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Autore: millyray    15/02/2014    1 recensioni
Connie torna a Londra dopo tanti anni e con sé porta dietro tanti ricordi spiacevoli, tante esperienze terrificanti che non sono mai state dimenticate, tanti sentimenti negativi, risvegliando un lato nella personalità di Sherlock che i suoi amici più intimi non hanno mai conosciuto.
Ma non solo questo... Connie è una ragazza speciale, sa il fatto suo, sa osservare ma soprattutto sa vedere quello che non c'è in superficie. Perché lei, a differenza di qualcun altro che ben conosce, è in grado di vedere col cuore.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: John Watson, Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO SEI

“Ma possibile che non ti abbia detto niente?”

“Che cosa avrebbe dovuto dirmi?”

“Be’, perché è qui, per esempio”.

Sherlock cercò di non lasciar trapelare tutta la frustrazione che stava provando in quel momento e faticò a trattenersi dal sbattere la testa contro il muro. Ma perché Mycroft doveva essere così frustrante? E, soprattutto, così insistente?

“Me l’hai già chiesto un centinaio di volte”, gli fece notare il detective, appoggiato con i gomiti sul camino, lo sguardo fisso sul suo teschio.

“Tu non me lo vuoi dire”.

“Non so perché sia tornata”.

“Tu che non sai qualcosa?” abbaiò Mycroft con un sorrisetto sardonico. “Da quando?”

Il fratello, allora, si voltò di scatto verso di lui e lo fulminò con lo sguardo. “Ma perché ti ostini? Magari è tornata perché voleva tornare”.

“Lei non fa niente senza un motivo!” L’unica cosa che tratteneva il fratello maggiore dall’urlare erano le buone maniere. E perché non gli andava che tutti in Baker Street sapessero dei loro affari. In quel momento sopraggiunse anche John che, da quando i due Holmes si erano messi a litigare, aveva fatto in tempo a farsi la doccia e cambiarsi.

“Lo dici tu questo? Non sei mai stato buono nelle intuizioni”.

“Lo dico perché la conosco”.

“Ne sei sicuro?”

Mycroft si zittì di colpo, non tanto per le parole del fratello ma per lo sguardo che gli aveva lanciato. Aveva assottigliato gli occhi, come se lo volesse minacciare o come se cercasse di fargli capire che nascondeva qualcosa. Il che era più probabile, ormai aveva capito che c’era qualcosa che non gli diceva.

“Lei non è una brava persona”.

“Non lo sono nemmeno io”.

“Lo sai di cosa parlo”.

“No, non lo so. E nemmeno tu lo sai. Non sai un bel niente, Mycroft”.

Sherlock si buttò sulla sua poltrona e fissò lo sguardo di fronte a sé per far capire all’altro che voleva essere lasciato in pace.

“Cerca di scoprire perché Constance è qui”, concluse infine Mycroft voltandosi verso la porta per andare via. Ma qualcosa lo lasciò completamente paralizzato lì sul posto. “Connie!” esclamò, gli occhi spalancati. “Da quanto sei qui?”

“Da un po’”, rispose lei con voce ferma e in tono duro. La sua espressione lasciava chiaramente intendere che non era rimasta del tutto indifferente, sembrava per lo più arrabbiata, ma il corpo avvolto nel lungo cappotto era scosso da alcuni tremiti.

“Hai sentito?”

“Ho sentito quello che bastava, Mycroft”.

“Meglio che me ne vada”.

“Sì, vattene. Scappa, l’hai sempre fatto bene”. Lo disse in modo tagliente, ma non lo urlò. Il che rese la frase ancora più terribile.
Mycroft raggiunse la porta d’ingresso in poche falcate e le passò accanto senza guardarla. Lei invece lo squadrò da cima a fondo coi suoi occhi di ghiaccio.
John corse dietro all’uomo prima che questi se ne andasse.

“Mycroft, aspetta!” lo richiamò quando era già in strada. L’altro si voltò a guardarlo piuttosto stizzito. "Perché ce l’hai con lei? E’ tua sorella”.

Holmes roteò gli occhi da una parte all’altra poi riportò lo sguardo sul dottore. “Non intrometterti in affari che non ti riguardano”.

John avrebbe voluto rispondergli che quelli erano affari che lo riguardavano, visto che ormai faceva parte della vita di Sherlock, ma Mycroft sparì dentro la sua auto che si immise nel traffico. Ma in ogni caso sarebbe stato fiato sprecato.
Perciò tornò di sopra dove trovò l’amico ancora seduto sulla poltrona e lo sguardo perso nel vuoto. Connie invece non c’era.

“Dov’è andata?” chiese al moro.

“Dalla Signora Hudson”, rispose lui come se fosse la cosa più normale del mondo e lei frequentasse abitualmente la Signora Hudson.

“Dalla Signora Hudson? Dovresti parlarle tu!”

“Alla Signora Hudson?” Sherlock alzò gli occhi su di lui, confuso.

“No, a tua sorella!” rispose John, aggiungendoci un idiota, mentalmente. “Dovresti consolarla”.

Il detective sembrò soppesare le sue parole con certo interesse, poi si alzò e uscì anche lui dall’appartamento.

 

“Immagino che vogliate parlare”, disse la Signora Hudson quando vide Sherlock fare capolino dalla porta. “Vi lascio soli”. L’anziana abbandonò la sua cucina e uscendo scambiò uno sguardo d’intesa con Sherlock che ricambiò sorridendo. Poi lui si sedette al posto della sua padrona di casa, accanto a Connie che stringeva tra le mani una tazza di tè caldo.
Restarono per qualche tempo in silenzio, ognuno che evitava accuratamente lo sguardo dell’altro, anche se ogni tanto si guardavano di sottecchi.

“Mycroft è stupido”, sbottò infine Sherlock interrompendo il silenzio.

“Questo lo avevamo capito già da piccoli”.

Il detective pensò che forse doveva dire qualcosa di un po’ più confortante, ma proprio non gli veniva in mente niente. Lui non era bravo in quelle cose. Perché non poteva pensarci John?  

“Non devi dargli ascolto”.

“Ho smesso di farlo da molto tempo”.

Ok, non stava funzionando.

In quel momento, però, Connie poggiò una mano sulla sua e fissò i suoi occhi in quelli del fratello, identici ai suoi. “Non devi preoccuparti per me, Sherly”.

Sherlock si morse il labbro inferiore, sentendo una strana e poco piacevole sensazione afferrargli lo stomaco. “Devo invece. Tu l’hai…”.

“Non importa”, lo interruppe la ragazza con un sorriso rassicurante. “Non importa. E in ogni caso Mycroft ha ragione”.

Il detective inclinò il capo confuso.

“C’è un motivo se sono qui”, ammise infine Connie con un sospiro. Ormai era arrivato il tempo di rivelarlo. “Aspetto un bambino”.

Sherlock sbatté le palpebre un paio di volte cercando di assimilare le sue parole. Poi strinse più forte la mano della sorella tra le sue, senza rendersene conto.

“Oh”.

“Già. Pensavo lo avresti capito”.

Capire? Perché avrebbe dovuto capirlo? Quando Connie voleva, sapeva nascondere bene le cose, persino a lui. E comunque non si era impegnato a capire come mai lei fosse tornata a Londra, né se ci fosse qualcosa di diverso in lei. In tutti i sensi. Non come aveva fatto Mycroft, almeno.

“John! Smettila di origliare, ti ho sentito!” gridò a quel punto, rivolto alla porta. John, con l’espressione tipica di un bambino quando viene colto con le mani nella nutella prima di cena, uscì fuori dal suo nascondiglio e sorrise mesto. Connie scoppiò a ridere, forse più per la sua espressione che per altro.

“Raccogli quella faccia da cucciolo maltrattato e vai a ordinare la cena. Ho voglia di cinese. E anche il pargolo che sta dentro a mia sorella”.

Il dottore non se lo fece ripetere due volte e scattò come una molla.

La ragazza intanto si asciugava le lacrime per le risate. “John è una bella persona”.

“Sì, è vero”.

“Ti piace?”

“Sì”.

Connie gli sorrise e lui ricambiò, ma non intuì che nel suo sorriso c’era molto di più di quello che lei volesse fargli intendere. Aveva capito quello che il fratello nascondeva persino a se stesso. In fondo, il suo fratellino era ancora recuperabile.

“Sherly?”

“Sì?”

“Dimmi che mi vuoi bene”.

Sherlock guardò l’orologio a cucù appeso al muro senza in realtà vederlo, e poi si alzò in piedi. “Andiamo a mangiare”.

 

“Dove sei stata dopo che hai lasciato Londra?” chiese John, mettendo in bocca un po’ di riso. Lui, Sherlock e Connie erano seduti attorno al tavolo della cucina e mangiavano la cena ordinata dal dottore chiacchierando del più e del meno.

“In giro”, rispose la ragazza. “In Francia, in Italia, in Germania, ma soprattutto negli Stati Uniti, a New York”.

“Pff, l’America, terra del consumo e del cibo confezionato”, commentò il consulente detective.

“Il cibo inglese non è tanto meglio”, gli fece notare la sorella.

“Almeno noi non siamo grassi come gli americani”.

“No, ma gli americani sono più virili”, ridacchiò lei maliziosa. “O almeno quello con cui uscivo io lo era. Per l’appunto mi ha messo incinta”.

E a quel punto calò il silenzio, nemmeno una mosca si sentiva ronzare.

“Chi era?” chiese Sherlock.

“Uno stronzo. Gli piaceva scopare per lo più, bere e guardare il football. Però era passionale”. Lo sguardo di Connie sembrò perdersi da qualche parte, lontano, in ricordi piacevoli ma anche dolorosi. “Sapeva come farmi ridere e divertire, mi emozionava. E aveva un modo di vedere le cose che mi piaceva”.

Ti somigliava, Sherlock, da questo punto di vista.

“Ma era uno stronzo”.

“Sì, era uno stronzo. Mi ha lasciata dopo che ha scoperto che sono incinta”.

 

Mycroft correva sul suo tapirullan quando vide il cellulare illuminarsi. Scese dal macchinario e lo afferrò dal tavolo, scoprendo che era un messaggio.

Sherlock: Connie è incinta.

L’uomo assottigliò le labbra e rispose velocemente. “Lo sapevo, che nascondeva qualcosa”.

Sherlock: Resta il fatto che tu non sai niente di lei.

Capiva perché Sherlock si ostinasse a volerla difendere tanto; aveva sperato che in quegli anni se la fosse dimenticata, che quella strana… cosa che provava per lei fosse andata via. E invece, scopriva che non era così. E forse non lo era mai stato.
Avrebbe dovuto fare qualcosa, adesso.

 

 

MILLY’S SPACE

Salve.

Aggiorno di nuovo. Volevo farlo prima di partire per la Spagna e spero di trovare qualche recensione al mio ritorno. Vi lascio anche il link per la mia pagina facebook (https://www.facebook.com/MillysSpace?ref=hl)  perché adesso metto le foto di Connie.
Un bacione,

M.

  
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