Storie originali > Soprannaturale > Angeli e Demoni
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Autore: ClaireSoul    21/02/2014    0 recensioni
Solo un amore impossibile può essere esterno.
Genere: Fantasy, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Appena imboccato il vialetto di casa, il profumo del pranzo mi investì. Riconobbi subito l’odore: pennette al salmone, piatto che mia mamma adorava cucinare. Kath era ancora a scuola e mio padre non tornava mai a casa per pranzo. Spensi la musica e mi avviai verso la cucina. Non trovai nessuno, cosi iniziai a chiamare mia madre mentre scoperchiavo tutte le pentole per osservarne il contenuto. Quando mi avvicinai al frigo, vidi un biglietto tenuto fermo da una calamita. Diceva: “sono bloccata a lavoro, non riesco a tornare. Il pranzo è già pronto. Buon pomeriggio dolcezza. Mamma.”. Sbuffando, presi un piatto dalla credenza e lo riempii con un po’ di pasta. La mangiai lanciando ogni tanto uno sguardo alla televisione dove un Reporter denunciava la scomparsa di un ragazzo di due anni più grande di me. Finita la mia pasta, misi i piatti nella lavastoviglie ed andai in camera mia. Quando entrai, Leo, che stava dormendo nella sua cuccia, si alzò e mi corse incontro scodinzolando gioioso. Lo accarezzai e gli diedi il suo cibo. Mi gettai sul letto e presi il telefono: due messaggi. Il primo era di Penny, dove mi chiedeva come fosse andata la mia giornata dato che non mi aveva vista all’uscita. Le risposi in fretta spiegandole del compito di Biologia di domani. Il secondo era di Cam. Mi chiedeva scusa per la sua insistenza di oggi e mi chiedeva se ci fosse qualcosa che non andasse. Gli risposi che era soltanto l’ansia per il compito di domani ma, in realtà, non sapevo nemmeno io cosa mi stesse succedendo in quel periodo. Spensi il telefono e chiusi gli occhi. Mi riaffiorò alla mente il volto di quel ragazzo scomparso. Capelli biondo rame, scompigliati sulle punte che arrivavano fino a metà collo. Non avevo fatto in tempo a fotografarmi il colore degli occhi ma mi ricordo del suo sguardo penetrante e cupo. Scacciai quel pensiero e raccolsi il libro, che mi era caduto quando avevo buttato a terra lo zaino. Lo aprì ed iniziai a leggere dal punto in cui mi ero fermata. Dopo nemmeno cinque minuti, mi addormentai col libro posato sulla faccia. Iniziai a sognare.

Ero in un bosco, il sole penetrava tra i buchi formati dalle cime degli alberi verdi ed illuminava il paesaggio intorno. Stavo seduta sulla punta di una roccia con una gamba a penzoloni verso il terreno a tre metri da me e fissavo il laghetto che si estendeva per dieci metri circondato dagli alti alberi. Gli uccellini cantavano deliziosi motivetti con diverse intonazioni, fattore che mi allietava ancora di più e permetteva alla mia mente di viaggiare oltre il bosco.
Sembrava tutto così sereno, quando ad un certo punto il vento cominciò a soffiare, prima leggermente poi con più insistenza e forza, finché non mi trovai costretta ascendere dalla roccia per ripararmi sotto la sua punta, sperando che mi potesse fare da scudo. Mi alzai ed inizia a camminare lungo la parete liscia della roccia, quando una forte folata di vento mi fece perdere l’equilibrio. Caddi e rotolai sul fianco finché non raggiunsi l’erba. Quando tentai di rialzarmi, mi accorsi di un grosso taglio sul polpaccio destro e rimasi per alcuni secondi a fissare il rivolo di sangue che usciva da esso. Alzai lo sguardo verso le cime degli alberi che si dimenavano in balia del vento e mi accorsi che tutt’intorno si era fatto buio. Il cuore iniziò a battermi forte nel petto e la mia ansia cresceva. Tentai nuovamente di alzarmi ma, appena appoggia la gamba ferita, una fitta di dolore mi partì dal ginocchio. Mi sedetti di nuovo, stavolta con le lacrime agli occhi. In quel momento intravidi un cespuglio alto e fitto e, pensando che potesse servirmi come riparo, iniziai a strisciare verso di esso. Quando lo raggiunsi, mi sedetti e strinsi la gamba sana al petto e cominciai a piangere.
  -Perchè a me?!- urlai alzando lo guardo. Fu allora che lo vidi. Il ragazzo scomparso di cui parlavano al telegiornale, stava ritto di fronte a me.
  -Chi… Chi sei tu?- balbettai. Un po’ per il freddo un po’ per la paura.
Lui di risposta si sedette di fianco a me e mi fissò. Verdi. Ecco il colore dei suoi occhi. Verdi smeraldo. I capelli, però, erano più scompigliati rispetto alla foto del telegiornale. Restai a guardarlo mentre si sfilava la sua felpa restando in T-Shirt e me la appoggiava sulle spalle. Fatto ciò, si alzò e fece per andarsene.
  -Aspetta!- gridai, tendendo un braccio nella sua direzione. Si fermò ma non si voltò né parlò. Ritrassi il braccio. –Posso sapere almeno il tuo nome? Ehm.. Per favore.-
Lui serrò i pugni e dopo un po’ parlò per la prima volta. –Balthazar.
“Balthazar. Balthazar.” mi ripetevo dentro di me.
  -Mh, bhe. Grazie- tentai di dire.
Solo allora mi accorsi che il vento aveva cessato di soffiare. Alzai gli occhi al cielo e vidi le cime degli alberi ferme immobili.
  -Oh- sospirai –Guarda, ha smesso di…- ma vidi che non c’era più. Mi guardai intorno. Nessuna traccia di lui.
Sospirai nuovamente e mi distesi sull’erba dietro il cespuglio. Per la mente avevo solo il suo sguardo. “Balthazar” pensai “cosa ci facevi li? E perché hai lasciato la tua felpa a me?” La sua felpa! Ricordandomene, la sfilai da sotto la schiena e me la appoggia alla pancia. Aveva quello che pensavo fosse il suo profumo. Vaniglia. Io adoro la vaniglia. E poi, cosa lo aveva spinto a darmi la sua felpa con tutto quel freddo? E come ha fatto a trovarmi? Ma soprattutto, da dove è arrivato? Insomma, avrei giurato che non ci fosse nessuno quando mi sono trascinata dietro il cespuglio. O forse era nascosto dietro ad un albero per ripararsi anche lui dal vento? Mi alzai sui gomiti e scrutai intorno al punto in cui lo avevo visto prima. Nessun albero aveva il tronco abbastanza spesso da nasconderlo completamente. Forse non lo avevo visto per via del buio pesto. Sì, forse è stato per quello.
Tutto d’un tratto, un lampo illuminò quasi completamente il cielo e, subito dopo, si sentì un tuono talmente forte che mi parve che il terreno sotto di me stesse tremato. Strinsi la felpa al petto e decisi di tentare di nuovo di andare verso la roccia. Appena mi alzai, un altro tuono spaccò il silenzio. Emisi un piccolo acuto ed iniziai a trascinarmi la gamba ferita mentre tentavo di raggiungere la roccia. Iniziò a piovere. Dopo pochi secondi, si fece fitta e forte. Mi batteva sulla testa e sulla schiena talmente forte che le mie gambe cedettero. Mi ritrovai sull’erba, tutta bagnata e con la felpa di Balthazar stretta al petto. Piangevo. Un tuono riecheggiò di nuovo. Mi strinsi ancora di più le gambe al petto.
  -BALTHAZAR!- urlai.
Nessuna risposta. Ero sola.
  
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