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Autore: Deb    14/02/2014    6 recensioni
Non ho mai pensato che sarei diventata una madre, né tanto meno una moglie. Ho sempre creduto che non mi sarei mai sposata e sicuramente che mai sarei rimasta incinta. [...]
Osservo Peeta dall'uscio della porta, sta tinteggiando la stanza. Ha detto che, visto che non sappiamo ancora il sesso del bambino, farà un prato. Un campo al tramonto. Il verde e l'arancione che collidono e coloreranno la camera del nostro bambino. [...]
Peeta mi stringe la mano, il sorriso sulle sue labbra è così solare, così perfetto. Io sono distrutta. Non riesco a sorridere e non voglio vederla. Voglio che la portino lontano da me.

{Everlark || A gabryweasley}
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bimba Mellark, Bimbo Mellark, Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Feelings After-war ~ Katniss/Peeta'
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Alla mia sorellina amorosa dududu dadada,
gabryweasley, che adoro con tutto il cuore,
che è fantastica,
dolcissima
e che mi sta sempre vicina. <3
Ti voglio tanto bene
Questa fic è tua. :)
E la telepatiah colpisce ancora perché
la scrissi prima di conoscerti,
quest'estate.
Ma ora, leggendola,
non posso fare a meno se non pensare
a te.

La mia più grande gioia

Non ho mai pensato che sarei diventata una madre, né tanto meno una moglie. Ho sempre creduto che non mi sarei mai sposata e sicuramente che mai sarei rimasta incinta.
Non si possono però fare programmi nella vita. Ho imparato che le cose non vanno mai come credi. Ci sono tantissime cose che sono andate in modo diverso da come le avrei immaginate. Praticamente tutta la mia vita.
Ho ancora gli incubi; sono sicura che quelli non se ne andranno mai, come so con certezza che Peeta sarà sempre al mio fianco, pronto a proteggermi, finché morte non ci separi.
Non ho mai pensato al mio matrimonio quand'ero piccola, convinta che sarei rimasta sempre da sola per prendermi cura di Prim, ma la decisione di sposare Peeta è stata più che giusta. Non potrei immaginarmi con nessuno se non con lui. Questa è un'altra cosa che non avrei mai creduto. Io e Peeta Mellark? Non gli avrei parlato, non l'avrei guardato, non l'avrei amato. Ho sperato che lo uccidessero, poi ho deciso di proteggerlo successivamente all'annuncio di Crane e dopo che mi sarei suicidata con lui. Pur di non doverlo uccidere, ma in quel momento avevo la certezza che ci avrebbero fermato.
Si sono susseguite tantissime cose dopo quel momento, troppe.
Alla fine mi sono resa conto che il ragazzo del pane è l'unico con il quale possa essere debole e fragile. Mi sono accorta di non riuscire a vivere senza di lui. Ci ho messo tanto, fin troppo tempo, ma Peeta mi ha sempre aspettata con pazienza. Il ragazzo innamorato non mi ha mai fatto pressioni. In fondo, io sono stata fermamente convinta di non aver bisogno dell'amore, perché mai avrei dovuto innamorarmi di lui?
Ho creduto che fossero riusciti a separarci definitivamente, ma me ne sarei fatta una ragione a quel tempo. Sarei riuscita a vivere senza di lui, ma poi ho compreso che erano riusciti a spezzarmi. Ho pensato che ci fossero riusciti perché mi sentivo sempre in debito nei suoi confronti per tutto ciò che ha fatto per me nel corso degli anni, invece, più probabilmente, sono riusciti a distruggermi perché hanno posto fine al suo amore nei miei confronti ed io non avrei mai potuto fargli capire che sono stata la ragazza innamorata.
Ora, però, a distanza di tanti anni e con gli incubi ancora vivi nella mia mente, mi chiedo se non avessi fatto meglio a rimanere da sola. E non perché non amo Peeta, ma perché non sarò mai in grado di fare la mamma per suo figlio. Ma non posso tornare indietro. Non lo posso più fare. Sono completamente ed irrimediabilmente terrorizzata.
Non sono pronta e non lo sarò mai.
Peeta nota la mia paura e mi rassicura sempre dicendomi che non appena terrò tra le braccia il nostro bambino, capirò di amarlo e andrà tutto bene. Non è così, non andrà tutto bene perché non sono tagliata nel ruolo di genitore! Non sono riuscita nemmeno a proteggere mia sorella, ho dato la possibilità alla cattura di Peeta anche se era l'ultima cosa che volevo, io non sono in grado di fare da genitore, non posso insegnare, non riuscirò a proteggerlo. Io fallisco sempre.
Ormai però è tardi per tornare indietro. Ho persino pensato di partire per Capitol City e recarmi in uno dei centri per l'aborto. Là lo facevano spesso prima della rivoluzione.
Poi ho pensato che una madre non dovrebbe mai pensare una cosa del genere, che voglio rendere felice Peeta e che non potrei mai avere un'altra vita sulla coscienza, perché anche se ancora nostro figlio non è del tutto formato, è comunque vivo. E non posso ucciderlo. Devo trovare la forza, anche se non ce l'ho più, ma Peeta riuscirà a trasmetterla. Insieme possiamo superare tutto.
Osservo Peeta dall'uscio della porta, sta tinteggiando la stanza. Ha detto che, visto che non sappiamo ancora il sesso del bambino, farà un prato. Un campo al tramonto. Il verde e l'arancione che collidono e coloreranno la camera del nostro bambino.
Non posso dirgli che vorrei non essere mai rimasta incinta, sarebbe un dolore troppo grande per lui e si sentirebbe in colpa, credendo di avermi fatto fare una cosa che non volevo. Ma lì per lì, dopo le sue innumerevoli richieste, i suoi racconti sul futuro, io ho davvero desiderato un figlio. Suo figlio. Non adesso, però. Ora la paura non riesce più ad abbandonarmi e a niente serve pensare a quelle bellissime storie su come saremo una famiglia felice.

Peeta mi stringe la mano, il sorriso sulle sue labbra è così solare, così perfetto. Io sono distrutta. Non riesco a sorridere e non voglio vederla. Voglio che la portino lontano da me.
È una bambina. Una piccola Everdeen Mellark. Un piccolo esserino nato dall'amore che Peeta prova per me. È parte di me, ma cerco di scacciare quest’idea dalla mia testa.
È figlia di Peeta. Non è mia. Non può essere mia. Io non voglio figli.
Sento un senso di abbandono quando lo chiamano e mi lascia la mano, per prendere la piccola in braccio. La saluta e le parla. Decanta la sua bellezza. Sembra quasi che stia per esplodere dalla felicità ed io mi chiedo perché non riesca a sentirla.
Sento soltanto il vuoto, come se avessi fatto la cosa peggiore sulla faccia della terra. Ho messo al mondo una vita che probabilmente verrà spezzata prima del tempo, come le vite di tutte le persone che conosco sono state distrutte prima ancora di nascere e di sognare.
Spero che gli incubi di Peeta siano conclusi, spero che la bambina possa renderlo felice e che spazzi via le sue torture. L'unica cosa che riesce a darmi un barlume di speranza è il fatto che so che quel fagottino ha reso Peeta l'uomo più felice della terra.
«Vuoi andare dalla mamma?»
No! Non voglio che si avvicini, ma non riesco a parlare. Lui si avvicina e mi porge la bimba, tremante allungo le mani e sfioro le braccia di mio marito che sorride sornione senza staccarle mai gli occhi di dosso.
La posiziono sul mio petto automaticamente, con il gomito all'infuori per sorreggerla. Non sarò mai una brava madre e vorrei poterla non tenere in braccio, ma lo devo fare e di certo non la farò cadere. Osservo ancora Peeta, che mi incoraggia ad osservare nostra figlia.
«Katniss, è bellissima, non trovi?» La sua voce è un sussurro calmo, tranquillo e solare. «Guardala, Katniss».
Abbasso lo sguardo sul suo musetto e non riesco a nascondere una smorfia, che ben presto diventa un singhiozzo soffocato e successivamente un pianto. La bimba sembra accorgersene e si mette a piangere, anche se aveva finito di farlo poco tempo fa, quando Peeta l'ha presa in braccio.
Alzo lo sguardo su di lui, preoccupata, ma mi sorride e mi accarezza la fronte ancora sudata. Mi deposita un bacio sulla testa ed io mi sento più sicura.
«Cullala un po'», mi suggerisce.
Quando ero piccola, avevo preso in braccio Primrose, sotto la stretta sorveglianza di mia madre, ma l'avevo cullata aiutata da mamma e mi ricordo che è stata una delle esperienze più belle della mia vita. Prim era appena entrata nella mia vita, ma avevo già capito che sarebbe diventata la cosa più importante per me. O almeno, lo capisco ora. Quando avevo quattro anni probabilmente ho pensato che sarebbe stata la mia bambola nuova.
Non riesco a sentire alcuna sensazione, invece, tenendo in braccio mia figlia. Niente.
La cullo per un po', Peeta è al mio fianco e ci guarda con amore. Nel vero senso della parola, e non riesce nemmeno a nasconderlo. Non che dovrebbe, ma mi sento così mortificata per il fatto di non riuscire a provarlo anche io. Dovrei, ma non ci riesco. E mi sta uccidendo.
«Credo sia ora di farle fare la prima poppata», Peeta mi sorride, sistemandosi meglio sulla sedia al mio fianco.
Io inarco un sopracciglio, ma alla fine mi arrendo, liberando il seno. Arrossirei sicuramente se non sapessi che Peeta, ormai, conosce il mio corpo come se fosse il suo.
La piccola sembra che sappia già cosa deve fare e cerca avida la mammella, cominciando a succhiare. La guardo attentamente e mi rendo conto per la prima volta che lei ha bisogno di me.
Sembra una rivelazione sciocca perché già lo so che è così, ma vedere quanto abbia davvero bisogno di me mi ha fatto comprendere che dovrò davvero fare di tutto per tenerla al sicuro. È mia figlia, sangue del mio sangue, nata da me e Peeta. Non posso non amare una parte così intima di noi due. Siamo noi. Dentro di lei ci siamo noi. C'è il nostro amore.
«È tutta sua madre».
Le accarezzo i pochi capelli che ricoprono la sua testolina, sono del mio stesso colore.
«Il mento ed il naso sono i tuoi, però», per la prima volta la mia voce è calma. Penso a come potrebbe essere da grande e spero che abbia i tratti caratteristici di tutti e due. Voglio che assomigli a me, ma che sia anche suo padre.

Per tutto il tempo della gravidanza ho avuto paura e ammetto che non è che ora ce l'abbia, ma si è affievolito.
Ho avuto il terrore di amarla e ho cercato di convincermi che non ci sarei mai riuscita, ma anche se continuo a non essere sicura che sarò una brava madre, so di avere Peeta al mio fianco che, al contrario di me, sarà un padre eccezionale.
Più la osservo, più voglio proteggerla e più la amo.
Penso che Peeta la vizierà come non ha mai viziato me e ammetto che lui mi coccoli decisamente tanto.
La piccola ha l'abitudine di svegliarci nel cuore della notte, a volte non mi pesa, visto che mi distrae dagli incubi che mi attanagliano la mente.
Mi alzo e la stringo tra le mie braccia. È con noi da due mesi e da quando è qui ho ricominciato a cantare. Peeta mi ascolta e a volte lo noto osservarci in silenzio, da lontano, mentre il chiarore della lucina notturna ci illumina con difficoltà.
«Siete perfette», mi sussurra, stringendomi tra le sue braccia quando torniamo nel letto, dopo averla fatta calmare.
Sorrido, ascoltandolo parlare di come sia una brava madre; ho bisogno delle sue conferme perché spesso non posso credere di esserlo davvero, ma lui mi incoraggia e fa sembrare tutto così naturale e semplice. Mi domando se anche mia madre si sentisse alla stessa maniera quando era con mio padre, poi il pensiero successivo lo scaccio. Non voglio pensare come potrei stare se Peeta non ci fosse più.

«Di' papà! Pa-pà!»
Gli dò una gomitata, «no! Mamma! È più semplice come parola, dai, piccola! Mamma!»
Sono già passati sei mesi da quando quel piccolo terremoto piangente è entrato nelle nostre vite. Piano, piano la paura ha lasciato il posto alla serenità ed alla voglia di stare sempre con lei. Non sempre è semplice, soprattutto quando la notte mi sveglio urlando dai miei incubi, svegliando automaticamente mia figlia. Ogni volta è sempre più difficile farla riaddormentare. Quando è sveglia vuole mangiare, essere cambiata e vuole giocare. Di giorno, si diverte tantissimo a tirarmi la treccia, emettendo suoni incomprensibili, ma che adoro. Sono divertenti e mi ritrovo spesso a ridere.
È cresciuta ed i suoi occhi sono ormai completamente azzurri. Inizialmente abbiamo pensato che fossero grigi come i miei, ma il blu degli occhi di Peeta è andato ad accentuarsi giorno per giorno.
Adoro gli occhi della mia bambina, si discostano molto dai capelli scuri che ha, donandole un aspetto magnifico. È un piccolo angelo.
Io e Peeta cerchiamo di trascorrere quasi tutto il tempo con lei e ricordo benissimo quanto il padre fosse geloso del fatto che Haymitch avesse preso la sua bimba tra le braccia.
Effettivamente, visto l'ubriacone che è, non sono stata sicura nemmeno io e i miei sensi sono rimasti sempre all'erta se avessi dovuto salvarla da quell'alcolizzato.
«Dai, piccola, di' papà!» Peeta ride, guardando nostra figlia con un’espressione perplessa.
Io cerco di giocare con Peeta, ma spero che la sua prima parola sia davvero mamma. Sarebbe una bella soddisfazione.
«Pa-pà», batte le manine, continuando a ripetere quelle due piccole sillabe. «Pa-pa-pa-pa-pa-pa».
«Bravissima! Sono il tuo papà!» La prende in braccio, portandola sopra la sua testa, per poi stringerla al suo petto per depositarle una scia di baci sul viso. «E tu sei la mia bambina».
«La sua prima parola sarebbe dovuta essere mamma», metto il broncio, incrociando le braccia al petto. Peeta mi sorride e con il braccio libero mi accarezza la treccia. Si avvicina a me e mi bacia le labbra. La bambina, che forse è gelosa – a sei mesi si può provare gelosia? – allunga una manina e la porta sulle nostre facce.
«Papà».
Sorrido, stringendo la sua mano con la mia.
Sono felice e non ho mai creduto, dopo la rivoluzione, di aver potuto sentire nuovamente questa sensazione. Non dopo Primrose, e mi sento in colpa nei suoi confronti, o di Finnick che non può vedere suo figlio, ma so che loro sarebbero contenti per me. Almeno è quello che mi dice sempre Peeta ed io gli credo, non mi mentirebbe mai.

Mia figlia accarezza il mio pancione. Quando ho scoperto di essere nuovamente incinta il panico si è impossessato un'altra volta di me, ma Peeta è riuscito a calmarmi. Amo la mia bambina e andrà tutto bene anche con il secondogenito.
Lui, d'altro canto, è doppiamente l'uomo più felice del mondo. Spera che sia maschio questa volta ed io lo desidero con lui.
Lei ha già quattro anni. Mi ricorda Primrose quando osserva il mondo con i suoi occhietti azzurri, incantata da quello che ha davanti. Quando la porto a trovare Peeta in panetteria, poi, osserva le torte della vetrina, fino a toccare con la punta del naso il vetro.
«Le fa papà?», mi domanda sempre, come se non fosse possibile creare qualcosa di così perfetto.
«Sì, le fa papà», le rispondo con un sorriso ed ogni volta i suoi occhi si illuminano, come se fosse la prima volta che le guarda.
«Papà è bravissimissimo! Pure io voglio».
«Allora ti insegnerà tutto quello che c'è da sapere», mi chino su di lei, per lisciarle il colletto della maglia e le depongo un bacio sulla testa.
«Sì?»
Annuisco e le stringo la manina.
In questo momento, invece, osserva seria la pancia, l'accarezza e sussulta quando sente il bimbo scalciare.
«Ti fa male quando fa così, mamma?» Mi domanda, lasciando la mano sulla pancia per continuare a studiare la situazione. Come se dovesse effettivamente capire se il fratellino possa avere la sua fiducia, se non sia cattivo.
«No. Anche tu, quando eri nella pancia, scalciavi così», cerco di spiegarle come meglio posso.
«Io ero lì? Nella tua pancia?» Chiede scettica, sgranando gli occhi.
Le sorrido e reprimo dentro di me i ricordi di quel tempo, quando, per un momento, volevo porre fine alla sua esistenza. Ora come ora mi chiedo come abbia fatto a pensare quelle cose. Non merito tutta questa felicità, sono terribile.
Le annuisco, «anche io sono stata nella pancia di mia mamma».
«Papà? Lui è stato nella pancia?»
«Sì, nella pancia di sua mamma».
Mia figlia sembra pensarci su un attimo, poi viene catturata dal volare di una farfalla, fuori dalla finestra.
«Bella!» Corre verso la porta e cerca di rincorrerla.
La mia testa non fa in tempo a pensare a niente, l'ho rincorsa e l'ho stretta tra le mie braccia. Ho avuto paura di perderla. Non può correre così e scomparire dalla sua vista. Non posso proteggerla se non la vedo.
«Mamma!» Urla, divincolandosi e mi torna alla mente, prepotentemente, il momento in cui Peeta mi aveva stretta, prima che riuscissi a prendere il morso della notte. Se non l'avesse fatto, in questo momento non starei stringendo la mia bambina.
«Non puoi correre via! Lo sai che non devi allontanarti da me!» La rimprovero con voce autorevole. I suoi occhi si riempiono subito di lacrime, non mi piace vederla così e mi sento subito in colpa. È andata soltanto in giardino, mi ripeto, ma non funziona. Non voglio che si allontani dalla mia vista o, quando non ci sono, da quella di Peeta. Ci sono troppi pericoli, magari potrebbe cadere e sbattere la testa. Io non posso perderla. Non lei.

Peeta mi accarezza i capelli, lentamente, senza parlare. Non voglio alzarmi dal letto, non ne ho la forza. Le lacrime bagnano il mio cuscino e le immagini degli incubi di questa notte si sovrappongono le une sulle altre nella mia testa. Ho sognato di perdere la mia bambina, l'hanno portata a Capitol City, l'hanno torturata ed io non ho potuto fare nulla per impedirlo. Un hovercraft ha riportato indietro le sue spoglie che mi hanno fatto totalmente crollare e Peeta se n'è andato via, lasciandomi completamente sola.
Non succederà niente di tutto ciò, lo so, ma non riesco ad alzarmi in piedi. Continuo a far finta di dormire, cercando di concentrarmi sulle carezze di mio marito. Non aiuta molto, ma è qualcosa. So che mia figlia è con noi, come tutte le mattine, come tutte le notti. Non vuole dormire da sola perché quando ho gli incubi e la sveglio con i miei urli anche lei si spaventa e non vuole rimanere da sola. Si accoccola sempre tra me e Peeta e lo scimmiotta, carezzando le mie braccia e ripetendo ormai a memoria quello che le dico sempre io dopo un suo brutto sogno: «Mamma, tranquilla. È soltanto un brutto sogno. Non è vero, e ci siamo io e papà a proteggerti, vero, papà?»
Ha lo stesso sorriso di Peeta, quello che riesce ad infondermi coraggio. Lei sicuramente non lo sa, ma è la mia fonte più grande di gioia. Non riesco, però, a nascondere la paura che è sempre avviluppata in me, profonda e subdola.
«Sempre, tesoro», non capisco se Peeta stia parlando con me o con la bambina, ma lei sorride e torna a guardarmi, continuando ad accarezzarmi un braccio, osservando i movimenti del padre sui miei capelli.
Quando sarà più grande verrà a conoscenza della verità e saprà che nessuno potrà proteggermi davvero dagli incubi che sono nella mia testa, ma che vivono scene antiche o avvenimenti così verosimili che sarebbero potuti accadere in passato e che potrebbero succedere in futuro. Ho sognato più volte che Snow non è caduto e che, a dodici anni, la mia bambina viene estratta dalla mano di Effie per partecipare agli Hunger Games. Sono incubi che sembrano così reali, così vicini, che posso soltanto svegliarmi e convincermi che non potrebbero mai accadere cose di quel genere, non più. La rivoluzione ha cambiato tutto, eliminando gli Hunger Games, portando via la paura della mietitura, ma anche la povertà dai distretti.
Quando sono così distrutta da non riuscire ad alzarmi nel letto, Peeta riesce comunque a farmi sorridere. «Le mie donne mi danno un gran da fare, sono tutte e due vogliose di coccole», e mi bacia, dolcemente. E capisco di stare bene, di dovermi alzare, di doverla proteggere dai pericoli di quella nuova vita.
A volte è più difficile di altre, ci sono momenti nei quali vorrei rimanere a letto per sempre, chiudere gli occhi e non svegliarmi più, ma non posso desiderare ancora la morte. Ho Peeta e la mia bambina e tutti e due hanno bisogno di me. Come se non bastasse, tra poco ci sarà un altro esserino piangente in giro per casa, pronto a ricevere il mio calore.
«Mamma, mamma!» Mi metto seduta, con fatica, quando mia figlia mi chiama con la sua vocina acuta. La vedo avanzare verso di me con un vassoio tra le mani, traballa ed ha difficoltà a tenerlo in equilibrio, ma Peeta è pronto a sorreggerla nel caso cadesse.
Sorrido, o almeno ci provo, sento gli occhi tirare, so che sono gonfi e vorrei che la bambina non mi vedesse in questo stato, anche se non è la prima volta e probabilmente non sarà l’ultima.
Peeta prende tra le sue mani il vassoio e lo appoggia delicatamente sulle mie gambe.
«Ti ho preparato la colazione!» Trilla, salendo a carponi sul letto, sedendosi al mio fianco, «papà mi hai aiutato, ma ho fatto tutto io!»
Le deposito un bacio sulla guancia, «Grazie, tesoro. È deliziosa».
Non ho fame, ma butto giù fino all'ultima briciola, mentre lei mi osserva in silenzio con quegli occhietti azzurri che sembrano cercare di studiarmi per trovare il modo di farmi sentire meglio.

Rimango seduta sull'erba, mentre Peeta e mia figlia raccolgono margherite. Li osservo ridere e scherzare, ma la sensazione che ho provato questa mattina non se ne va.
Quando mia figlia mi porge un mazzetto di fiori di vari colori, lo prendo tra le mie mani e appoggio gli steli sulle mie gambe.
«Perché? Non ti piacciono?» Mi chiede curiosa e un po' stizzita per non averli tenuti in mano.
«Sono bellissimi», le rispondo mentre prendo la margherita con il gambo più lungo tra le mie mani. La bambina mi guarda con un cipiglio dubbioso, non sapendo cosa stia per fare e Peeta si siede al mio fianco, appoggiando i fiori che ha preso lui tra gli altri.
Non appena si mette seduto, la piccola si accoccola tra le sue gambe e appoggia la sua schiena al petto del padre.
«Che fa la mamma?» Gli chiede alzando lo sguardo verso il suo mento.
Lui sorride e le dà un bacio sulla fronte, ogni momento è buono per farlo, «vedrai. È una sorpresa».
I suoi occhietti vispi si illuminano e si sporge per osservare meglio il mio lavoro.
«È bellissimo! Come hai fatto mamma?» La sua voce squillante mi fa sorridere, è ancora piccola ed il mondo ai suoi occhi ha sempre qualcosa di nuovo da donarle.
Le appoggio la corona di fiori in testa, «sei la mia principessa», prendo la sua manina tra la mia e la porto alla bocca.
Comincia a ridere, e si alza per correre intorno a noi.
«Ancora!» Esclama appoggiandosi nell'erba sulle sue ginocchia. «Così anche tu e papà diventate principesse!»
Peeta ride divertito, mentre io mi metto al lavoro.
La nostra principessa depone le corone sulle nostre teste. Peeta è persino elegante con tutti quei fiori tra i capelli, gli donano.
«Sono o non sono un bel principe?»
Passiamo il pomeriggio lì, a ridere e giocare. Le insegno a fare le corone di fiori ed entro sera Peeta ne ha il capo pieno e fiero, non capisco per cosa esattamente, sfoggia i suoi copricapi a tutto il Distretto. Io mi sarei vergognata, ma l'avrei fatto anche io, soltanto per renderla felice.
Passiamo anche a casa di Haymitch così che nostra figlia possa incoronare anche lui. Ovviamente, si fa desiderare, dicendo senza giri di parole che non avrebbe mai indossato una tale schifezza, ma poi si lascia torturare dalla piccola, come sempre.
«Anche tu, zio Hay, sei una principe come papà ora!» Esclama, saltellando, ma stando attenta a non far cadere la sua corona.

Tengo tra le braccia il piccolo di famiglia. Con lui è stato più semplice.
La bambina mi si avvicina cauta, con paura e tiene stretta la mano di Peeta che non riesce, come suo solito, a nascondere la felicità.
Peeta la issa in braccio, per appoggiarla delicatamente al mio fianco, «è il tuo fratellino».
Lei lo scruta dubbiosa, non so cosa stia pensando, ma ha le sopracciglia corrugate e le labbra sono inarcate verso il basso. Curiosa, allunga un braccio verso di lui, vorrei scansarlo ed allontanarlo per paura che lei possa fargli del male, invece gli accarezza piano di pochi capelli biondi che ha e sorride.
«Ne voglio un altro!» Trilla con la voce emozionata, svegliando il piccolo che comincia ad urlare per il sonno interrotto.
Peeta prende tra le braccia il bambino e lo culla finché non chiude nuovamente gli occhi. Sembra più calmo della sorella, ma non posso esserne del tutto sicura.
«Vuoi un altro fratellino?» Le chiede Peeta, una volta messo il piccolo nella culla vicino al letto.
Lei annuisce ed io vorrei scappare, ma non posso. La paura si impossessa nuovamente di me. La vecchia Katniss non sarebbe contenta di tutto ciò, ho un'altra bocca da sfamare, un altro bimbo da proteggere e non so se riuscirò a farlo. Ma c'è Peeta, e lui ci sarà quando io non riuscirò ad alzarmi dal letto in quei giorni più difficili degli altri.
La bambina appoggia la sua testa sulla mia spalla e mi giro per abbracciarla stretta, contro il mio petto.
«Ti amo, lo sai?» Le dico, baciandole una tempia.
Lei mi stringe.
«Anche io, mammina».

La nostra casa è diventata un parco giochi gigante. Bisogna stare sempre attenti a dove si mettono i piedi, più volte ho rischiato di cadere.
Dico sempre a Peeta che li vizia troppo, ma lui mi risponde sempre che noi siamo stati sfortunati e che è giusto che loro abbiano ciò che vogliono. Sono del suo stesso parere, ma continuo a pensare che stia un pochino esagerando. Ogni volta che fanno gli occhi languidi, osservando la vetrina dei giochi del negozio del signor. Krewill, Peeta entra e acquista loro qualcosa. Dice che vuole che abbiano tutto dalla vita e capisco ciò che prova.
Il maschio è molto più tranquillo della femmina, ha i riccioli biondi del padre e i miei occhi, ma anche caratterialmente mi è simile. È più taciturno, al contrario della sorella che non perde occasione di parlare, di correre e di esternare i propri sentimenti. Peeta è il suo idolo, credo che lo sia diventato quando ancora era neonata, e cerca sempre di stare con lui, adora vederlo disegnare tanto quanto lo amo anche io. Rimane in silenzio ad osservarlo mentre passa il carboncino sulla tela davanti a lui, creando paesaggi o disegnandola mentre corre sul Prato, insieme al fratellino.
La sua tecnica è andata migliorando con il tempo, se prima i suoi disegni erano fantastici, ora ci si potrebbe chiedere se siano fotografie.
Ho deciso che insegnerò a cacciare al piccolo di famiglia quando raggiungerà l'età giusta, come mio padre ha insegnato a me. Mia figlia, invece, non vuole imparare. Dice che non potrebbe mai riuscire ad uccidere un povero animale indifeso. Mi ricorda Primrose, quando le ho portato a casa Ranuncolo, o quando aveva fatto una smorfia venendo a conoscenza della mia passione per la caccia. Forse, anche se non l'ha mai conosciuta, ha preso qualche tratto da mia sorella.
Ricordo ancora quando ci ha chiesto degli Hunger Games, quando ha detto che sapeva che io e Peeta ne abbiamo preso parte. Ha pianto, quella sera, ed io con lei. L'insegnate ha parlato alla classe dei giochi della fame, di come il vecchio Presidente estraesse ventiquattro tributi per farli combattere ed uccidersi a vicenda. Ci ha abbracciati e ci ha detto di avere paura.
Io non sono riuscita a parlare, ho sentito un groppo in gola e un macigno sullo stomaco. Peeta ha parlato per tutti e due, come al solito, rassicurandola del fatto che quei Giochi non esistono più, che è al sicuro.
Quella notte, ha avuto gli incubi. Ha detto di aver sognato me e suo padre uno di fronte all'altro, pronti ad ucciderci a vicenda. È venuta nel nostro letto e si accoccolata in mezzo a noi. L'ho stretta al petto, come Peeta fa sempre con me quando ho gli incubi.
Si è addormentata con le lacrime agli occhi, mentre io ho atteso la mattina per paura di entrare nel mondo dei miei incubi e rovinare il suo sonno sereno. Peeta è sceso dal letto, durante la notte, e ha dipinto per tutto il tempo. Non so cos'abbia ritratto, perché la mattina successiva la tela ha bruciato nel fuoco.
Anche il piccolo verrà a conoscenza degli Hunger Games. Studiare gli errori del passato per non commetterli nel futuro. Li insegnano per questo, ma anche per non dimenticare.
I miei figli sapranno che io sono stata la Ghiandaia Imitatrice, la ragazza in fiamme. Studieranno la rivoluzione e sentiranno parlare di Finnick, di Annie, di Johanna, di Gale e della Coin e sapranno che la loro madre l'ha uccisa.
«Leggeranno il nostro libro», dico, avvicinandomi a Peeta. «Quando vorranno saperne di più», aggiungo.
Mio marito mi sorride e mi accarezza un braccio, «sì».
Io non riesco a parlarne. Se non ci fosse stato Peeta al mio fianco, non sarei nemmeno riuscita a finirlo quel libro. Ma lui c'è sempre stato, anche quando ancora era vittima degli episodi. So che, ancora oggi, ha dei flashback, ma dice di riuscire a comprendere appieno quando sono veri o sono frutto del depistaggio. E se così non è, mi chiede aiuto.
I miei figli verranno a conoscenza anche di quello, che per colpa mia loro padre è stato torturato ed è stato fatto diventare una persona completamente diversa da quella che era. Per colpire me.
Mi stringo nelle spalle, «mi odieranno», ammetto terrorizzata. Vorrei che continuassero a vedermi come la loro mamma, ma prima o poi, so che mi guarderanno con occhi diversi, come colei che è riuscita a distruggere una nazione. Peeta mi abbraccia ed io singhiozzo, con lui è semplice lasciarsi andare. È sempre stato semplice.
«Non potranno mai odiarti», mi rassicura.
Sono sicura, invece, che lo faranno. Nel momento in cui saranno abbastanza grandi per poter andare in giro da soli nel Distretto ed io cercherò di dissuaderli perché non voglio perderli di vista, perché ho paura di non riuscire a proteggerli, come non ci sono riuscita con Peeta e Primrose. Quando inventerò scuse su scuse per tenerli sempre vicino a me, quando saranno grandi abbastanza per vivere una loro vita.
So che dovrò farmi forza e lasciarli andare, che probabilmente non mi dovrei preoccupare perché questo è un mondo migliore, ma non ci riuscirò perché il panico mi assale in ogni momento ed ho sempre il terrore che possano portarmeli via.
Peeta mi capisce perché, anche se è più bravo di me come genitore, so che lo prova pure lui. Abbiamo sofferto così tanto che ci sembra quasi impossibile poter avere tutta quella felicità.
Finché ho Peeta ed i miei bambini, andrà tutto bene. Devo soltanto continuare a farmi forza per alzarmi la mattina, per loro. Perché sono e saranno sempre la mia più grande gioia.

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Dopo aver letto tante fanfiction su Peeta papà (che adoro, ma quell’uomo come fa ad essere così perfetto?), ho voluto scrivere la mia su Katniss mamma. L'ho scritta nell'estate 2013, dopo che il fandom è stato un po' invaso da più di una fic su Peety papà. Ricordo una fic di wip e di eco ♥
Dall’epilogo sembra una madre un po’ freddina, ma secondo me è colpa dell’autrice u.u Io penso che Katniss sia una madre dolce, che ama i suoi bimbi, ma che sia anche apprensiva e un po’ morbosa per tutto ciò che le è successo in passato.
Mi sono divertita moltissimo a scrivere questa fanfiction, anche se ha una fine un po’ agrodolce.
Il pezzo sulle corone di fiori sulla testa di Peeta, oltre ad avermi divertito durante la stesura, è un omaggio al fotomontaggio che ha fatto eco_ :3 Con la corona in testa xD Perché Peeta è un unicorno amoroso dududu dadada! Giusto? :)
Ho cercato anche di far trasparire l’amore che sia Katniss, che Peeta provano per i Bimbi Mellark, e l’ammirazione e l’amore che Bimba Mellark prova per il papà. Come darle torto? *w*
Spero che la fanfiction vi sia piaciuta! :) Ho messo tanto qui dentro, quindi spero che anche voi siate riusciti ad apprezzarla.
Bacioni
Deb
   
 
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