Storie originali > Horror
Segui la storia  |       
Autore: TheHellraiser    17/02/2014    2 recensioni
Raccolta di One-Shot che racconta la storia di ognuno dei componenti dei sette sicari dei peccati capitali della fan fiction "The HitMen", prima che si unissero e come si sono conosciuti fra di loro. Ognuna delle One-Shot tratta uno dei killer, quindi sono sette in tutto. O almeno dovrebbero esserlo, ne aggiungerò altre se mi verrà in mente qualcosa xD Che ne so, tipo capitoli bonus o cose del genere u.u"
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
   >>
- Questa storia fa parte della serie 'The HitMen'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Point of view: Julia/Wrath



Ok, va bene, posso cominciare io. In fondo, si può dire che sia da me che è cominciata tutta questa storia. Il mio nome è Julia Blake, ho diciannove anni, e sono la ragazza meno normale del mondo. Sono la figlia di Raymond "Copper" Blake, un sicario americano di origini italiane che uccide da oltre quindici anni. I miei compagni mi chiamano "July" o "capa", mentre per gli altri sono semplicemente Wrath. Sì, proprio quel Wrath. Quel famoso sicario che sparge il terrore a New York fra tutti, dal più piccolo spacciatore al più grande imprenditore. Non c'è nessuno che, quando mi sente nominare, non faccia un esame di coscienza e si chieda se abbia fatto nulla per fare in modo che qualcuno mi assuma contro di lui. Tutti mi temono, ma nessuno mi conosce davvero, tanto che nemmeno sanno che sono una ragazza. E ci sono momenti in cui ho persino desiderato di non esserlo. So che vi starete dicendo, che sono solo chiacchiere senza senso, che sono pazza. In un certo senso avete ragione ma fidatevi, non sono stata sempre così, no. Questa me è nata quattro anni fa. Prima ero normale. Ero solo una quindicenne che come molte altre aveva l'utopistico pensiero che il mondo fosse bello e che tutto sarebbe andato bene, se ci speravo abbastanza. Tutto è cambiato quella notte. Sì, quella notte, in cui ho capito quanto sbagliato fosse il mio pensiero. Vi state chiedendo cosa sia successo, lo so. Mi vengono i brividi ancora adesso, solo se ci penso, ma posso ugualmente raccontarvelo. Tanto, ormai, l'ho detto a così tanti fottuti psicologi che non mi fa più caldo nè freddo.

Era una sera qualunque. Una normalissima sera di Novembre, ricordo solo che era caldo per essere Novembre, più del solito. Per questo io e le mie amiche, i cui nomi sono irrilevanti e quindi non citerò, avevamo deciso di vestirci meno del solito. Dovevamo andare in discoteca, non sapete quanto ho dovuto insistere con mio padre per convincerlo a lasciarmi andare, ma forse se non avessi insistito tanto ora non sarei quella che sono adesso. Fatto sta che mi lasciò uscire. La serata in discoteca fu fantastica, quasi non potevo crederci. Le mie amiche bevevano un sacco e avevano rimorchiato qualche ragazzo carino, mentre io preferivo starmene in disparte a ballare con qualche sconosciuto. Sapete, non ci tenevo a farmi il primo che passasse, ero ancora una di quelle ragazzine che credeva nel primo vero amore, o cose simili. Ero convinta che prima o poi avrei trovato il ragazzo giusto e a lui avrei dato il mio primo bacio, cose tipo il principe azzurro o cose così. Peccato che ci fossero altri programmi per me, di cui ero completamente inconsapevole. Ballammo e ci divertimmo fino a tarda notte. Saranno state le due di notte, o giù di lì. Papà non mi aveva dato limiti di orario per cui non avevo nulla di cui preoccuparmi. Ad un certo punto, ho visto due uomini avvicinarsi. Li ho salutati semplicemente.
«Ehi, piccola» mi ha risposto uno dei due. Si sono guardati fra loro, e hanno riso. Io gli ho sorriso. Continuo ancora a chiedermi perchè non me ne sia andata e basta.
«Ti andrebbe di uscire a divertirci?» ha chiesto l'altro. Io ovviamente ho rifiutato. Scherziamo, avrebbero potuto avere l'età di mio padre. Quegli schifosi porci. Loro non sembravano essere molto felici, ma a me non importava. Credevo avessero capito l'antifona. Se ne sono andati. Nemmeno pochi minuti dopo sono arrivate le mie amiche a dirmi che era tardi, e che era meglio che ce ne andassimo. Io ho acconsentito, stavo cominciando a sentirmi stanca e il giorno dopo avevamo scuola. Siamo uscite e abbiamo camminato assieme per un po', tanto la strada era più o meno la stessa, chiacchierando e scambiandoci qualche commento sulla serata. A quel punto, l'hanno fatto. Ho sentito "qualcosa". Qualcosa che mi stava afferrando. Ho visto il volto delle mie amiche, terrorizzate, che fissavano un punto dietro di me. Io non riuscivo a capacitarmi di cosa stesse succedendo. Loro sono scappate, ma io continuavo ad essere trattenuta da quel qualcosa che scoprii essere mani, che stavano cercando di raggiungere... dei posti poco carini. ...No, no. Datemi un attimo, davvero. Devo respirare.

Il loro respiro orrendo sulla mia pelle. I loro corpi sudati ed eccitati che mi si strusciavano addosso. Le loro mani che mi violavano. I loro commenti divertiti su quanto fossi puttana, e sul fatto che potessi smettere di fingere che non mi piacesse. Io imploravo mentre loro ridevano. Altro che principe azzurro. Altro che "almeno la prima volta che sia fatta con amore". L'unica cosa che provavo in quel momento era terrore. Pregavo con tutte le mie forze qualsiasi dio esistesse perchè facesse aprire la terra sotto di me e mi uccidesse. Almeno sarebbe stato molto meno doloroso. Molto meno umiliante. Molto meno... qualsiasi cosa. Molto meno, basta. Chiudevo le palpebre con tutte le mie forze, sperando che fosse solo un sogno, cercando di concentrarmi sul dolore che provavo premendomi le unghie contro il palmo della mano pur di esternarmi da quel momento orribile. Ma non successe. Non ci riuscii. Persino dopo che loro se ne andarono, divertiti e finalmente soddisfatti, non riuscii a non provare dolore, e non solo fisico. Provai ad alzarmi in piedi. Una volta, due volte. Fallii. Solo al quarto tentativo riuscii a tenermi in equilibrio, e a tentare di trascinarmi a casa. Avete presente la via crucis? Beh, era dieci volte peggio. Aiutata da non so quale forza divina - che sinceramente era un po' in ritardo - arrivai a casa. Non vi descrivo la reazione di mio padre. Si mise ad urlare all'impazzata chiedendomi cosa diavolo fosse successo. La prima cosa che ha fatto è stata prendere in mano la sua fedele pistola, intenzionato ad uccidere chiunque fosse responsabile, mentre io volevo solo sprofondare. Per fortuna mio padre riuscì a calmarsi e a capire che prima di punire i responsabili era il caso di aiutarmi. Almeno esternamente, riuscì a darmi una ripulita. Ma anche se il dolore fisico era scomparso, l'enorme tenaglia che mi schiacciava il petto era rimasta. Non desideravo altro che ritrovarmi davanti quegli uomini, per vedere papà che gli sparasse. Di notte sognavo il momento in cui li avrebbe raggiunti e li avrebbe finalmente uccisi. Nei miei sogni, però, cominciai ad apparire io al posto di mio padre. Tenevo in mano la sua pistola, e sparavo a quegli uomini. Quei bastardi. E in quel momento realizzai che forse il dolore sarebbe sparito se lo avessi riversato su di loro.

Papà capì, quando provai a spiegargli la mia situazione. Si dimostrò persino troppo comprensivo. Mi aspettavo che mi dicesse che uccidere era male ma no, non lo fece. Fu in quel giorno che lui mi disse che non c'era niente di male nell'uccidere qualcuno se se lo meritava, e che lo diceva appunto perchè lui era un sicario. Un killer a pagamento. No, scoprendolo non mi crollò il mondo addosso. Ero troppo occupata dai miei pensieri omicidi, per farmi crollare il mondo addosso di nuovo. Chiesi a mio padre di insegnarmi ad uccidere. E lui lo fece. So che ovviamente non ci crederete, in fondo come può una ragazzina di quindici anni uccidere? Oh, fidatevi, può. Basta solo che le diate una buona motivazione. E io avevo la migliore di tutte. Papà mi insegnò tutto ciò che aveva imparato, nel suo lavoro. Come si poteva uccidere qualcuno senza farsi uccidere nell'intento. Come usare una pistola. Come fuggire senza farsi vedere. Come interrogare qualcuno, con le buone o con le cattive. Come sopravvivere in casi di emergenza. Una formazione molto più utile e molto migliore rispetto a quella della maggior parte delle scuole. Quando mi ritenne pronta, mi regalò la mia prima pistola, quella che ancora oggi è il simbolo di Wrath. Una Beretta nove millimetri Parabellum.
«Ho scelto questa pistola perchè è la migliore sul mercato... E per il significato del nome Parabellum»
Imparai così la frase che sarebbe diventata la mia massima di vita. Si vis pacem, para bellum. Se vuoi la pace, prepara la guerra. Ed era proprio ciò che stavamo facendo, no?

Li trovammo. Così ignari. Così inutili. Così stupidi. Vivevano le loro stupide piccole vite, senza sapere che l'occhio di Wrath era su di loro. Non sapevano che tutto il male che avevano fatto stava per tornare indietro, come un boomerang. Non mi dilungherò nella descrizione del più bel giorno della mia vita. Vi dirò soltanto che se cercate bene per New York, potreste ancora trovare qualche pezzetto di quei due in giro.

E' questo che mi ha creata. La tenaglia non si sciolse. Papà ha ragione, se si è assassini una volta si è assassini per sempre. E allora, perchè non farmi pagare? Tanto tutti gli uomini avevano la faccia di quei due. Ogni volta che vedevo un uomo, provavo l'irrefrenabile desiderio di strappargli gli intestini a mani nude. Papà mi disse che potevo lavorare al posto suo, se questo mi aiutava a stare meglio. Mi sono fatta una reputazione, sì. Una gran bella reputazione. Forse non si può considerare "bella" per voi persone comuni, ma per me... Era manna dal cielo. Ancora più persone su cui sfogare la mia ira. Tante. Tanto sangue. Tanto dolore. Uccidere è come un'iniezione di anfetamine, dopo un po' non puoi più fare a meno. Ora sono in proprio, non uccido più a nome di mio padre. Ho rischiato di morire più di qualche volta, e ho capito che da sola non sarei andata molto lontano. Certo, c'era papà. Ma non era abbastanza. Mi serviva qualcuno che collaborasse con me. Qualcuno che mi aiutasse, e che mi parasse le spalle. Dei compagni. E quindi, è proprio quello che sono andata a cercare. Volete sapere della ricerca? Non preoccupatevi, potete chiedere a loro. Gli lascerò la parola, saranno loro a raccontare il resto. Buon divertimento.

NdA: Ok, è il primo capitolo. La storia di come i sette si sono messi insieme si scoprirà nelle prossime One-Shot, ognuno racconterà la sua parte. Spero che per ora vi sia piaciuta. Stay tuned! <3
  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Horror / Vai alla pagina dell'autore: TheHellraiser