Aprì
la porta di casa, stancamente, e una volta richiusa dietro di
sé, ci
si poggiò contro e si passò le mani sugli occhi,
cercando di
sfregare via il sonno e la spossatezza. Le
scarpe volarono via e si godette il contatto col parquet, con un
sospiro.
Un
tramestio dalla cucina lo convinse a incamminarsi e a girare alla sua
sinistra e si trovò di fronte la ragazza castana, alle prese
col
bollitore e una tazza.
“Lancelot!
Devi rimanere a riposo!” sbottò preoccupato,
avvicinandosi per
prenderle di mano gli arnesi e spingendola verso la sedia.
“Sto
bene, grazie. E avevo voglia di un tè” rispose
l'altro, sbuffando.
Merlin
controllò la sua temperatura e lo stato dei tagli senza
ascoltare
una parola.
“Hai
mangiato la zuppa che ti ho lasciato? Hai bevuto l'acqua
regolarmente? Hai preso la medicina? Hai dormito a
sufficienza?” lo
interrogò pratico, facendo velocemente un quadro generale
delle sue
condizioni.
“Sì,
mamma! Ho fatto la brava bambina mentre non c'eri”
scherzò
Lancelot, scostandogli dolcemente la mano.
Merlin
arrossì un poco e si mise a versare l'acqua in due tazze con
un
gorgoglio lieve, sulle bustine da tè.
“Scusami
per averti lasciato da solo. Non avrei dovuto, lo so, ma
Arthur...”
“Merlin,
va tutto bene,” lo interruppe lui, con un gesto.
“So che la
situazione è delicata e so quanto ti sta a cuore. Certo,
ritornare
alle otto del mattino... almeno sei riuscito a parlarci?”
Il
servitore prese le tazze fumanti che aveva preparato e si sedette
davanti all'amico, poi girò lentamente lo zucchero col
cucchiaino.
Aveva parlato per tutta la notte e gran parte della sera precedente e
la gola gli bruciava un po', chiedendo di non essere usata ancora,
almeno per quel giorno. Ma Lancelot non gli staccava gli occhi di
dosso, in attesa della risposta.
“Sì,
alla fine. All'inizio mi ha buttato addosso la sua rabbia e si
è
trincerato nella sua stanza. Tipico atteggiamento da Arthur, ignorare
i problemi e credere scioccamente che allontanandoli non si
presenteranno più!”
“Dov'è
adesso?”
“Ha
bisogno di tempo... per digerire la cosa” rispose fiacco
Merlin,
sorseggiando la bevanda calda, che sciolse un po' della sua
raucedine. Sospirò di sollievo e passò una mano
sulla gola,
massaggiandola delicatamente.
“Perlomeno
in quest'epoca non può farti giustiziare” lo
consolò l'amico con
un'alzata di spalle, mentre portava la tazza alle labbra.
“Per
fortuna non abbiamo trovato la sua spada o mi avrebbe trapassato con
quella!” scherzò lui, con un sorriso sghembo.
“Il
problema della spada non è da sottovalutare. Ricordo quello
che mi
dicesti, ricordo che è potente.”
“E
vorrei sapere chi l'ha presa e perché”
mormorò Merlin,
pensieroso.
Sorbì
il suo tè, mentre lo sguardo vagava nella cucina soleggiata:
sul
lavello scintillante, sul porta frutta semi vuoto, -doveva
assolutamente fare la spesa,- e poi gli cadde su una busta bianca
poggiata con casualità contro il tostapane.
“E'
tua quella lettera?” chiese sorpreso, indicando con un gesto
del
mento.
“Non
credo. Non c'è destinatario né mittente e non
è affrancata.
Stamattina ho sentito dei rumori all'esterno e pensavo foste tu e
Arthur di ritorno e non ci ho dato peso. Ma dopo qualche istante
c'è
stato un forte rumore, come un'esplosione, così mi sono
alzato a
controllare: nel vialetto non c'era nessuno, ma sullo zerbino ho
trovato quella lettera” raccontò Lancelot mentre
Merlin,
abbandonata la tazzina sul tavolo, si alzava per raggiungere la
busta.
L'afferrò
e la soppesò un momento tra le mani, cercando segni o
incisioni
sulla carta; era chiusa da ceralacca verde, con inciso un drago.
Espanse per un attimo il suo potere, saggiando le risposte della
lettera e scoprì con meraviglia che era stata toccata da
esseri
dotati di magia. La aprì con urgenza e spiegò il
foglio davanti al
viso.
“Cercaci,
siamo all'origine della magia.
Siamo
verità, passato e futuro.
Ti
indicheremo la strada, scioglieremo gli enigmi,
daremo
aiuto e conforto, se sarai meritevole.
Il
tempo stringe, la fine è prossima.
Cercaci,
trovaci.”
Rigirò
il foglio tra le mani, per controllare che non ci fosse davvero
scritto altro; lo osservò controluce, senza scoprire nulla
di nuovo.
Cosa
significava? Una lettera con un enigma? Se non avesse saputo che
Kilgharrah era morto e sepolto da secoli, -e che non potesse
scrivere, dato che non aveva il pollice opponibile,- avrebbe potuto
pensare che ci fosse dietro il suo zampino.
'Cercaci,
siamo all'origine della magia', continuava a pensare, meditabondo.
All'origine c'erano solo le creature magiche, create dalla magia
stessa, come i Draghi o i Sidhe; dovevano quindi cercare degli
spiriti della natura? Ma non ne esistevano più, si erano
estinti
gradualmente a causa delle persecuzioni e del progresso dell'uomo; la
magia, poi, era andata scemando di potenza, sempre più, fino
a
diventare flebile e molto rara: lui, che ne era praticamente il
nucleo, sentiva quell'indebolimento come un dolore costante al centro
del petto, come se la serenità e la forza vitale gli venisse
risucchiata via, giorno dopo giorno, senza poter mai bloccare
né
invertirne il processo.
“Cosa
dice? Una minaccia di morte?” scherzò Lancelot,
ricordandogli di
essere anche lui nella stanza. Merlin abbassò la lettera,
rendendosi
conto di essersi estraniato, e gliela passò
perché leggesse.
“Tutto
qui?” chiese il cavaliere, perplesso, una volta arrivato alla
fine.
Anche lui la rigirò varie volte, indeciso.
“Quindi
per risolvere i nostri enigmi, dobbiamo prima risolvere questo
enigma?”
“Benvenuto
nel mio mondo!” soffiò ironico Merlin, mentre
ritornava a sedersi.
Era di nuovo davanti alla sua porta, stavolta senza chiave. Merlin aveva provato a lasciargliela quel mattino, quando era andato via dal suo appartamento, ma lui aveva rifiutato. Doveva riacquistare la stima nel suo servitore prima di poter accettare gesti del genere, con i significati nascosti che comportavano: accettare e dare fiducia, totale e incondizionata. E non era così semplice come sembrava: ogni volta che un ricordo di quei sette anni di amicizia gli sfiorava la mente, non riusciva a non pensare alle cose taciute, ai segreti nascosti dietro i sorrisi, alle mezze verità che non aveva mai scoperto. Erano piccole schegge che facevano male, che minavano la stabilità del più grande sentimento che avesse mai provato, forse perfino più profondo di quello che lo aveva legato a Guinevere.
Con
un sospiro sofferto premette il campanello, che trillò
allegro
nell'aria della sera. Scrutò il contorno della sua ombra,
che si
stagliava nitida sulla superficie della porta, grazie al sole calante
alle sue spalle. Quella si aprì e Merlin lo
scrutò, strizzando un
po' gli occhi per la luce in pieno viso; qualcosa di strano e
doloroso si agitò nel fondo dello stomaco di Arthur,
qualcosa a cui
non riuscì a dare un nome, ma che lo faceva sentire
maledettamente
vulnerabile.
Studiò
il suo aspetto e si accorse di alcune macchie bianche sul viso e sui
vestiti.
“Sire!
Prego, entrate” mormorò Merlin sorpreso e
contento, facendosi da
parte. Arthur si trovò nell'ingresso, in un silenzio
palpabile. La
porta si chiuse dietro di loro con un tonfo sordo.
Rimasero fermi lì, entrambi abbastanza imbarazzati e nervosi. Merlin dondolò un po' sui talloni, a disagio, e Arthur aspettò un qualche cenno o parola da parte sua, che spezzasse il silenzio. Perché aveva deciso di andare a casa sua così presto? Non sarebbe stato meglio rimanere ancora un po' in disparte, a pensare, lasciando calmare le acque? Si sentiva nervoso ad ogni respiro che Merlin prendeva, ad ogni gesto inconscio che faceva... la sua sola presenza lo metteva in impaccio, tanto da non riconoscersi nemmeno più; non era né da Althea né da Arthur comportarsi in quel modo e nemmeno dalla fusione delle sue due parti. La presenza di Merlin faceva vibrare qualcosa di doloroso e inconsueto nel profondo della sua anima, che lo destabilizzava; una morsa che non aveva mai provato prima, nemmeno quando stava con sua moglie.
“Seguitemi”
disse infine il servitore, fermando i suoi pensieri. Gli fece strada
verso la stanza di fianco al bagno, dalla quale provenivano rumori:
trovò Lancelot in piedi, che dipingeva le pareti con vernice
bianca,
anche lui macchiato in più punti; perlomeno aveva avuto la
decenza
di non mettersi i vestiti che le aveva prestato, ma di farsi dare
abiti vecchi da Merlin.
Si
guardò un po' intorno, sorpreso. Il suo cavaliere gli
lanciò
un'occhiata raggiante.
“Arthur!
Ti piace?” esclamò, indicando la parete grondante
vernice. Il
lavoro era fatto molto male, in verità, ma non ebbe il cuore
di
dirglielo.
“Lancelot
si trasferisce qui” disse Merlin, notando la sua aria
perplessa.
Di
nuovo sentì quel pugno allo stomaco che lo turbò,
all'improvviso.
Sorrise tuttavia, voltandosi verso la ragazza castana: “I
tuoi non
si preoccuperanno?”
“Sono
solo” rispose il cavaliere, inclinando il capo a disagio.
Arthur si
sentì un po' sciocco e in imbarazzo. Era stato quel mostro
ignoto
seduto sul suo stomaco a fargli fare quella domanda con quel tono
così seccato, lo sapeva, ma non era certo di come potesse
liberarsene. Forse trafiggersi con la propria spada ammazza immortali
avrebbe potuto eliminarlo per sempre dal suo corpo.
“Sire,
dovete vedere questa” si intromise Merlin, notando la gaffe
appena
fatta dal suo Re e deciso a spezzare la tensione. Sfregò le
mani
distrattamente contro i pantaloni, riempiendoli di manate bianche, e
poi frugò nella tasca, porgendo la lettera ad Arthur. La
ragazza la
prese e lesse di un fiato, avida di sapere; la rilesse più e
più
volte, rigirandola e guardandola controluce, cercando di scoprire
più
informazioni possibili.
“Già
fatto. Non ci sono rune lunari, a quanto pare”
scherzò Merlin.
Arthur non sapeva se essere più turbato dal fatto che il suo
servitore conoscesse lo Hobbit o dall'aver capito subito la sua
citazione: erano un branco di nerd, ma molto meno intelligenti. Non
si sarebbe meravigliato di trovare una riproduzione dell'unico anello
o il vestito di Harry Potter o il modellino in scala dell'Enterprise,
nascosti nelle profondità di quell'enorme casa.
Si
concentrò sul messaggio, che sembrava indirizzato a lui,
più che a
Merlin: era lui, ad essere tornato in vita perché Albion era
in
pericolo, era lui a dover cercare chiunque gli avesse inviato quel
messaggio. E chiunque fosse, sembrava possedere le risposte a tutte
le domande che gli attanagliavano la mente. Magari anche a quelle che
solo lui conosceva, nascoste nel profondo del suo cuore.
“Hai
qualche idea di chi possa averla mandata?” chiese, torturando
l'indice della sinistra con l'altra mano, come faceva in passato
facendo ruotare il suo anello, mentre pensava.
“Un
essere dotato di magia, senza dubbio. Ma dove sia o come
trovarlo,”
fece un grosso sospiro, “quello è un altro
discorso.”
“Ma
possiamo
trovarlo? E perché qualcuno che vuole e può
aiutarci deve
essere così criptico? Insomma, se è un alleato,
perché non dire
semplicemente chi è e dove trovarlo?” Non gli
piacevano gli
indovinelli, gli enigmi e le cose poco chiare. Voleva risposte,
voleva che qualcuno gliele schiaffasse in faccia con forza, con
ovvietà e semplicità, e avere così il
quadro generale di tutta la
situazione.
Merlin
si sedette al centro della stanza, grattandosi una guancia con fare
pensieroso e sgranchendo le lunghe gambe.
“Scoprirete
presto che tutto è un enigma, quando si parla di magia e di
esseri
magici. E non è che non si possa trovare, è solo
molto difficile.
Devo cercare l'incantesimo giusto tra moltissimi libri”
mormorò in
tono di scusa, facendo spallucce.
“Non
riesci a ricordarlo a memoria? Nemmeno a ricordare il libro in cui
potrebbe essere?” domandò sarcastico Arthur,
scocciato da tutti
quegli intoppi, da tutti i problemi che si mettevano in mezzo alle
cose più semplici e dall'apparente calma del suo servitore.
“Qui
dentro” Merlin si toccò la testa, “ci
sono moltissime cose,
tante che non riuscireste neppure ad immaginarlo.”
“Sì,
come aria, molto spazio, una eco e stupidità”
ribatté Arthur con
serietà. Un sorrisino apparve sul volto di Lancelot, al
vedere che
le cose tra loro sembravano non essere cambiate più di tanto.
“Mi
metterò al lavoro domani, appena avremo finito con la
stanza”
promise Merlin, con quel suo sorriso fiducioso.
“Io
sono andato a richiedere il mio albero genealogico, questa
mattina”
rivelò allora il Re ad entrambi. Merlin e Lancelot si tesero
verso
di lui, in attesa di sapere tutto.
“Mi
hanno detto che sarà pronto tra una settimana circa, giorno
più
giorno meno” continuò Arthur, sgonfiando la bolla
di speranza che
si era creata nel cuore dei suoi ascoltatori.
“Aspetteremo”
soffiò un po' deluso Merlin. “Avete parlato con
vostra madre?”
“Sì
e non è stato semplice trovare una scusa per giustificare la
sospetta curiosità per la mia famiglia, di cui non ho mai
chiesto
nulla in vent'anni. Mia madre dice che, per quello che sa, qualcuno
dei suoi cugini ha avuto dei figli, non è certa se maschi o
femmine,
e per quanto riguarda il fratello di mio padre, dice che non l'ha mai
conosciuto, visto che litigarono prima che lui e la mamma si
conoscessero. Perciò, non è molto.”
Merlin
sospirò, rassegnato.
“Abbiamo
comunque una pista, qualche speranza. Seguiamola e vediamo dove ci
porta. Dobbiamo solo avere pazienza.”
La
loro attenzione venne attirata dal rumore del pennellio ritmato di
Lancelot che, constatato che gli argomenti più importanti
erano
ormai stati discussi, aveva ripreso a lavorare sulle pareti.
“Vi
serve una mano?” chiese Arthur all'improvviso, rimboccandosi
le
maniche. Si misero al lavoro, in un silenzio rotto solo dalle
pennellate e dalle direttive di Merlin, e ognuno di loro
finì per
riempirsi di macchie e gocce di vernice ovunque.
Alla
fine del lavoro di tinteggiatura, l'ex Re cercò di
congedarsi da
loro, ma non ci riuscì in nessun modo.
“Rimanete
qui per la notte, ho una sorpresa per voi” disse enigmatico
Merlin,
togliendosi la tinta dalle mani con l'acquaragia, dall'odore
penetrante. Lui e Lancelot sorridevano come due idioti, lanciandosi
occhiate complici, come se avessero complottato qualcosa per lui. O
contro di lui.
E
alla fine, anche con molti dubbi, cedette. Acconsentì a
rimanere, a
patto di poter dormire nell'unico letto, nella stanza di Merlin,
insieme a Lancelot. Il servitore avrebbe dormito sul divano.
La
serata fu molto piacevole, più di quanto riuscisse ad
ammettere: il
ragazzo cucinò dei deliziosi piatti, -era migliorato in
cucina-, e
li mangiarono chiacchierando tutti assieme, ricordando aneddoti
buffi, ridacchiando; gli parve, vagamente, che una leggera aria delle
serate a Camelot fosse tra loro, come quando parlavano e mangiavano
attorno al fuoco nelle battute di caccia, e si augurò che
non solo
non scomparisse, ma che si intensificasse col tempo. Andarono a
dormire molto tardi, dopo parecchi bicchieri di birra e di idromele,
di risate soffocate e grida di sdegno, di facce offese e altre
risate.
Merlin
insisté che era tardi per la sorpresa e promise che
gliel'avrebbe
fatta vedere il mattino successivo.
“Sono
contento che tra voi le cose siano tornate normali”
soffiò
Lancelot, una volta coricati nel lettone. “Era davvero
depresso
dopo il vostro litigio.”
“Non
sono tornate normali e non so se ritorneranno mai come prima. E non
parlo solo delle bugie, della fiducia da ricostruire; parlo anche dei
problemi di questo secolo, della nostra missione e delle seccature
che questo corpo mi crea!” sbottò Arthur,
tirandosi su le coperte,
di colpo. Avere addosso un pigiama di Merlin lo infastidiva oltre
ogni modo, così come trovarsi nel suo letto; ad ogni
movimento il
profumo del ragazzo gli investiva le narici e un lieve batticuore
correva sotto pelle.
“Sì,
ti capisco. E' così assurdo sapere di essere stata un uomo,
un
cavaliere per di più, con le strane ideologie sulle donne
che
insegnavano in quell'epoca. Eppure, avendo vissuto per vent'anni come
donna, non è sbagliata nemmeno questa forma. Immagino che
solo tu
possa capirmi” rispose il cavaliere voltandosi a guardarlo.
“Il
tuo corpo... reagisce in maniera strana con... Merlin?”
titubò
Arthur, buttandola lì come una domanda casuale.
“No,
in nessuna maniera particolare. Il solito affetto, la solita gioia
nel vederlo buffo e svagato o la preoccupazione quando è
triste. E
il tuo?”
“Nessuno,
assolutamente. Sembra solo che io sia più ricettivo verso la
magia,
in questa forma!”
Lancelot
non disse nulla, notando il nervosismo del suo Re; augurò la
buona
notte e si voltò dall'altra parte, sorridendo
silenziosamente prima
di addormentarsi.
“Svegliatevi,
principesse!” urlò la voce di un uomo di prima
mattina, seguita da
una luce accecante e aria gelida, improvvise.
“Principessa
a chi? Ti faccio installare la gogna in giardino, Merlin! E ti
tirerò
la frutta personalmente, se nessun altro lo farà”
rispose Arthur
mezzo assonnato, lanciandogli le prime cose che gli capitarono sotto
mano: il draghetto intagliato nel legno volò attraverso la
stanza e
venne fortunatamente preso al volo dal ragazzo alla finestra.
“Mai
toccare questo!” sbottò Merlin, poggiandolo con
reverenza su un
ripiano della libreria e lanciando un'occhiata torva.
“Mi
vedo costretto a non farvi avere la sorpresa che avevo preparato. Per
punirvi!” incalzò, offeso e vendicativo.
Arthur
gli urlò contro che era suo diritto avere tutte le sorprese
del
mondo, in quanto Re; Lancelot si alzò assonnato per andare a
fare la
doccia, Merlin ignorò ogni lamentela del suo signore e
andò in
cucina a preparare la colazione.
“Allora,
la mia sorpresa?” insisté il Re, addentando un
toast ricoperto di
marmellata. “E che sia bellissima!”
“Dopo,
forse, chissà” continuava a rispondere Merlin,
facendo il vago.
Spadellò pancake e ciambelle, ricoprendo la tavola di ogni
genere di
leccornia, insieme a tè, succo di arance appena spremute e
uova e
pancetta sfrigolanti. Fecero onore alle pietanze e per un po' si
sentì solo il rumore delle loro mandibole insieme alle
continue
richieste di Arthur.
Dopo
aver ritirato e lavato le stoviglie, il ragazzo li portò
fuori e li
guidò lungo un sentiero di ciottoli nel giardino, che
costeggiava la
casa, e scoprirono così le effettive, enormi, dimensioni
della
stessa, che aveva più l'aria di una villa; arrivarono nel
retro,
dove il terreno era il decuplo che sul davanti, ampio e ben curato, e
si fermarono infine davanti ad una rimessa, quasi addossata al muro
posteriore.
“Merlin,
perché hai comprato una casa così grande e un
terreno così vasto
se hai sempre vissuto solo?” domandò Arthur
curioso, cercando di
non chiedersi quanto potesse costare tutto quello.
“Mi
piaceva la zona riservata e la segretezza che offriva. Insomma,
nessuno può sbirciare oltre muri così alti e il
fatto di essere in
periferia fa sì che io non abbia vicini troppo... vicini,
che
potrebbero impicciarsi dei fatti miei e della casa ho sempre usato
solo poche stanze. Sarebbe stato strano se avessero visto lo stesso
vecchietto abitare qui per cinquant'anni senza invecchiare mai di un
giorno.” spiegò assorto, mentre armeggiava con il
lucchetto della
rimessa.
Dopo
un paio di tentativi riuscì infine ad aprirlo, con uno
scatto
ferroso. Si fece da parte, teatralmente, consentendo al Re e a
Lancelot di entrare: la piccola costruzione era ricolma di armi e
armature, ben tenute e lucidate, appoggiate con ordine su sostegni in
legno.
Arthur
entrò a piccoli passi, meravigliato, annusando l'odore di
cuoio dei
paracolpi, di ferro delle armature, di acciaio delle armi; poteva
quasi assaporarli, tanto erano forti. E il batticuore si fece sempre
più intenso, ricordandogli le sensazione che provava in
passato ogni
volta che entrava nella sua armeria.
Passò
una mano su una cotta di maglia addosso ad un manichino, percependo
la morbida durezza del lavoro di incastro: le piccole maglie
tintinnarono, con un lieve rumore che assomigliava al gorgoglio
dell'acqua, e splendettero, in una maniera che ricordava le scaglie
dei pesci.
Poi
il suo sguardo venne attratto verso il fondo, come da un incantesimo.
Una
spada stava ritta su un piedistallo, illuminata dalla luce che
entrava dalla finestrella appena al di sopra: sembrava che fosse
stata messa lì apposta per lui e si avvicinò,
rapito; chiuse la
piccola mano sull'elsa e la sollevò con reverenza,
soppesandola,
avvicinando la lama per saggiarne l'affilatura, facendola roteare e
sibilare, per percepirne il bilanciamento e il peso. Il suo cuore
ruggiva di gioia.
Alla
fine si voltò verso di loro, raggiante.
“Pare
che gli piaccia” constatò Lancelot, che teneva in
mano la sua
spada, scelta giorni prima.
“Come...
dove le avete trovate?” chiese Arthur, incapace di smettere
di far
sibilare la lama di qua e di là.
“Sembra
che Merlin abbia collezionato queste armi negli anni, gli Dei solo
sanno per quale motivo. E quando avete 'discusso',
si è chiuso qui dentro, lucidando e affilando tutto a mano,
senza
volere nessun aiuto” raccontò il cavaliere,
indicando il ragazzo
al suo fianco, che sembrava far finta di nulla, non sapendo di aver
le orecchie rosse di imbarazzo.
“Lancelot:
allenamento!” sbottò il Re, invece magari di
mostrare la sua
gratitudine a Merlin.
Ma
non c'era bisogno di parole, né di ringraziamenti; Merlin
aveva
capito senza bisogno che lo dicesse a voce alta, lo sapeva. Lo aveva
capito dal sorriso che era sbocciato sul viso di Arthur, finalmente,
dopo giorni tesi e di paure.
Le
due ragazze uscirono nel giardino, con le lame che scintillavano nel
sole del mattino e una luce ancora più sfolgorante nello
sguardo.
“Vi
farete male! Usate le cotte!” provò a metterli in
guardia Merlin,
invano: i due avevano già cominciato a combattere, con un
gran
clangore metallico ogni volta che le spade cozzavano l'una contro
l'altra.
Si
mise ad osservarle, smettendo di preoccuparsi, per quanto possibile.
Si accorse che il combattimento era persino più bello che in
passato, quando già era un'arte, difficile da imparare: in
quel
momento, in cui entrambi erano rinchiusi in corpi femminili, la lotta
non ne risentiva affatto come aveva temuto, magari risultando
impacciata, ma acquistava eleganza nei movimenti. Si
strofinò gli
occhi, dandosi dello scemo per pensare una cosa simile della lotta
con le spade, ma anche dopo non riuscì a non trovare bello
quello
scambio di parate e affondi, di attacchi e schivate, di piedi che
scivolavano leggeri sull'erba e grida di eccitazione.
Arthur
e Lancelot sorridevano come matti, felici di essere ancora dei
combattenti, nonostante il loro aspetto. Lo aveva capito, che Arthur
si sentiva inutile e poco attivo nel suo nuovo ruolo, ed era riuscito
a ridargli fiducia, facendogli capire che il suo animo combattivo non
doveva entrare in conflitto col suo corpo femminile, ma che poteva
armonizzarsi perfettamente.
Il
Re fece volare via la spada dalle mani di Lancelot, puntando la sua
alla gola. Si voltò verso il suo servitore, per controllare
se
avesse seguito la lotta.
“Beh,
cosa fai lì?” chiese col fiatone.
“Prendi l'armatura e unisciti
a noi!”
Merlin
si avvicinò incredulo, con la sua andatura dinoccolata.
“Devo
lottare anche io, Sire?”
Arthur
sorrise e lo colpì alla spalla col piatto della spada.
“Tu?
Tu farai da fantoccio, Merlin!” ridacchiò,
cercando di togliere i
lunghi capelli dal volto.
Il
servitore andò a recuperare l'attrezzatura, felice di vedere
Arthur
a suo agio e allegro, quando venne richiamato, quasi sulla soglia
della rimessa.
“Sì,
Sire?” rispose sorpreso, voltandosi e facendo qualche passo
indietro.
Il
Re lo osservava strizzando gli occhi, a causa del sole in faccia, e
torturava ancora il dito indice, distrattamente.
“Puoi
darmi del tu, da adesso in poi. In questo nuovo secolo è
assurdo che
tu continui con le formalità di allora”
iniziò a dire con
sussiego, come se fosse un discorso preparato in precedenza,
chissà
in quale notte insonne.
“Ma niente confidenze! Niente risposte
sgarbate, né impudenze!”
Merlin
fece un sorriso incredulo e titubante, che si trasformò
subito in
uno aperto e meraviglioso, col cuore. Non poteva credere a quello che
aveva appena sentito! Era un passo, un piccolo passo avanti, non solo
dal punto di vista sociale, con l'abbattimento di un muro tra ceti,
ma anche dal punto di vista personale, per la loro amicizia, che
forse avrebbero potuto ricostruire. E dovette farsi davvero violenza
per non correre ad abbracciarlo come desiderava fare.
“Io?
Vi... ti ho mai mancato di rispetto, asino? Testa di legno?”
replicò ridacchiando, schivando i sassi che gli venivano
lanciati,
mentre Lancelot tratteneva Arthur perché non lanciasse la
spada
contro il servitore.
Qualcuno li osservava, nella loro splendida scenetta mattutina, ma loro, tra risate e allenamenti, non se ne accorsero.
Note:
Risorgo
dal mondo dei dispersi.
Chiedo
innanzitutto perdono. Non è da me sparire così,
ma ci son state
cause di forze maggiore. Vi confesso solo che mi son stressata
così
tanto da finire al pronto soccorso per gastrite nervosa, che orrore!
Con conseguenti lividi per colpa di infermiere non proprio delicate.
Ora
va meglio e spero che voi tutte stiate bene.
Riprenderò a pubblicare a ritmo serrato. Mi auguro che la storia continui a piacervi!
Un
grosso abbraccio
Mimì