CAPITOLO
SETTE
Quando
John Watson rientrò nel 221B quella sera
trovò Sherlock e Connie seduti sul divano, al buio, di
fronte alla tv che
discutevano su un programma che stavano trasmettendo sulla BBC.
“Secondo
me è stata la moglie”, disse la ragazza in
tono deciso.
“No”,
la contraddisse Sherlock.
“No?”
“No.
È troppo banale e poi il vicino di casa ha
tutti i motivi per ucciderlo”.
“Oh,
fratellino quanto sei ingenuo! Questi stupidi
programmi televisivi sono il massimo della
banalità”.
Il
dottore, passando in cucina, lanciò un’occhiata
al televisore e vide che stavano guardando quel nuovo programma che
avevano
iniziato a trasmettere da poco in cui veniva inscenato un omicidio con
diversi
indagati e il pubblico da casa doveva cercare di capire chi era stato.
Una cosa
divertente, Sherlock aveva passato diverse serate guardandolo.
“John,
facci il tè”, urlò Sherlock senza
togliere
gli occhi dallo schermo. L’uomo era convinto che non si fossero nemmeno
accorti del suo
arrivo, tuttavia non era così e in un certo senso gli fece
piacere che Sherlock
se ne fosse accorto, anche se la sua mente era concentrata su altro.
Così si
mise a fargli il tè esattamente come piaceva a lui, con due
zollette di
zucchero e un po’ di latte.
Quando lo ebbe servito sia a lui che a Connie, il detective gli
indicò il posto
accanto a lui sul divano e gli disse di sedersi.
John si accomodò e soffiò sulla propria tazza di
tè caldo, poi rimase a
guardare il profilo di Sherlock. Era seduto come sedeva al solito, ma
meno
composto e più rilassato e aveva una spalla appoggiata a
quella della sorella,
il che era strano perché di solito evitava contatti con le
persone, a meno che
non fosse necessario.
Rimasero
a guardare il programma finché non fu conculso,
scoprendo alla fine che Sherlock aveva avuto ragione, ma John non si
concentrò
molto sulla televisione. Era più preso dal detective e ogni
tanto aveva avuto
la tentazione di poggiargli una mano sulla gamba o di abbandonare la
testa
sulla sua spalla, ma aveva sempre resistito.
Almeno finché non lo trovò addormentato col capo
poggiato sullo schienale.
Connie aveva acceso la luce ed era andata a lavarsi i denti in bagno.
John era
rimasto ad osservare il coinquilino per un po’, beandosi
dell’espressione che
aveva mentre dormiva. Quella era la prima volta che lo vedeva dormire e
doveva
ammettere che era una visione che non si sarebbe mai scordato. E anzi,
prese il
cellulare dalla tasca e gli scattò una foto. Poi si sedette
sul bordo accanto a
lui e gli accarezzò i riccioli molto delicatamente
perché non si svegliasse.
Tuttavia Sherlock aveva un sonno leggerissimo e subito
cominciò a muoversi.
John
spostò velocemente la mano e lo osservò
stiracchiarsi. Sherlock sbatté un paio di volte le palpebre
e rimase a guardare
l’altro con occhi assonnati. Era la scena più
tenera che il dottore avesse mai
visto e cercò di memorizzarla in ogni più piccolo
dettaglio perché sicuramente
non gli sarebbe più ricapitato.
“Mi
sono addormentato?” chiese il consulente con
voce impastata.
“Sì”.
“Oh”.
“Perché
non vai a dormire?”
“Sì,
lo farò”. Sherlock si alzò lentamente e
con
passo strascicato arrivò fino alla soglia del salotto. Poi
si girò di nuovo
verso John e, col capo inclinato da un lato, gli chiese:
“Vieni a rimboccarmi
le coperte?” sparendo prima che l’altro potesse
dire qualcosa. John rimase a
guardare il punto da cui l’altro era sparito pensando che
sì, gli avrebbe
rimboccato le coperte e anzi, se gliel’avesse chiesto avrebbe
anche dormito
accanto a lui tenendolo stretto tra le braccia.
La
sera dopo, visto che era sabato, Connie, John,
Lestrade, Anderson, Sally e Molly si erano ritrovati in un pub a bere e
a
chiacchierare del più e del meno. Erano seduti attorno a un
tavolino dove la
musica arrivava leggermente più attutita mentre tutte le
altre persone attorno
a loro erano impegnate a ballare.
“Dai,
raccontaci qualcosa su Sherlock”, esclamò ad
un certo punto Sally guardando in direzione di Connie. E subito gli
altri
ammutolirono, l’attenzione tutta rivolta a lei.
“Non
mi piace raccontare i fatti di mio fratello”,
disse lei però, lasciandoli tutti un po’ delusi.
“E poi lui è sempre molto
riservato”.
“Questo
sì, ma com’era da bambino?” chiese
Lestrade
finendo la sua birra.
“Be’…”,
iniziò la ragazza esitando. “Era un bambino
un po’ complicato”.
“Perché?
Adesso non lo è?” scherzò Anderson ma
nessuno
rise e, anzi, Connie gli lanciò un’occhiata storta.
“Avevamo
un bel rapporto io e lui. Ci capivamo, ci
confidavamo…”, lo sguardo della ragazza si perse a
fissare una macchia sul
tavolo e un improvviso velo di malinconia sembrava esserle sceso
davanti. “Era…
bello. I nostri genitori non erano molto presenti così
dovevamo contare l’uno
sull’altro”.
“E
Mycroft?” chiese John, ora molto curioso di
sapere com’era l’infanzia del suo migliore amico.
“Mycroft
era… era il classico figlio prediletto,
quello che faceva sempre le cose come dovevano essere fatte e che non
sbagliava
mai niente. Era duro, serio, distaccato”.
“Oh”.
“La
nostra infanzia non è stata molto bella e
l’adolescenza ancora meno. Almeno per me e
Sherlock”.
“Mi…
mi dispiace”, sussurrò Molly facendosi udire
appena. Ma Connie riuscì a sentirla bene lo stesso e le
sorrise dolcemente.
“Non importa. Ora non è più
così. Ora siamo entrambi felici e abbiamo tutto
ciò
che ci serve”.
La
ragazza cercò di smorzare la tensione che si era
venuta a creare ma gli altri difficilmente si sarebbero dimenticati di
queste
parole. Forse per questo Sherlock era così
com’era, complicato, indifferente e
sociopatico.
E John avrebbe voluto saperne di più.
“Molly?”
chiamò ad un tratto Connie. “Ti va di
venire a ballare?” La ragazza accettò volentieri e
si diresse con la mora verso
la pista da ballo.
“Sally,
andiamo anche noi?” chiese Anderson porgendo
una mano alla ragazza seduta accanto a lui.
“D’accordo”.
John
e Greg si ritrovarono soli seduti al tavolo, il
silenzio sceso di colpo. “Per quanto io possa conoscerlo,
Sherlock per me
rimarrà sempre un mistero”.
“Già”.
In
quel momento videro sbucare la chioma riccioluta
e il lungo cappotto di Sherlock che si sedette accanto a loro sulla
sedia
lasciata libera da Molly.
“Sherlock!”
esclamò John sorpreso. “Che ci fai qui?”
“Dove
sono i tizi mascherati che hanno sbarrato il
locale minacciando di uccidere tutti?” chiese il detective
guardandosi attorno
con fare schifato.
“Quali
tizi?”
“Di
che stai parlando?”
Sherlock
aprì la bocca come per dire qualcosa ma
rimase semplicemente a boccheggiare come un pesce fuor
d’acqua. Connie gli
aveva mandato un messaggio dicendogli che il locale era stato preso
d’assalto
da dei pazzi assassini e lui si era precipitato lì. Ma a
quanto pareva era solo
una scusa per farlo venire in quel posto puzzolente e pieno di persone.
E
infatti, ballando insieme a Molly tra la moltitudine di persone, la
sorella lo
guardava con un sorrisetto beffardo salutandolo con la mano.
“Non
importa”, concluse il moro allungando la mano
verso la birra di John e trangugiando l’ultimo sorso senza
neanche chiedergli
il permesso. “Avete trovato chi ha ucciso quel
ragazzo?” chiese rivolto a
Lestrade.
“Ci
stiamo lavorando. Sotto le unghie della vittima
ci sono delle tracce di pelle che forse appartengono
all’assassino. Molly le
deve analizzare e poi lo scopriremo”.
“L’ho
sempre detto che voi siete lenti a fare il
vostro lavoro e che perdete un sacco di tempo”,
commentò Sherlock in tono
impassibile. Ma né John né Greg lo rimbeccarono,
ormai abituati alle sue
offese, soprattutto quest’ultimo.
“Ti
va se andiamo a mangiare qualcosa? Sto morendo
di fame”, chiese Connie in tono vivace affiancandosi a John
che l’aspettava sul
marciapiede di fronte al Bart’s. La ragazza doveva fare
un’ecografia al bambino
e John aveva deciso di accompagnarla al posto di Sherlock visto che, il
detective, aveva detto di avere una cosa importante da fare. A Mycroft
non
aveva nemmeno osato chiederlo.
“D’accordo.
Ti va la cucina italiana?”
“Sì,
perché no?”
Camminando
con passo tranquillo, si diressero lungo
il marciapiede costeggiando l’ospedale e passando poi accanto
a un negozio di
antiquariato. Durante la passeggiata rimasero in silenzio, ognuno
immerso nei
propri pensieri, mentre Connie lanciava occhiate alle vetrine, ogni
tanto.
Quando
finalmente giunsero da Angelo, il dottore
aprì la porta alla ragazza trovando subito due posti
appartati per sedersi.
“John!
Lei è la tua nuova conquista?” esclamò
il
proprietario non appena lo vide, avvicinandosi al loro tavolo con il
blocco
delle prenotazioni.
John gli sorrise imbarazzato. “Veramente lei non è
la mia… ragazza. È la
sorella di Sherlock”.
Angelo
guardò la ragazza per qualche secondo, poi le
sorrise amabilmente. “Incantato di conoscerla,
Milady”, fece l’uomo con fare
teatrale. “Non sapevo che il signor Holmes avesse una
sorella. Soprattutto così
bella”.
Connie
ridacchiò divertita. “Lei è troppo
gentile. Se
continua così potrei cadere accidentalmente tra le sue
braccia”, disse con fare
civettuolo e uno sguardo malizioso.
“No,
meglio di no. Altrimenti poi chi lo sente quell’altro.
Che cosa prendete?”
I
due ospiti ordinarono il loro pranzo e poi si
rilassarono sulle proprie sedie. “E’ una bella
giornata oggi”, commentò John
guardando attraverso la vetrina. Non aveva voglia di passare altro
tempo in
silenzio, ma non sapeva nemmeno di cosa avrebbe potuto parlare. O
meglio, lo
sapeva ma non poteva introdurre quell’argomento come nulla
fosse.
“Sì,
ottima per fare una passeggiata”, confermò
Connie.
John
improvvisamente si voltò verso di lei e,
torturando un tovagliolo, le chiese. “Cosa hai intenzione di
fare adesso? Col bambino,
intendo?”
La
ragazza sembrò rimanere piuttosto sorpresa di
quella domanda, almeno per qualche momento. “Non…
non lo so. È mio figlio e non
voglio darlo via. Immagino che mi dovrò trovare un lavoro e
un posto dove
abitare. Non posso restare sempre da voi”.
“Per
me non c’è problema. E nemmeno per Sherlock. Solo
che il divano non è così comodo”.
“Sto
bene sul divano. Ma non voglio gravare te e mio
fratello della presenza di un bambino”.
John
abbassò lo sguardo sul proprio piatto vuoto,
pensieroso. Non gli dava fastidio che Connie vivesse con loro, gli
piaceva ed
era una brava persona. Solo che gli mancava un po’
quell’intimità che aveva con
Sherlock, quel loro confabulare insieme sui casi bevendo il
tè ognuno sulle
proprie poltrone. Adesso, invece, ogni volta che tornava a casa, doveva
aspettarsi di trovare una seconda persona che magari avrebbe preso il
suo
posto. E oltretutto gli pareva che Sherlock fosse diventato ancora
più
misterioso e cupo di quanto non lo fosse prima. La presenza della
sorella non
gli era del tutto indifferente.
“Comunque…”,
sospirò il dottore. “Se hai bisogno di
qualcosa, qualsiasi cosa, io ci sono. E anche Sherlock”.
“Lo
so”, gli sorrise Connie. “Lo so. Ma dimmi una
cosa”.
“Cosa?”
“Da
quanto tempo conosci mio fratello?”
“Da
circa quattro anni?”
“Ed
è sempre stato così?”
“Così
come?” Non capiva dove la ragazza volesse
andare a parare, ma intuiva che voleva chiedergli qualcosa di serio.
“Be’,
così come è”.
John
parve pensarci un attimo. “Direi di sì. Sherlock
è sempre stato Sherlock. Un sociopatico
iperattivo”.
Sul
viso di Connie passò una smorfia fugace. “No,
non è così. Sta dando un’idea sbagliata
di sé”.
L’uomo
aggrottò le sopracciglia confuso. “E
com’era
da giovane?”
“Era…”,
di nuovo un velo di malinconia coprì gli
occhi della ragazza. “Era il ragazzo più fragile
che avessi conosciuto,
sensibile, un po’ arrogante, ma… speciale.
Sì, Sherlock è sempre stato speciale
e chissà perché tutti sembravano averne
paura”.
Forse
un giorno avrebbe convinto Connie a
raccontargli tutta la storia o forse l’avrebbe fatto Sherlock
stesso. Stava di
fatto che ne sarebbe venuto a conoscenza perché sapeva che
nella giovinezza del
detective c’era qualcosa… qualcosa di
fondamentale, qualcosa che aveva cambiato
tutto.
“E
dimmi un’altra cosa, John”.
“Cosa?”
“Sei
innamorato di mio
fratello?”
MILLY’S
SPACE
Hola
a todos : ) confesso che non sono molto soddisfatta
di questo capitolo, ma non volevo farvi attendere troppo e oltretutto
credo di
non avere modi migliori per scriverlo. In ogni caso, me lo direte voi.
Ho in
mente un sacco di idee, ma devo trovare la maniera adatta per metterle
insieme
e, soprattutto, mi devo ricordare di non affrettare le cose ^^ almeno
tra John
e Sherlock.
Spero
mi lascerete qualche recensione, per me sono molto
importanti.
Un
bacione,
M.
MONKEY_D_ALYCE:
ehi, mi fa piacere che lo scorso capitolo ti sia piaciuto : ) cosa mi
dici di
questo. Comunque sì, Connie è incinta ed il primo
che l’ha saputo è stato
Lestrade. Vorrà dire qualcosa? Mah ^^ e Sherlock
è più tenero di quello che si
pensa xD
Un bacione, Milly.