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Autore: khyhan    19/02/2014    4 recensioni
– Ci ritroveremo. – urlò. – E ti amerò di nuovo, te lo prometto. Nella prossima vita. In cento prossime vite. Ogni volta mi innamorerò di nuovo di te. Tu sei mia e il mio cuore è tuo.
Settantotto sono le carte dei Tarocchi, settantotto sono le persone che in tempi antichi hanno ricevuto dono di una magia che è insieme una benedizione e una maledizione, perché con il potere cresce anche il seme della follia.
Nel momento in cui Verity abbandona Roma per seguire un misterioso biglietto trovato accanto a cadavere del suo ragazzo non sapeva che ad attenderla ci sarebbe stato il suo destino. Michael è un ladro che non crede in nessuno a parte se stesso ed è perseguitato dal ricordo del suo amore che ha perduto mille volte. Christian è un medico che ha trovato il senso della vita tra i bassifondi di Calcutta ed è costretto ad abbandonare i suoi principi per salvare centinaia di vite.
La follia e il destino hanno voluto che si incontrassero e finissero ciò che era cominciato più di duemila anni prima. Vendetta e potere scorrono nelle loro vene.
La tragedia e l'amore si intrecciano tra passato e futuro.
E il cerchio sta per chiudersi.
Genere: Drammatico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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1.1 Il Mago - Parigi

I – Il Mago

Parigi

 

Parigi, 14 Luglio 2011.

 

Verity sistemò le scatole di cioccolatini in cima allo scaffale e guardò da un angolazione diversa l’effetto ottenuto. Si punteggiò il mento con l’indice non del tutto soddisfatta. – Non mi piace. – disse a Zoe, l’altra commessa della cioccolateria. – Non mi convince come le ho messe.

– Prova a scambiare la scatola con il fiocco rosso a destra con quella il fiocco oro.

Verity obbedì ed entrambe le ragazze guardarono la combinazione scuotendo la testa. – Fanno schifo come prima. – disse Verity togliendo le due scatole amareggiata – Hai altre idee?

La porta di ingresso scampanellò ed entrambe le ragazze di voltarono verso il cliente con lo stesso, identico sorriso anche se quello di Verity era un po’ tirato per gli eventi degli ultimi mesi. Essere sempre sorridenti era la politica del negozio ma aveva una fitta al cuore ogni volta che vedeva una coppia di fidanzati o una famiglia.

– Buongiorno. – dissero in coro.

Alla vista del giovane Zoe divenne rossa come un peperone, balbettò qualcosa che assomigliava a: ‘controllo il magazzino’ e scomparve nel retro bottega lasciando Verity da sola a servire il cliente.

– Come posso aiutarla? – chiese lei alzando gli occhi al comportamento bizzarro di Zoe. Dopo le avrebbe chiesto cosa fosse successo.

L’angolo delle labbra del giovane si piegò in un mezzo sorriso come se stesse ridendo ad una battuta che solo lui poteva capire. – Vorrei un assortimento di cioccolatini, ma qualcosa di speciale. Una scatola con trentuno praline.

– Trentuno? – ripeté Verity battendo le palpebre.

– Trentuno. Cos’è non sai contare fino a trentuno?

Verity lo trapassò con lo sguardo irrigidendosi all’istante. – Io so contare benissimo, – disse mantenendo il più possibile la calma. – solo che trentuno praline non stanno in una scatola.

Il giovane si appoggiò con il gomito sopra il bancone di marmo verde e si sporse verso di lei. – Beh, questo sarà un problema che dovrai risolvere. Perché io voglio esattamente trentuno praline del vostro migliore cioccolato. Né una di più, né una di meno.

Verity deglutì sotto lo sguardo penetrante del ragazzo. Quegli occhi azzurri le fecero accelerare il cuore ma non sapeva se era rabbia o qualcosa di più. Aveva l’impressione che dietro quel viso ce ne fosse un altro che conosceva bene e se avesse allungato la mano gli avrebbe tolto la maschera e lo avrebbe riconosciuto.

Si diede della stupida per quel comportamento e  si ricompose raddrizzando le spalle. – Come volete.

– La tua amica. – disse lui lentamente non schiodando gli occhi da lei. – Quella che è scomparsa alla velocità della luce, dovrebbe conoscere la misura di scatola adatta. Vengo qua tutti i mesi.

Verity annuì una volta e andò nel retrobottega a recuperare Zoe. Iniziava a capire perché fosse fuggita a gambe levate. In quattro frasi quel ragazzo l’aveva fatta arrabbiare e i suoi modi saccenti le avevano fatto prudere le mani.

– Zoe! – chiamò Verity passando davanti la pasticceria e andando verso il magazzino. – Che scatola usi per il signore?

Zoe sobbalzò sulla cassa su cui era seduta e scrisse sulla lavagna con i gessetti colorati ‘non è bellissimo?’

– Una misura standard, – le rispose guardando eloquente ciò che aveva appena scritto. – ma metto trenta praline quadrate un tonda in centro. – spiegò.

Verity le rispose sulla lavagna cercando di non sporcarsi la divisa di gesso. Io lo uccido era scritto rosso su nero, minaccioso come le parole non dette di Verity

– Grazie. – disse prima di abbassare i toni e le sussurrò: –  E riprenditi, è solo un ragazzo.

Verity le diede le spalle e tornò nel negozio, ma non le sfuggirono le ultime parole di Zoe: – Non è solo un ragazzo. È Michael. – disse sognante.

Recuperò la scatola standard sotto il bancone e aprì la vetrinetta delle praline di cioccolato finissimo. – Preferenze? – chiese frettolosamente. Non era proprio il massimo dell’educazione, ma aveva cominciato quel ragazzo con l’essere sgarbato.

Lui si mise le mani in tasca, padrone della situazione. – Direi di no. La ragazza che li riceverà mangia qualsiasi cosa contenga cioccolato, anche il cianuro se fosse ricoperto di fondente.

E così ha la ragazza. Beh, Zoe mettitela via. Un tipo del genere è meglio  perderlo che trovarlo.

– Inizio con quelle al fondente?

Lui alzò le spalle guardandola sempre con quel mezzo sorriso che la stava irritando. – Come desideri. Ti lascio carta bianca.

Verity iniziò a riempire la scatola il più velocemente possibile mettendo le praline quadrate ai lati e una rotonda, al caramello, in centro. – Vanno bene così? – chiese mostrando l’assortimento al ragazzo.

– Ottimo. Sembrerà strano, ma sei riuscita ad azzeccare quasi tutti i suoi gusti preferiti.

Un’altra scossa di irritazione attraversò Verity dalla testa ai piedi. Non le piaceva come le stava parlando. La trattava come se avesse cinque anni e non capisse nulla. Se quel tipo non si fosse levato dai piedi avrebbe finito per picchiarlo. Gli diete le spalle e iniziò a fare il pacchetto. Non aveva indicazioni da parte della direzione per un assortimento così strano, ma una scatola marrone con nastri verde e oro le sembravano una buona soluzione. – Potresti mettere un coperchio bianco e del nastro oro? – chiese lui.

Verity lo fulminò attraverso lo specchio. – Certamente. – disse acida.

Chiunque sia la sua ragazza deve avere la pazienza di una santa.

Lo guardò per un altro istante si accorse che lo sguardo del ragazzo le stava percorrendo pigramente la schiena soffermandosi sulle sue gambe e sul… – Mi sta guardando il fondoschiena? – domandò voltandosi di scatto.

Lui alzò le mani e le sorrise senza traccia di vergogna. – Mi offri una visione del genere ne dovevo approfittare, no?

Verity mise la scatola sul bancone e si morse la lingua. Ancora pochi minuti e il ragazzo sarebbe sparito e non l’avrebbe più visto.

Aveva visto giusto nel fuggire, sopportarlo per più di un quarto d’ora doveva essere una specie di primato. – Allora, – disse tenendosi stretto il suo ultimo barlume di calma. – sono trentuno praline per un euro e cinquanta.

– Ne pago trentadue.

Verity si bloccò di colpo con la mano sulla cassa. – Nella scatola ne ho messe trentuno.

– Lo so, – rispose lui tirando fuori il portafogli. – la trentaduesima è per te.

Non voleva nulla da lui, ben che meno una pralina. – Io non mangio cioccolato.

Il ragazzo si allungò sopra il bancone lasciando pochi centimetri tra di loro. – Il che spiega perché sei così frigida e fredda.

Verity indietreggiò. – Io non sono frigida!

– Dimostramelo. – sussurrò lui inclinando la testa di lato – Esci con me.

– Forse nei tuoi sogni.

Michael scoppiò a ridere e lei ebbe l’impressione di aver già sentito quel suono da qualche parte. Le mise una banconota da cinquanta euro sul bancone. – Tieni pure il resto. E mangia quella pralina, mi raccomando. – Verity fece lo scontrino e gli passò il pacchetto guardando da un’altra parte.

Il ragazzo prese la busta che lei gli tendeva e se andò per poi fermarsi sulla porta del negozio e voltarsi di nuovo. – Nessuno mi dice di no due volte. – disse. – La prossima volta che te lo chiedo, uscirai con me.

Come si chiuse la porta alle spalle, Zoe decise di riapparire in negozio. – È andato via? –  domandò facendo capolino. Verity si voltò a guardare torva l’amica. L’aveva abbandonata nel momento del bisogno. – Mi spieghi perché mi hai lasciata sola con quello là?

– Non è andata così male. – mormorò Zoe giocherellando con un pezzo di nastro abbandonato sul tavolo.

– Come no. – rispose ironica recuperando uno straccio e uno spruzzatore. Iniziò a pulire il bancone di marmo come se ne andasse della sua vita. – Non è andata male. Se si avvicinava un altro po’ gli staccavo il naso.

– Che stai facendo? – chiese Zoe. – Le pulizie le facciamo la sera.

– Lo so, – disse spruzzando abbondante spray sul marmo – ma disinfetto il locale dalla presenza di quello là.

– Quello là si chiama Michael.

– Preferisco quello là.

Zoe sospirò e prese le scatole di cioccolatini che Verity aveva abbandonato all’arrivo di Michael per sistemarle sull’espositore di legno scuro. – Michael non è così malvagio, voglio dire, viene qui una volta al mese e compra sempre qualcosa in più per noi. – spiegò scambiando le scatole verdi con quelle bianche.

Verity si fermò con lo straccio stretto in mano. – Stiamo parlando della stessa persona? Perché a gli avrei cacciato una Torre Eiffel di cioccolato giù per la gola.

Zoe le sorrise e le prese lo spray e lo straccio dalle mani. – Non voglio difenderlo, voglio dire, Michael è Michael aspettarsi qualcosa di serio da lui è da folli…

– Aspetta, aspetta, aspetta. – guardò prima lei poi la porta da cui lui era uscito e un’idea si fece strada nella sua mente. – Ci sei uscita insieme?

La faccia di Zoe diceva tutto, ma lei lo confermò lo stesso: – Usciti è una parola grossa. Divertiti direi.

– Ah. – si accorse di avere la bocca aperta e si ordinò di richiuderla. – Per questo sei corsa in cucina?

Zoe le picchiettò la fronte con l’indice – Sei un po’ tarda, eh? È successo prima che tu venissi assunta qui. Anche l’altra ragazza che c’era prima di te…

– Anche lei?

– E quella prima. E anche la ragazza che ci dà una mano nei finesettimana.

– Si è fatto tutte le commesse? – strappò lo straccio dalle mani di Zoe e riprese a pulire con rinnovata energia. Avrebbe eliminato ogni traccia di quel tizio a costo di consumare il marmo. – Io li odio gli uomini così. Pensano sempre che le ragazze gli cadano ai piedi. Io. – e picchiò lo straccio sulla vetrinetta che tintinnò. – Li odio. E comunque perché non l’hai servito tu?

– Non ti sfogare sulla vetrina. E poi mi vergognavo, Michael non esce con la stessa ragazza due volte. Una volta l’ho visto con una ragazza tre sere di fila, ma credo che fosse un record.

Verity incrociò le braccia al petto. – Non è che me lo rendi più simpatico se mi racconti cose del genere. – aveva conosciuto un tipo del genere una volta. Lei e le sue amiche lo prendevano sempre in giro anche se sapeva che era stato un po’ con tutte. – Perché poi trentuno cioccolatini?

– Ah, – Zoe si morse pensierosa un angolo del labbro. – Non ne prende sempre trentuno, a volte trenta. A febbraio, ventotto. – cercando una via di fuga all’interrogatorio, Zoe riprese a lavorare con più energia. – Abbiamo bisogno di altre praline al cognac e cointreau, vado a prenderle!

Si defilò prima che Verity potesse fare un’altra domanda, lasciandola a fissare i cioccolatini confusa. Se lui saltava da un letto all’altro per chi era la scatola che aveva fatto preparare così minuziosamente? Scosse la testa per scacciare il pensiero, non gli interessava un accidenti di quel tipo odioso.

Aveva chiesto quel lavoro per avere un modo per mangiare e lo stipendio non era male. Inoltre il proprietario del negozio le aveva messo a disposizione il piccolo appartamento che divideva con Zoe. Così mentre Verity faceva le sue ricerche poteva mantenersi. Tutto il resto era di troppo.

Sorrise e riprese a pulire, ad ogni passata il ricordo di quel ragazzo saccente se ne andava.

Zoe riapparve qualche minuto dopo con il vassoio in mano mentre Verity controllava le sculture di cioccolato e contava le Torre Eiffel piccole. – I pasticceri chiedono se abbiamo bisogno di qualcosa.

– Ci servirà qualcuna di queste. – rispose indicando le sculture. Raddrizzò un cesto che conteneva un assortimento di cioccolatini pregiati e bottiglie di liquore. – A proposito di torri Eiffel, hai sentito dell’esposizione?

– Quella del diamante?

Verity annuì. – Mi piacerebbe vederla, ho letto sul giornale che è uno dei diamanti più grandi del mondo, ma i biglietti costano caro. – avrebbe voluto vederla, ma era chiaro che era un’esposizione destinata all’élite di Parigi, non per gente come lei.

Zoe rise. – Per questa volta passiamo vista l’ultima bolletta dell’acqua, ma che ne pensi che ci prenotiamo la prossima? – Verity scoppiò a ridere insieme a Zoe. Erano perennemente in bolletta e qualsiasi esposizione sarebbe stata impossibile a tempo indeterminato. – Sai che ti dico? – proseguì Zoe – Stasera usciamo, andiamo a Montmartre a divertirci.

– Ma… – Verity non seppe cosa dire per la proposta improvvisa. Aveva già fatto i suoi piani per quella sera.

– E adesso in pausa signorina! Sei sopravvissuta a Michael.

– Ma… – Verity provò di nuovo a protestare sul piano di Zoe, ma l’amica la zittì con un cenno della mano. – E non dimenticarti di mangiarti la pralina pagata da Michael. – venne spinta fino all’espositore di cioccolatini alla frutta. – Avanti! So che non mangi cioccolato, ma quello con la salsa alle fragole devi assaggiarlo.

Ritrovò la parola. – A me non piace il cioccolato.

– A tutti piace il cioccolato. Tu sei solo di gusti difficili. – le ficcò il dolcetto in bocca.

Verity tossì rischiando di farselo andare di traverso e la guardò con gli occhi lucidi – Sei matta? – bofonchiò.

– E stasera niente regina della castità! – proseguì Zoe ammonendola con un dito. – Si esce!

Una volta che partiva per i suoi sproloqui, Zoe non si fermava più ma Verity aveva altri piani e doveva trovare un modo per dirle di no. – Non ho nulla da mettermi. – protestò lei cercando di tirarsi indietro. – E vorrei studiare un po’.

– Chi vota per far uscire Verity? – urlò Zoe alzando la mano nel locale vuoto. Dalla cucina si sentì un coro di ‘noi’ e la ragazza arrossì fissando le piastrelle. Sibilò ‘traditori’ a denti stretti rivolta ai pasticceri. Li trovava simpatici, anche se a volte erano un po’ troppo esuberanti.

– ‘Membri che hanno una vita sociale’ battono i membri del: ‘noiosa serata a casa con pigiama’. Andiamo! – esclamò lei volteggiando su se stessa. Verity non sarebbe riuscita più a farle cambiare idea. – È il 14 luglio! È festa! Ubriachiamoci fino a non stare più in piedi.

– Ma…

– Niente ma! Ti presto qualcosa io, usciamo, ci divertiamo, fine. Da quando sei arrivata sei sempre stata a casa.

– Sono andata a fare un giro turistico per Parigi.

– Quello lo chiami uscire? – chiese lei come se non credesse alle proprie orecchie. – Quello è ammazzarsi di cultura e noia.

Verity alzò le mani arrendendosi. – Va bene! Va bene, la riconosco una battaglia persa. Esco. – la guardò male e Zoe le fece un sorriso che non prometteva nulla di buono.

– E niente broncio.

– Niente broncio.  – sospirò sotto lo sguardo dell’amica e alzò gli occhi – Promesso. – Zoe riusciva a esasperarla fino a ottenere ciò che voleva.

 

****

 

Michael si sedette nella seconda fila del piccolo teatro della società filarmonica e osservò gli invitati al concerto salutarsi cordialmente e scambiarsi sorrisi mentre i loro figli si preparavano dietro alle quinte.

Trasformò una smorfia disgustata in un sorriso distaccato quando vide la donna castana avvolta in lungo abito blu fissarlo. Ovviamente doveva esserci anche lei, non si sarebbe mai persa lo spettacolo e ne avrebbe approfittato per cercare nuove, altolocate amicizie. La salutò con un cenno della testa, ma lei si voltò dall’altra parte iniziando a parlare con la coppia accanto.

Non ne era turbato, sapeva che prima di andarsene sarebbe venuta a parlargli. O per lo meno a minacciarlo.

Controllò che il mazzo di fiori e la scatola di cioccolatini non si fossero rovinati e si strinse meglio la cravatta scura mentre le persone prendevano posto intorno a lui e le luci si abbassavano.

Chiuse gli occhi e si rilassò sulla poltroncina ascoltando gli studenti della filarmonica che uno ad uno si esibivano nei loro saggi. Batteva il tempo con le dita e gli sfuggivano dei sorrisi quando quelli più giovani sbagliavano. Sapeva che l’emozione giocava brutti scherzi, a suo tempo era successo anche a lui e ancora rideva al ricordo.

Batté le mani un paio di volte ad ogni esibizione guardandosi attorno con noia e studiando possibili vie di fuga. Quell’abitudine era così radicata in lui che lo faceva senza pensarci.

– E ora, per l’ottavo anno su questo palco, – disse la voce della presidentessa della società filarmonica. – Aimée Hermé al pianoforte e Angéline Dubois al violino in Amazing Grace. – l’attenzione di Michael si riaccese e studiò le due ragazze che salivano sul palco.

Angéline strinse l’archetto del violino prendendo posto vicino allo spartito e percorse con lo sguardo la sala finché non individuò Michael e sorrise. Lui le fece un cenno con la testa incoraggiandola a esibirsi al meglio. Sarebbe sempre andato ai concerti della sua Angiéline, quella figura esile che affrontava il palco e le centinaia di occhi puntati addosso con solo il suo violino.

Si sporse in avanti preso dalla musica e dalla coordinazione delle due ragazze. In quel momento sparì ogni suo problema e dubbio, esisteva solo Angéline e il cuore di Michael batteva seguendo le note del violino. Aveva la pelle d’oca per la bravura che aveva raggiunto la ragazza.

Quando terminarono saltò in piedi applaudendo più forte che mai. Ignorava le persone che lo fissavano e sussurravano ‘maleducato’, lei era stava la migliore di tutti e doveva farglielo sapere.

Al termine del concerto Michael si fece largo nella sala fino a raggiungere Angéline che beveva in un angolo un bicchiere d’acqua. – Hai steccato. – sussurrò prendendola alle spalle e facendola sobbalzare.

– Michael! – esclamò lei sorpresa. – Mi hai fatto paura. – gli diede un veloce bacio sulla guancia e poi lo guardò mettendo il broncio. – Non ho steccato.

– Oh sì, invece. – rispose lui sorridendo – Hai steccato due volte. E questi non te li meriti. – le mise sotto il naso mazzo di giacinti azzurri e la scatola di cioccolati. – Penso che li darò a qualcun altro.

– Non ho steccato. Ho studiato lo spartito con attenzione. – non sembrava più convinta come prima e Michael decise di porre fine allo scherzo. Le scostò una ciocca di capelli castani dalla spalla e le baciò la tempia. – Lo so che non hai steccato, stupidina. Sei stata perfetta, la migliore della serata. – le offrì i fiori.

– Per cosa sono? – domandò lei prima di perdersi nel loro profumo.

– Ci deve essere un motivo per regalare un mazzo di fiori a mia sorella? – non le avrebbe mai dato una risposta, non c’era alcun motivo per cui glieli regalava voleva solo vedere il sorriso della sua sorellina. Prese un bicchiere di champagne e lo fece tintinnare contro il suo.

– Non me li aspettavo. Tutto qui.

– Sei pronta ad andare via? Abbiamo tutta la giornata da passare insieme. Puoi fare quello che vuoi, chiedermi quello che vuoi.

Angéline guardò verso le porte d’uscita e poi lui – Ecco, prima…

– Cosa?

Lei fece cenno di avvicinarsi con le guance rosa. – Devo andare in bagno. – sussurrò complice. – Sai, l’ansia da palcoscenico.

Michael si sforzò di non scoppiare a ridere, Angie non glielo avrebbe perdonato. – Ti aspetto qui. – disse togliendole il bicchiere e i fiori dalle mani per appoggiarli sul tavolo.

Angéline si diresse verso i bagni e il sorriso di Michael si spense quando avvertì una presenza familiare alle spalle. – Mi stavo giusto chiedendo quando ti saresti fatta viva.

– Ti vedo in forma, Michael. – la donna che prima lo aveva guardato male si fece avanti toccandogli il polsino della giacca grigia – Armani?

Michael annuì e la donna si morse un labbro inferiore valutando il taglio dell’abito. – Sei il degno figlio di tuo padre. – commentò infine.

Michael le sorrise gelido. – Lo prenderò come un complimento, anche se scommetto che non lo era. – si tolse la soddisfazione di vederla cambiare colore assumendo quella sfumatura acida che lui ricordava fin da bambino.

– Voglio solo ricordarti le regole. Se vuoi vedere Angéline, devi rispettarle.

Michael si appoggiò con la schiena contro la parete, insofferente. – Ti offrirei da bere, ma scommetto che i tuoi amici te ne offriranno a fiumi quando andrete a festeggiare.

Lei irrigidì le spalle e lo fulminò con gli occhi azzurri. – Non cambiare discorso. Sai le regole. Ripetile. – ordinò secca.

– Non dirle che lavoro faccio, chi era nostro padre e soprattutto non dirle cosa sono. – lei annuì, facendogli cenno di proseguire. – Non dirle dove abito, evitare le domande che mi riguardano direttamente. Contenta? O ho dimenticato qualcosa?

– Sai che è per il bene di Angéline. La faresti soffrire, come tuo padre ha fatto con me.

– La miglior scusa di sempre per distruggere un matrimonio. – la mano che teneva in tasca si chiuse a pugno. – O per abbandonare il tuo primogenito.

– Angéline merita solo il meglio. Ricordatelo bene, Michael. Se lei non avesse insistito tanto, alla morte di tuo padre tu non l’avresti più vista.

Michael sostenne il suo sguardo per alcuni secondi costringendola ad abbassare gli occhi. – È l’unico motivo per cui ho accettato.

La donna gli fece un piccolo sorriso per aver vinto quello scontro, ma Michael si era trattenuto dal dirle cosa pensava. – Bene. – guardò il tavolo e i fiori appoggiati sopra. Si sistemò meglio la stola color blu pavone. – Giacinti. Che fiori pacchiani. Angéline merita le migliori rose...

– Lei detesta le rose. – rispose Michael con irritazione. Quella donna non sapeva nulla di Angie. Nulla. – Si è punta da bambina con una spina. E i giacinti sono i suoi fiori preferiti.

– Ciò non toglie che siano dei fiori insulsi. – Michael alzò lo sguardo e si raddrizzò quando vide Angéline tornare verso di loro.

– Meglio che vada. – proseguì lei seguendo lo sguardo di Michael. – La rivoglio a casa per le dieci. Non un minuto dopo o sai cosa accadrà. – lasciò la minaccia in sospeso, ma non c’era bisogno di dirlo ad alta voce. Lui poteva vedere Angéline una volta al mese a patto che mantenesse gli accorsi presi.

– D’accordo. E madre? – si girò tra le dita una ciocca di capelli castani di sua madre. – L’unico motivo per cui sopporto tutto questo è Angéline. Toglimela e non risponderò di me, sai cosa posso fare. – tirò un po’ più forte facendole assaggiare un po’ di quel dolore lei gli infieriva fin da bambino. – L’inferno è niente in confronto a me.

Sua madre si dileguò tra la folla e Michael sorrise a sua sorella minore. – Sei pronta ora? – chiese offrendole il braccio e prendendo i fiori e i cioccolatini in mano.

– Sì. Di cosa parlavate tu e la mamma? – si voltò a cercarla tra la folla e Michael la seguì a ruota individuando prima di lei la donna. Angéline la salutò con una mano e lei gli rispose con un sorriso.

– Nulla, sorellina. Le solite chiacchiere: come sto, se gli studi vanno bene, come va il lavoro. Le classiche cose da mamma.

– E sempre tanto gentile, vero? Due settimane fa mi ha portato da Chanel per comprarmi una borsa nuova e abbiamo visto un povero uomo che chiedeva la carità per strada e mi ha promesso che avrebbe comprato degli abiti per più bisognosi.

Michael alzò gli occhi. L’innocenza di Angéline lo lasciava sempre stupito. Sua sorella aveva sempre vissuto sotto una campana di vetro grazie a lui e a sua madre e non aveva mai conosciuto la crudeltà delle persone. Michael aveva sempre fatto di tutto per proteggerla, anche accettare le minacce della madre se significava avere quella luce radiosa che era Angie vicino.

– Una vera santa. – disse accompagnandola fino alla macchina. – Mi chiedo perché non le abbiano fatto una statua. – le aprì lo sportello e poi le passò i regali. – Dove vuole andare, signorina? – chiese appoggiandosi allo sportello con un braccio.

Nulla l’avrebbe mai ferita, nulla avrebbe turbato il sorriso che lei gli stava regalando. – Smettila! Fai sempre così.

– Così come?

– Mi prendi sempre in giro. Non è carino, mi metti in imbarazzo.

Michael si tolse la giacca e la cravatta e arrotolò la camicia fino ai gomiti – Stai bene così, Angie? Hai bisogno qualcosa?

Lo sguardo di Angéline corse alla scatola che aveva tra le mani. – Posso aprirla?

– È tua, puoi farci quello che vuoi.

Angéline aggredì la scatola di cioccolatini e la spacchettò alla velocità della luce lasciando Michael a bocca aperta. – Non mangi molto cioccolato, vero? – ogni mese lui le regalava una scatola con il numero di praline che rappresentavano i giorni che li avrebbero separati. Una pralina per ogni giorno del mese fino al successivo.

– In collegio non ce lo lasciano tenere e mamma dice che non mi fa bene. – Michael sghignazzò e fece il giro della macchina salendo dal lato guida.

– Michael? – lui si voltò a guardarla e sua sorella le mise una pralina tra le labbra. – Questa è tua. – lui masticò lentamente assaporando il gusto del fondente e delle arancia candita.

– Il motivo per cui condividi con me il tuo prezioso cioccolato?

Angéline alzò le spalle e tornò a guardare la scatola. – Perché sei mio fratello, ma non farci l’abitudine. Sono le mie praline. Mie. – disse accarezzando i lati della scatola bianca come l’anima di sua sorella.

– Posso separarti da quella scatola il tempo di una passeggiata? Al Luco?

– Non può venire con noi? – chiese lei rimettendo il coperchio.

Lui sorrise e girò la chiave. – Inizio a capire perché mamma dice che ti fa male. Hai una grave forma di dipendenza. Quasi dimenticavo, – si allungò sul sedile posteriore e prese un cappello azzurro che mise sulla testa di sua sorella sistemandole poi i capelli sulle spalle. – Oggi il sole è un po’ forte, meglio se ti metti questo.

– Azzurro? Come facevi a sapere che avrei messo il vestito azzurro?

– Sei mia sorella. – rispose e ingranò la retromarcia, uscendo dal parcheggio.

Ai Giardini del Lussemburgo, Michael teneva sottobraccio la scatola di cioccolatini mentre lei lo tirava da una parte all’altra per vedere le statue e le fontane chiedendogli di spiegarle cosa rappresentavano.

– Perché c’è una statua della libertà qui? – lei conosceva la risposta, la loro madre non avrebbe ammesso l’ignoranza ma Angie gli faceva quella domanda tutte le volte che andavano al Luco.

– È una riproduzione di quella che sta a New York, c’è ne un’altra sulla Senna. – rispose meccanicamente.

– Sai tante cose di Parigi. – rispose Angéline battendo le mani estasiata – Vediamo, – disse cercando qualcos’altro da chiedergli – sei mai andato a New York?

Michael le sorrise e le indicò una statua spiegandole chi fosse l’autore. Voleva cambiare discorso sperando che la capacità di distrazione di sua sorella facesse il resto.

– Allora? – insistette lei – Sei mai andato a New York? Mamma mi ci vuole portare per Natale.

Michael fissò assorto il terreno prendendo a calci un paio di sassolini. Lui questo non lo sapeva e stava già progettando qualcosa per Natale, se gliela portava via cosa avrebbe fatto? Michael non ci voleva pensare. Se Angie fosse andata a New York lui sarebbe capitato là per caso. – Ci sono stato, – iniziò vago. – una volta, per lavoro.

Angéline lo prese sottobraccio e lo tirò verso una panchina costringendolo a sedersi. – Non mi hai mai detto che lavoro fai.

– Gioielli. – la risposta che dava a tutti quelli che glielo chiedevano. – Lavoro con i gioielli e mi capita di viaggiare.

– Non hai problemi con l’università?

Michael scosse la testa. Lei oggi aveva voglia di fargli domande a cui lui non voleva rispondere, ma non poteva negargliele anche se erano vuote. – Non ho obbligo di frequenza, il che mi permette di essere abbastanza elastico sul lavoro.

– Michael? – lui alzò la testa sentendo il cambiamento nel tono nella voce di sua sorella. Adesso iniziava a capire perché lei continuava a fare domande, stava cercando di raccogliere il coraggio per chiedergli qualcosa a cui lui avrebbe risposto di no. – Posso venire a vivere con te?

Le accarezzò la guancia. Dirle di no gli avrebbe spezzato il cuore. Avrebbe dato tutto ciò che possedeva per tornare a essere una famiglia, ma la sua presenza metteva in pericolo Angie. – Perché me lo chiedi? – indagò.

– Mamma vuole presentarmi dei ragazzi. – Michael ritrasse la mano come se il  contatto con Angéline l’avesse scottato e strinse i pugni.

– Perché? – doveva fare un discorso a sua madre. Se pensava di vendere Angéline al miglior offerente si sbagliava di grosso.

– Vuole che pensi al mio matrimonio, dice che finita l’università potrei sposarmi e farmi una famiglia.

Michael la tirò a sé stringendola in un abbraccio. – E non vuoi sposarti?

– Voglio scegliere io chi sposare. Finora non ho discusso cosa voleva mamma, ma non credo che mi possano piacere i ragazzi che lei mi vuole presentare. – era preoccupata, sola e spaventata, non ci sarebbe voluto un genio per capirlo. – O se non gli piacessi io?

– Sarebbero degli stupidi. – sussurrò Michael. – Sarebbero veramente degli stupidi a rifiutarti, ma se non li vuoi vedere, dillo a mamma. È ancora presto.

– Non voglio deluderla. Lei è sempre tanto gentile con me, ma mi chiedevo, – si torse le dita come faceva sempre quando era nervosa. – se potessi prendere un po’ di tempo e vivere con te, un mesetto magari, solo per cambiare aria.

– Angie, – cominciò Michael cercando le parole adatte. Mentirle era sempre più difficile e le mezze verità lo stavano soffocando, ma doveva pensare alla sua sicurezza. – il mio appartamento è piccolo. Molto piccolo. E non è adatto. Parlerò io con mamma, te lo prometto. La convincerò a non farti vedere quei tipi.

Si strinse al suo petto e tremò contro di lui soffocando un singhiozzo. – Non capisco perché non mi vuoi vedere più di una volta al mese.

Michael spalancò gli occhi e sentì la bocca secca. – Cosa ti ha detto mamma?

– Che sei sempre impegnato e vedermi più di una volta al mese ti è difficile o che non hai voglia anche se sei libero. – Michael la baciò sulla nuca lasciando piangere sua sorella e non trovando le parole per consolarla. Se le avesse detto la verità non l’avrebbe più vista. – Scusa. – mormorò. – Sono un pessimo fratello.

– Vorrei solo vederti di più. Tu sei l’unico che mi ascolta veramente.

– Angie, mi dispiace. So che non sono presente e non voglio che tu faccia nulla che non ti vada. Sistemerò le cose con mamma, lo giuro. – lei alzò gli occhi su di lui, rossi di pianto. – Non li vedrai se non vuoi. – ripeté lui asciugandole una lacrime e se quei tipi avessero insistito lui li avrebbe fatti fuggire a gambe levate. – Basta piangere. Andiamo a vedere le papere?

– Mi fanno paura. – singhiozzò lei con un sorriso.

– Le papere non fanno paura, – disse Michael – sono molto buone al forno con le patate o come paté.

– Michael!

Lui aprì la scatola e batté le palpebre trovando le praline ridotte alla metà. – Angie? – chiamò continuando a gli spazi vuoti. – Come hai fatto a dimezzare la scatola in pochi minuti?

Lei gli mostrò le mani e si allungò per afferrare un cioccolatino. – Sono veloce.

 La afferrò per la vita e la tirò indietro. – Ah, non ci pensare neanche! Prima mi prometti una cosa.

– Cosa? – chiese Angéline cercando di aggirarlo.

– Che non farai cose che non vuoi solo per far contenta mamma.

– Prometto. – rispose lei senza pensarci cercando di passare sotto le sue braccia. – Ora posso avere la scatola? – Michael scosse la testa e gliela mise sotto il naso. Se sua sorella voleva il cioccolato nulla le avrebbe fatto cambiare idea. – Non rovinarti l’appetito.

– Perché? – chiese lei con la pralina in mano.

– Mangiamo fuori. Ti porto in posto carino.

– Montmartre? – ingoiò il boccone quasi senza masticarlo. – Dimmi che mi porti a Montmartre, ti prego. Voglio vedere gli artisti di strada. – Michael le lisciò i capelli sostenendo lo sguardo pieno di aspettative della sorella con un piccolo sorriso. Passava quasi tutto il suo tempo in collegio e vedeva così poco di Parigi, ma non poteva portarla lì, nemmeno se lei lo pregava.

– Non mi piace molto Montmartre. Gira gente strana e non ha una buona reputazione. – spiegò dolcemente. – Possiamo andare a Place Stravinskij, anche là ci sono gli artisti di strada. Facciamo una passeggiata fin là. – propose.

Angéline si guardò intorno, il lungo il viale diventava pian piano sempre più affollato di famiglie e coppie ora che le ore più calde della giornata erano passate. – Quanto tempo ci mettiamo?

– Non è molto lontano. Dall’altra parte del fiume. Se tagliamo per l’Ile-de-la-cité ci mettiamo poco. Angéline gli sfoderò un sorriso a trentadue denti che gli illuminò lo sguardo. – Il fiume? – chiese facendosi più vicina al viso di Michael.

Sospirò arrendendosi in partenza alla proposta che lei gli avrebbe fatto. – Angie, hai quello sguardo.

– Quale? – chiese lei innocente.

– Quello che hai quando stai progettando qualcosa per farmi fare una pessima figura.

– Ci sono le librerie all’aperto lungo la Senna. E troveremo sicuramente qualcuno che vende disegni e caricature, magari anche una giostra.

– Angie, – scosse la testa. – mi rifiuto di farmi fare una caricatura.

Lei si dondolò sui talloni – Veramente, pensavo alla giostra.

– E sono troppo grande per la giostra. – che ci fosse salito il Natale scorso non aveva importanza, non ci avrebbe più messo piede.

Angéline lo afferrò per il polso e lui si lasciò trascinare in piedi. – Nessuno è troppo grande per la giostra. È questo il bello! – si guardò intorno cercando le indicazioni per uscire dal parco. – Da che parte devo andare?

Fingere che fossero di nuovo bambini, però, gli dava un senso di pace e non se lo voleva perdere. – Se non ricordo male ce n’è una alle Tuileries… – disse pensando che la giostra non fosse la cosa peggiore al mondo. Angie gli aveva fatto fare di peggio.

Angéline si avviò a grandi passi strascinandosi dietro il fratello maggiore che scoppiò a ridere. – Angie, è nell’altra direzione. E le Tuileries non sono di strada.

– Potremmo fare una passeggiata un po’ più lunga. Sai, mamma non mi lascia molto uscire da sola e passo quasi tutto l’anno in collegio. Voglio fare queste cose con mio fratello. – gesticolava animata da quel fuoco interiore che Michael conosceva da sempre. Angie non stava mai ferma, nemmeno quando dormiva. – Da bambini le facevamo sempre. Ti ricordi? Papà ci portava sempre sul lungosenna e tu non facevi altro che lamentarti mettendoti in un angolino.

Michael deglutì, sua sorella si stava addentrando in un discorso pericoloso tirando fuori loro padre. – Era noioso. – commentò brusco.

– Ci portava sempre a vedere le mostre più belle. Ti ricordi come fissava i tesori della corona di Carlo Magno? Sembrava quasi che se li volesse mettere in tasca.

– Sì… – di quello non voleva proprio parlarne. La corona di Carlo Magno era un argomento da evitare.

Angéline si batté  l’indice sulla guancia. – Se non ricordo male sono stati rubati un paio di anni fa. La notizia era su tutti i giornali.

Michael decise che fu ora di portare sua sorella su una conversazione più sicura. – Dove vorresti cenare oggi, Angie? – chiese prendendo il telefono e andando sulle mappe per cercare un ristorante sulla strada. – Così preparo un itinerario.

– Non lo so, non ci ho ancora pensato. Qualcosa di semplice.

– Semplice e buono o semplice e sciapo? – disse scorrendo la lista.

– Semplice. Facile e veloce da mangiare.

Michael studiò un po’ il suo telefono riducendo le scelte. – Sei mai andata a mangiare da McDonald’s?

– No. È buono?

Michael rise. Non avrebbe usato la parola buono. – Diciamo che è semplice e veloce da mangiare.

Angéline corse in avanti per poi voltarsi in mezzo al viale a guardarlo. – Allora andiamo, – lo chiamò – voglio assaggiarlo.

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NdA.: le vecchie abitudini di capitoli lunghissimi quanto mi erano mancate? comunque eccoci qua, con il primo capitolo e come al solito devo ringraziare Bianca per i suoi consigli e la sua caccia agli avverbi che finiscono in -mente...che sono rimasti lì.. Ne ho tolti solo un paio. Ovviamente ringrazio anche le splendide recensioni che mi sono state fatte, soprattutto quella di Nimue. Mi fa piacere che ti abbia attratta, spero che ti attragga anche questo capitolo. 

Ma parliamo di come è cominciata. Il titolo della storia è La regina di Spade, che effettivamente era il titolo originale che gli avevo dato e poi l'ho cambiato. Ora sono tornata a quel titolo. Mi piacerebbe dirvi come è nata la storia, ma sarebbe uno spoler che non mi perdonerei mai, quindi ve la racconterò più avanti. Posso dirvi però, che Michael è il mio primo personaggio maschile ed è anche quello che mi fa dannare di più. Difficle lavorare con un personaggio che  ritiene che il mondo gli giri intorno solo perché è lui.  Spero comunque di averlo reso bene e di aver vi susscitato qualche curiosità. 

a presto!

  
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