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Autore: millyray    02/03/2014    1 recensioni
Connie torna a Londra dopo tanti anni e con sé porta dietro tanti ricordi spiacevoli, tante esperienze terrificanti che non sono mai state dimenticate, tanti sentimenti negativi, risvegliando un lato nella personalità di Sherlock che i suoi amici più intimi non hanno mai conosciuto.
Ma non solo questo... Connie è una ragazza speciale, sa il fatto suo, sa osservare ma soprattutto sa vedere quello che non c'è in superficie. Perché lei, a differenza di qualcun altro che ben conosce, è in grado di vedere col cuore.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: John Watson, Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO SETTE

Quando John Watson rientrò nel 221B quella sera trovò Sherlock e Connie seduti sul divano, al buio, di fronte alla tv che discutevano su un programma che stavano trasmettendo sulla BBC.

“Secondo me è stata la moglie”, disse la ragazza in tono deciso.

“No”, la contraddisse Sherlock.

“No?”

“No. È troppo banale e poi il vicino di casa ha tutti i motivi per ucciderlo”.

“Oh, fratellino quanto sei ingenuo! Questi stupidi programmi televisivi sono il massimo della banalità”.

Il dottore, passando in cucina, lanciò un’occhiata al televisore e vide che stavano guardando quel nuovo programma che avevano iniziato a trasmettere da poco in cui veniva inscenato un omicidio con diversi indagati e il pubblico da casa doveva cercare di capire chi era stato. Una cosa divertente, Sherlock aveva passato diverse serate guardandolo.

“John, facci il tè”, urlò Sherlock senza togliere gli occhi dallo schermo. L’uomo era convinto che  non si fossero nemmeno accorti del suo arrivo, tuttavia non era così e in un certo senso gli fece piacere che Sherlock se ne fosse accorto, anche se la sua mente era concentrata su altro. Così si mise a fargli il tè esattamente come piaceva a lui, con due zollette di zucchero e un po’ di latte.
Quando lo ebbe servito sia a lui che a Connie, il detective gli indicò il posto accanto a lui sul divano e gli disse di sedersi.
John si accomodò e soffiò sulla propria tazza di tè caldo, poi rimase a guardare il profilo di Sherlock. Era seduto come sedeva al solito, ma meno composto e più rilassato e aveva una spalla appoggiata a quella della sorella, il che era strano perché di solito evitava contatti con le persone, a meno che non fosse necessario.

Rimasero a guardare il programma finché non fu conculso, scoprendo alla fine che Sherlock aveva avuto ragione, ma John non si concentrò molto sulla televisione. Era più preso dal detective e ogni tanto aveva avuto la tentazione di poggiargli una mano sulla gamba o di abbandonare la testa sulla sua spalla, ma aveva sempre resistito.
Almeno finché non lo trovò addormentato col capo poggiato sullo schienale. Connie aveva acceso la luce ed era andata a lavarsi i denti in bagno. John era rimasto ad osservare il coinquilino per un po’, beandosi dell’espressione che aveva mentre dormiva. Quella era la prima volta che lo vedeva dormire e doveva ammettere che era una visione che non si sarebbe mai scordato. E anzi, prese il cellulare dalla tasca e gli scattò una foto. Poi si sedette sul bordo accanto a lui e gli accarezzò i riccioli molto delicatamente perché non si svegliasse. Tuttavia Sherlock aveva un sonno leggerissimo e subito cominciò a muoversi.

John spostò velocemente la mano e lo osservò stiracchiarsi. Sherlock sbatté un paio di volte le palpebre e rimase a guardare l’altro con occhi assonnati. Era la scena più tenera che il dottore avesse mai visto e cercò di memorizzarla in ogni più piccolo dettaglio perché sicuramente non gli sarebbe più ricapitato.

“Mi sono addormentato?” chiese il consulente con voce impastata.

“Sì”.

“Oh”.

“Perché non vai a dormire?”

“Sì, lo farò”. Sherlock si alzò lentamente e con passo strascicato arrivò fino alla soglia del salotto. Poi si girò di nuovo verso John e, col capo inclinato da un lato, gli chiese: “Vieni a rimboccarmi le coperte?” sparendo prima che l’altro potesse dire qualcosa. John rimase a guardare il punto da cui l’altro era sparito pensando che sì, gli avrebbe rimboccato le coperte e anzi, se gliel’avesse chiesto avrebbe anche dormito accanto a lui tenendolo stretto tra le braccia.

 

La sera dopo, visto che era sabato, Connie, John, Lestrade, Anderson, Sally e Molly si erano ritrovati in un pub a bere e a chiacchierare del più e del meno. Erano seduti attorno a un tavolino dove la musica arrivava leggermente più attutita mentre tutte le altre persone attorno a loro erano impegnate a ballare.

“Dai, raccontaci qualcosa su Sherlock”, esclamò ad un certo punto Sally guardando in direzione di Connie. E subito gli altri ammutolirono, l’attenzione tutta rivolta a lei.

“Non mi piace raccontare i fatti di mio fratello”, disse lei però, lasciandoli tutti un po’ delusi. “E poi lui è sempre molto riservato”.

“Questo sì, ma com’era da bambino?” chiese Lestrade finendo la sua birra.

“Be’…”, iniziò la ragazza esitando. “Era un bambino un po’ complicato”.

“Perché? Adesso non lo è?” scherzò Anderson ma nessuno rise e, anzi, Connie gli lanciò un’occhiata storta.

“Avevamo un bel rapporto io e lui. Ci capivamo, ci confidavamo…”, lo sguardo della ragazza si perse a fissare una macchia sul tavolo e un improvviso velo di malinconia sembrava esserle sceso davanti. “Era… bello. I nostri genitori non erano molto presenti così dovevamo contare l’uno sull’altro”.

“E Mycroft?” chiese John, ora molto curioso di sapere com’era l’infanzia del suo migliore amico.

“Mycroft era… era il classico figlio prediletto, quello che faceva sempre le cose come dovevano essere fatte e che non sbagliava mai niente. Era duro, serio, distaccato”. 

“Oh”.

“La nostra infanzia non è stata molto bella e l’adolescenza ancora meno. Almeno per me e Sherlock”.

“Mi… mi dispiace”, sussurrò Molly facendosi udire appena. Ma Connie riuscì a sentirla bene lo stesso e le sorrise dolcemente. “Non importa. Ora non è più così. Ora siamo entrambi felici e abbiamo tutto ciò che ci serve”.

La ragazza cercò di smorzare la tensione che si era venuta a creare ma gli altri difficilmente si sarebbero dimenticati di queste parole. Forse per questo Sherlock era così com’era, complicato, indifferente e sociopatico.
E John avrebbe voluto saperne di più.

“Molly?” chiamò ad un tratto Connie. “Ti va di venire a ballare?” La ragazza accettò volentieri e si diresse con la mora verso la pista da ballo.

“Sally, andiamo anche noi?” chiese Anderson porgendo una mano alla ragazza seduta accanto a lui. “D’accordo”.

John e Greg si ritrovarono soli seduti al tavolo, il silenzio sceso di colpo. “Per quanto io possa conoscerlo, Sherlock per me rimarrà sempre un mistero”.

“Già”.

In quel momento videro sbucare la chioma riccioluta e il lungo cappotto di Sherlock che si sedette accanto a loro sulla sedia lasciata libera da Molly.

“Sherlock!” esclamò John sorpreso. “Che ci fai qui?”

“Dove sono i tizi mascherati che hanno sbarrato il locale minacciando di uccidere tutti?” chiese il detective guardandosi attorno con fare schifato.

“Quali tizi?”

“Di che stai parlando?”

Sherlock aprì la bocca come per dire qualcosa ma rimase semplicemente a boccheggiare come un pesce fuor d’acqua. Connie gli aveva mandato un messaggio dicendogli che il locale era stato preso d’assalto da dei pazzi assassini e lui si era precipitato lì. Ma a quanto pareva era solo una scusa per farlo venire in quel posto puzzolente e pieno di persone. E infatti, ballando insieme a Molly tra la moltitudine di persone, la sorella lo guardava con un sorrisetto beffardo salutandolo con la mano.

“Non importa”, concluse il moro allungando la mano verso la birra di John e trangugiando l’ultimo sorso senza neanche chiedergli il permesso. “Avete trovato chi ha ucciso quel ragazzo?” chiese rivolto a Lestrade.

“Ci stiamo lavorando. Sotto le unghie della vittima ci sono delle tracce di pelle che forse appartengono all’assassino. Molly le deve analizzare e poi lo scopriremo”.

“L’ho sempre detto che voi siete lenti a fare il vostro lavoro e che perdete un sacco di tempo”, commentò Sherlock in tono impassibile. Ma né John né Greg lo rimbeccarono, ormai abituati alle sue offese, soprattutto quest’ultimo.

 

“Ti va se andiamo a mangiare qualcosa? Sto morendo di fame”, chiese Connie in tono vivace affiancandosi a John che l’aspettava sul marciapiede di fronte al Bart’s. La ragazza doveva fare un’ecografia al bambino e John aveva deciso di accompagnarla al posto di Sherlock visto che, il detective, aveva detto di avere una cosa importante da fare. A Mycroft non aveva nemmeno osato chiederlo.

“D’accordo. Ti va la cucina italiana?”

“Sì, perché no?”

Camminando con passo tranquillo, si diressero lungo il marciapiede costeggiando l’ospedale e passando poi accanto a un negozio di antiquariato. Durante la passeggiata rimasero in silenzio, ognuno immerso nei propri pensieri, mentre Connie lanciava occhiate alle vetrine, ogni tanto.

Quando finalmente giunsero da Angelo, il dottore aprì la porta alla ragazza trovando subito due posti appartati per sedersi.

“John! Lei è la tua nuova conquista?” esclamò il proprietario non appena lo vide, avvicinandosi al loro tavolo con il blocco delle prenotazioni.
John gli sorrise imbarazzato. “Veramente lei non è la mia… ragazza. È la sorella di Sherlock”.

Angelo guardò la ragazza per qualche secondo, poi le sorrise amabilmente. “Incantato di conoscerla, Milady”, fece l’uomo con fare teatrale. “Non sapevo che il signor Holmes avesse una sorella. Soprattutto così bella”.

Connie ridacchiò divertita. “Lei è troppo gentile. Se continua così potrei cadere accidentalmente tra le sue braccia”, disse con fare civettuolo e uno sguardo malizioso.

“No, meglio di no. Altrimenti poi chi lo sente quell’altro. Che cosa prendete?”

I due ospiti ordinarono il loro pranzo e poi si rilassarono sulle proprie sedie. “E’ una bella giornata oggi”, commentò John guardando attraverso la vetrina. Non aveva voglia di passare altro tempo in silenzio, ma non sapeva nemmeno di cosa avrebbe potuto parlare. O meglio, lo sapeva ma non poteva introdurre quell’argomento come nulla fosse.

“Sì, ottima per fare una passeggiata”, confermò Connie.

John improvvisamente si voltò verso di lei e, torturando un tovagliolo, le chiese. “Cosa hai intenzione di fare adesso? Col bambino, intendo?”

La ragazza sembrò rimanere piuttosto sorpresa di quella domanda, almeno per qualche momento. “Non… non lo so. È mio figlio e non voglio darlo via. Immagino che mi dovrò trovare un lavoro e un posto dove abitare. Non posso restare sempre da voi”.

“Per me non c’è problema. E nemmeno per Sherlock. Solo che il divano non è così comodo”.

“Sto bene sul divano. Ma non voglio gravare te e mio fratello della presenza di un bambino”.

John abbassò lo sguardo sul proprio piatto vuoto, pensieroso. Non gli dava fastidio che Connie vivesse con loro, gli piaceva ed era una brava persona. Solo che gli mancava un po’ quell’intimità che aveva con Sherlock, quel loro confabulare insieme sui casi bevendo il tè ognuno sulle proprie poltrone. Adesso, invece, ogni volta che tornava a casa, doveva aspettarsi di trovare una seconda persona che magari avrebbe preso il suo posto. E oltretutto gli pareva che Sherlock fosse diventato ancora più misterioso e cupo di quanto non lo fosse prima. La presenza della sorella non gli era del tutto indifferente.

“Comunque…”, sospirò il dottore. “Se hai bisogno di qualcosa, qualsiasi cosa, io ci sono. E anche Sherlock”.

“Lo so”, gli sorrise Connie. “Lo so. Ma dimmi una cosa”.

“Cosa?”

“Da quanto tempo conosci mio fratello?”

“Da circa quattro anni?”

“Ed è sempre stato così?”

“Così come?” Non capiva dove la ragazza volesse andare a parare, ma intuiva che voleva chiedergli qualcosa di serio.

“Be’, così come è”.

John parve pensarci un attimo. “Direi di sì. Sherlock è sempre stato Sherlock. Un sociopatico iperattivo”.

Sul viso di Connie passò una smorfia fugace. “No, non è così. Sta dando un’idea sbagliata di sé”.

L’uomo aggrottò le sopracciglia confuso. “E com’era da giovane?”

“Era…”, di nuovo un velo di malinconia coprì gli occhi della ragazza. “Era il ragazzo più fragile che avessi conosciuto, sensibile, un po’ arrogante, ma… speciale. Sì, Sherlock è sempre stato speciale e chissà perché tutti sembravano averne paura”.

Forse un giorno avrebbe convinto Connie a raccontargli tutta la storia o forse l’avrebbe fatto Sherlock stesso. Stava di fatto che ne sarebbe venuto a conoscenza perché sapeva che nella giovinezza del detective c’era qualcosa… qualcosa di fondamentale, qualcosa che aveva cambiato tutto.

“E dimmi un’altra cosa, John”.

“Cosa?”

“Sei innamorato di mio fratello?”

 

 

MILLY’S SPACE

Hola a todos : ) confesso che non sono molto soddisfatta di questo capitolo, ma non volevo farvi attendere troppo e oltretutto credo di non avere modi migliori per scriverlo. In ogni caso, me lo direte voi. Ho in mente un sacco di idee, ma devo trovare la maniera adatta per metterle insieme e, soprattutto, mi devo ricordare di non affrettare le cose ^^ almeno tra John e Sherlock.

Spero mi lascerete qualche recensione, per me sono molto importanti.

Un bacione,
M.

MONKEY_D_ALYCE: ehi, mi fa piacere che lo scorso capitolo ti sia piaciuto : ) cosa mi dici di questo. Comunque sì, Connie è incinta ed il primo che l’ha saputo è stato Lestrade. Vorrà dire qualcosa? Mah ^^ e Sherlock è più tenero di quello che si pensa xD
Un bacione, Milly.

  
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