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Autore: Inessa    26/02/2014    5 recensioni
Merlin custodiva gelosamente le giornate di intenso lavoro, perché se Arthur non tornava a casa, da sua moglie, dalle sue figlie, significava che potevano passare la notte insieme, nella loro camera d'albergo.
Genere: Fluff, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Merlino, Principe Artù | Coppie: Merlino/Artù
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Nessuna stagione
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Trouble

 

Merlin uscì dal bagno, strofinandosi i capelli. Gli asciugamani dell’Albion erano morbidi ed avevano un buon profumo, totalmente diversi da quelli degli alberghi a cui era abituato.

Arthur era seduto sul bordo del letto, gli dava le spalle. Aveva le spalle un po’ curve e la testa abbassata e Merlin suppose che stesse revisionando gli ultimi dettagli per il concerto di San Valentino. La scena non era per nulla insolita, Arthur era solito lavorare anche dopo la fine del suo turno, fino a tarda notte.

Sentendo la porta del bagno chiudersi e poi riaprirsi, Arthur si voltò verso di lui. Aveva la cravatta allentata e qualche bottone della camicia aperto. Nonostante questi piccoli dettagli, era elegante come sempre. I colori della cravatta si intonavano ai motivi dell’en suite, i gemelli d’oro ai polsi della camicia brillavano alla luce delle lampade accese. Non portava la giacca, che era appesa all’attaccapanni accanto alla porta. Anch’essa s’intonava con il resto della stanza.

Senza complimenti, Arthur percorse il suo corpo con lo sguardo. Era a petto nudo e la sua pelle era ancora rossa per via dell’acqua bollente e il vapore gli appannava gli occhiali. Un angolo della bocca si sollevò un po’ ironico, ma Merlin gli riconobbe una scintilla di desiderio negli occhi. Poi però Arthur si voltò subito per tornare alle sue carte.

Merlin si inginocchiò sul letto alle sue spalle, lasciando che l’asciugamano gli pendesse intorno al collo. Si avvicinò e, da dietro, gli stampò un bacio sulla mandibola perfettamente rasata. Gli accarezzò brevemente i capelli, mentre con le labbra indugiava per qualche momento sulla sua pelle.

- Come vanno i preparativi per domani? – domandò sedendosi sul letto a gambe incrociate e riprendendo a strofinarsi i capelli.

- È tutto pronto, stavo giusto ricontrollando la check list, - rispose Arthur senza muoversi.

Merlin annuì e si allungò verso il comodino per prendere in mano la macchina fotografica. Notò una fatina rosa accanto ad essa e sorrise.

- Le tue figlie sono state qui? – domandò alle spalle di Arthur.

- Ygraine. È venuta insieme a Vivian poco fa, mi ha lasciato quella per farmi compagnia, visto che passerò la notte del mio compleanno “da solo”. Mi ha anche chiesto di te, voleva sapere se ci saresti stato al concerto di domani.

Anche se non riusciva a vedere il suo viso, Merlin non faticava ad immaginare il sorriso triste ed allo stesso tempo affezionato che segnava il volto di Arthur quando parlava delle sue figlie. Non rispose, e si sdraiò sul letto guardando sullo schermo della reflex alcuni scatti che aveva fatto quel pomeriggio. Poi si sporse verso Arthur e gli scattò una foto.

- Smettila immediatamente, - gli disse serio, senza nemmeno guardarlo.

Merlin sbuffò, per niente stupito dalla reazione.

- Sei un pessimo modello. Se i tuoi clienti la pensassero come te, sarei disoccupato e morto di fame.

Scorse di nuovo il sorriso di Arthur e, incurante dell’ordine appena ricevuto, gli scattò un’altra foto. Poi ripose con cura la macchina fotografica e, in silenzio, gli si avvicinò di nuovo. Gli avvolse le braccia intorno al collo e gli affondò il viso nella curva calda tra la spalla e la gola. Mosse appena le labbra, solleticandolo senza baciarlo davvero e lo sentì rabbrividire.

- È ancora presto, sei in tempo per tornare a casa e farti coccolare dalle tue figlie, anziché da una fatina rosa, – gli sussurrò piano.

Arthur si irrigidì, ma non rispose.

- È la tua famiglia, Arthur. Tua moglie e le tue figlie ti vogliono bene…

- Merlin, - disse Arthur tra i denti, dicendo il suo nome come se fosse stato un ammonimento.

Merlin sospirò, senza allontanarsi. Alcuni argomenti erano impossibili da trattare con Arthur. Lui avrebbe solo voluto uno spiraglio, una fessura che gli permettesse di infilarsi nella sua corazza, anche solo per farlo sentire meno solo, ma Arthur Pendragon era testardo come un asino.

- Allora passa la giornata con me, domani, - sussurrò, sapendo di star tirando la corda, - Voglio portarti in un posto.

- Sai che non festeggio né il mio compleanno, né lo stupido San Valentino.

Poteva sentire il nervosismo sulle spalle tese di Arthur.

- E poi domani sera c’è il concerto, non ho il tempo per festeggiare.

Merlin fece scivolare le braccia sui suoi fianchi, gli sfilò la camicia dai pantaloni per accarezzargli l’addome.

- Puoi delegare, sarà solo per un paio d’ore, l’albergo non esploderà senza di te. Voglio portarti ad Ealdor.

Sentì Arthur aprire la bocca per rispondere e, in fretta, aggiunse: - Prima andremo al cimitero da tua madre.

- No, - rispose Arthur duro, senza mezze misure e senza dare apparentemente altro spazio all’argomento.

Sospirando, Merlin si allontanò. Non gliel’avrebbe data vinta, pensò, scendendo dal letto ed infilandosi tra le ginocchia di Arthur.  Lo fissò negli occhi senza dire nulla, gli tolse la cravatta e gli sbottonò la camicia. Ricambiando il suo sguardo, l’altro gli tolse con cura gli occhiali e li poggiò su uno dei comodini.

Merlin si abbassò per baciargli il collo, dove Arthur portava il ciondolo che lui stesso gli aveva regalato. Una moneta con inciso un drago.

Arthur gli infilò una mano tra i capelli, attirandolo a sé ed impedendogli di allontanarsi. Poi fece una leggera pressione verso il basso, indirizzandolo verso il suo petto. Reverente, Merlin lo percorse con le labbra. Si lasciò cadere in ginocchio, ed affondò il viso contro il suo inguine. Poteva sentire la sua carne bollente oltre il tessuto dei pantaloni, aprì la bocca e sentì che Arthur era già duro quanto lui.

Gli sbottonò i pantaloni e li abbassò quanto bastava per liberare la sua erezione. Accarezzò la punta con la lingua e poi, incatenando lo sguardo a quello di Arthur, lo prese in bocca. Si lasciò guidare dalla mano affondata tra i suoi capelli, rispondendo con entusiasmo alle sue silenziose richieste. Ogni gemito che gli sfuggiva dalle labbra era per lui un passo, una breccia sull’animo di Arthur.

Più tardi, quella notte, quando, sudato e coperto dai segni che Arthur, famelico, gli aveva lasciato su tutto il corpo, appoggiò la testa sul petto dell’altro, sussurrò: - Ripensa a quello che ti ho detto. Solo un paio d’ore.

In tutta risposta, Arthur allungò la mano destra – raramente lo toccava con la mano su cui portava la fede nuziale -, afferrò la sua ed intrecciò le loro dita. Così forte da fargli quasi male.

- Ti fidi di me, Arthur? – domandò al silenzio.



 

* * *







La mattina del 14 febbraio il cielo di Londra era grigio e carico di pioggia. I ciottoli che ricoprivano i viali del cimitero scricchiolavano con un suono umido sotto le loro scarpe. Camminarono per circa un quarto d’ora, prima di giungere alla tomba di famiglia dei Pendragon. Tutto, intorno a loro, era del tutto silente e non videro che una manciata di visitatori, mentre percorrevano i sentieri grigi.

La tomba dei Pendragon era di un grigio scuro, reso ancora più cupo dalla pioggia, ed era sormontata da guglie che a Merlin mettevano addosso un senso di inquietudine, era di una solennità che lo intimidiva.

Seguì Arthur, che si avvicinava spedito ad una lapide, senza concedere attenzione alle altre. Li accolse la foto a colori di una donna con i capelli biondi e gli occhi di Arthur. Il sorriso splendente riuscì a fargli dimenticare per un attimo l’atmosfera lugubre che lo circondava.

 

Ygraine Pendragon

19.09.1960

14.02.1983

 

Merlin immaginò un Arthur prima bambino, poi adolescente, adulto, ed infine padre, che si recava lì, anno dopo anno, il giorno del suo compleanno. Allungò lentamente un braccio ed intrecciò le loro dita, con cautela, senza fare movimenti bruschi e senza guardare Arthur apertamente in viso. Dopo qualche interminabile secondo, Arthur ricambiò brevemente la stretta.

Dopo essersi schiarito la gola, Merlin sussurrò un – Vado a prendere dell’acqua per i fiori, - e lasciò Arthur da solo con sua madre. Mentre usciva, si accorse appena di Uther Pendragon che, serio, lo osservava da sopra la propria inscrizione. Respirò l’aria umida ed impregnata dell’odore dei fiori marci e si diresse verso la macchina.

Non avevano fiori.

 

* * *

 

Mentre guidava verso Ealdor, Merlin sperò che i nuvoloni dessero loro il tempo di arrivare a destinazione, prima che la pioggia si riversasse sulle strade, così da non rallentare troppo il loro viaggio.

Arthur sedeva silenzioso al suo fianco. Non aveva proferito parola da quando erano usciti dal cimitero, e lui aveva deciso di non forzare la mano, di dargli il proprio spazio. Guardò lo scomparto della radio vuoto, e rimpianse la presenza di un po’ di musica nell’aria.

Le preghiere di Merlin furono accontentate e non una goccia d’acqua intralciò il loro cammino finché non parcheggiò l’auto nel vialetto davanti ad una delle tante villette basse di Ealdor. Appena scesi dalla macchina, in compenso, furono investiti da un improvviso temporale, che li costrinse ad oltrepassare la porta ormai inzuppati da capo a piedi.

L’inconveniente sembrò avere il miracoloso potere di risvegliare Arthur, che scoppiò a ridere non appena si ritrovarono all’asciutto. Merlin finalmente si concesse di guardarlo in viso e si lasciò contagiare dalla sua risata.

- È qui che vive tua madre? – domandò con sincera curiosità.

- No, al piano interrato c’è una sorta di laboratorio, fa la volontaria qui. Adesso vedrai, - rispose Merlin e, presolo per mano, lo condusse verso una scala di ferro che portava al piano di sotto.

Vide Arthur fare una smorfia quando un pungente odore di sudore li investì mentre scendevano.

- Pronto per conoscere i bambini? – domandò quando furono davanti ad una porta in ferro.

Arthur non ebbe il tempo di domandare a quali diavolo di bambini si riferisse, che si ritrovò catapultato in una stanza piena di gente.

C’erano dei tavoli di diverse dimensioni, all’interno, che erano stati addossati alle pareti per liberare il centro della stanza, dove una decina di uomini e donne si muoveva a ritmo di musica. Doveva essere un balletto, e loro, avvolti in maglioni e jeans sformati e dai colori improbabili, si sforzavano di seguire il ritmo. Alcuni erano troppo lenti, altri troppo veloci, nessuno di loro riusciva a sollevare le gambe per abbastanza tempo. Una donna bassa e rotondetta, con dei capelli rosso fuoco ed un taglio a scodella, rideva come se quello fosse il momento migliore della propria vita. Vergognandosi di quel pensiero, Arthur pensò che erano totalmente ridicoli e quasi si sentì in imbarazzo per loro.

Con uno sguardo incuriosito si voltò verso Merlin.

- Stanno facendo le prove generali, stasera balleranno davanti ad un pubblico e sono molto emozionati.

Quella spiegazione non gli chiarì molto le idee.

- Ragazzi, alla fine siete venuti!

Arthur si voltò verso la voce. Una donna minuta si avvicinò ed avvolse Merlin in un abbraccio.

- Buon San Valentino, tesoro!

Merlin la strinse, abbassandosi alla sua altezza.

- Anche a te, mamma! – riuscì a distinguere Arthur, tra la musica, le risa ed il fatto che Merlin avesse affondato il viso tra i capelli della donna.

- Questo è Arthur, - disse Merlin allontanandosi leggermente dalla madre ed indicandolo, - Arthur, questa è mia madre.

- Piacere di conoscerla, signora Emrys, - rispose Arthur, tendendole la mano.

- Chiamami Hunith, - rispose la madre di Merlin, ignorando il tentativo formale di Arthur ed avvolgendo anche lui in un abbraccio.

Arthur rimase totalmente rigido per qualche secondo, prima di decidersi a ricambiare l’abbraccio, con un’espressione un po’ smarrita che fece sorridere Merlin.

- Buon San Valentino anche a te. E buon compleanno, caro, - disse Hunith allegra, mentre si staccava da lui.

Arthur rimase, per la seconda volta in pochi minuti, a bocca aperta e gli ci volle qualche secondo per pronunciare un “grazie” e tentare di accompagnarlo con un sorriso. Gli auguri di buon compleanno che aveva ricevuto nella sua vita erano stati parecchio rari, e di solito accompagnati da un silenzio imbarazzato.

Il momento venne interrotto da qualcuno che urlava il nome di Merlin. In un battito di ciglia l'altro sparì dalla vista di Arthur, circondato da una calca umana che urlava 'Merlin!' e faceva a gara per abbracciarlo.

-Ciao, io mi chiamo Lucy!

Arthur abbassò lo sguardo in direzione della voce e vide una bambina con i capelli corti e gli occhi un po' a mandorla che gli faceva 'ciao' con la mano.

- Tu come ti chiami? - domandò fissando con gli occhioni lucidi.

- Sono Arthur, - rispose lui abbassandosi un po' per sovrastare l'entusiasmo che circondava Merlin.

- Ciao Arthur, io ho ventitré anni, - sollevò due dita, - Venti, - poi sollevò tre dita, - Tre, ventitré. Tu quanti anni hai?

- Io ne ho trentuno, - rispose Arthur tentanto istintivamente di imitarla e sentendosi un perfetto imbecille, mentre sollevava entrambe le mani indicando il numero tre e poi il numero uno. Lucy sembrò pienamente soddisfatta della sua risposta, tanto che gli sorrise e lo abbracciò. Gli arrivava alla vita.

Arthur le poggiò una mano dietro la schiena, poi, tentennando, anche la seconda, in un goffo abbraccio. Sentendosi osservato, alzò lo sguardo ed incrociò il sorriso di Merlin.

Poi Lucy si staccò da lui e, osservandolo tremante, disse: - Arthur, la mia mamma mi ha abbandonata...

Arthur, per la prima volta in vita sua, vedendo che gli occhi le si riempivano di lacrime, pensò di essere sull'orlo di un attacco di panico. Cercò istintivamente il supporto di Merlin, ma venne in suo aiuto un'altra ragazzina, con gli occhiali spessi.

- Nessuno ti ha abbandonata, Lucy, - disse con voce strascicata, - La mamma è andata a lavoro.

Sentendosi risollevato, Arthur lasciò che fosse lei a prendersi cura della ragazza, vergognandosi un po'.

Poi tutti vennero richiamati all'ordine ed invitati a continuare la loro lezione di danza.

- Venite su, vi offro un tè, - li invitò allora Hunith.

La seguirono ed Arthur lanciò un’ultima occhiata verso gli improbabili ballerini. Un’ondata di invidia lo sorprese di fronte alla loro aria felice e ridicola.

Hunith li condusse al piano superiore, in quella che doveva essere la cucina. Si accomodarono attorno ad un tavolo che occupava gran parte dello spazio, tanto da far fatica a spostare le sedie.

- Come ti sono sembrati i bambini, Merlin? – domandò mentre accendeva il bollitore e prendeva delle tazze per il tè.

- In forma, - rispose Merlin sorridendo, - Soprattutto Clare, sembrava molto attiva, - poi si rivolse ad Arthur, - Clare è quella con i capelli rossi, di solito non è facile farla reagire agli stimoli.

Hunith annuì, - È la nuova volontaria che insegna danza, Freya, sembra che riesca a coinvolgerli molto, i bambini la adorano.

Al sentire per l’ennesima volta la parola “bambini” Arthur si accigliò.

- Li chiamiamo bambini perché si comportano un po’ come tali, ma sono giovani adulti con svariati problemi, - disse Hunith sorridendogli, indovinando i suoi pensieri.

Arthur annuì, - Avevo immaginato.

Hunith gli raccontò un po’ dell’attività del laboratorio, dei bambini, dei genitori che si aiutavano l’un l’altro, della mancanza di volontari e di fondi. Arthur la ascoltò con attenzione, annuendo di tanto in tanto, mentre sorseggiava il suo tè.

- E durante l’ultimo consiglio ci hanno chiesto di trovare un’altra sede, di separare i ragazzi dalle ragazze, - disse Hunith stancamente, soffiando sul suo tè.

- Perché mai? – domandò Arthur accigliato.

- Perché capita spesso che si innamorino tra di loro, ed è un grande problema.

- Come può essere un problema che si innamorino?

La veemenza con cui Merlin pose la domanda non lo stupì. Poteva vedere un senso dietro quella decisione, eppure la parola “problema” faceva storcere il naso anche a lui.

- Perché le ragazze potrebbero restare incinte, caro, - rispose Hunith con calma, guardando Merlin come se  si fosse aspettata la sua reazione, - E poi chi si prenderebbe cura dei bambini?

Solo quando si sentì gli occhi di Merlin puntati addosso, Arthur si rese conto di essersi messo inconsciamente a giocherellare con la moneta che portava al collo. Due facce della stessa medaglia.

Una volta tornati in macchina, Arthur avrebbe afferrato il viso di Merlin e lo avrebbe baciato, lentamente ed a lungo. Gli avrebbe accarezzato i capelli, il collo, l'addome, avrebbe succhiato la pelle sotto il suo orecchio sinistro e quella della sua gola, con in testa come unico pensiero quello di farlo stare bene, bene, di farlo gemere e bruciare, fino a doversi imporre di smetterla, per evitare che qualcuno li vedesse.

 

* * *

 

L’Albion quella sera brillava con l’eleganza di un diamante. La sala concerti era gremita di gente che attendeva che il sipario si sollevasse.

Merlin, come di consueto, aveva già iniziato il suo primo giro di scatti, immortalando per primi i personaggi più illustri. A volte chiedeva loro di mettersi in posa e sorridere all’obiettivo, altre optava per ritratti più naturali. Stava per mettere a fuoco l’Ambasciatore di Chissadove, quando si sentì tirare leggermente un angolo dello smoking.

Distolse lo sguardo dalla macchina fotografica e sorrise ad una deliziosa Ygraine Pendragon, con i boccoli scuri che le incorniciavano il viso ed un vestitino color avorio.

- Ciao! – la salutò scattandole una foto.

Lei rispose al suo saluto ondeggiando una manina. Quasi non si accigliò per essere stata fotografata.

- Cerchi papà? – domandò guardandosi intorno, un po’ stupito nel non riuscire a scorgere Vivian.

La bambina annuì e gli porse una mano, guardandolo con gli occhioni nocciola.

- Ve bene, - disse sorridendole complice, - Ti aiuto a cercarlo.

Guardò verso il fondo della sala. Se Ygraine non aveva visto Arthur all’ingresso, dove di solito attendeva gli ospiti, molto probabilmente era in giro a controllare che dal punto di vista tecnico tutto funzionasse a dovere.

Il direttore dell’Albion non era il tipo da lasciare i dettagli tecnici per l’ultimo minuto, ma ci avevano messo più del paio d’ore che aveva promesso, per tornare in albergo quel pomeriggio. Quando erano entrati nell’en suite,poi, Arthur lo aveva preso con urgenza, da dietro, senza nemmeno spogliarlo del tutto. Lo aveva voltato contro il muro, aveva stretto la mano con cui lui si era appoggiato alla parete, per ammortizzare le sue spinte, e con l’altra lo aveva portato al culmine, soffocando parole incomprensibili – problema? ridicolo? innamorarsi? - nella curva della sua spalla.

Merlin deglutì nel ripensarci, sentendosi a disagio per aver richiamato alla mente la scena mentre stringeva la mano della figlia di Arthur.

- Eccolo lì, - disse indicando un punto con l’indice, nonostante Ygraine non potesse vederlo dalla sua altezza. Lei lo strattonò nella direzione che gli era stata indicata e Merlin rise. Gli ricordava Morgana, a volte.

Quando finalmente riuscì a vederlo coi propri occhi, Ygraine lasciò la sua mano e corse verso il padre, abbracciandogli una gamba e cogliendolo di sorpresa. Arthur, che stava facendo dei segnali ai tecnici delle luci, si illuminò nel vederla e si accovacciò accanto a lei, poggiando un ginocchio a terra, incurante del suo smoking perfetto.

- Ciao, piccola, - le sussurrò dandole un bacio sulla guancia. Lei gli buttò le braccia al collo ed il viso di Arthur scomparì tra i suoi riccioli.

Merlin dedusse che doveva avergli sussurrato qualcosa all’orecchio, perché il sorriso di Arthur, quando si staccò per guardarla, era accecante.

- Grazie, - lo sentì sussurrare, mentre con una mano le accarezzava i capelli. Stavolta la risposta non era stata incerta ed imbarazzata come quella data ad Hunith qualche ora prima.

- Papà, papà!

Travolto da una furia bionda, un po’ più alta di Ygraine, che gli si aggrappò alla schiena riempiendolo di baci sulla guancia, Arthur scoppiò a ridere.

- Vieni qui, piccolo terremoto! – disse voltandosi e stringendo entrambe le figlie in un abbraccio.

- Buon compleanno, papà! – esclamò la vocina squillante di Isolde e, a giudicare dalla smorfia divertita che aveva fatto, Arthur doveva aver perso alcuni decibel dall’orecchio destro.

- Grazie anche a te! – ripeté Arthur dandole un bacio sulla guancia.

- Papà, vogliamo chiederti una cosa, - disse Isolde distogliendo ed abbassando lo sguardo.

- Sì? - la incoraggiò Arthur guardando prima l’una, poi l’altra.

- Diglielo tu, - Isolde guardò, imbronciata, la sorella, che scosse la testa.

- Dirmi cosa?

- Va bene, glielo dico io, tu non parli mai, - prese fiato, - Puoi tornare a casa con noi e la mamma, stasera?

Merlin sentì una fitta al petto.  Dopo i grandi eventi in albergo, Arthur non tornava mai a casa. Rimaneva fino a quando l’ultimo ospite non era andato via, poi si assicurava che tutto fosse rimesso in ordine e pulito per il giorno dopo. Finiva a notte inoltrata, e restava nella sua camera per le poche ore di sonno che lo separavano dalla successiva giornata lavorativa. Merlin custodiva gelosamente le giornate di intenso lavoro, perché se Arthur non rientrava in casa, da sua moglie, significava che potevano passare la notte insieme in albergo.

- Certo, bimbe, - rispose Arthur abbracciandole di nuovo.

Sollevando la macchina fotografica, Merlin immortalò il sorriso sul volto del suo re e l’abbraccio travolgente in cui lo avevano attirato Ygraine ed Isolde contemporaneamente. In fondo, lui poteva aspettare.

 

Fine.

 

Note: Anche questa storia fa parte di un disegno moooooolto più ampio, più dettagliato e più complicato. L’idea di Merlin fotografo, delle figlie di Arthur, di Ygraine timidissima, di Arthur e Merlin amanti, mi è venuta in sogno XD e poi boh, sono troppo pigra e quindi non ho mai messo in piedi l’idea originale. Però ultimamente mi è venuta un’idea per scrivere questo piccolo “slice of life” e ho pensato che avrei potuto iniziare da qui.

Anche il titolo di questa storia viene da una canzone dei Coldplay. Trouble, per l’appunto.

   
 
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