperto contrasto con il tumulto nello sguardo di Zabini.
La guardò, la raggiunse, la toccò e temette di romperla.
«Draco avrebbe dovuto portarti fuori da quella casa» disse, visibilmente scosso da ciò che i suoi occhi vedevano «Lo ammazzo».
Lei sorrise e, nel tendere il labbro, il taglio su quello inferiore si aprì di nuovo. Blaise afferrò una piccola garza pulita e lo tamponò con gentilezza. Le sfiorava il viso con gentilezza, soffrendo profondamente per ogni segno di percossa. Era felice che sua nonna avesse vendicato quel bellissimo occhio cerchiato di nero.
«Se lo avesse fatto, Ladon non avrebbe creduto al fatto che quello di ieri sera fosse un tentativo di fuga per non sposarmi» gli rispose lei finalmente tranquilla, posando la propria mano, su quella di lui. Era stato uno spreco spendere tutti quei galeoni in manicure e parrucchiere: era tutto da rifare e non c’era il tempo per contattare un esperto del campo. Si sarebbero dovuti accontentare di Fleur e dei suoi trucchi magici d’alta moda francese.
«E, comunque, non puoi uccidere il tuo testimone. Non potremmo celebrare le nozze, altrimenti» continuò poco dopo. Le dita di lui rimasero a mezz’aria, ancora con quella pezza sporca di sangue ben stretta. C’era dello stupore sul suo volto.
«Parlavo di tuo padre» cominciò, riprendendo parola poco dopo «Vuoi davvero farlo oggi?». Qualcuno mormorò, nelle retrovie, che uno due doveva aver battuto fortemente la testa. Al contrario di quello che era facile supporre, il maggior numero delle persone riteneva che a farlo fosse stato il promesso sposo.
«Ho qualche problema a stare in piedi, ma mi stanno rimettendo in sesto. Mi dovrai reggere, soprattutto durante quel primo ballo per cui spero ti sia esercitato» gli rispose Daphne tranquilla.
Ci mancò poco che Blaise, improvvisamente sveglio e reattivo, non esultasse. Non lo fece, limitandosi a baciarle la fronte docile. Con le mani, la ragazza gli prese il viso e condusse la sua bocca alla propria. Non fu uno di quei baci passionali che erano abituati a scambiarsi, ma c’era, in esso, la taciuta promessa di recuperare il prima possibile. Nella loro nuova casa, quella che Carolyn aveva regalato loro, possibilmente.
«Sai perfettamente che non devi neppure chiedermelo» la rassicurò lui, sincero e fragile, in quel suo scoprirsi. Eppure, era chiaro a tutti che non gli importava d’essersi esposto.
Alle loro spalle, la cugina Airi, cambiatasi d’abito e pronta alla funzione, s’entusiasmò improvvisamente, trattenendo a stendo dei gridolini elettrizzati. Qualcuno le lanciò un’occhiata a metà tra il dubbioso e lo sconvolto e quella parve darsi una calmata, anche se più tardi la videro infrangere le direttive degli sposi, che per ovvi motivi non avevano voluto fotografi, per immortalarli in qualche istantanea.
«Vai a prepararti. E non osare allentare il nodo della cravatta o addormentarti prima ancora che la cerimonia inizi» lo ammonì, mentre questo usciva dalla porta, seguito immediatamente da Malfoy.
Trascorsero una decina di minuti, durante i quali, stringendo i denti, alla ragazza vennero ripulite le molte ferite sulle gambe. Si temette che quella sinistra fosse rotta, poiché muoverla le provocava molta sofferenza, ma l’eventualità venne esclusa dopo qualche accertamento e si procedette con arrestare le ferite dove ciò si mostrasse ancora necessario.
Il tintinnio dei calici, preannunciò l’arrivo di Ginny, sparita da qualche istante. Dopo essere stata scelta come damigella d’onore da Daphne, questa era entrata in uno stato di fibrillazione ed era svanita improvvisamente, posticipando il momento in cui avrebbe dovuto provare l’abito apposito che la Slytherin aveva scelto per lei. Al suo ritorno, reggeva tra le mani una bottiglia di champagne. Consegnò un flute ad ognuna delle presenti e, alle facce dubbiose che ricevette in cambio, rispose solamente con «Non farti troppe domanda, è un addio al nubilato. Tutto è lecito».
Le risate si interruppero solamente quando a valicare la porta fu Drew, che scortava Lisbeth e Asteria. Le lasciarono sole. Asteria, rassicurata sul fatto che tutte le ferite fossero state in parte già medicate e che, di conseguenza, non avrebbe incontrato sangue nel farlo, si mise a preparare alcuni dei suoi speciali impacchi. Tutte le donne della famiglia Greengrass, almeno da un paio di generazioni, sapevano trattare alla perfezione ogni genere di escoriazioni. Era qualcosa che la nonna, medimaga di rinomata e straordinaria abilità, aveva trasmesso anche a loro: delle due, però, chi aveva assorbito il maggior numero di nozioni era sicuramente la più giovane, nonostante l’età. Ciò era accaduto anche perché Daphne, nella maggior parte dei casi, fungeva spesso da cavia. L’apparente tranquillità di lei, però, era sovrastato dal pianto disperato della madre, che, gettatasi in lacrime ai piedi della figlia, si era aggrappata alle sue gambe e aveva cominciato una lunga litania.
«Dovevo farlo. Dovevo. Lui mi avrebbe uccisa».
Da anni era così che accadeva. Lei non era più in grado di difenderle, poiché, quando erano bambine, aveva subito le peggiori angherie. Per Daphne era stato quasi naturale darle il cambio.
Aveva lasciato che si sfogasse e, poi, le aveva chiesto di pettinarla. Era una cosa, questa, che amava fare e, con il tempo, era divenuta anche particolarmente abile nel coprire i punti dove Ladon aveva strappato qualche ciocca.
 
Qualcuno si intrufolò nella stanza, senza bussare. Qualsiasi rumore, pensavano, avrebbe infranto la semplicità di quel ritrovarsi che aveva da sempre unito quelle tre donne. Eppure, oltre quella soglia, altre esponenti del gentil sesso fremevano per riprendere l’attività lasciata interrotta. Proprio a causa di ciò, avevano mandato Kennan in avanscoperta. Forse ingenuo in quel frammento, ma senza ombra di dubbio troppo bello in quel suo smoking blu scuro, abbinato all’intensità dei suoi occhi, per subire qualsiasi genere di ripercussione.
Asteria già stravedeva per lui. Per questo, quando entrò, arrossì visibilmente. La sorella, per toglierla dall’imbarazzo, le chiese di andare a convocare le altre signore.
«Scusate l’interruzione» cominciò lui con un sorriso «Fremevo per vedere la sposa e per farle le mie congratulazioni». Daphne, con i bellissimi capelli biondi riportanti al fasto naturale dalle mani esperte della madre che li avevano raccolti in uno chignon voluminoso annodato sul lato della nuca, si alzò in piedi per accoglierlo. Una veste lunga fino alle ginocchia mascherava in parte i segni di quella nottata, poiché ancora si doveva procedere con gli incantesimi Dissimulanti per nasconderli completamente. L’occhio sinistro, contornato d’un viola livido, rendeva quella sua espressione felice, molto più grave. C’era qualcosa di drammatico, in tutto ciò: non era, quello, il lieto fine a conclusione di una lunga ed estenuante vicenda, ma solo una tregua prima della prossima battaglia. L’attimo da spendere per rifocillarsi e per piangere il passato, tristi ma speranzosi.
«Drew» lo chiamò lei, illuminandosi un poco e cercando di muovere qualche passo verso l’ospite. Non riuscì a staccarsi dallo schienale della sedia su cui era stata fino a quell’istante. Fu il giovane uomo ad andarle incontro e ad aiutarla a fermare il tremore delle sue gambe facendola sedere nuovamente. «Grazie per essere venuto e per l’aiuto a mia madre e mia sorella».
Lui si piegò sulle ginocchia per poterla guardare negli occhi, slacciando il bottone che teneva stretta sull’addome la giacca del suo completo.
«Non ti preoccupare, Daphne, l’ho fatto con piacere». Da un taschino interno trasse una boccetta ricolma d’un liquido dal colore rosato. «Distillato Rinvigorente in formula concentrata, gentilmente offerto dal professor Lumacorno, che è riuscito ad ottenere un posto nelle prime file della sala e che ora sta facendo amicizia con tutti le personalità più importanti presenti. La McGranitt fa fatica a trattenerlo, pare adori i matrimoni». La ragazza prese la piccola bottiglia di vetro lavorato e la soppesò.
«Non basterà per tutta la cerimonia, ma se l’assumi pochi istanti prima che questa cominci, penso che ti sarà d’aiuto almeno fino al ballo» proseguì poco dopo «Lenirà il dolore, ma soffrirai ugualmente. Un ottimo palliativo, ma non certo una soluzione miracolosa».
La Greengrass, lo ringraziò piano e, forse in imbarazzo per tutte le attenzioni che stava ricevendo in quel giorno, cercò una distrazione e la trovò nell’orologio a parete che l’avviso, purtroppo, d’essere in ritardo. Doveva ancora essere truccata ed indossare l’abito. L’idea di soffrire ancora, anche se per una giusta causa, non la faceva di certo smaniare.
«Ok, è il caso che io ti lasci preparare». Rapido, le posò una bacio sulla guancia e si approssimò all’uscita, dove Asteria, seguita dal gruppo agitato e un po’ brillo delle wedding planners, macerò nell’invidia. «Quasi dimenticavo» aggiunse Drew, con una mano nella tasca dei pantaloni e l’altra posata quasi casualmente sulla spalla di Narcissa «Hermione ed Harry vi fanno i loro più sinceri auguri e si dispiacciono che cause di forze maggiore abbiano impedito loro di essere qui, oggi».
Mentre la più anziana delle sorelle si prodigava, come si conveniva ad una persona educata come lei, a ringraziare ancora il professor Kennan, la più giovane lanciò un’occhiata al sedere tornito di questo mentre si allontanava verso lo stanzone, in parte già gremito, dove si sarebbero tenute le nozze.
 
Bevve la pozione e, immediatamente, si sentì più in forze. Narcissa, Lisbeth ed Asteria si fermarono nella stanza, dove, non potendo rischiare d’essere riconosciute dai Purosangue presenti, sarebbero rimaste. A prestare attenzione al regolare svolgimento del rito, avrebbero badato Molly e Fleur.
Il programma prevedeva che lei, seguita dopo qualche passo da Ginny, i cui capelli ramati erano esaltati dal suo abito lilla dalle linee semplici, percorresse da sola la navata fino a raggiungere l’officiante, Blaise e Draco, il suo testimone, ma lei, durante la preparazione chiese, contravvenendo alle normali regole, d’essere accompagnata da Carolyn. Imparenta con lo sposo, questa avrebbe dovuto limitarsi a stare seduta in prima fila, ma accettò di buon grado, colpita dalla richiesta.
Scrutò il proprio riflesso nello specchio per l’ultima volta: i colpi, troppi, c’erano ancora, ma erano stati dissimulati tutti, così come le cicatrici e le ferite in via di guarigione grazie alla magia medicamentosa di sua sorella e a molta Essenza di Dittamo. Appariva come una ragazza normale, con un trucco non troppo marcato ed una pettinatura elegante. Il vestito da lei scelto era semplice, senza alcun ornamento se non le pieghe del tessuto, numerose e sottili, che parevano fasciarle il corpo dal corpetto senza spalline fin sui i fianchi, dove si apriva una gonna spiovente e più ampia. Sulla schiena, dei lacci davano ancor maggior rilievo al senso di bardatura dell’abito attorno al suo corpo. All’interno, si sentiva quasi protetta.
Aveva deciso di non avere né velo né strascico, ingombri per lei futili. Al contrario, aveva seguito la tradizione, per volontà di chi l’aveva preparata: indossava le sue scarpe preferite laccate di vernice bianca, con vertiginosi ed immancabili tacchi che le causano solo ulteriori sofferenze e che, per questo, non vedeva l’ora di togliere. A conclusione, una collana sottile con un unico zaffiro, regalatale dalla madre, e un bracciale tintinnante che, invece, le aveva prestato Narcissa.
Quando la musica ebbe inizio, la signora Weasley le aprì la porta. Airi, la cugina di Blaise, l’aveva anticipata, spargendo dei petali di fiori. La mano di Carolyn era confortante sulla propria e la sua presa solida, pronta ad afferrarla nel caso vi fosse necessità. Reggeva un bouquet semplice di calle bianche, la cui corolla, però, celava all’interno un intenso colore viola.
In fondo alla navata, una scena sconvolgente: Blaise, eterno assonnato, pareva sveglio e trepidante, mentre Draco, solitamente avvezzo a svegliarsi presto, aveva gli occhi segnati da pesanti occhiaie. Per un attimo, si augurò che avesse con sé i loro anelli. Colei che avrebbe celebrato la loro unione era una donna di colore, bassa e dalla corporatura robusta, con un abito porpora che sembrava essere stato da lei scelto appositamente per essere in perfetta sintonia con quel matrimonio. Aveva un sorriso spettacolare: ampio, rassicurante, dolce e soddisfatto. Quella signora non li conosceva neppure, ma era felice d’unirli in quel vincolo per lei sacro. Nei ricordi di Daphne, tra le cose più belle di quel giorno e tra quelle più splendide che vide mai, quella persona assunse un ruolo speciale e preminente. Un simbolo.
Poi, la sua attenzione fu subito per Blaise. Suo marito. Bello con non mai, aveva esaudito la sua richiesta: la cravatta pareva soffocarlo. Sapevano entrambi che erano troppo giovani, che quel matrimonio imposto non era ciò che avrebbe dovuti unirli, ma era anche sicuri che tra loro non vi fosse solo l’amore di due adolescenti.
Una fitta la fece quasi inciampare, causando la reazione di molti dei presenti pronti a soccorrerla, ma come le era stato promesso, non venne lasciata cadere. Carolyn la resse facendole un occhiolino e, presto, il nipote di lei venne a prenderla, così che a percorrere la navata furono in tre.
Dinnanzi all’officiante, lui non riuscì a trattenersi dal baciarla. Ricevette uno colpo leggero sulla spalla dalla donna che doveva sposarli.
«Aspetta ancora un attimo» gli disse ridendo. Lui mormorò delle scuse e si spettinò i capelli. Le mani della sposa gli risalirono il petto ed allentarono il nodo che gli stringeva la gola.
«Siete pronti?» domandò la celebrante con fare complici. Quando entrambi annuirono, la cerimonia ebbe inizio. La voce tuonò chiara.
«Conoscenti, amici, famigliari» cominciò «Siamo qui riuniti oggi, per celebrare assieme il giovane amore di Daphne e Blaise».


Note dell’Autore.
Dieci lunghi mesi. Chi mi segue da un po’ di tempo, conosce già la mia saltuarietà: scrivo molto spesso, qualche settimana anche tutti i giorni, ma inseguo come una formica laboriosa le briciole che l’ispirazione si lascia alle spalle. Mettermi davanti al computer e pensare a come trascinare in avanti questa storia, iniziata anni fa con You and Me, a volte mi costa una fatica immane, per cui preferisco desistere e dedicarmi ad altro. Non fraintendetemi, non ho ancora deciso come finirà questo racconto, ma so perfettamente quale strada intraprendere. Nella mia testa, tra uno spiffero d’aria e un pensiero inconsistente, HugMe è già stata scritta tutta fino al finale. La serie “Becoming Us” è fin da prima che finissi Y&M in questo stato immanente di incompletezza. Se la mia mente potesse scrivere, la narrazione sarebbe conclusa da tempo e sarebbe migliore di quello che è. Come sosteneva un illustre filosofo, però, il passaggio dal mondo delle Idee, dall’Iperuranio, a quello della sostanza comporta l’imperfezione. Perché scrivere per me è questo: una fatica, tesa a qualcosa che a volte non so definire, altre volte solo ad una sensazione. Una sofferenza, quasi dovessi scavare un pozzo per ricavare un sorso di frase. Il piacere della scrittura, e penso non valga solo per me, viene solo dal confronto con chi legge. Quando una persona percepisce quello che io volutamente ho nascosto tra le righe, quando comprende il perché di un’azione di un personaggio alla luce delle informazioni che ho disseminato su di lui, quando mi fa avvertire un’assonanza tra ciò che io avrei voluto descrivere e quello che lei ha è recepito, è allora che “scrivere”, nella maniera amatoriale e poco seria del sottoscritto, prende un senso. Altrimenti, per quello che sono io, resta solo un modo per stare seduto su una sedia a farsi venire mal di schiena.
Ci sono autori più capaci di me, su questo sito, ci sono fanwriter che potrebbero tranquillamente venirmi a sminuire per quello che scrivo, ma ci sono ragazzi (o ragazze, o donne, o uomini) che non hanno la mia stessa fortuna. Un piccolo baule di tesori, che io ho avuto la fortuna di scovare non so nemmeno come. Siete voi, chi mi legge e chi commenta. Perché nonostante tutto, ho scoperto, di recente, che You and Me è tra le quaranta storie con la più alta media di parole per recensioni positive, nel fandom di Harry Potter. Una categoria, diciamoci la verità, non molto piccola. Questo merito non mi appartiene.
È vostro. Di voi che avete perso – e spero perderete – tempo prezioso per lasciarmi un pensiero, per commentare ciò che è accaduto, per avanzare ipotesi o per insultarmi. Di voi che avete scritto, tanto, su queste vicende. Ho apprezzato ogni singola recensione ricevuta e ho cercato di rispondere al numero maggiore. Se non l’ho fatto, vi chiedo scusa, a volta il tempo è tiranno.
Quando ho cominciato You and Me avevo due obbiettivi, il primo, superare i 200 commenti, è stato ampiamente raggiunto. Questo riconoscimento, però, ha un valore di gran lunga maggiore. Anzi, tra le due cose non vi è proprio paragone.
Sebbene questa sia una Dramione fuori dagli schemi, sebbene i miei aggiornamenti e la mia persona stessa facciano schifo, sebbene molte decisioni da me prese siano state impopolari, voi non avete abbandonato questa follia.
Io non posso che dirvi grazie, ancora. Ogni volta che lo faccio mi sembra che non sia abbastanza.
Detto questo, sperando che l’università non mi uccida, che nessuno sia morto nell’attesa di questo aggiornamento e che il capitolo vi sia piaciuto, vi lascio.
Jerry

PS1: recensite, mi raccomando ^^
PS2: potete contattarmi anche sulla mia pagina facebook :3
PS3: dopo anni, ho finalmente capito come eliminare quelle odiose spaziature nell’impaginazione *-*

   
 
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