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Autore: millyray    22/02/2014    3 recensioni
Per chi odia le morti ingiuste anche se eroiche dove a sopravvivere sono i malvagi, perché le eccezioni esistono, esistono sempre. Per chi ama il trionfo degli amori, gli amori veri, quelli un po' platonici e un po' terreni, a volte anche scontati. Per chi odia i misteri e i segreti che si celano dietro gli occhi di qualcuno, ma ama l'aria tormentata che essi hanno.
Be', credo che siate nel posto giusto.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO QUINDICI – ABBIAMO TEMPO

Il tempo non ha limiti,
non passa per dividerci
è un pretesto sai che non basta mai
per dividerci.
(Il tempo tra di noi, E. Ramazzotti)

Jack l’aveva lasciato a casa quella mattina e non aveva voluto saperne di lasciarlo lavorare. Ianto gli aveva assicurato che non sarebbe andato in missione, che avrebbe potuto aiutarli restando alla base senza correre alcun rischio, però lui comunque non aveva voluto. Da quando era incinto si comportava con lui come se fosse fatto di porcellana e lo accudiva più del solito. Non che gli dispiacesse, certo, però lo faceva sentire un po’ strano. Jack non era mai stato apprensivo, non si preoccupava mai dei rischi e alle conseguenze ci pensava solo quando accadevano. E poi quel bambino era più forte di quanto pensassero, era riuscito a sopravvivere a un proiettile, insomma…

Sospirò alzandosi da tavola e portando i piatti al lavello. Adesso si sarebbe dovuto trovare qualcosa da fare in casa per non annoiarsi. Detestava annoiarsi, in quei casi pensava troppo.
Accese l’acqua calda e prese una spugna incominciando a lavare il coltello che aveva usato per spalmare il burro.
Forse era l’occasione buona per pulire un po’ la casa o magari guardare la tv o leggere qualche libro visto che di solito non aveva mai tempo per farlo. Ma ormai aveva persino dimenticato come si facevano queste normali cose quotidiane. La sua vita era tutt’altro che quotidiana.

Improvvisamente sentì suonare il campanello della porta. Si sciacquò velocemente le mani e le asciugò in uno straccio, poi si trascinò verso la porta.
Non appena aprì l’uscio, si trovò davanti il sorriso allegro di sua sorella che aprì le braccia per stringerlo in uno dei suoi abbracci da orsi. Ianto non si sorprese più di tanto nel vederla lì, visto che solo poco fa le aveva mandato un messaggio dicendole che poteva venire a trovarlo quel giorno, ma non se l’aspettava così presto.

“E’ appena avvenuto un miracolo, fratellino!”

“Cioè?” le chiese il ragazzo chiudendo la porta quando lei fu entrata.

“Mi hai detto che potevo venire a trovarti”, rispose la donna ridacchiando.

“Ahaha! Spiritosa”.

Rhiannon si guardò un po’ attorno, come per voler controllare se qualcosa fosse cambiato, poi si accomodò sul divano, davanti al televisore spento. “Dov’è Jack?” chiese, notando che l’uomo non c’era.

“E’ al lavoro”.

“E tu come mai sei a casa?”

Ianto esitò un attimo sul corridoio d’ingresso, indeciso se dirle quello che era successo oppure no. Ma alla fine si decise a farlo, era sua sorella dopotutto. Avrebbe capito. Rhiannon, dal canto suo, lesse qualcosa di sospetto nell’espressione del fratello.

“Rhian, devo dirti una cosa”, annunciò lui, sedendosi accanto a lei sul divano. “Anzi, due”.

“Devo preoccuparmi?”

“Be’ no, non proprio”. Incrociò le gambe e si voltò completamente verso di lei, per essere più comodo. “Ecco, io…”, iniziò, ma non sapeva esattamente che parole usare per rendere la cosa meno scioccante. Ma alla fine si rese conto che quello che stava per dirle sarebbe stato sconvolgente in ogni caso, perciò si decise a concludere. “Io e Jack aspettiamo un bambino”. Rhiannon dapprima lo guardò come se le avesse appena detto che voleva volare fino alla luna con l’ombrello. Poi si portò le mani alla bocca e spalancò gli occhi. “Oh mio Dio! Avete deciso di adottare un bambino? O avete fatto l’inseminazione…”.

“No!” esclamò il ragazzo interrompendola. Sarebbe stato più difficile del previsto. “No, no, niente di tutto questo”. Abbassò lo sguardo alla ricerca delle parole giuste. “Io aspetto un bambino. Letteralmente”. E si portò le mani alla pancia per sottolineare il concetto.

Rhiannon assottigliò gli occhi confusa. “Aspetta… mi stai dicendo che tu… che tu sei…”.

“Incinto, sì”, concluse lui per lei, aspettandosi un qualche tipo di reazione esagerata come era tipico di sua sorella.

“Ma… ma…”.

Ianto sospirò pazientemente e cominciò a spiegarle. “Tu sai che lavoro con gli alieni, no?” La donna annuì, l’attenzione completamente catturata dalle sue parole. “Ecco, è successo che un alieno mi ha morso e… sono rimasto incinto”.

“Quindi il bambino è un alieno”.

“No. Quell’alieno ha solo fatto in modo che io potessi… sì, insomma, hai capito. Il bambino è di Jack”.

“Ok”. Rhiannon prese un grande respiro cercando di assimilare la rivelazione. Suo fratello le aveva detto che lavorava con gli alieni e già quello era stato abbastanza scioccante, però questo… “Ok”, ripeté. “Ok”.

Ianto la guardava con espressione tesa, non sapendo se fosse contenta o… chissà cos’altro. “Guarda”, disse poi, alzandosi per prendere qualcosa dal cassetto. Quando tornò da lei le portò la foto di un’ecografia. “L’ha stampata Owen, un mio collega”.

Rhiannon la prese in mano delicatamente e la osservò in ogni particolare. Le sue labbra però si piegarono in un piccolo sorriso intenerito quando vide la piccola creatura ritratta al centro. “E’ bellissimo”.

“Davvero?”

“Sì. È un bambino, è ovvio che è bellissimo”.

Il ragazzo rilassò la schiena sullo schienale del divano, contento che la sorella non avesse reagito male. Rhiannon riportò di nuovo lo sguardo su di lui e gli sorrise. “Sono contenta per voi e soprattutto per te. Avere un bambino ti cambia la vita in meglio, anche se ci sono molte difficoltà da affrontare”.

“Lo so. Ti confesso che ho un po’ di paura”.

La sorella gli prese una mano tra le sue, accarezzandogli il dorso. “E’ normale, ma vedrai che andrà tutto bene. Sarai un bravo padre e lo sarà anche Jack. E in ogni caso, potete chiedermi aiuto quando volete”.

“Grazie”.

Rhiannon si protese ad abbracciarlo di nuovo, poggiando il mento sulla sua spalla. “Ma avete pensato che con questo potreste aver rivoluzionato la medicina?”

“Sì, ma non è così semplice”, le rispose sciogliendosi dall’abbraccio. “Non sappiamo ancora come sia né se ci sarà qualche… effetto collaterale. E in ogni caso non credo che il mondo sia pronto per accettare una cosa del genere”.

“Be’, certo. Ma prima di tutto voglio che pensi a te”.

“Non ti preoccupare, a quello ci pensa già Jack”.

“Misha e David saranno contenti di sapere che avranno un nuovo cuginetto. O una cuginetta”.

Ianto assottigliò le labbra in una smorfia non molto piacevole. “A proposito di questo… magari non dire a John proprio ciò che ti ho detto”.

La donna scoppiò a ridere divertita. “D’accordo. Come vuoi”.

Dopotutto, era contento che fosse venuta a trovarlo. A volte sentiva la sua mancanza e gli sarebbe piaciuto poter trascorrere con lei pomeriggi interi in cui si confidavano segreti e ridevano delle cose più stupide esattamente come facevano quando erano più piccoli.

“Qual è l’altra cosa che dovevi dirmi?” chiese Rhiannon ad un tratto. Ianto se n’era quasi scordato e improvvisamente il buon umore di poco fa scomparve. Ora non era più tanto sicuro di volerglielo dire.  Jack aveva insistito perché lo facesse e anche lui si era convinto. Ma adesso…

“Non so se dovrei dirtelo”.

“Ehi”, lo chiamò stringendogli più forte la mano. “Lo sai che a me puoi dire tutto”.

“Questa cosa non ti piacerà”.

“Non importa. Voglio che me lo dici”.

Ianto alzò lo sguardo e la guardò dritto negli occhi. “Ok, però promettimi che non ti lascerai influenzare da quello che ti dirò e che ti comporterai con me come hai sempre fatto”.

“Certo”, promise lei ma sentiva la preoccupazione e la paura crescerle un poco alla volta. Che cosa mai poteva esserci di così brutto?

“Ti ricordi che nostro padre non era venuto al mio diploma?”

“Sì, me lo ricordo”.

“Lui non era venuto perché era da quasi un anno che non ci vedevamo. Ero andato via di casa”.

“Cosa?!” esclamò lei spalancando la bocca sorpresa. “Cosa era successo?”

“Be’, non stavo più bene lì dentro. Dopo che te ne eri andata ha iniziato a comportarsi sempre peggio, mi picchiava sempre più spesso e per delle sciocchezze, si ubriacava quasi tutte le sere… non ce la facevo più”.

La sorella avrebbe voluto dirgli qualcosa, ma le parole non le venivano fuori. E poi intuiva che c’era anche dell’altro. “Ti ha fatto qualcos’altro? Oltre a picchiarti, intendo”.

“Be’…”. Ora arrivava la parte più difficile. Ianto spostò lo sguardo da un’altra parte per non doverla guardare. “Una sera ero tornato a casa più tardi e lui era più ubriaco del solito e…”.

“E?”

Il ragazzo intrecciò le dita con quelle della sorella. “Mi ha… ha fatto una cosa molto brutta”. Si sedette sul bordo del divano e si spettinò i capelli. Il cuore gli batteva a mille e sentiva che tutto quello che aveva provato la notte che suo padre lo aveva violentato stava riaffiorando.
Rhiannon si protese verso di lui e si appoggiò contro la sua schiena, abbracciandolo da dietro e poggiando la guancia contro la sua spalla. “Cosa ti ha fatto? Ti prego, devi dirmelo”.

“Non ci riesco”.

“Ok, allora scrivilo”.

La donna afferrò la sua borsetta e ne tirò fuori una penna e un piccolo block notes. Poi li passò a Ianto e lo incitò a scriverlo.
Il ragazzo era un po’ titubante, ma alla fine si decise a obbedire. In fondo, scriverlo era più facile che dirlo. Lo scrisse con una calligrafia tremante, dopotutto tutto il suo corpo stava tremando, e diede di nuovo il block notes e la penna a sua sorella.
Lei lo prese in mano e lo lesse. Lo lesse una volta e subito non capì, come se quelle parole improvvisamente le fossero diventate sconosciute. Poi lo lesse di nuovo, finché non le rimasero incollate negli occhi.

Mi ha violentato.

Infine abbassò il foglio e rimase a guardare il fratello. “Stai scherzando?”

“Lo vorrei tanto. Ma ti giuro che è vero. Lo ha fatto e io…”.

Di nuovo si allungò verso di lui e lo abbracciò stringendolo questa volta più forte di prima. “Oh, tesoro! Perché non me l’hai detto? Perché non mi hai chiamata?”

“Perché non volevo disturbarti. E poi, avrei dovuto raccontartelo e non volevo. Mi… mi vergognavo troppo e avevo paura”.

“Ma io sono tua sorella. Ti sarei venuta a prendere e ti avrei portato da me e John”.

I due rimasero abbracciati per un po’, cullandosi l’uno tra le braccia dell’altro proprio come facevano da piccoli quando erano tristi o avevano paura. Si staccarono solo quando il corpo cominciò a dolere per quella posizione.

“Dove sei andato dopo?”

“Da alcuni amici”.

“Ti sei drogato?”

Ianto esitò un attimo prima di risponderle. “Sì”.

Rhiannon sospirò. “L’avevo intuito quando ti ho visto al diploma, ma ho fatto finta di non vederlo. Mi sarei dovuta prendere cura di te e invece ti ho lasciato con quel vigliacco. Mi dispiace. Non sono stata una brava sorella”.

“Questo non è vero!”.

“Sì, invece. Ti dovevo portare con me quando sono andata via con Johnny. E invece ho solo pensato a me stessa”.

“Hai fatto bene a pensare a te stessa. Ti sei sempre presa cura tu della mamma e di me quando ero piccolo. Era giusto così”.

“Ma se avessi fatto come avrei dovuto, tutto questo non sarebbe successo e papà non ti avrebbe…”.

“Non importa. Ormai è successo, è inutile piangere sul latte versato”.

Rimasero di nuovo in silenzio ripensando alla loro infanzia e a tutto quello che avevano passato a causa di quel padre violento. Non era stato facile per loro e tantomeno lo era stato per Ianto, però eccoli lì, ancora insieme, cresciuti e con le loro vite.

“Perché me lo dici proprio adesso?”

“Jack ha insistito. Pensava che tu dovessi saperlo”.

“Jack lo sa?”

“Sì, anche se lo ha scoperto per caso. Stavamo lavorando su un oggetto alieno che riporta le persone a rivivere i momenti peggiori della loro vita. Praticamente abbiamo visto tutta la scena”.

A Rhiannon quasi venne un colpo. Non solo suo fratello era stato violentato quando aveva diciassette anni dal loro padre, ma era pure stato costretto a rivivere la scena una seconda volta. Era normale che fosse caduto nella droga.

“Hai smesso con la droga, vero?”

Il ragazzo ridacchiò. “Sì, certo. Da un po’”.

“Ti voglio bene, lo sai?”

“Lo so. Anche io te ne voglio, Rhian”.

 

Ianto era in bagno che svuotava la lavatrice quando vide Jack entrare e sedersi sul bordo della vasca.

“Non è che per caso sai se c’è una fessura spazio temporale anche nella lavatrice? No, perché è strano che i calzini spariscano così”.

Il Capitano sorrise divertito ma non disse niente. Si inginocchiò sul pavimento e abbracciò il compagno da dietro, baciandolo sul collo. Il ragazzo sentì dei brividi di piacere corrergli lungo la schiena e smise immediatamente di fare quello che stava facendo per mettere le proprie mani su quelle di Jack, poggiate sulla sua pancia.

“Jack? Che cosa c’è?”

“Mi sei mancato oggi”, gli sussurrò il Capitano senza smettere di baciargli il collo. Ianto sorrise e si piegò perché l’altro potesse baciarlo meglio. Intanto le mani di Jack si strinsero di più attorno alla sua pancia. “Come sta il nostro pargolo?”

“Sta benissimo”, rispose il ragazzo, intenerito alla parola pargolo. Jack gli stava veramente mostrando un lato di sé che non credeva esistesse.
Improvvisamente però si staccò e si alzò in piedi come se l’avesse punto qualcosa. “Mettiti qualcosa di carino. Voglio portare te e il pargolo fuori a cena”.

Ianto strabuzzò gli occhi sorpreso. “Davvero?”

“Certo! Sempre se ti va”.

“Sì!” rispose il giovane un po’ frettolosamente. “Sì. Vado”. E corse in camera a cambiarsi, completamente dimentico dei vestiti che dovevano essere messi ad asciugare e dei calzini scomparsi.

 

“Hai ancora fame?”

Ianto bevve un sorso di acqua e osservò il suo piatto vuoto. Ora era decisamente sazio. “No, direi di no”.

“Ti va il dessert?” chiese ancora Jack.

Effettivamente un dolce ci poteva stare. Di solito queste cose non gli piacevano e non era uno che mangiava tanto, ma quel bambino era esigente e gli faceva venire persino le voglie più stravaganti.

“Sì, ok”.

Il cameriere arrivò per portare via i piatti dei due e loro ne approfittarono per chiedergli due fette di tiramisù. Erano in quel ristorante già da un paio di ore e se la stavano proprio godendo. Non capitava spesso di avere una serata libera e di potersene stare in pace senza pericolo di attacchi alieni o persone da salvare. Non avevano altri pensieri per la testa se non quella serata, la cena e l’atmosfera.
Si sentivano bene, entrambi.

“Oggi è venuta mia sorella”, disse ad un tratto Ianto dopo aver addentato il primo boccone di dolce. “Le ho detto del bambino”.

“E come l’ha presa?”

“E’ rimasta un po’ scioccata all’inizio, ma poi ha detto che è contenta per noi”. Il ragazzo arrivò a metà dolce quando smise di mangiare e alzò di colpo gli occhi su Jack. “E le ho detto anche quell’altra cosa”.

“Quella… di tuo padre?” fece il Capitano guardandolo incerto.

“Sì”.

“E?”

Ianto esitò un attimo abbassando lo sguardo. “Niente. Diciamo che si è data la colpa per non essere stata abbastanza presente”.

Jack non aggiunse altro, dopotutto non aveva idea di che cosa potesse dire. Non era bravo nei discorsi seri né in quelli che riguardavano i sentimenti.
Perciò decise di fare quello che sapeva fare meglio.

“Quella signora dietro di te ci sta guardando da almeno un’ora”.

Ianto si voltò leggermente per vedere chi era questa signora ed effettivamente notò che una donna sulla mezza età, dai capelli tinti di un rosso slavato e il viso truccato esageratamente li stava guardando con cipiglio scontento. Ma non appena vide che lui l’aveva notata, girò lo sguardo e fece finta di bere.

“Sembra che non approvi”, commentò Ianto indifferente. Ormai non si faceva più problemi ad uscire insieme a Jack e a dire che stava con lui. Vivevano in un paese libero, dopotutto.

“Le mostriamo una cosa?” chiese allora Jack guardandolo con occhi provocanti. Il ragazzo si domandò che cosa potesse essere, quando all’improvviso vide il Capitano venirgli incontro e baciarlo sulle labbra senza lasciargli il tempo di pronunciare neanche una sillaba. Subito le loro lingue si trovarono intrecciate; Ianto portò una mano dietro la nuca di Jack mentre questi gli mise le mani sui fianchi.
Nessuno nel ristorante parve averli notati, o comunque anche se lo avevano fatto, fecero finta di niente. Invece la signora che li aveva guardati poco prima si era alzata di colpo e se ne era andata via lanciando loro un’occhiata schifata mentre il marito la seguiva di corsa.

Infine, quando si staccarono, Ianto e Jack scoppiarono a ridere.

 

E mentre passeggiavano al parco, Ianto stava ancora ridendo, solo che stavolta era per una storia divertente che il Capitano gli aveva appena raccontato. Si dovette sedere su una panchina perché non riusciva più a reggersi in piedi. Quando finalmente si calmò, si rilassò contro lo schienale e restò a guardare il cielo stellato sopra di sé, col fiatone.

“Dovresti ridere più spesso”, gli sussurrò Jack quando si fu seduto accanto a lui. “Sei più bello”.

Ianto spostò lo sguardo su di lui e lo guardò dolcemente. “Presto però non ti piacerò più”, disse scherzoso.

“E perché mai?”

“Perché diventerò grosso come un barile e mi toccherà rotolare per spostarmi”.

Jack rise divertito e prese una mano del compagno. “Tu mi piaceresti anche se avessi una gamba di legno e un occhio di vetro”.

Il ragazzo lo guardò intensamente negli occhi e vi lesse la sincerità. Ancora continuava a stupirsi di tutto quello, della sua relazione con Jack. Era strano, all’inizio c’era solo sesso e pensava che sarebbe stato così per sempre. Però allo stesso tempo aveva paura, sentiva una strana sensazione. Non avrebbe saputo descriverla, però gli opprimeva lo stomaco già da un po’.

Sicuramente erano solo stupide paranoie dovute agli ormoni della gravidanza.

“E magari insieme alla pancia ti cresceranno anche le tette”, scherzò Jack posando le mani sul suo petto.

Ianto gli diede un pugno leggero sul braccio e lo guardò sconvolto. “Idiota!”  Allora il Capitano lo avvicinò a sé e lo fece stendere con la testa sul proprio grembo. Con una mano prese ad accarezzargli i capelli mentre l’altra gliela poggiò sulla pancia.

“Dovremmo pensare a dei nomi”, sospirò il ragazzo mettendo anche la propria mano su quella del compagno.

“Abbiamo tempo”.

Forse era proprio questo che gli faceva paura.   

 

 

MILLY’S SPACE

Questo sì che è un capitolo fluff… spero non sia troppo OOC. Comunque io cerco di dare un po’ di spazio anche agli altri personaggi, ma proprio non ci riesco. Jack e Ianto mi sono entrati nel cuore e non c’è più niente da fare. Però voi ditemi pure se volete che dedichi più anche a Gwen e Rhys, Owen e Tosh.

Va bene, spero vi sia piaciuto il capitolo. Lasciatemi qualche recensione, please anche perché l’altra volta ho commesso uno strafalcione e se Amayafox91 non me l’avesse fatto notare sarebbe rimasto ancora lì. Perciò vedete che le recensioni servono a qualcosa ^^

Un bacione.
M.

P.S. se siete fan del fandom date un’occhiata alla mia fanfiction su Sherlock (BBC),

P.P.S. mia mamma si lamenta sempre del fatto che i calzini spariscano nella lavatrice, perciò a me viene sul serio il dubbio che possa esserci una fessura spazio temporale che se li porta via ^^

AMAYAFOX91: ma che pignola, effettivamente ho commesso un errore anche abbastanza serio. Ti ringrazio ancora : ) spero ti sia piaciuto anche questo capitolo. Baci, Milly.

  
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