Libri > Percy Jackson
Ricorda la storia  |      
Autore: SunlitDays    16/02/2014    9 recensioni
Probabilmente fu colpa dell’adrenalina che gli scorreva in corpo, o forse il dolore e l’alcol gli avevano fuso il cervello, forse furono i maledetti occhi verdi di Percy Jackson che brillavano di rabbia, fatto sta che Nico afferrò l’altro per la nuca e lo spinse verso di sé. I loro denti cozzarono e Nico gli morse il labbro inferiore perché voleva fargli del male, voleva che soffrisse, voleva che Percy Jackson rispondesse a quel bacio che sapeva di sangue e disperazione.
Secondo posto a pari merito al contest: “Percabeth or Pernico? This is the problem” indetto da Water_wolf sul forum di EFP.
[Pernico - Percabeth - Post Series]
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Annabeth Chase, Nico di Angelo, Percy Jackson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Autrice: SunlitDays
Titolo: E Dall’Ombra Ti Dico Addio
Tipo di storia: One-Shot, Futur!Fic, Angst.
Rating: Giallo
Warning: quel famoso spoiler di House of Hades che ormai non è più spoiler per nessuno, e per The Mark of Athena, ma niente di troppo esplicito. Slash, anche se la coppia principale è het.
Wordcount: 3722 (fdp)
Coppia scelta: Percy/Annabeth, one-sided Percy/Nico
Citazione scelta: «Coraggio» disse Nico. «Distruggimi. […]»– Lo Scontro Finale, Rick Riordan.
Introduzione: Probabilmente fu colpa dell’adrenalina che gli scorreva in corpo, o forse il dolore e l’alcol gli avevano fuso il cervello, forse furono i maledetti occhi verdi di Percy Jackson che brillavano di rabbia, fatto sta che Nico afferrò l’altro per la nuca e lo spinse verso di sé. I loro denti cozzarono e Nico gli morse il labbro inferiore perché voleva fargli del male, voleva che soffrisse, voleva che Percy Jackson rispondesse a quel bacio che sapeva di sangue e disperazione.
Note dell’autrice: partecipante al contest: “Percabeth or Pernico? This is the problem” indetto da Water_wolf sul forum di EFP.
Della serie: quando trovi il contest perfetto per il plot che avevi in mente da mesi.
Questa è la prima volta che scrivo con il POV di Nico e devo dire che è stata una bella esperienza immedesimarmi in lui. Il fatto che nella sua testa chiami Percy con nome e cognome non è un caso, perché sono del parere che la sua cotta inizialmente fosse ammirazione per un ragazzo più grande e forte, quindi per Nico Percy sarà sempre Percy Jackson, qualcuno da guardare dal basso verso l’alto, qualcuno di irraggiungibile.

 

Mentre si rigirava tra le mani il bicchiere, Nico si chiese chi gliel’avesse fatto fare di venire a quella festa d’addio.
Aveva liquidato il messaggio-Iride di Percy con un «se ne avrò il tempo...», riuscendo al contempo a risultare amichevole e distaccato. Aveva anche evitato ogni forma di contatto con Jason e minacciato Leo di maledirgli l’anima con la spada di ferro dello Stige se si fosse presentato di nuovo al suo cospetto senza preavviso per convincerlo a partecipare a una stupida festa.
Era stata tutta colpa di Hazel, davvero. C’erano poche cose che Nico riusciva a negare alla sua sorellina. Soprattutto quando lo guardava con quei suoi occhioni dorati e gli diceva: «Ti prego, fallo almeno per me.»
Degli altoparlanti strategicamente posizionati ai quattro angoli della stanza emettevano una musica ritmata tutto bassi e suoni elettronici. Nico non se ne intendeva di musica del XXI secolo, ma era relativamente sicuro che l’avrebbe odiata anche se fosse nato negli anni ‘90.
Lanciò un’occhiata verso l’orologio a parete. Era lì da soli dieci minuti; altri cinquanta e sarebbe potuto fondersi con l’ombra che in quel momento lo nascondeva alla vista degli altri invitati.
«Ah! Ah!» esclamò una voce alla sua destra, e Nico per poco non faceva cadere il bicchiere. «Alla tua età non dovresti bere, non lo sai? È illegale. E a lungo andare ti porterà un sacco di problemi fisici. Tipo la cerosi empatica.»
Nico osservò Percy prendere una lunga sorsata dal proprio bicchiere, la testa reclinata all’indietro e il pomo d’Adamo che si alzava e abbassava ogni volta che deglutiva. Distolse lo sguardo. «Se è per questo nemmeno tu dovresti bere alcolici. Hai diciotto anni. È illegale anche per te. E poi si dice cirrosi epatica, idiota.»
Percy aggrottò le sopracciglia e il suo sguardo un po’ sfocato si fermò da qualche parte alle spalle di Nico mentre il suo cervello ubriaco rifletteva. «No, sono quasi sicuro che Annabeth abbia detto cerosi empatica. O forse era cenuro patetico
Nico alzò gli occhi al cielo, ma si astenne dal commentare. Tanto pochi secondi e Percy si sarebbe fatto distrarre da qualcosa, da una canzone, un amico, una macchia nel muro, o, molto probabilmente, dalla perfettissima Annabeth Chase.
E invece l’idiota riuscì ancora una volta a coglierlo di sorpresa: gli avvolse il braccio attorno al collo e lo avvicinò al suo fianco. Nico contrasse i muscoli mentre la sua mascella entrò in contatto con la spalla di Percy e fu costretto a poggiare una mano sul suo petto per evitare di perdere l’equilibrio.
«Che ne dici di quella nuova figlia di Demetra? Penny Comecavolosichiama. Non ti ha staccato gli occhi di dosso da quando sei entrato. Non la trovi carina, eh?»
Un profumo di salsedine gli assalì il naso e Nico trattenne il respiro d’istinto. Guardò verso il punto che Percy indicava col mento e individuò subito Penny Comecavolosichiama dal modo in cui era arrossita appena i loro sguardi si erano incrociati. Era carina, in effetti, valutò Nico, se ti piacciono minute, rosse e femmine.
Fece pressione sulla mano che ancora poggiava sul petto di Percy e si allontanò con violenza. Ci mancava soltanto che Percy Jackson gli facesse da matchmaker.
«Non mi interessa.» Avrebbe voluto dirlo con disinvoltura, invece gli uscì una specie di ringhio.
Percy sembrava particolarmente deluso. «Ma è una bella ragazza!» obiettò con foga, come se non riuscisse a capacitarsi del fatto che un ragazzo quindicenne potesse rifiutare una tale bellezza. E, effettivamente, non avrebbe mai capito. «È anche simpatica. E le piacciono i fiori» continuò imperterrito.
«Una figlia di Demetra a cui piacciono i fiori? Che cosa stramba» ribatté Nico, avendo cura di inserire una buona dose di sarcasmo nel suo tono di voce.
«Sì, be’,» disse Percy, accarezzandosi il collo. «Però è davvero simpatica, sai?»
«Ah, sì, le hai parlato?» chiese Nico, conoscendo già la risposta.
«Non esattamente. Però l’ha detto Annabeth.»
«Aaah, be’, se l’ha detto Annabeth...» Trangugiò tutto d’un sorso il contenuto misterioso del suo bicchiere, per nessun’altra ragione se non quella di fare qualcosa che non fosse dare un pugno negli occhi verde mare dell’altro ragazzo.
«Ehi! Sai cosa? Adesso le chiedo di presentartela.»
«Non ce n’è...» cominciò Nico, ma Percy stava già chiamando a gran voce Annabeth.
Lei si avvicinò con il suo solito passo deciso e sorrise loro piegando leggermente l’angolo sinistro del labbro.
«Quanti ne hai bevuto fin’ora?» chiese, con uno sguardo verso il bicchiere vuoto che Percy reggeva ancora. «Ehi, Nico,» aggiunse. «Sono contenta che tu sia riuscito a venire.»
Nico si limitò ad annuire in risposta, mentre Percy diceva: «Solo due, giuro!»
Prima che potesse aggiungere altro, Nico disse precipitosamente: «Quindi... ve ne andate al college, eh?» Il che era stupido perché ne avevano già parlato quando Percy gli aveva inviato un messaggio-Iride pregandolo di venire alla loro festa d’addio, ma Annabeth sorrise e cominciò a parlargli di quanto fosse eccitata all’idea di studiare finalmente Architettura, e quanto era grande il campus, e i laboratori erano meravigliosi, e gliel’avevano detto che Percy si era iscritto a Biologia Marina. Nico annuiva ed emetteva suoni enfatici, mentre calcolava quanto tempo dovesse ancora trattenersi in quella tortura.
«Per non parlare poi del fatto che condivideremo un appartamento» aggiunse Percy, mentre prendeva la sua ragazza per la vita e l’avvicinava a sé.
«Già. Fantastico. Mi ha fatto molto piacere vedervi, ragazzi, ma adesso devo proprio andare.»
«Di già? Ma non siamo nemmeno arrivati alla torta. L’ha fatta mia madre. Ti piacciono le torte di mia madre, vero? In realtà doveva farla Annabeth, ma ne è uscita una cosa informe—Oof! Non picchiarmi, Annabeth. Lo sai che è vero.»
«Questa volta dovrò proprio fare a meno della torta di tua madre» disse Nico e il rammarico che traspariva dalla sua voce era sincero.
«Aspetta!» Percy lo afferrò per la sua giacca d’aviatore. «Non ti abbiamo ancora presentato Jenny.»
«Non si chiamava Penny?» domando Nico.
«Già, già, Penny. Annabeth, perché non li presenti?» chiese Percy.
Annabeth spostò lo sguardo da Percy a Nico e si morse il labbro inferiore. «Forse è meglio di no. Mi pare abbia il ragazzo e se Nico deve andarsene...»
«Ha il ragazzo? Che iella! Eppure sono convinto che lui le piaccia. Adesso vado a chiederglielo.» Ma prima che lui potesse fare solo un passo, Annabeth lo aveva afferrato per il braccio.
«Se ho detto che ha il ragazzo, ha il ragazzo, Testa d’Alghe» disse, mentre lo tirava verso l’altro lato della stanza.
Nico sospirò, appoggiò la testa alla parete e chiuse gli occhi. Quanto lo faceva infuriare quell’idiota di un figlio di Poseidone...
Guardò di nuovo l’ora e gemette: ancora mezz’ora di agonia.
«Sei venuto!» Nico si ritrovò con una ciocca di capelli ricci in bocca mentre Hazel lo abbracciava di slancio. Li sputò con una smorfia, ma poi sorrise e ricambiò l’abbraccio di sua sorella brevemente.
«Te l’avevo detto, no?» Salutò Frank con un cenno del capo e, quando notò che Hazel non sembrava avere intenzione di lasciarlo, l’allontanò delicatamente da sé.
I suoi occhi erano arrossati, le palpebre pesanti e il suo sorriso un po’ troppo largo. «Ma... sei ubriaca?» le chiese, ma è Frank che guardò, con quello che sperò fosse il suo miglior sguardo omicida. Lo sapeva che non c’era da fidarsi di quel figlio di... Marte.
L’altro ragazzo ricambiò il suo sguardo con uno di terrore. «Pensavo fosse semplice punch. Ma quando mi sono accorto che era alcolico lei ne aveva già bevuto un bicchiere e ha cominciato a blaterare di un certo Cab Callobay
«Calloway[i], sciocchino,» lo corresse Hazel con un risolino. «Diglielo anche tu, Nico. Questa musica non ti ricorda il grande Cab?» cominciò a ballare in modo scoordinato, e si stava divertendo così tanto che Nico non se la sentì di contraddirla.
«Allora, ragazzi,» disse Leo che si era appena unito a loro, un braccio sulle spalle di Nico e l’altro su quelle di Frank. «Che ne dite di questa festa? Non è uno sballo? Però bisogna dire che è tutto merito dello speciale punch di Leo Valdez: scende giù che è una bellezza e poi ti risale nella cabeza!» urlò, imitando la voce di uno speaker di pubblicità.
«Allora è colpa tua se Hazel è ubriaca!» gridò Frank, scrollandosi il braccio del figlio di Efesto di dosso e drizzando tutta la sua enorme mole.
«Rilassati, amico. Guardala, si sta divertendo peggio di un Lestrigone davanti a una gamba umana con patate arrosto.»
Nico alzò gli occhi al cielo e scacciò in malo modo il braccio di Leo dalle sue spalle. Hazel era completamente ubriaca e il suo ragazzo un perfetto idiota, e adesso per colpa di quel demente di un Valdez Nico era costretto a restare in quella terra di schiamazzi e adolescenti scatenati per far da balia alla sua sorellina.
Nonostante il volume della musica, le sue orecchie colsero una risata familiare: Percy era al centro della stanza, ballava e faceva il cretino per far ridere Annabeth, le braccia e le gambe che ondulavano in modo scoordinato e fuori tempo. Poi le afferrò le mani e l’attirò a sé, e, mentre i loro nasi si sfioravano, Nico decise che un altro bicchiere dello speciale intruglio di Leo-Faccia-Da-Schiaffi-Valdez non gli avrebbe fatto male.


«She messed around with a bloke named Smokey...[ii]» cantava Hazel a squarcia gola, e Nico, nonostante non ci fosse più musica da quando gli invitati avevano cominciato pian piano ad andarsene, non poté fare a meno di battere il tempo con il piede. Si sentiva la testa leggera e le gambe molli, e tutto sommato dovette ammettere di essersi alquanto divertito.
Osservò Hazel volteggiare al centro della stanza e Frank seguirla come un cucciolo terrorizzato e ridacchiò per l’immagine mentale che la scena gli evocò.
Aveva la fronte imperlata di sudore, così sorpassò un Leo completamente ubriaco che dormiva per terra e Jason e Piper che pomiciavano in modo davvero sconcio sul divano, per prendere una boccata d’aria fresca.
Nel cielo non si vedevano stelle, ma la serata era fresca e un leggero venticello gli scompigliò i capelli. Nico inspirò a pieni polmoni, completamente rilassato e senza pensieri per la testa. Avrebbe dovuto farsi dare la ricetta del punch da Valdez alla prima occasione.
Si lasciò cadere sui gradini d’ingresso e chiuse gli occhi, sentendo la testa girare e lo stomaco lamentarsi.
Qualcuno si sedette al suo fianco e gli dette una spintarella, spalla contro spalla. Non aveva bisogno di aprire gli occhi per sapere chi fosse, gli bastava sentirne l’odore.
«Non ti vedevo ridere da... anni, forse» disse Percy.
Nico mugugnò in risposta.
«Sai, forse Polly non era proprio adatta a te. Ha la ridarella facile, di quelle stridule e fastidiose. E ha un difetto di pronuncia. Però c’è questa figlia di Ares che...»
«Non mi interessa, come devo dirtelo?» ruggì Nico. Alzò la testa di scatto e subito se ne pentì quando avvertì il pavimento ondeggiare. Si aggrappò con tutte le forze al taglio dello scalino dove era seduto e guardò Percy negli occhi. «Smettila! Non voglio sapere nulla di Polly o Penny o chicchessia. E nemmeno della figlia di Ares. Di nessuno, va bene?» Da qualche recesso remoto del suo cervello intossicato, una voce gli diceva di stare zitto, che si stava comportando come un idiota. Ma Nico era davvero stanco della stupidità infinita di Percy Jackson, e la voglia di urlargli contro era troppo forte.
«Anzi,» aggiunse, con voce carica di crudeltà. «Non voglio sapere niente neanche di te. Mi scocci con il tuo eterno blaterare. Lasciami in pace!»
L’espressione scioccata sul volto di Percy si tramutò improvvisamente in una di rabbia. Si alzò con uno scatto sorprendente, considerando tutto l’alcol che aveva bevuto.
«Per gli Inferi, Nico! Si può sapere perché mi odi così tanto? I tuoi continui cambi d’umore mi fanno andare in bestia. Un momento siamo amici, l’altro mi disprezzi. Che ti ho fatto, eh?» urlò, rosso in volto. «Ce l’ha ancora con me per Bianca? Pensavo ci fossimo chiariti a riguardo.»
Solo al sentir nominare sua sorella, Nico avvertì una morsa allo stomaco. Si alzò anche lui perché se c’era una cosa che non sopportava, era dover guardare Percy Jackson dal basso. «Bianca non c’entra niente. Lasciala fuori da questa storia!» sibilò.
«E allora qual è il problema?» disse Percy. Poi abbassò le palpebre e Nico dovette deglutire davanti a quell’espressione: era la stessa che aveva quando affrontò la Manticora, la prima volta che si erano visti. «Oppure è Annabeth?»
Lo stomaco di Nico fece un’altra capriola. «Annabeth?» sussurrò stringendo i pugni.
«Non ti chiederò scusa per il fatto che è la mia ragazza. Mi dispiace che tu abbia una cotta per lei, ma per le mutande di Zeus, Nico, quando accetterai il fatto che devi cercartene un’altra, di ragazza?»
«Io. Non. Ho. Una. Cotta. Per. Annabeth. Chase.» disse a denti stretti.
«Sto cercando in tutti i modi di farti conoscere qualcuno... Come? Non hai una cotta per Annabeth?» chiese Percy, confuso.
«No! Non mi piace. Non in quel senso.»
Percy sembrò rilassarsi. «Be’, chi ti piace, allora?»
Il pugno fu così improvviso che Percy non ebbe neanche il tempo di abbassarsi per evitarlo. E, a dire la verità, nemmeno Nico si era reso conto che il suo braccio era partito alla carica. Ma poco importava, perché il gemito di dolore e il labbro insanguinato di Percy gli dettero una gran soddisfazione. Era stanco, stanco, di Percy Jackson, della sua idiozia, del suo voler essergli amico e il suo stupidissimo profumo invitante.
«Ma che cazzo!» esclamò Percy, ma non si fece trovare impreparato quando un secondo pugno puntò alla sua mascella. Lo evitò facendo un passo indietro e rispose all’attacco con un colpo al plesso solare di Nico.
Boccheggiando e dolorante, Nico fece scattare il piede per far perdere l’equilibrio all’altro, ma Percy lo afferrò per la giacca e caddero assieme. E da quel momento in poi furono solo pugni e gemiti di dolore. Si rotolarono sull’asfalto freddo e ruvido, finché Percy non riuscì a bloccare Nico sotto di sé.
«Smettila! Maledizione! Perché mi odi? Voglio sapere perché?» urlò.
«Io non ti odio» sputacchiò Nico. Sentiva la bocca piena di sangue e l’occhio destro pulsare.
«E allora perché ti comporti così?» chiese Percy, stringendo la presa sul colletto di Nico.
Probabilmente fu colpa dell’adrenalina che gli scorreva in corpo, o forse il dolore e l’alcol gli avevano fuso il cervello, forse furono i maledetti occhi verdi di Percy Jackson che brillavano di rabbia, fatto sta che Nico afferrò l’altro per la nuca e lo spinse verso di sé. I loro denti cozzarono e Nico gli morse il labbro inferiore perché voleva fargli del male, voleva che soffrisse, voleva che Percy Jackson rispondesse a quel bacio che sapeva di sangue e disperazione.
Gli tirò i capelli e poi si dette una spinta col fianco per ribaltare le posizioni. La testa di Percy batté sull’asfalto, ma lui non fece nemmeno una smorfia mentre lo guardava con occhi sbarrati. E Nico lo odiava, sì, lo odiava, odiava con tutto il suo essere Percy Jackson.
«Ecco perché!» ruggì sentendo le mani che ancora stringevano i capelli dell’altro tremare. «Coraggio» disse Nico. «Distruggimi! Di’ che ti faccio ribrezzo! Picchiami! Odiami! Distruggimi!» urlò di disperazione.
«I-Io...» balbettò Percy, ma Nico si era già alzato e, senza guardarsi indietro, entrò nell’ombra e scomparve.


Nel silenzio, il battito del suo cuore era assordante. Se chiudeva gli occhi e ascoltava gli impercettibili tremiti della terra, Nico poteva quasi credere di essere ancora nel Tartaro, sentirne il fetore e la cattiveria intrisa nella pietra porosa e umida della grotta dove si era rifugiato.
Forse non avrebbe mai dovuto tornare in superficie, ma lasciare che il suo corpo venisse assorbito dal pavimento organico del Tartaro, permettere alla sua mente di sciogliersi nel fiume Cocytus e soccombere alla disperazione.
Sempre meglio dell’essere patetico che era diventato.
Un rumore di passi lo destò. Nell’ombra, vide una figura avanzare cauta.
«Stai bene?»
Nico digrignò i denti. Fra tutte le persone che non voleva vedere in quel momento, Annabeth Chase di certo occupava il podio.
«Ti ha mandato Percy?» chiese con voce roca.
«No,» rispose lei, sedendogli accanto. «Percy si è rifugiato in camera senza salutare nessuno. Ho pensato che ti avrebbe fatto bene parlare con qualcuno.»
«Hai pensato male» ribatté lui secco.
Annabeth alzò le spalle, completamente indifferente. «Ormai sono qui.»
«Come mi hai trovato?»
«Ho chiesto alla Signora O’ Leary di portarmi da te.»
Nico sospirò. «Senti, Annabeth, apprezzo il gesto, ma davvero in questo momento voglio stare da solo.»
«No, senti tu, Nico. Ho assistito al vostro spettacolo pietoso e non sono intervenuta perché ho pensato che era arrivato il momento che voi due vi chiariste. Un paio di cazzotti fanno bene, a volte.»
«Bene. Grazie. In effetti mi sento molto meglio ora che ho un occhio gonfio e due costole incrinate.»
«Ma,» continuò lei come se lui non avesse aperto bocca. «Adesso è il mio turno di parlare.» Gli offrì un po’ di Ambrosia che Nico accettò a malincuore. Il torace gli faceva davvero un male cane.
«Se c’è qualcuno che può dirti cosa vuol dire essere innamorati di Percy...»
«Io non sono in-innamorato... di Percy» la interruppe lui.
«… Sono io. E so anche cosa vuol dire dover sopportare la sua inconsapevolezza di ciò che ha di fronte.»
«Che cavolo vuoi da me, Annabeth? Vuoi cercare di farmi sentire meglio? Be’, grazie, ma stai facendo l’esatto opposto» sbottò Nico.
«Non voglio cercare di farti sentire meglio. Voglio dirti che è ora di smetterla di fare il bambino e accettare te stesso.»
«Il bambino? Senti, potrei anche avere un paio di anni meno di voi ma—»
«Non siamo più negli anni ‘40, Nico» disse Annabeth con calore. «Nessuno verrà a prenderti per portarti in un campo di concentramento e nessuno ti additerà solo perché ti piacciono i maschi...»
«Io non—»
«A noi non importa! Perché diavolo dovrebbe importare a te? Ti piacciono i ragazzi, sai che roba... Non sei il primo e non sarai l’ultimo. E puoi continuare ad odiarti e a struggerti per qualcuno che non ricambierà mai i tuoi sentimenti per tutta la vita, per quanto mi riguarda. Oppure potresti, semplicemente, accettarlo e andare avanti.»
Nel silenzio che seguì, Nico desiderò, non per la prima volta, di poter odiare Annabeth Chase.
Dopo qualche minuto, Annabeth si alzò, si spazzolò i pantaloni e si voltò un’ultima volta verso di lui. «Ricorda solo che noi siamo tuoi amici, Nico. Che ti piacciano donne, uomini o Chimere.» Dette un fischio e, quando la Signora O’ Leary arrivò, salì sulla sua groppa e sparì nell’ombra, lasciando Nico al buio della grotta.


Percy uscì dal portone con tre scatoloni precariamente impilati l’uno sull’altro. Dal modo in cui traballava, dovevano essere molto pesanti. Arrivato al furgone che aveva noleggiato si fermò, evidentemente si era reso conto di non avere più mani disponibili per aprire la portiera.
Osservandolo, Nico non poté evitare che gli si formasse un sorriso. Che idiota, quel Percy Jackson!
Aprì lo sportello per lui.
«Grazie» grugnì Percy. «Giuro, ci sono più scatole di libri che dei nostri effetti personali messi insieme. Oh!» esclamò, quando vide chi fosse stato ad aiutarlo. «Ehm... Ehi, Nico.»
«Ehi» rispose Nico cauto. Infilò le mani in tasca, un po’ perché aveva paura che agissero di nuovo da sole, un po’ perché si sentiva completamente ridicolo.
Forse non era stata un buona idea quella di presentarsi sotto l’appartamento di sua madre senza preavviso.
In quei cinque, lunghissimi, giorni, aveva fatto quello che gli riusciva meglio, e ciò che faceva ormai da anni: rifugiarsi nell’ombra. E aveva avuto molto tempo per pensare. Tra una battaglia con un mostro incontrato per strada e una visita a suo padre, nella sua testa avevano preso forma tutte le cose che avrebbe voluto dire. Ma in quel momento, mentre Percy lo guardava pieno di aspettativa, le parole gli morirono in gola.
Nico non era mai stato bravo a comunicare con i vivi.
«Ho pensato, non so, magari ti serviva una mano...» disse, sentendo l’urgente bisogno di scappare. Restò dov’era. Percy Jackson stava per trasferirsi in un nuovo appartamento con la sua ragazza per frequentare il college e, nonostante distasse un solo viaggio via ombra, Nico sentiva una certa urgenza agitarsi nello stomaco, come se ci fosse un senso di finalità in quel momento.
«Grazie» rispose Percy. Si schiarì la gola poi riprese a sistemare gli scatoloni nel furgone.
Restarono in silenzio mentre si dividevano il lavoro, ma Nico notò i movimenti veloci e ripetitivi di Percy. Gli scappò un altro sorriso malinconico. I silenzi prolungati lo agitavano sempre, la sua iperattività si riaccendeva con più vigore del solito.
Si chiese come avesse fatto ad innamorarsi di una persona così viva come Percy Jackson.
Quando finalmente le scatole erano posate ordinatamente nel furgone, Nico decise che avrebbe dovuto dire qualcosa, qualsiasi cosa, prima che Percy Jackson cominciasse la sua nuova vita.
«Percy...»
«Nico...» disse l’altro contemporaneamente.
Percy rise e si grattò il collo. «Ok. Non c’è proprio nulla di imbarazzante in questa situazione.»
«Mi dispiace per... averti rotto il labbro.»
Percy alzò le spalle. «Non c’è problema. Ogni tanto mi fa bene prenderle, mi aiuta a non montarmi la testa.»
A Nico scappò una risata. «Fammi indovinare. Te l’ha detto Annabeth?»
«Mi stai forse accusando di non saper pensare con la mia testa?» chiese Percy con un sorriso storto. «Mi dispiace per il tuo occhio» aggiunse.
«Non c’è problema,» ripeté Nico. «Ogni tanto prenderle mi aiuta a schiarirmi le idee.» Sentiva la gola secca, tutti i bei discorsi che aveva preparato si erano volatilizzati. Disse l’unica cosa che gli ronzava nella testa. «È me che odio. Per tutta la mia vita, non ho fatto altro che scappare e aggrapparmi alle poche cose sicure che avevo. L’ho fatto con Bianca e... lo sto facendo con te. E ho capito che ogni tanto va bene anche lasciare andare ed accettare le cose così come sono. E io... quello che voglio dire è che... ti lascio andare Percy e abbraccio il mio io interiore, o una cosa del genere» disse, e aggrottò la fronte per come suonavano ridicole le sue parole.
Le labbra di Percy si curvarono in un sorriso storto. Gli dette un leggero colpo alla spalla. «Siamo a posto, vero? Siamo sempre amici?»
«Siamo amici» confermò Nico con un sorriso agrodolce.
Percy gli dette un’altra pacca sulla spalla. «Andiamo,» disse. «C’è un’altra montagna di scatole che ci aspetta. Ti avverto: sono piene di libri grossi come i cuccioli di Cerbero.»
Nico gemette. «Guarda che quella di darti una mano era solo una scusa per parlarti.»
«Lo so, ma ormai sei qui e ti tocca.»
«Approfittatore!» esclamò Nico dandogli una leggera spinta.
Percy rise e mentre apriva la porta di casa disse: «Hai presente Adam, il figlio di Efesto? Non credi sia un bel ragazzo?»
«Sta’ zitto, Percy Jackson, o mando la tua anima nei peggiori recessi del Tartaro!»
Amare è difficile, pensò Nico mentre la risata cristallina di Percy gli accarezzava le orecchie, amare se stessi lo è ancora di più, ma dire addio a un amore è molto, molto peggio.

 


 

[i]  Cantante e musicista jazz statunitense particolarmente attivo negli anni ‘30 e ‘40.
[ii]  Dal testo di Minnie The Mooncher di Cab Calloway.

   
 
Leggi le 9 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Percy Jackson / Vai alla pagina dell'autore: SunlitDays