CAPITOLO
SEI
“Ma
possibile che non ti abbia detto niente?”
“Che
cosa avrebbe dovuto dirmi?”
“Be’,
perché è qui, per esempio”.
Sherlock
cercò di non lasciar trapelare tutta la
frustrazione che stava provando in quel momento e faticò a
trattenersi dal sbattere
la testa contro il muro. Ma perché Mycroft doveva essere
così frustrante? E,
soprattutto, così insistente?
“Me
l’hai già chiesto un centinaio di
volte”, gli
fece notare il detective, appoggiato con i gomiti sul camino, lo
sguardo fisso
sul suo teschio.
“Tu
non me lo vuoi dire”.
“Non
so perché sia tornata”.
“Tu
che non sai qualcosa?” abbaiò Mycroft con un
sorrisetto sardonico. “Da quando?”
Il
fratello, allora, si voltò di scatto verso di lui
e lo fulminò con lo sguardo. “Ma perché
ti ostini? Magari è tornata perché
voleva tornare”.
“Lei
non fa niente senza un motivo!” L’unica cosa
che tratteneva il fratello maggiore dall’urlare erano le
buone maniere. E perché
non gli andava che tutti in Baker Street sapessero dei loro affari. In
quel
momento sopraggiunse anche John che, da quando i due Holmes si erano
messi a
litigare, aveva fatto in tempo a farsi la doccia e cambiarsi.
“Lo
dici tu questo? Non sei mai stato buono nelle
intuizioni”.
“Lo
dico perché la conosco”.
“Ne
sei sicuro?”
Mycroft
si zittì di colpo, non tanto per le parole
del fratello ma per lo sguardo che gli aveva lanciato. Aveva
assottigliato gli
occhi, come se lo volesse minacciare o come se cercasse di fargli
capire che
nascondeva qualcosa. Il che era più probabile, ormai aveva
capito che c’era
qualcosa che non gli diceva.
“Lei
non è una brava persona”.
“Non
lo sono nemmeno io”.
“Lo
sai di cosa parlo”.
“No,
non lo so. E nemmeno tu lo sai. Non sai un bel
niente, Mycroft”.
Sherlock
si buttò sulla sua poltrona e fissò lo
sguardo di fronte a sé per far capire all’altro
che voleva essere lasciato in
pace.
“Cerca
di scoprire perché Constance è qui”,
concluse
infine Mycroft voltandosi verso la porta per andare via. Ma qualcosa lo
lasciò
completamente paralizzato lì sul posto.
“Connie!” esclamò, gli occhi
spalancati. “Da quanto sei qui?”
“Da
un po’”, rispose lei con voce ferma e in tono
duro. La sua espressione lasciava chiaramente intendere che non era
rimasta del
tutto indifferente, sembrava per lo più arrabbiata, ma il
corpo avvolto nel
lungo cappotto era scosso da alcuni tremiti.
“Hai
sentito?”
“Ho
sentito quello che bastava, Mycroft”.
“Meglio
che me ne vada”.
“Sì,
vattene. Scappa, l’hai sempre fatto bene”. Lo
disse in modo tagliente, ma non lo urlò. Il che rese la
frase ancora più
terribile.
Mycroft raggiunse la porta d’ingresso in poche falcate e le
passò accanto senza
guardarla. Lei invece lo squadrò da cima a fondo coi suoi
occhi di ghiaccio.
John corse dietro all’uomo prima che questi se ne andasse.
“Mycroft,
aspetta!” lo richiamò quando era già in
strada. L’altro si voltò a guardarlo piuttosto
stizzito. "Perché ce l’hai
con lei? E’ tua sorella”.
Holmes
roteò gli occhi da una parte all’altra poi
riportò lo sguardo sul dottore. “Non intrometterti
in affari che non ti
riguardano”.
John
avrebbe voluto rispondergli che quelli erano
affari che lo riguardavano, visto che ormai faceva parte della vita di
Sherlock, ma Mycroft sparì dentro la sua auto che si immise
nel traffico. Ma in
ogni caso sarebbe stato fiato sprecato.
Perciò tornò di sopra dove trovò
l’amico ancora seduto sulla poltrona e lo
sguardo perso nel vuoto. Connie invece non c’era.
“Dov’è
andata?” chiese al moro.
“Dalla
Signora Hudson”, rispose lui come se fosse la
cosa più normale del mondo e lei frequentasse abitualmente
la Signora Hudson.
“Dalla
Signora Hudson? Dovresti parlarle tu!”
“Alla
Signora Hudson?” Sherlock alzò gli occhi su di
lui, confuso.
“No,
a tua sorella!” rispose John, aggiungendoci un idiota,
mentalmente. “Dovresti
consolarla”.
Il
detective sembrò soppesare le sue parole con
certo interesse, poi si alzò e uscì anche lui
dall’appartamento.
“Immagino
che vogliate parlare”, disse la Signora
Hudson quando vide Sherlock fare capolino dalla porta. “Vi
lascio soli”. L’anziana
abbandonò la sua cucina e uscendo scambiò uno
sguardo d’intesa con Sherlock che
ricambiò sorridendo. Poi lui si sedette al posto della sua
padrona di casa,
accanto a Connie che stringeva tra le mani una tazza di tè
caldo.
Restarono per qualche tempo in silenzio, ognuno che evitava
accuratamente lo
sguardo dell’altro, anche se ogni tanto si guardavano di
sottecchi.
“Mycroft
è stupido”, sbottò infine Sherlock
interrompendo il silenzio.
“Questo
lo avevamo capito già da piccoli”.
Il
detective pensò che forse doveva dire qualcosa di
un po’ più confortante, ma proprio non gli veniva
in mente niente. Lui non era
bravo in quelle cose. Perché non poteva pensarci John?
“Non
devi dargli ascolto”.
“Ho
smesso di farlo da molto tempo”.
Ok,
non stava funzionando.
In
quel momento, però, Connie poggiò una mano sulla
sua e fissò i suoi occhi in quelli del fratello, identici ai
suoi. “Non devi
preoccuparti per me, Sherly”.
Sherlock
si morse il labbro inferiore, sentendo una
strana e poco piacevole sensazione afferrargli lo stomaco.
“Devo invece. Tu l’hai…”.
“Non
importa”, lo interruppe la ragazza con un
sorriso rassicurante. “Non importa. E in ogni caso Mycroft ha
ragione”.
Il
detective inclinò il capo confuso.
“C’è
un motivo se sono qui”, ammise infine Connie
con un sospiro. Ormai era arrivato il tempo di rivelarlo.
“Aspetto un bambino”.
Sherlock
sbatté le palpebre un paio di volte
cercando di assimilare le sue parole. Poi strinse più forte
la mano della
sorella tra le sue, senza rendersene conto.
“Oh”.
“Già.
Pensavo lo avresti capito”.
Capire?
Perché avrebbe dovuto capirlo? Quando Connie
voleva, sapeva nascondere bene le cose, persino a lui. E comunque non
si era
impegnato a capire come mai lei fosse tornata a Londra, né
se ci fosse qualcosa
di diverso in lei. In tutti i sensi. Non come aveva fatto Mycroft,
almeno.
“John!
Smettila di origliare, ti ho sentito!” gridò
a quel punto, rivolto alla porta. John, con l’espressione
tipica di un bambino
quando viene colto con le mani nella nutella prima di cena,
uscì fuori dal suo
nascondiglio e sorrise mesto. Connie scoppiò a ridere, forse
più per la sua
espressione che per altro.
“Raccogli
quella faccia da cucciolo maltrattato e
vai a ordinare la cena. Ho voglia di cinese. E anche il pargolo che sta
dentro
a mia sorella”.
Il
dottore non se lo fece ripetere due volte e
scattò come una molla.
La
ragazza intanto si asciugava le lacrime per le
risate. “John è una bella persona”.
“Sì,
è vero”.
“Ti
piace?”
“Sì”.
Connie
gli sorrise e lui ricambiò, ma non intuì che
nel suo sorriso c’era molto di più di quello che
lei volesse fargli intendere. Aveva
capito quello che il fratello nascondeva persino a se stesso. In fondo,
il suo
fratellino era ancora recuperabile.
“Sherly?”
“Sì?”
“Dimmi
che mi vuoi bene”.
Sherlock
guardò l’orologio a cucù appeso al muro
senza in realtà vederlo, e poi si alzò in piedi.
“Andiamo a mangiare”.
“Dove
sei stata dopo che hai lasciato Londra?”
chiese John, mettendo in bocca un po’ di riso. Lui, Sherlock
e Connie erano
seduti attorno al tavolo della cucina e mangiavano la cena ordinata dal
dottore
chiacchierando del più e del meno.
“In
giro”, rispose la ragazza. “In Francia, in
Italia, in Germania, ma soprattutto negli Stati Uniti, a New
York”.
“Pff,
l’America, terra del consumo e del cibo
confezionato”,
commentò il consulente detective.
“Il
cibo inglese non è tanto meglio”, gli fece
notare la sorella.
“Almeno
noi non siamo grassi come gli americani”.
“No,
ma gli americani sono più virili”,
ridacchiò
lei maliziosa. “O almeno quello con cui uscivo io lo era. Per
l’appunto mi ha
messo incinta”.
E
a quel punto calò il silenzio, nemmeno una mosca
si sentiva ronzare.
“Chi
era?” chiese Sherlock.
“Uno
stronzo. Gli piaceva scopare per lo più, bere e
guardare il football. Però era passionale”. Lo
sguardo di Connie sembrò
perdersi da qualche parte, lontano, in ricordi piacevoli ma anche
dolorosi. “Sapeva
come farmi ridere e divertire, mi emozionava. E aveva un modo di vedere
le cose
che mi piaceva”.
Ti
somigliava, Sherlock, da questo punto di vista.
“Ma
era uno stronzo”.
“Sì,
era uno stronzo. Mi ha lasciata dopo che ha
scoperto che sono incinta”.
Mycroft
correva sul suo tapirullan quando vide il
cellulare illuminarsi. Scese dal macchinario e lo afferrò
dal tavolo, scoprendo
che era un messaggio.
Sherlock:
Connie è incinta.
L’uomo
assottigliò le labbra e rispose velocemente. “Lo
sapevo, che nascondeva qualcosa”.
Sherlock:
Resta il fatto che tu non sai niente di
lei.
Capiva
perché Sherlock
si ostinasse a volerla difendere tanto; aveva sperato che in quegli
anni se la
fosse dimenticata, che quella strana… cosa che provava per
lei fosse andata
via. E invece, scopriva che non era così. E forse non lo era
mai stato.
Avrebbe dovuto fare qualcosa, adesso.
MILLY’S
SPACE
Salve.
Aggiorno
di nuovo. Volevo farlo prima di partire per la
Spagna e spero di trovare qualche recensione al mio ritorno. Vi lascio
anche il
link per la mia pagina facebook
(https://www.facebook.com/MillysSpace?ref=hl)
perché
adesso metto le foto
di Connie.
Un bacione,
M.