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Autore: LindaBaggins    07/03/2014    3 recensioni
Nel passato di Thorin Scudodiquercia non ci sono solo un regno e un tesoro perduti. Nel passato di Thorin Scudodiquercia c'è anche una ragazza, che gli era stata promessa in sposa e da cui la caduta di Erebor l'ha separato. Molti anni dopo, però, il passato tornerà a trovarlo, portandosi dietro complicazioni e vecchi segreti che il tempo non è riuscito a cancellare.
STORIA MOMENTANEAMENTE SOSPESA
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Thorin Scudodiquercia
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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8. BUCHI NELL’ACQUA

La biblioteca di Erebor era assai più grande di quanto Elinor avesse mai immaginato.
Si trovava ai livelli più bassi del palazzo reale, sepolta sotto innumerevoli strati di terra e di pietra, raggiungibile soltanto attraverso una lunga e stretta scalinata tutta curve e consumata dal tempo, per scendere la quale – secondo gli approssimativi calcoli di Elinor – occorrevano almeno dieci minuti.
Una volta portata a termine la discesa nelle viscere della terra, il visitatore che avesse avuto la pazienza di cimentarsi in quel lungo percorso si ritrovava in un’ampia sala dal basso soffitto a volta sostenuto da un’enorme colonna centrale, talmente massiccia che quattro uomini disposti in cerchio a braccia aperte non sarebbero riusciti a cingerla del tutto. Qui, in un profondo silenzio rotto soltanto dal fruscìo della pergamena e dallo scricchiolio delle penne che correvano veloci da un lato all’altro dei fogli, sedevano su banchi di legno inclinati almeno una ventina di nani intenti a ricopiare diligentemente i volumi più preziosi.
Da questa prima sala era possibile passare in altre stanze – tutte uguali, e comunicanti l’una con l’altra attraverso ampie arcate – nelle quali, in profonde nicchie scavate nei massicci muri di pietra, erano allineati centinaia e centinaia di libri antichi, polverosi e consumati dal tempo, rilegati in spesso cuoio dagli angoli consunti. Al centro di ogni stanza, lunghi tavoli di solido legno di quercia provvedevano ad offrire un appoggio a chiunque desiderasse consultare i pesanti volumi, molti dei quali sollevabili a stento da una sola persona.
Ed era a uno di questi tavoli che Elinor, in compagnia di un grosso libro intitolato Annali del regno di Erebor, aveva scelto di sedersi.
“Fa troppo freddo” pensò, mentre un brivido le attraversava la schiena e le mani andavano a sfregare energicamente le braccia per scaldarle. Doveva trovarsi centinaia e centinaia di metri sottoterra, rifletté dandosi della stupida; l’abito di lino leggero che aveva scelto quella mattina dal baule non si era rivelato granché adatto ad affrontare le temperature dei sotterranei del palazzo, e i bracieri che crepitavano placidamente in ognuna delle stanze della biblioteca erano appena sufficienti a far sì che, quando respirava, il suo fiato non si condensasse in una nuvoletta.
Avrei dovuto portarmi un mantello.
Avrebbe dovuto, senza dubbio. Ma ormai era troppo tardi per pensarci.
Quando, quella mattina, aveva preso la decisione di recarsi per la prima volta nella biblioteca di Erebor, non ci aveva riflettuto molto sopra: aveva semplicemente chiesto indicazioni sul percorso da seguire, aveva sceso più in fretta possibile l’interminabile scalinata che portava ai sotterranei, e aveva iniziato a cercare febbrilmente tra gli scaffali scavati nella pietra. Che cosa cercasse, non lo sapeva bene nemmeno lei. Sapeva soltanto che aveva agito spinta dalla disperazione.
Da quando era venuta a conoscenza del fatto che Thorin non sapeva la parola magica per accedere all’Archepietra – e che ne sarebbe stato all’oscuro ancora per un tempo indefinito – la sua vita ad Erebor si era trasformata in un orrendo limbo tra il desiderio bruciante di agire e la paralizzante consapevolezza di non poterlo fare finché non avesse scoperto qualcosa in più sulle intenzioni di Thròr. Tentare altre vie per raggiungere il proprio scopo sarebbe stato – nel migliore dei casi – fallimentare, se non addirittura rischioso: se Thròr non si fidava a rivelare il segreto nemmeno a suo nipote, sarebbe stato impensabile credere che Dìs o Balin (la cui fiducia di certo non mancava ad Elinor, e che la ragazza avrebbe potuto facilmente sfruttare) ne sapessero qualcosa; e provare con lo stesso re o con Thràin, adesso che la conversazione avuta nella Sala del Consiglio aveva risvegliato la loro attenzione in proposito, sarebbe equivalsa ad una confessione esplicita delle proprie intenzioni …
No. Alla fine dei conti, Thorin rimaneva la carta migliore a sua disposizione, la via di gran lunga più sicura sia per la buona riuscita del piano sia per tentare di rimanere viva.
Purtroppo, in quei due lunghi giorni che erano trascorsi da quando aveva ascoltato la conversazione tra Thràin e Thròr, non aveva avuto nessuna occasione di trovarsi da sola con lui come era successo la sera del banchetto, perciò le era stato impossibile indagare in merito a quale decisione il re avesse preso nei confronti del nipote.
«Sono mortificato di non poter trascorrere più tempo con voi» le aveva detto Thorin in tono sinceramente dispiaciuto quando, il giorno prima, si erano incontrati per caso in un corridoio del palazzo, lei diretta verso la sala da pranzo e lui verso le fucine. «Come vedete, il lavoro e le responsabilità di governo mi lasciano a malapena il tempo di sedermi per consumare un pasto come si deve … spero che capirete.»
Elinor, facendo del suo meglio per nascondere l’agitazione che le serrava la gola, aveva risposto con il più comprensivo dei sorrisi che non doveva assolutamente preoccuparsi per lei e che, in futuro, di certo non sarebbe mancato il tempo da passare insieme. Ma quando Thorin, dopo averla salutata con un cenno del capo una calda espressione di gratitudine negli occhi chiari, si era allontanato lungo il corridoio, il panico aveva rischiato di sopraffarla. Aveva avuto bisogno di ogni più piccolo brandello del suo autocontrollo per impedirsi di cadere preda di un crollo nervoso, mentre cercava con tutte le sue forze di scacciare dalla mente l’orribile scena che le si stava materializzando davanti: suo padre o Uren – o, peggio ancora, entrambi – che arrivavano per la solita visita a chiederle se ci fossero novità, e lei che, gli occhi rivolti a terra, rispondeva con un filo di voce che no, non ce n’erano; che tutto era ancora fermo ad un punto morto, e che non aveva la minima idea di quando quello stallo si sarebbe risolto; la speranza degli occhi di suo padre che si spegneva nella delusione, il sadico trionfo nello sguardo di Uren … Elinor era certa che non sarebbe riuscita a sopportare niente di tutto ciò.
Si era aggirata per il palazzo come una bestia in gabbia per tutto il resto della giornata, pensando disperatamente a cosa poteva fare per tirarsi fuori da quell’esasperante situazione e dandosi ogni volta la stessa, desolante risposta: niente. La verità, anche se la parte di lei più caparbia e ostinata si rifiutava di ammetterlo, era che, finché non fosse riuscita a rimanere da sola con Thorin e a parlargli, sarebbe stata del tutto impotente. Era un pensiero, questo, che la faceva impazzire. Così il giorno dopo, più per placare la sua frustrazione che nelle speranza di trovare veramente qualcosa di utile, non aveva trovato niente di meglio da fare che andare in biblioteca e rimanere per l’intera mattinata a sfogliare febbrilmente un volume polveroso dopo l’altro.
Strizzò gli occhi alla tremula luce della candela ormai quasi del tutto consumata che ondeggiava placidamente accanto alla sua mano destra, mentre il suo sguardo distratto ritornava - per quella che doveva essere la decima volta in cinque minuti - sulla stessa riga, fitta di rune vergate con calligrafia stretta e precisa. La sua accettabile conoscenza del nanico antico, che in principio aveva attirato il suo sguardo sulla parola “prezioso”, le permise di rendersi conto che il passaggio, in realtà, era per lei di scarso interesse: sapere che le patate erano da millenni un alimento prezioso nella dieta dei nani non l’avrebbe certo aiutata ad arrivare più vicina all’Archepietra, a meno di non voler scagliare chili di tuberi in testa a uno dei membri della famiglia reale nella speranza che si decidesse a rivelarle la parola magica.
Voltò pagina con un gesto di stizza, resistendo come meglio poteva alla tentazione di scaraventare Annali del Regno di Erebor contro la parete. La sensazione di stare ingaggiando una disperata – e soprattutto vana – lotta contro il tempo non ne voleva sapere di abbandonarla, ed Elinor era perfettamente consapevole che il motivo della sua ansia non era dovuto soltanto all’imminente visita di Uren e di suo padre …
«Prima che tu te ne vada, Elinor, vorrei darti un importante annuncio» le aveva detto due giorni prima Thràin nella Sala del Consiglio. La ragazza era sul punto di congedarsi dopo aver risposto con un modesto sorriso e poche parole imbarazzate ai commossi ringraziamenti del principe e a quelli ruvidi e assenti del re, ma le inaspettate parole di Thràin l’avevano trattenuta prima ancora che potesse voltarsi verso la porta. «Questa mattina, dopo esserci consultati,» aveva continuato il nano con la voce piena di evidente compiacimento «io e Sua Maestà abbiamo convenuto che, visto il buon andamento delle trattative con gli Elfi, i tempi sono maturi per ufficializzare la tua unione con Thorin: per questo abbiamo stabilito la data per la festa di fidanzamento.»
Elinor gli aveva rivolto uno sguardo a dir poco disorientato. «La … la festa di fidanzamento?»
«Precisamente. Tuo padre te ne avrà parlato, presumo … I matrimoni nanici sono sempre preceduti da una serata di cibo, canti e danze in cui la futura unione dei promessi sposi viene festeggiata dalle rispettive famiglie.»
Ad Elinor era parso che qualcuno le avesse appena sferrato un violento pugno all’altezza dello stomaco. Solo con estrema difficoltà era riuscita a trovare la voce per rispondere, in un confuso balbettio: «No … no, a dire la verità non ero a conoscenza di … di questa usanza.»
«Naturalmente, tuo padre avrà la possibilità di invitare chiunque riterrà più opportuno» aveva continuato Thràin, senza dare segno di accorgersi del violento turbamento che si era impossessato di lei. «E da parte nostra, se re Thranduil vorrà concederci l’onore, saremmo felici di ospitare alcuni rappresentanti della famiglia reale di BoscoVerde. Ci teniamo molto a dimostrare le nostre buone intenzioni nei loro confronti … non è così, Vostra Maestà?»
Un burbero “ovviamente” da parte di Thròr – che fino a quel momento era rimasto in perfetto silenzio con le braccia possenti incrociate sul petto, apparentemente perso in pensieri di tutt’altra natura – era stato tutto ciò che il principe aveva ottenuto in risposta.
Elinor, da parte sua, era rimasta per diversi secondi completamente incapace di sollevare la minima obiezione, mentre il suo sguardo rimbalzava impotente tra i due nani. Alla fine era riuscita a recuperare sufficiente presenza di spirito da chiedere a Thràin quale fosse la data che avevano stabilito per la festa, ma la risposta del principe non aveva fatto altro che aumentare ulteriormente il nodo che le serrava la gola.
«Fra cinque giorni» le aveva comunicato infatti il nano in tono allegro. «Proprio in coincidenza con il primo giorno d’estate. E a proposito di questo, vorrei aggiungere che, se è tuo desiderio farti confezionare un nuovo abito per l’occasione, non dovrai far altro che recarti dalle nostre sarte qui ad Erebor, che saranno felici di soddisfare qualunque tuo desiderio!»
Elinor ricordava soltanto di aver annuito, mormorando dei confusi ringraziamenti, e di aver colto di buon grado il pretesto di recarsi subito alla sartoria del palazzo per congedarsi al più presto dalla Sala del Consiglio. Era assolutamente certa di non riuscire a rimanere in quella stanza un momento di più: le mancava l’aria, e le parole che uscivano dalle labbra di Thràin le giungevano sempre più come un rumore vago, indistinto e privo di significato.
In sartoria c’era andata davvero, alla fine, e il lungo percorso nei freschi corridoi del palazzo era stato un buon modo per riprendersi e scaricare la tensione accumulata in quei lunghi minuti. Anche scegliere la stoffa per il vestito e rimanere immobile a braccia aperte per farsi prendere le misure dalle sarte era stato in qualche modo piacevole, e l’aveva distratta, almeno per un po’, dalla sgradevole sensazione di soffocamento che la notizia della festa di fidanzamento le aveva provocato.
 “Nell’anno 2054 della Terza Era della Terra di Mezzo non si riportano eventi significativi …”
Elinor si sfregò stancamente gli occhi con le dita gelate, mentre le rune  – dal significato di nuovo totalmente inutile ai fini della sua ricerca – iniziavano a danzarle davanti agli occhi confondendosi in macchie indistinte.
Quanto aveva dormito, quella notte? Tre ore? Forse quattro, a voler essere generosi. In ogni caso, non abbastanza da poter affrontare un’intera mattinata sui libri con la dovuta concentrazione. Sentiva il sangue pulsarle fastidiosamente contro le tempie, e un’orrenda sensazione di compressione all’interno del cranio le faceva temere che, da un momento all’altro, il cervello le sarebbe esploso per la troppa attività delle ultime quarantott’ore.
Inspirò ed espirò lentamente, cercando di calmarsi e di scacciare dalla mente gli stralci dell’ultima conversazione avuta con Thràin. Il fatto che tra pochi giorni ci sarebbe stata una festa di fidanzamento non significava niente. Non cambiava assolutamente niente. L’aveva sentito dalle labbra del principe, e lei stessa, poco prima, se ne era accertata andando a documentarsi su svariati libri: l’evento in questione aveva il semplice scopo di festeggiare l’imminente unione dei due promessi sposi insieme alle famiglie e alle persone a loro più vicine – al contrario del matrimonio vero e proprio, ai cui festeggiamenti era invitata a partecipare l’intera popolazione – e non prevedeva rituali o cerimonie di alcun genere. Una volta conclusa la serata, si sarebbe ritrovata nella stessa identica situazione in cui si trovava adesso, senza aver ancora contratto nei confronti di Thorin alcun tipo di obbligo o promessa. Sarebbe stata ancora libera. Libera di continuare a perseguire i suoi scopi, libera di mandare a monte quella falsa promessa di matrimonio quando fosse stato il momento e l’Archepietra si fosse trovata tra le sue mani.
E allora perché, nel nome di tutti i Valar, si sentiva con le spalle al muro come se quella data segnasse un punto di non ritorno? Come se dovesse fare di tutto per concludere il suo compito prima che quel giorno arrivasse?  A cosa era dovuta quell’ansia che la stava portando pericolosamente vicina ad un crollo emotivo? Elinor si abbandonò contro lo schienale e fissò la parete piena di libri di fronte a lei con sguardo vuoto ma pieno di nuova determinazione, imponendosi un ritmo respiratorio lento e regolare. Non poteva permettersi di perdere la lucidità proprio adesso. Le cose si stavano senza dubbio complicando, ma era proprio per questo che le occorreva ogni più piccola briciola della sua razionalità. Perdere il controllo di sé e farsi trascinare dalle emozioni non avrebbe certo migliorato la sua situazione.
Se non puoi sistemare le cose, Elinor, cerca almeno di non farle peggiorare.
Tanto per cominciare, decise, rimanere sepolta in quel sotterraneo buio, freddo e umido, cercando nemmeno lei sapeva che cosa e alimentando in tal modo la sua frustrazione e la sua paranoia, non le sarebbe stato di nessun aiuto. Doveva uscire di lì, respirare aria fresca, distrarsi e lasciar perdere quelle sterili elucubrazioni almeno per un po’. Avrebbe potuto ritornarci sopra più tardi, a mente fredda. Per adesso, tutto quello che le serviva era qualche ora di allenamento con arco e frecce, per sgombrare la mente e ritrovare un po’ di tranquillità.
Leggermente rinfrancata da questa gradevole prospettiva, Elinor fece per chiudere con decisione il grosso libro, ma proprio mentre afferrava con decisione il bordo della spessa copertina polverosa lo sguardo le cadde su un gruppo di rune in fondo alla pagina. Il suo cuore ebbe un balzo quando, tra le righe vergate con calligrafia stretta e regolare, riuscì a distinguere chiaramente le parole “gioiello del re”.
Con eccitazione carica di aspettativa si accinse a tradurre il contenuto della frase, completamente dimentica del suo proposito di andare ad allenarsi al tiro con l’arco.
L’anno 1999 della Terza Era della Terra di Mezzo vide il ritrovamento di quella che nella lingua corrente è conosciuta come Archepietra, e che il popolo di Durin chiama gioiello del re o cuore della montagnariuscì a tradurre dopo lunghi minuti, dando fondo a tutte le sue abilità. “Essa venne alla luce nelle oscure profondità delle miniere di Erebor e fu inviata dai Valar a re Thràin I e ai suoi discendenti, affinché la natura divina del loro diritto a regnare e la loro autorità suprema sui Sette Eserciti dei regni dei Nani non potessero essere messe in discussione da alcuno.
Il paragrafo dall’asciutto tono cronachistico riguardante l’Archepietra terminava lì, e il testo continuava al capoverso successivo trattando di un avvenimento completamente diverso.
La delusione fece trarre ad Elinor un profondo sospiro di abbattimento, ma la ragazza comprendeva benissimo che le sue speranze erano forse state gonfiate eccessivamente dalla disperazione. In fondo, che cosa si era aspettata? Di trovare la parola magica in bella mostra in una di quelle pagine, magari accompagnata da indicazioni dettagliate su come raggiungere la Camera del Tesoro e una cordiale esortazione, per chiunque lo desiderasse, ad appropriarsi in tutta tranquillità della gemma? Aveva saputo fin dall’inizio che le sue ricerche si sarebbero probabilmente risolte con un buco nell’acqua …
Stava di nuovo per chiudere il libro, ormai rassegnata all’amarezza della sconfitta, quando l’eco di alcune voci la raggiunse, catturando la sua attenzione. Inizialmente non riuscì a capire né a chi appartenessero né di cosa stessero parlando: i loro proprietari sembravano aver appena fatto il loro ingresso nella sala iniziale della biblioteca, e la distanza, nonché l’eco che rimbombava contro il soffitto a volta, rendevano del tutto incomprensibili le loro parole. Poi, mano a mano che i nuovi arrivati attraversavano le sale, avvicinandosi sempre di più, i loro discorsi iniziarono ad acquistare forma e significato.
«Non voglio illudermi» stava dicendo la voce più grave a profonda delle due. «E non voglio che mi nascondiate nulla. Sospetto da tempo quanto la situazione sia seria.»
Lo stomaco di Elinor fu colto da un improvviso – ma tutt’altro che spiacevole - spasimo di sorpresa, quando la ragazza realizzò che il proprietario della voce altri non era che Thorin.
La persona che lo accompagnava, nel frattempo, aveva fatto seguire la parole del giovane principe da un lungo sospiro carico di significato. «Temo che siate tra i pochi, allora, ad esservene accorto» rispose, la voce intrisa di una profonda amarezza. «Vostro padre, a quanto pare, non è dello stesso avviso.»
Un grugnito da parte di Thorin fece capire ad Elinor che il nano non si aspettava niente di meno. «Mio padre si rifiuta di vedere la realtà, il che è molto diverso» rispose infatti in tono cupo. «Le condizioni di mio nonno sono talmente evidenti, ormai, che nemmeno il più ingenuo dei bambini potrebbe ingannarsi al riguardo.»
L’altra voce – una voce che ad Elinor suonava sempre più familiare, anche se in quel momento non le avrebbe saputo attribuire un proprietario – tacque per diversi secondi, come soppesando attentamente le parole da usare. «Non posso negare di condividere la vostra preoccupazione» disse infine. «Negare l’esistenza di una malattia non è mai un buon modo per far sì che essa sparisca. Mi stupisco ancora di essere riuscito a convincere Sua Maestà a sottoporsi a delle visite più o meno regolari: è un vero osso duro, non c’è che dire.»
Thorin sbuffò. «Mio nonno continua a credere che voi lo stiate tenendo sotto controllo per via di una forma acuta di irritabilità nervosa … il che, in un certo senso, è la verità» rispose in tono di amara ironia. «E, ditemi … come vi è sembrato questa mattina? Io non sono ancora riuscito a vederlo.»
Le voci, d’un tratto, avevano smesso di avvicinarsi. Elinor capì che la serietà della conversazione doveva averli spinti a fermarsi in una delle sale, come se entrambi fossero consapevoli che ciò che sarebbe seguito avrebbe richiesto un’attenzione e una fermezza particolari. Elinor avvertì una vaga sensazione di senso di colpa fare capolino nella sua coscienza: era la seconda volta in pochi giorni che si ritrovava ad ascoltare conversazioni private, ma per qualche ragione il fatto che questa volta la cosa riguardasse Thorin la faceva sentire maggiormente a disagio …
«Ebbene,» riprese la seconda voce, dopo secondi di silenzio che parvero interminabili «non vi nasconderò di aver trovato vostro nonno assai peggiorato rispetto all’ultima volta. In effetti, al contrario di quanto mi aspettassi, la malattia sembra essere progredita in modo eccezionalmente rapido, e i sintomi fisici sembrano essersi fatti sempre più evidenti. C’è stata una perdita di peso consistente, gli occhi cerchiati e arrossati indicano una forte mancanza di sonno, e i momenti di perdita di lucidità in cui inizia a parlare da solo si fanno sempre più frequenti. Non escludo che, nei momenti in cui riesce ad addormentarsi, possano verificarsi episodi di sonnambulismo, o che possa iniziare a parlare nel sonno … » esitò per un attimo. «Vostra Altezza, dato che mi avete chiesto di parlare con franchezza, vi dirò ciò che penso: credo che le condizioni di re Thròr abbiano poche speranze di miglioramento, e che, anzi, dobbiate aspettarvi un sempre più rapido declino della sua mente.»
Da parte di Thorin, per molti secondi, non ci fu altro che un pesante e drammatico silenzio. Era evidente che si aspettava qualcosa del genere, e che quelle parole non l’avevano colto del tutto impreparato. Ma sentirselo dire in modo così diretto, così brutale, doveva essere stato comunque un duro colpo, per lui. Elinor, senza vederlo, poteva quasi immaginare le sue narici dilatate e le sue labbra strette nello sforzo di controllare le sue violente emozioni, con la forza e la caparbietà che solo un Durin poteva dimostrare.
«Capisco» si limitò a rispondere il nano con voce sorda ma ferma. «Capisco … »
«Mi dispiace molto. Ma, almeno voi, dovevate saperlo.»
Elinor non avrebbe mai pensato che qualcuno potesse esprimere tanto dolore semplicemente restando in silenzio, ma fu costretta a ricredersi: la sofferenza di Thorin poteva sentirla nell’aria, come se i suoi tentativi di reprimerla non potessero evitare che essa straripasse all’esterno, rendendo l’aria della biblioteca ancora più gelida.
Iniziò a provare uno strano malessere all’altezza della bocca dello stomaco. Mentre, quando aveva origliato la conversazione tra Thràin e Thròr, il senso di colpa era stato presto sopraffatto dalla curiosità, adesso l’unica cosa che provava era un impellente desiderio di andarsene via; ma, come per un sadico scherzo del destino, questa volta non aveva la possibilità di allontanarsi indisturbata: se voleva andarsene, doveva per forza passare dal punto in cui si trovava Thorin con il suo compagno, e quindi rivelare la sua presenza, nonché il fatto abbastanza evidente che aveva sentito tutto.
Thorin, nel frattempo, sembrava aver recuperato la padronanza di sé. Facendo di tutto per mantenere la sua voce più ferma e distaccata possibile, come se l’ipotesi che stava per avanzare non lo turbasse minimamente, chiese: «E … sapete se c’è la possibilità che questa malattia possa rivelarsi in qualche modo … ereditaria
L’aria vibrò per un attimo sotto il terribile peso di quelle parole, ma Thorin non fece in tempo a ricevere alcuna risposta: Elinor, infatti, consapevole di non poter resistere un minuto di più, aveva chiuso con un tonfo sordo il libro degli Annali del regno di Erebor, provocando (di proposito) un’eco che doveva aver raggiunto ogni angolo della biblioteca. Si era appena alzata dalla sedia e aveva appena riposto – con notevole sforzo – il volume nella nicchia doveva l’aveva preso, quando Thorin fece il suo ingresso nella stanza seguito da un uomo abbastanza alto, dai capelli striati di grigio e folti baffi scuri, che gli davano un’aria severa ma allo stesso tempo rassicurante.
«Elinor!» esclamò Thorin sorpreso, mentre la sua espressione corrucciata si distendeva leggermente. «Non mi aspettavo di trovarvi quaggiù … »
«Nemmeno io, se è per questo» rispose prontamente la ragazza con una piccola riverenza e il sorriso più innocente che riuscì a trovare. «Mi era stato detto che la biblioteca di Erebor non è mai molto frequentata.»
I loro sguardi si incontrarono fugacemente, rivelando tutto l’imbarazzo provocato da quell’incontro inaspettato. Thorin era consapevole che la sua conversazione, con tutta probabilità, era stata udita, ed Elinor era palesemente mortificata di non essere riuscita ad evitarlo.
«Permettete che vi presenti Herion di Dale?» chiese il nano dopo un attimo, sollevato di avere l’opportunità di non lasciar languire la conversazione. «In città ha la fama di essere un medico molto esperto, e recentemente ha accettato di mettere le sue capacità al servizio della nostra famiglia.»
L’accompagnatore di Thorin si fece avanti con un sorriso di rispettosa cortesia, ed Elinor, con un sobbalzo di piacevole sorpresa, comprese perché la sua voce gli era parsa così familiare.
«Conosco molto bene Herion di Dale» rispose accennando un inchino, mentre il suo viso si apriva in un genuino sorriso. «La mia famiglia beneficia ormai da molti anni della sua esperienza in campo medico. Stando a quello che mi hanno raccontato i miei genitori, credo che mi abbia vista nascere … »
«Ho avuto questo onore» confermò l’uomo. La sua voce era profonda e leggermente roca, ma il suo tono mite era simile ad una rassicurante carezza; gli occhi brillavano di una luce affettuosa ed orgogliosa insieme. «Parola mia, Elinor, se non avessi saputo del fidanzamento da vostro padre, e se Thorin, entrando, non vi avesse chiamata per nome, avrei stentato a riconoscervi! L’ultima volta che vi ho vista eravate una bambina di dieci anni con le trecce pronta a partire per il Reame Boscoso, e adesso vi ritrovo come una giovane donna in procinto di sposarsi.»
Elinor tentò di dissimulare con una risata il leggero rossore che le aveva invaso le guance. Era fin troppo consapevole dello sguardo in tralice con cui Thorin la scrutava. «Beh, ma le trecce le ho ancora!» esclamò vivacemente, maledicendosi l’attimo dopo per la stupidità dell’affermazione. «Non sono poi cambiata tanto!»
«No» rispose il medico in tono gentile ma velato di malinconia, lo sguardo improvvisamente inumidito. «No, non lo siete. Avete sempre gli occhi e il sorriso di vostra madre. E queste sono cose che non si dimenticano facilmente.»
Qualcosa iniziò a pizzicare fastidiosamente gli angoli degli occhi di Elinor, e la ragazza fu costretta a sbatterli diverse volte, fingendo di esaminare con cura la punta delle proprie scarpe, prima di riuscire ad alzare di nuovo lo sguardo sull’uomo.
«Non ho mai avuto il coraggio di dirlo né a voi né a vostro padre,»aggiunse questi, facendo un visibile sforzo per mantenere ferma la voce «ma sono davvero addolorato di non essere riuscito a fare niente per lei.»
Elinor aveva notato che Thorin aveva fatto qualche passo indietro e che si manteneva in disparte, in silenzio, fissando gravemente un punto imprecisato del pavimento con le folte sopracciglia aggrottate e le mani giunte dietro la schiena. Gli fu grata per la sua discrezione . Doveva essersi ricordato della loro conversazione nei Giardini di qualche sera prima, e di quanto fosse difficile per lei affrontare l’argomento …
«Non tormentatevi, vi prego» rispose a Herion, cercando di mascherare con la gentilezza la commozione che le stringeva il cuore. «Sapete meglio di me quanto la malattia di mia madre fosse incurabile. Avete fatto quanto avete potuto, e sono sicura che anche mio padre ne è consapevole. So che ripone molta fiducia in voi.»
L’opaco sorriso che increspò le labbra del medico fece capire a Elinor che le sue parole erano riuscite, se non a convincerlo del tutto, perlomeno a consolarlo un po’...
«Perdonatemi» si riscosse l’uomo dopo qualche secondo, riacquistando al padronanza delle proprie emozioni. «Temo di avere incupito la vostra giornata, riportandovi alla mente questi tristi ricordi. Comunque, provvederò presto a liberarvi della mia presenza: ho dei pazienti, a Dale, in attesa che vada ad occuparmi di loro.»
«La vostra presenza non mi disturba affatto» lo rassicurò Elinor con un sorriso. «Anzi, avervi rivisto dopo tanto tempo è stato davvero un grande piacere. Ma, se dovete andare, non voglio trattenervi oltre.»
Herion chinò il capo in segno di ringraziamento. «Se non avete bisogno di altro, principe …» disse, rivolto a Thorin. Elinor notò che nei suoi atteggiamenti verso il nano non c’era traccia di affettazione o di servilismo dovuti all’inferiorità del suo rango, e nemmeno di altezzosa superiorità dovuta alla differenza di statura, ma soltanto un profondo rispetto mescolato ad orgogliosa dignità. Thorin, che sembrava apprezzare quanto lei i modi del medico, fece un segno di diniego con il capo. «Andate pure, Herion. Ci vediamo tra qualche giorno per la solita visita.»
«Spero di avere l’onore di rivedervi presto, Elinor» disse l’uomo prima di andarsene. «Ma se ciò non dovesse accadere, vogliate accettare i miei più sinceri auguri per il vostro matrimonio.»
Elinor cercò di sorridere, l’imbarazzo che le imporporava le guance. «Vi ringrazio molto …» fu tutto quello che riuscì a rispondere con la gola secca, evitando con tutto l’impegno possibile di guardare Thorin. Dopodiché, il medico si congedò da entrambi con un rapido inchino e sparì oltre l’arcata che collegava la stanza a quella precedente.
Sia Elinor che Thorin rimasero per un lungo momento a fissare in silenzio il punto in cui l’ultimo lembo della sua veste era sparito svolazzando, seguendo ognuno il corso dei propri pensieri. Elinor poteva immaginare senza difficoltà quali fossero quelli di Thorin; dal canto suo, l’inaspettato piacere di aver rivisto Herion – parte, anche se in modo secondario, di un’infanzia di cui troppo spesso si accorgeva di sentire la mancanza – si mescolava ad un vago disagio per il modo stranamente affrettato in cui l’uomo si era congedato. Come se, nonostante l’affetto nei suoi confronti, rimanere in sua presenza la mettesse in difficoltà …
Adesso stai esagerando, Elinor!
A quanto pareva, lo stato d’animo alterato in cui si trovava da giorni stava iniziando a farle vedere cose che non esistevano …
«Non avevo idea che Herion fosse anche il medico della vostra famiglia» disse, dando voce al primo pensiero che le passò per la testa e tentando di distrarsi dalle sue assurde congetture.
Thorin, che aveva ancora lo sguardo fisso verso il punto in cui Herion era sparito, si riscosse leggermente e le rivolse un vago sorriso distratto. «Solo da alcuni anni, in effetti» rispose. «Prima avevamo un guaritore nano, ma sfortunatamente è venuto a mancare. Abbiamo sentito che le conoscenze di Herion in fatto di medicina erano assai avanzate, e così …»
Elinor sorrise. «Posso confermare che siete in buone mani. E’ una delle persone più capaci, oneste e gentili che mi sia capitato di incontrare.»
«Sì, sembra prendere molto sul serio il suo lavoro e molto a cuore i suoi pazienti. Quando ho menzionato la morte di vostra madre, mi è parso molto turbato …»
«Già …» mormorò Elinor con le sopracciglia leggermente aggrottate, inspiegabilmente assalita, per la seconda volta, dalla strana sensazione che non tutto le fosse completamente chiaro. Prima che avesse il tempo di formulare compiutamente questo pensiero, tuttavia, Thorin intervenne a cambiare argomento.
«Dunque, Elinor» domandò in tono vagamente ironico «che cosa vi porta quaggiù? E’ un luogo un po’ tetro, dove passare la mattinata …»
«Dite?» rispose la ragazza, a metà tra il divertito e il sorpreso. «Dovete avere davvero una scarsa considerazione delle biblioteche!»
«Non sono certo il posto dove preferisco trascorrere il mio tempo. Libri polverosi e rotoli di pergamena ammuffiti non fanno per me … ma vi prego di non dirlo a Balin, o avrà la sensazione che tutto il suo tempo passato a cercare di convincermi a studiare sarà andato sprecato.» Elinor non poté fare a meno di ridacchiare, prima che Thorin aggiungesse: «Sembra che a voi, invece, questo tipo di cose interessi molto …»
Elinor esibì un sorrisetto impertinente che fece brillare i suoi occhi verdi. «Vi avevo promesso che ce l’avrei messa tutta per integrarmi nel vostro mondo, ed è esattamente quello che stavo facendo: mi stavo documentando sulla storia di Erebor e sulle usanze naniche.»
Lo sguardo di piacevole sorpresa con cui Thorin la fissò la fece vergognare, per un breve istante, della bugia che aveva appena raccontato … anche se, in questo caso, si trattava più che altro di una mezza bugia.
«Capisco» rispose il nano fissandola con strana intensità. «E … avete trovato qualcosa di interessante?»
Elinor si prese solo un breve momento per riflettere. «In parte» rispose. «Ma credo di dover approfondire le mie ricerche.» Per questa volta poteva anche permettersi di raccontare la verità. Avrebbe dato un po’ di sollievo – seppure solo illusorio – alla sua coscienza.
Thorin la squadrò con interesse ancora per qualche istante, come se volesse porle ulteriori domande in proposito; alla fine, però, l’ambigua risposta di Elinor sembrò bastargli.
«Vogliamo risalire in superficie? Credo che sia quasi ora di pranzo, e a quanto vedo la temperatura di queste sale non vi si confà granché …» propose, accennando all’evidente pelle d’oca comparsa sulle braccia seminude di Elinor. «Sempre che qui abbiate concluso, ovviamente.»
Elinor non avrebbe potuto essere più felice di avere l’opportunità di abbandonare il freddo della biblioteca, e si affrettò a dare a Thorin il suo piena consenso alla proposta. Tuttavia, fu con una certa riluttanza che si avviò dietro di lui per raggiungere l’uscita. L’apparente leggerezza e l’ironia con cui le si era rivolto, non erano riuscite a far scomparire dagli occhi di Thorin quell’espressione pensosa e vagamente sofferente che adesso, guardandolo di sottecchi mentre camminavano fianco a fianco, Elinor poteva scorgere senza difficoltà. L’aria della biblioteca, d’un tratto, sembrò farsi due volte più pungente.
«Credo di dovervelo dire» iniziò la ragazza d’impulso, senza riuscire a trattenersi oltre. «Io … temo di aver ascoltato buona parte della vostra conversazione con il dottore.»
Prima di continuare si concesse di sbirciare fugacemente il viso di Thorin, ma lo sguardo del nano era ancora puntato dritto davanti a lui, e sembrava non aver alterato minimamente la propria espressione. Elinor si costrinse a portare a termine il discorso: «Mi rendo conto che si trattava di notizie private, ma mi trovavo già lì quando siete arrivati, e non ho potuto evitarlo. Mi dispiace molto.»
Thorin si voltò finalmente verso di lei con uno strano, benevolo sorriso sghembo, ed Elinor avvertì una sensazione di piacevole sollievo allargarle il petto. «L’avevo già intuito» si limitò a rispondere Thorin in modo tutt’altro che ostile. «Ma non preoccupatevi, non sono in collera con voi per questo. Avevate tutto il diritto di essere lì. In un certo senso, è colpa mia: ero convinto che la biblioteca fosse un luogo adatto per parlare con tranquillità, visto che di solito è sempre deserta. Comunque, non ha importanza» concluse. «Ho ragione di credere che presto non sarete la sola a sapere esattamente in che condizioni versa la salute di mio nonno …»
Elinor non ebbe bisogno di chiedergli a cosa si riferiva: le allusioni di Herion riguardo al fatto che la malattia stesse progredendo velocemente e diventando sempre più evidente non lasciavano aperti molti margini di interpretazione …
«Mi dispiace, davvero …» fu tutto quello che riuscì a balbettare, senza riuscire ad evitare, un secondo dopo, di sentirsi una perfetta idiota. Era la seconda volta in pochi minuti che ripeteva “mi dispiace”. Sembrava che, tutt’a un tratto, fosse diventata incapace di dire altro. Non sapeva mai quale fosse la frase giusta da usare, in situazioni del genere. Le avevano insegnato un sacco di educate frasi di circostanza, quando era piccola, ma qualcosa le diceva che Thorin non era il tipo che avrebbe potuto apprezzare fino in fondo una cosa del genere.
Anche dopo che avrai rubato l’Archepietra dirai “mi dispiace”? Sarà questo che dirai a loro, a tutti loro, dopo che li avrai ingannati e che avrai approfittato della loro fiducia?
Il pensiero la colpì in modo violento e inaspettato, costringendola a chiudere gli occhi per sopportare il colpo. Era una persona orribile. Ogni giorno che passava se ne convinceva sempre più profondamente. La facilità quasi meccanica con cui riuscì a relegare questa consapevolezza in un remoto angolo della mente la disgustò ancora di più, ma, come ormai accadeva da giorni, fu soltanto la sgradevole sensazione di un attimo.
«Non esiste una cura?»
Pose la domanda con voce flebile, timorosa, sapendo già fin troppo bene quale sarebbe stata la risposta. Come si era aspettata, Thorin scrollò bruscamente il capo in segno di diniego. «Nessuna cura» rispose seccamente. «Solo qualche metodo per rallentare il suo progredire, forse. Certo, se dipendesse da mio padre continueremmo in eterno a calmarlo con bicchieri di vino speziato e a blandirlo cercando di farlo ragionare!»
Sputò fuori dai denti stretti per la rabbia un’imprecazione in Khuzdul, che fece interrompere per un attimo lo scricchiolio delle penne della sala principale, dove stavano passando proprio in quel momento. Come rendendosi conto di essersi lasciato troppo trasportare dalle emozioni, Thorin scosse leggermente la testa, la rabbia che, nei suoi occhi, aveva lasciato il posto ad un’espressione di enorme stanchezza. Elinor intuì senza difficoltà ciò che si nascondeva dietro quel repentino scoppio di rabbia: oltre il dolore per suo nonno, oltre la rabbia per suo padre, oltre tutto quell’insieme di violente emozioni, era nascosta una paralizzante paura per se stesso.
C’è la possibilità che questa malattia possa rivelarsi in qualche modo … ereditaria?
La domanda posta ad Herion non era riuscita a trovare risposta, ed Elinor era sicura che Thorin stesse continuando a rigirarsela nella mente in modo ossessivo.
«Perdonatemi» sospirò il nano massaggiandosi le palpebre con le punte delle dita, mentre finalmente raggiungevano le scale che portavano ai livelli superiori. «Quando affronto questo argomento do sempre il peggio di me. D’altra parte, questo è quello che si ottiene dopo aver passato buona parte della mattinata a discutere con il proprio padre delle questioni più disparate …»
Elinor si voltò di scatto verso di lui. «Avete … parlato con vostro padre stamattina?»
Lo sguardo sconcertato che Thorin le rivolse le fece capire che, forse, la sua sorpresa era stata un po’ troppo palese per passare inosservata.
«In effetti, sì …» rispose il nano, perplesso. «Mi ha convocato stamattina presto, appena sceso dalle mie stanze. Sembrate sorpresa …»
Il cuore di Elinor ebbe un sobbalzo, ma la ragazza ebbe abbastanza presenza di spirito da rimediare all’errore commesso e tornare ad un tono di voce più naturale. «Certo che no!» improvvisò. «Pensavo solo che durante la mattinata vi dedicaste al lavoro nelle fucine …»
«Infatti è così. Di solito lascio le questioni riguardanti il regno al resto della giornata, quando la forgia ha scaricato i miei nervi e sono in grado di affrontare le discussioni in modo più tranquillo. Purtroppo certi argomenti non possono aspettare, per essere affrontati …»
Il modo strano, quasi sospeso, con cui Thorin aveva pronunciato l’ultima frase e l’ombra fugace che gli aveva attraversato il viso equivalsero, per Elinor, quasi ad una conferma di ciò che pochi secondi prima aveva solo sospettato. Il suo cuore mancò un battito, e un’improvvisa ondata di calore – molto strana, visto che si trovavano ancora diversi metri sottoterra – la investì lasciandola mezza stordita. Per qualche secondo fu incapace di vedere e sentire alcunché, le gambe che continuavano a salire i gradini di pietra più per un riflesso meccanico che per sua reale volontà, mentre il suo cervello lavorava ad un ritmo febbrile.
C’erano molte questioni importanti per cui Thràin avrebbe potuto convocare urgentemente Thorin, ma non ultimo lo strano attacco degli orchi che si era verificato qualche giorno prima a loro spese … Ma se veramente si fosse trattato di quello, perché farne un mistero? Thorin aveva cercato di dissimularlo, ma ad Elinor non era sfuggito: era come se si fosse accorto di aver parlato troppo e si fosse affrettato a tacere … e tutto ciò soltanto pochi giorni dopo che lei aveva ascoltato la famosa conversazione riguardo alla parola magica … Le coincidenze erano troppo grandi per poter essere ignorate, ma Elinor non poteva esserne ancora del tutto certa. Doveva assolutamente cercare di saperne di più, e il momento era troppo propizio per non approfittarne.
«Certo,» disse in tono comprensivo, come rispondendo all’enigmatica affermazione di Thorin «immagino che uno spiacevole evento come quello di pochi giorni fa desti molta preoccupazione in vostro padre. Non posso davvero dargli torto …»
Thorin ci mise qualche secondo per capire a cosa si riferisse, segno evidente che non era quello il pensiero che teneva occupata in quel momento la sua mente.
«Oh … vi riferite all’incidente con gli orchi …» rispose infine con aria torva. «In realtà di quello abbiamo parlato solo di sfuggita, anche se avrei preferito di gran lunga il contrario. Mio padre sembra convinto che quelli che ci hanno attaccato fossero esploratori mandati in avanscoperta, e che quelle ripugnanti creature stiano progettando un attacco ai nostri danni … ma io sento che c’è qualcosa che non quadra in tutta questa storia …»
Per quanto si sforzasse di ascoltare, adesso Elinor faceva davvero fatica a seguire quello che Thorin stava dicendo. La sua mente continuava a divagare per seguire un percorso tutto suo, così sentì a malapena il nano aggiungere qualcosa riguardo alla stranezza che degli orchi si fossero spinti così a sud delle Montagne Grigie. 
Dunque non erano stati gli orchi l’argomento di conversazione dei due eredi al trono, quella mattina. Dunque non era quella la questione urgente che aveva spinto Thràin a sollecitare un colloquio privato con suo figlio … Poteva forse azzardarsi a sperare? Poteva forse osare credere che, per una volta, la sorte si fosse finalmente vòlta a suo favore, spezzando la straziante attesa di quei giorni di incertezza?
Tutto faceva credere che le sue preghiere si stessero avverando, ma era necessario agire con cautela. Aveva imparato dal loro ultimo colloquio che, con Thorin, il detto “battere il ferro finché è caldo” era efficace fino ad un certo punto. Cadere vittima dell’impazienza e tirare troppo la corda non avrebbero aiutato il carattere chiuso e burbero del principe dei Nani ad aprirsi maggiormente con lei; forse sarebbe stato più probabile il contrario. Tuttavia, era la prima volta che Thorin si lasciava andare con lei a confidenze riguardo la situazione di suo nonno e le liti con suo padre … forse poteva considerarlo un buon segno … il segno che qualcosa, dentro di lui, stava iniziando a smuoversi. Si ripromise, appena si fosse ritrovata da sola nella tranquillità della sua stanza, di mettere a punto un piano per strappare a Thorin qualche informazione in più riguardo al colloquio con suo padre e alla parola magica. Era sicura che, influenzata dalla positività e dall’ottimismo del momento, non le sarebbe stato difficile farsi venire qualche buona idea …
«In ogni modo, credo che sia meglio cambiare argomento» intervenne la voce stanca e amara di Thorin, riportandola al presente. «Vedo che vi sto annoiando con le mie congetture, e per quanto mi riguarda la mattinata mi ha procurato fin troppe preoccupazioni per aver voglia di alimentare ancora il nervosismo. C’è per caso qualcosa – qualsiasi cosa – di cui vi piacerebbe parlare per distrarci dalla pesantezza di questi discorsi?»
Elinor si rese conto che, senza che se ne fosse minimamente accorta, avevano finalmente raggiunto i piani superiori, e adesso stavano percorrendo un corridoio che, se la memoria non la ingannava, portava nei pressi dell’ingresso alle fucine.
«Oh, non mi stavate affatto annoiando!» rispose precipitosamente. «Perdonate la mia aria assente, il leggere troppo deve avermi un po’ intontito … Comunque, temo di non avere nulla di interessante da dire. Negli ultimi giorni non ho fatto nulla di nuovo, a parte andare dalle sarte a farmi prendere le misure per il vestito …»
Thorin la fissò con aria sinceramente perplessa. «Il … vestito, avete detto?»
«Sì … il vestito per la festa di fidanzamento.»
«Oh … » Gli occhi del nano si accesero di un’improvvisa luce di consapevolezza, anche se, quando parlò di nuovo, la voce non riuscì a nascondere il suo palese imbarazzo. «Mio padre ve l’ha detto, infine …»
«Già … » si limitò a rispondere Elinor in tono allusivo, lasciandosi sfuggire un sospiro. I loro sguardi si incontrarono per un brevissimo istante, ma fu più che sufficiente perché ognuno riconoscesse il proprio disagio negli occhi dell’altro.
Per qualche secondo nessuno dei due sembrò capace di fare altro che fissare con insistenza la massiccia pietra del pavimento su cui si muovevano i loro piedi, ma alla fine fu Thorin a rompere il silenzio, dopo aver lanciato ad Elinor una breve occhiata in tralice.
«Non siate troppo in ansia» disse in fretta, con una voce che avrebbe dovuto sembrare rassicurante ma che suonava molto come un tentativo di convincere prima di tutto se stesso. «Le feste di fidanzamento naniche sono più che altro un modo per annunciare ufficialmente la futura unione dei due promessi sposi … e, senza dubbio, un’ottima scusa per mangiare, bere e fare baldoria una volta di più» aggiunse, strappandole un sorriso. «Non accadrà nulla di ufficiale o di … irreversibile, se è questo che vi preoccupa. Non ancora, perlomeno.»
, penso Elinor, è proprio questo che mi preoccupa. Thorin aveva centrato esattamente il punto della questione, anche se non poteva nemmeno immaginare il vero motivo della sua ansia. Nonostante questo, non poté che apprezzare il suo tentativo di rassicurarla, anche se doveva ammettere che aveva avuto scarso effetto: il pensiero della festa continuava a torcerle le viscere in una fastidiosa morsa di nervosismo, senza darle tregua. Uno sbuffo divertito, del tutto inaspettato e improvviso, le sfuggì dalle labbra.
«Curioso che, dopo aver rischiato la vita a causa di una decina di orchi assetati di sangue, basti una semplice festa di fidanzamento per spaventarci … non trovate?» osservò, ironica.
La fronte di Thorin si distese, e sulle sue labbra fece capolino un tenue sorriso. Non disse nulla, ma la fissò per diversi secondi con uno di quegli sguardi che ultimamente Elinor gli aveva visto rivolgerle spesso, e in cui interesse, ammirazione, sorpresa e divertimento si confondevano gli uni negli altri in un modo che riusciva a turbarla. La labbra del nano si schiusero, esitanti.
«Sapete,» disse lentamente, continuando a osservarla «voi avete lo strano dono di riuscire a far apparire tutto sotto una luce migliore.»
Un altro dei suoi bizzarri modi di elargire complimenti, suppose Elinor, in preda all’imbarazzo. Poco romantici (perlomeno nel senso comune del termine), ma decisamente efficaci. Soprattutto se accompagnati da sguardi come quello. Forse, a ben pensarci, avrebbe persino potuto farci l’abitudine …
Fortunatamente l’impegno di trovare una risposta adeguata le fu risparmiato dalla vista di una figura familiare che proprio in quel momento spuntò fuori da un corridoio laterale, attirando al loro attenzione. Procedeva con passo spedito, reggendo in entrambe le mani un secchio pieno di carote, lattuga, cavolo, rape e altre verdure, il corpo fasciato da un grembiule da lavoro e i muscoli delle braccia tese nello sforzo; di tanto in tanto, uno sbuffo dovuto alla fatica faceva svolazzare intorno alla sua faccia piena e armoniosa alcune ciocche di ricci biondi sfuggiti alla crocchia dietro la testa.
«Quella non è Rolgha, la vostra cameriera?» domandò Thorin, osservandola. «Negli ultimi giorni l’ho vista spesso servire ai tavoli nella taverna di suo padre …»
«E’ lei» confermò Elinor, affrettando il passo per andarle incontro. «L’aiutante di suo padre si è preso una brutta febbre, così, con il permesso di vostro padre, l’ho dispensata dal servizio per qualche giorno perché potesse aiutarlo.»
La nana, troppo impegnata a trascinarsi dietro i due carichi di verdura per fare attenzione a ciò che le accadeva intorno, non si accorse della loro presenza finché le loro traiettorie non furono sul punto di scontrarsi. Alla vista di Thorin e di Elinor si arrestò all’istante, posò a terra i secchi e si inchinò profondamente.
«Miei signori …» salutò rispettosamente, senza alzare gli occhi dal pavimento. «Perdonatemi, non vi avevo visto arrivare …»
«Rolgha!» esclamò di rimando Elinor con un sorriso cordiale. «E’ bello rivederti! Come vanno le cose alla taverna?»
«Molto bene, mia signora» balbettò la nana, sbirciando con timore reverenziale in direzione di Thorin. «Mio padre è molto sollevato di poter contare su due braccia in più in questo momento di difficoltà. Vi siamo molto riconoscenti» concluse, e accompagnò le parole con un inchino ancora più profondo in direzione del principe.
«La vostra famiglia rende un importante servizio al regno di Erebor» rispose Thorin, gentilmente quanto glielo consentivano i suoi modi burberi e autoritari. «Non sia mai detto che la famiglia reale ha rifiutato un favore a chi per generazioni ha nutrito centinaia di nostri fabbri e minatori.»
Un timido sorriso di gratitudine e di orgoglio osò affacciarsi sulle labbra di Rolgha, che, rassicurata dai modi cortesi del principe, sembrò abbandonare buona parte del timore reverenziale nei suoi confronti.  «E, se posso chiedervelo, mia signora» continuò, adesso rivolta ad Elinor «avete poi trovato una cameriera che possa sostituirmi? Spero di non avervi messo troppo in difficoltà …»
Elinor sorrise. «E’ tutto a posto, Rolgha, non preoccuparti. Mi è stata presentata una ragazza poco più giovane di te che potrà tranquillamente fare le tue veci per tutto il tempo che sarai costretta a stare lontana dal palazzo reale.»
«Ne sono felice» rispose Rolgha, palesemente sollevata. «Spero comunque di poter tornare al più presto alle mie mansioni: stare al vostro servizio è il compito più gradevole che io abbia mai …»
S’interruppe inspiegabilmente alla fine della frase, come se d’un tratto si fosse dimenticata come si faceva a parlare la lingua comune, mentre un improvviso rossore si diffondeva dal grazioso nasino a patata su tutto il viso paffuto della giovane nana. Elinor, spiazzata e confusa da quel bizzarro e improvviso cambiamento, la osservò con aria interrogativa per un paio di secondi, finché, seguendo l’occhiata che Rolgha aveva lanciato furtivamente verso un punto alla sua sinistra, non individuò il motivo di tanto turbamento.
Dwalin, in abiti da lavoro e a torso nudo, veniva verso di loro a passo spedito. Il tronco, la faccia e i bicipiti muscolosi erano coperti da una patina di sudore e di fumo, e il suo volto, quasi completamente coperto dal cespuglio di barba e di baffi scuri, pareva corrucciato come sempre.
Elinor colse fugacemente lo sguardo di Thorin, le cui labbra erano piegate in un sorrisetto appena percettibile, e tutto le fu improvvisamente chiaro. Dovette affrettarsi a guardare altrove, per far sì che il suo divertimento non mettesse Rolgha ancora più a disagio di quanto già non fosse.
«Thorin!» li raggiunse la voce brusca di Dwalin. «Ti stavo cercando. Dove diavolo ti sei cacciato per tutta la mattina? Non ti ho visto alla forgia …»
«Ho avuto alcune questioni urgenti da sbrigare con mio padre, Dwalin» rispose Thorin, mentre l’amico lo raggiungeva. «Sarei sceso alle fucine subito dopo pranzo.»
Lo sbrigativo grugnito di assenso di Dwalin fu seguito da un breve inchino all’indirizzo di Elinor, accompagnato da un’occhiata carica di diffidenza, e da uno sguardo disorientato in direzione di Rolgha, come se non avesse la minima idea di quale fosse il modo giusto per salutarla.
«Bene» si limitò a rispondere il nano, di nuovo rivolto a Thorin. «Andiamo a farci un boccone insieme prima della campana del pomeriggio, allora?»
Thorin, chiaramente sul punto di rispondere in modo affermativo, si voltò verso Elinor con aria incerta. La ragazza, tuttavia, lo precedette, risparmiandogli l’imbarazzo di sentirsi in obbligo nei suoi confronti.
«Oh, non preoccupatevi per me» disse sorridendo. «Raggiungerò la sala da pranzo da sola senza nessun problema. Anzi, credo che vostra sorella mi stia già aspettando.»
Un’espressione di inequivocabile sollievo riempì gli occhi azzurri di Thorin, ed Elinor, contro ogni sua aspettativa, si vide rivolgere un altro dei suoi rari sorrisi.
«Vi vedrò stasera a cena?» si limitò a chiedere, cogliendo Elinor ancora più alla sprovvista. Qualcosa di piacevole e di caldo parve allagarle lo stomaco, e, quando deglutì, scoprì di essere stranamente a corto di saliva.
«E’ molto probabile» fu tutto quello che riuscì a rispondere, cercando di dominare le sue bizzarre sensazioni.
«La campana suonerà tra poco, Thorin» intervenne Dwalin in tono lievemente spazientito, del tutto indifferente all’intenso scambio di sguardi che aveva avuto luogo sotto i suoi occhi. Elinor, anzi, sospettò che il nano avesse interrotto intenzionalmente quell’istante di muta intesa che si era creato tra lei e Thorin.
Si lasciò sfuggire un lieve sospiro di rassegnazione. Era ben consapevole di non piacere a Dwalin, e il modo ostentatamente disinteressato – quasi un po’ sprezzante – con cui il nano eseguì l’inchino di congedo nella sua direzione le confermarono i suoi sospetti. Se con le sue dimostrazioni di coraggio e di lealtà era riuscita a conquistarsi la fiducia e la stima di Thorin, pareva non aver raggiunto lo stesso obiettivo con il suo migliore amico …
«Rolgha» disse d’impulso Elinor alla nana, che dopo averle rivolto un rispettoso inchino si accingeva a recuperare il suo carico per seguire Dwalin e Thorin alla volta della taverna «sei sicura di non aver bisogno di aiuto con quei secchi di verdure? Sembrano davvero troppo pesanti …»
Sul finire della frase fece in modo di intercettare lo sguardo di Thorin, il quale ci mise meno di un secondo per capire quello che Elinor stava cercando di fare. Tuttavia, dato che Dwalin sembrava fermamente intenzionato a non aprire bocca, il principe fu costretto ad assestargli una discreta ma assolutamente non fraintendibile gomitata nelle costole.
Dwalin, preso completamente alla sprovvista, si rivolse a Thorin con aria spaesata e interrogativa, ma quando finalmente capì che cosa stava succedendo la sua espressione si tramutò in puro fuoco inceneritore. Neanche Elinor fu risparmiata dalle saette d’irritazione che balenarono dagli occhi del nano, ma riuscì a nascondere abbastanza bene il suo compiacimento (al contrario di Thorin, che alle spalle dell’amico sogghignava senza ritegno). Quanto a Rolgha, pareva come pietrificata nel punto in cui si trovava, e persino quando Dwalin, paonazzo in volto, le si avvicinò per alleggerirla dal suo carico riuscì a pronunciare a malapena un flebile “grazie”.
«Questa me la paghi» sibilò Dwalin all’amico quando gli passò accanto con un secchio in ciascuna mano, ed Elinor dovette coprirsi la bocca per nascondere il sorrisetto che le era appena comparso sul volto.
Thorin non aveva ancora smesso di sogghignare, e mentre i tre si avviavano alla volta della taverna il suo sguardo divertito incontrò di nuovo quello della ragazza. Passarono diversi secondi prima che il principe si decidesse ad abbassare lo sguardo e a seguire i suoi due compagni, spezzando di netto quel filo che sembrava essere stato teso fra di loro.
Elinor, divisa tra uno strano disappunto nel vederlo andarsene e un piacevole senso di appagamento interno, rimase ancora per qualche secondo ad osservare il gruppetto che si allontanava lungo il corridoio, cercando di dare un nome a quello che era appena successo tra lei e Thorin. Ci volle del tempo prima che la sua mente confusa riuscisse a giungere ad una conclusione, e la parola che le rimbalzò nella mente la colse decisamente alla sprovvista.
Complicità…
Era un sentimento con cui, da molti anni a quella parte, non aveva più una grande familiarità, un oggetto semisconosciuto che maneggiava in modo molto impacciato. Era un sentimento che, in quel momento della sua vita, era sicura di non poter più provare con nessuno. Di sicuro, non con Thorin figlio di Thràin, erede al trono del reame di Erebor e futuro Re sotto la Montagna.
Elinor piegò le labbra in un sorriso malinconico, mentre si avviava lentamente verso la sala da pranzo dove Dìs l’attendeva.
Forse non si meritava di provare di nuovo la bellezza di una sensazione del genere. Ma, per adesso, era disposta a passarci sopra e a godersi appieno quel momento, dimenticando di chiamarsi Elinor di Dale e di avere un compito da portare a termine.
 

Un leggero alito di vento, simile ad una mano gentile e giocosa, fece voltare pigramente la pagina del libro che Elinor teneva sulle ginocchia, portando nel contempo alle sue narici un dolce odore di fiori e alle sue orecchie l’ovattato rumore di risate lontane. La ragazza, distratta dalla sua lettura, chiuse per un attimo gli occhi e inspirò profondamente, crogiolandosi nella gradevole sensazione di tranquillità di quella serata di fine primavera.
Era diventata ormai un’abitudine, quella di venire a leggere nei Giardini Interni in attesa che arrivasse l’ora di ritirarsi nella proprie stanze per la notte. Quel silenzio, quella pace e quella solitudine riuscivano sempre a regalarle una sorta di piacevole vuoto interiore, una serena pace dei sensi che le permetteva di affrontare il sonno senza che sogni strani o sgradevoli arrivassero a turbarla. Così anche quella sera, malgrado la proposta di Dìs di passeggiare un po’ insieme e quella di Balin di sfidarlo a una partita a scacchi, Elinor aveva preferito ritirarsi in quello che ormai era diventato il suo luogo preferito di tutta Erebor.
Non che la loro compagnia, a cena, le fosse risultata sgradita o noiosa, beninteso. Al contrario, con suo sommo sconforto stava iniziando a rendersi conto di apprezzare sempre di più i momenti passati insieme ai membri della famiglia reale, e di essere pericolosamente vicina a ciò che fin dall’inizio aveva temuto più di ogni altra cosa: affezionarsi a loro.
Balin era stato il protagonista indiscusso di quella serata, intrattenendo i presenti con divertenti storielle su nani e nane di sua conoscenza e con episodi altrettanto piacevoli sul periodo in cui era stato precettore di Thorin, Dìs e Frèrin; periodo che, a quanto pare, il nano aveva trascorso in gran parte cercando di stanare i suoi giovani allievi – decisamente refrattari alla disciplina – che, insieme a Dwalin, erano soliti saltare le lezioni per andare a nascondersi da qualche parte o scappare a Dale per rimpinzarsi di dolciumi.
Anche a d Elinor era stato chiesto di cimentarsi in qualche aneddoto sua vita a Dale, o sul suo soggiorno dagli Elfi a BoscoVerde, ma la ragazza, pur cercando di soddisfare con più cortesia possibile le richieste dei commensali, aveva preferito rimanere in disparte e lasciare che fossero gli altri a raccontare. Era stato piacevole starsene abbandonata contro lo schienale della sedia sorseggiando vino e ridendo di gusto alle battute di Dìs e di Balin, o ascoltando con affascinata attenzione le imprese della stirpe di Durin. Era riuscita, almeno per un paio d’ore, a dimenticare il mondo al di fuori di quella sala, e vista la sua ansia di quei giorni – culminata con l’interessante scoperta di quella mattina - si era trattato di un risultato davvero notevole. Non era riuscita ad evitare, tuttavia, che di tanto in tanto il suo sguardo si rivolgesse verso una sedia vuota a poca distanza da lei, e che ogni volta il sorriso, spuntatole sulle labbra per qualcosa che gli altri stavano raccontando, si smorzasse un poco …
«Thorin ha detto di dirti che non è necessario aspettarlo per cena, padre» aveva sentito Dìs dire a Thràin poco prima di sedersi a tavola. «Ha intenzione di rimanere alle fucine fino a tardi, per recuperare il lavoro che non è riuscito a fare questa mattina.»
Elinor, che aveva già preso posto e si stava sistemando il tovagliolo sulle gambe, aveva sentito una piccola fitta molto somigliante alla delusione attraversarle lo stomaco, per poi scomparire, fulminea come era arrivata. Il resto della serata era stato gradevolissimo, su questo non c’era alcun dubbio, ma offuscato da un’indefinita sensazione di incompletezza, come se mancasse qualcosa di fondamentale …
«Notte davvero splendida, mia signora, non credete?»
Una voce sgradevolmente nota la riscosse all’improvviso, facendola sobbalzare e voltare di scatto. Uren, le mani giunte dietro la schiena e un sorriso mellifluo stampato sulla faccia sgraziata, era in piedi a pochi metri da lei, seminascosto dall’ombra di un albero che si protendeva sul vialetto di ghiaia.
Elinor si irrigidì istintivamente, colta alla sprovvista da quella visita inaspettata e alquanto sgradita.
«Oh» disse freddamente. «Siete voi.»
«Mi hanno detto che probabilmente vi avrei trovato qui» disse Uren di rimando, guardandosi intorno con affettata ammirazione. «Ottima scelta, mi complimento con voi. Un luogo davvero gradevole per trascorrere la serata.»
«Ci vengo quando sento il bisogno di stare da sola.»
Il sarcasmo nella voce di Elinor fu troppo marcato per passare inosservato, ma Uren, come al solito, non sembrò farsi scoraggiare dalla sua palese ostilità. Senza alterare di un millimetro la sua espressione di viscida cordialità, si avvicinò di qualche passo, giungendo vicino alla panchina su cui Elinor era seduta.
«Non sembrate molto felice di vedermi» osservò. «Eppure non ci vediamo da un po’. Speravo che avreste sentito la mia mancanza.»
Elinor non si prese nemmeno la pena di rispondere, e si limitò a fulminarlo con un’occhiata di puro gelo. «Cosa ci fate qui?» domandò invece. «Dov’è mio padre?»
«Non allarmatevi, vi prego. Vostro padre aveva intenzione di venire a trovavi durante la giornata, ma alcune questioni in città l’hanno tenuto troppo occupato.» L’inquietante sorriso sul viso di Uren si fece, se possibile, ancora più largo. «Così ha deciso di mandare me. Non sopportava di rimanere privo di notizie da parte vostra. E, se è per questo, nemmeno io.»
« Che pensiero gentile …»
Uren, come divertito dal feroce sarcasmo che Elinor non aveva fatto nulla per nascondere, piegò di lato la testa e la osservò in silenzio per qualche secondo. «Sono dolente che il vostro astio nei miei confronti non accenni a diminuire» affermò infine con voce carezzevole. «Eppure ero convinto che, dopo tutti questi giorni passati alla corte di Thràin, adesso aveste un’opinione migliore dei nani …»
«Non tutti i nani sono uguali agli altri» fu la laconica risposta di Elinor. Cominciava ad essere stufa di quel patetico tentativo di Uren di intavolare una conversazione con lei, ignorando palesemente il fastidio e la freddezza con cui Elinor, ogni volta, accoglieva le sue parole. Sapeva benissimo qual’era il motivo per cui il consigliere si trovava lì, e avrebbe voluto che giungesse il più presto possibile al nocciolo della questione, senza imporle ulteriormente il tormento della sua presenza.  
«Suppongo di avervi colto in un brutto momento, ma posso comprendervi» replicò Uren con un’aria di indulgenza palesemente artificiosa. «Avete una tale responsabilità sulle spalle … non deve essere facile gestire la tensione.»
Un freddo silenzio accolse le sue maniere così false e calcolate.
«Comunque, non temete» continuò Uren. «Sapete per quale ragione sono qui, e quindi sapete anche che la nostra conversazione sarà molto breve.»
Elinor sollevò lo sguardo che aveva abbassato sulle mani intrecciate in grembo e lo fissò sul nano. «Se permettete, vorrei prima chiedere io qualcosa a voi» affermò, sporgendo in avanti il mento con determinazione. L’inchino con cui Uren accolse la richiesta fu talmente profondo da portarlo quasi a sfiorare la ghiaia del vialetto con il naso.
«Domandate, mia signora» rispose, untuoso. «Sapete che sono al vostro completo servizio.»
«Perché il giorno dell’agguato degli orchi avete convinto mio padre a rifiutare l’invito a cena di Thràin e di Thròr?»
La domanda era partita a bruciapelo, ed Elinor si sarebbe aspettata di vedere il consigliere vacillare, colto alla sprovvista e colpito nel segno. Ma, con suo grande disappunto, rimase delusa. Non riuscì a cogliere nessun segno, nell’espressione di Uren, che le sue parole lo avessero scosso o sorpreso in qualche modo. Il suo sorriso mellifluo e la luce famelica nei suoi occhi rimasero inalterati, e la sua voce non vacillò nemmeno una volta quando, finalmente, si decise a dare spiegazioni. «Credetemi, avremmo accettato con gioia l’invito. Purtroppo l’incidente con gli orchi in cui siete rimasta malauguratamente coinvolta ha richiesto una riunione urgente con le autorità cittadine di Dale. Era necessario stabilire delle misure di sicurezza per evitare che incidenti del genere possano ripetersi … magari coinvolgendo più direttamente la nostra gente.»
«Avevate a disposizione diverse ore, la riunione si sarebbe certamente conclusa prima che arrivasse l’ora di cena» rispose prontamente Elinor. «Non c’era alcun motivo di rifiutare l’invito.»
Uren esplose in una raschiante risata di condiscendenza. «Mia signora, voi siete giovane, e probabilmente avete poca dimestichezza con gli affari di stato per comprendere la complessità di queste …»
«E’ un caso che quella sera fossero presenti a cena anche i vostri compatrioti, i nani dei Colli Ferrosi?» lo interruppe Elinor, intenzionata a non mollare la sua linea d’attacco per nessun motivo. «C’è qualcosa che io o mio padre dovremmo sapere, Uren?»
Fu allora che Elinor lo vide. Uno strano lampo di rabbia misto a terrore attraversò gli occhi porcini del consigliere, illuminandoli in modo talmente inquietante che la ragazza sentì qualcosa di gelato opprimerle lo stomaco. Ma fu questione di un millesimo di secondo, e come se niente fosse accaduto sul viso di Uren era tornata la solita espressione di strisciante untuosità. Fu difficile stabilire se ciò che aveva visto era stato reale o soltanto un frutto della sua immaginazione …
«Non so davvero a cosa vi riferiate » rispose Uren candidamente, tanto che le certezze di Elinor vacillarono ancora di più. «Il mio unico intento nel sollecitare un rifiuto dell’invito era solo quello di garantire la sicurezza di Dale. Vostro padre vi avrà raccontato la mia storia, suppongo …»
La ragazza deglutì, gli occhi bassi. «Sì …» sputò fuori, con riluttanza.
«Allora saprete che non ho nulla da nascondere.»
Elinor, suo malgrado, non poté fare altro che rimanere in silenzio. Un silenzio carico di amara sconfitta, in cui si rese conto di aver appena permesso a Uren di segnare un importante punto a suo favore, ponendosi in una posizione di vantaggio. Conosceva il passato di Uren, suo padre l’aveva informata al riguardo. E, nonostante la sua volontà di trovare qualcosa che lo mettesse in cattiva luce agli occhi di suo padre, doveva ammettere che non c’era nulla a cui potesse realmente appigliarsi. Nulla che potesse rendere il semplice rifiuto di un invito a cena una prova della sua scarsa credibilità.
«Se avete altre domande da pormi, sarò lieto di soddisfare la vostra curiosità» disse Uren, palesemente compiaciuto. «In caso contrario, temo proprio di dover giungere al nocciolo del nostro incontro: vostro padre è in attesa di notizie.»
Elinor volse istintivamente lo sguardo intorno a sé, scrutando con una punta di ansia la penombra intorno a loro, ma Uren parve leggerle nel pensiero.
«Non temete» disse. «Siamo soli, me ne sono assicurato di persona. Nessuno può sentirci.»
La ragazza sospirò, rassegnata. Rimandare ancora non avrebbe avuto alcun senso. Era molto meglio liberarsi subito da quel peso, nella speranza che, ottenuto ciò che voleva, Uren decidesse di andarsene più in fretta possibile. Era consapevole che ciò che stava per dire non sarebbe stato accolto nel migliore dei modi, ma non aveva altra scelta …
«Se volete sapere come vanno le cose con la ricerca della parola magica, temo che dovrò deludervi» lo informò seccamente. «Ho buone ragioni per credere che Thorin ne sia a conoscenza, ma non sono ancora riuscita a trovare un modo per estorcergliela.»
Le costò, pronunciare quelle parole che sapevano di sconfitta. Sapeva che Uren avrebbe tratto un enorme godimento nel vederla fallire: più tempo passava senza che lei avesse portato a termine il suo compito, più aumentavano le probabilità di vederla diventare sua moglie. Tuttavia, quando parlò, la faccia e la voce del nano fecero mostra di una preoccupazione e di un dispiacere così profondo che, se Elinor non avesse saputo benissimo chi aveva di fronte, sarebbero riusciti ad ingannarla.
«Capisco …» mormorò il nano fissando il suolo con aria pensierosa. Ci fu una pausa ad effetto, seguita da un profondo e teatrale sospiro. «Forse le preoccupazioni di vostro padre erano fondate, dopotutto: questo compito sta diventando troppo gravoso, per voi.»
Elinor sapeva che Uren la stava soltanto mettendo alla prova, e che non avrebbe dovuto per nessun motivo lasciarsi provocare, ma il disgusto e la rabbia che quell’individuo le provocava erano talmente profondi che le risultava difficile controllarsi e mostrarsi superiore. Quella volta non fece eccezione: sopraffatta dalla collera, balzò in piedi e lo fronteggiò con tutta la determinazione di cui era capace.
«Sto facendo del mio meglio!» esclamò facendo attenzione a non alzare troppo la voce, i pugni serrati e il volto rosso di rabbia. «Pensate che sia un gioco? Pensate che sia semplice, per me, cercare di elaborare una strategia che mi permetta di raggiungere il nostro obiettivo salvaguardando le nostre vite e, nello stesso tempo, affrontando tutta la tensione che ne deriva?»
«Oh, non fraintendetemi, ve ne prego! Io mi preoccupavo unicamente per il vostro benessere!»
«… senza contare che tra pochi giorni avrà luogo la festa di fidanzamento, e sarà praticamente impossibile riuscire ad ottenere la parola magica prima di allora!»
Uren piegò la testa di lato e la fissò con un’ambigua espressione a metà tra curiosità e perfidia, come se conoscesse già perfettamente la risposta alla domanda che stava per porre. «Perché vi preoccupate così tanto per la festa di fidanzamento?» domandò con calcolata lentezza. «Non cambierà nulla, per voi. Thorin non sarà ancora vostro marito. Avrete ancora tempo, prima di ritrovarvi … in trappola.»
In trappola …
Elinor boccheggiò alla ricerca di una risposta che non arrivava, la rabbia quasi completamente sostituita dal panico e dal senso di colpa. Forse, per quanto riguardava la situazione con Thorin, non si trovava ancora in trappola, ma in quel preciso momento aveva la sgradevole sensazione di esserci eccome.
Uren rimase a fissarla ancora per qualche secondo, poi uno strano sorriso si fece strada sulle sue labbra sottili. «No, non c’è bisogno che mi rispondiate …» sussurrò, quasi parlando tra sé. «Ve lo leggo negli occhi … adesso capisco …»
«Capite che cosa?» chiese Elinor, sulla difensiva.
Il sorriso di Uren si allargò ancora di più, come se l’ansia malamente celata nella voce della ragazza avesse confermato i suoi sospetti. «Voi avete paura di ferirlo. Vi state affezionando a lui, e temete che ufficializzare il vostro fidanzamento rinsaldi ancora di più il vostro legame.»
Con suo sommo orrore, Elinor sentì la faccia prenderle letteralmente fuoco. «Cosa?» esclamò con voce soffocata, sperando che il suo tono sconcertato suonasse abbastanza convincente. «Voi … voi vaneggiate …»
Successe tutto troppo velocemente perché potesse evitarlo. Uren mosse alcuni rapidi passi in avanti e si avvicinò ancora di più a lei, tanto da ritrovarsi con il viso a pochi centimetri dal suo.
«Non prendetevi gioco di me!» sibilò in tono soavemente inquietante. «Credete che, l’ultima volta che sono stato qui, non mi sia accorto di come lo guardavate? E di come lui guardava voi? Oh, vi capisco entrambi benissimo, sapete!» aggiunse con una risata che fece drizzare i capelli sulla nuca ad Elinor. «Thorin è un giovane principe dei nani bello e prestante, e voi …»
Una lunga occhiata lasciva le accarezzò il corpo fasciato da un semplice vestito di lino color vinaccia, ed Elinor fu percorsa da un violento brivido.
Se ti fissasse solo un po’ più intensamente di quello che fa di solito, con tutta probabilità ti ritroveresti nuda in mezzo alla stanza …
«Come vi permettete di parlarmi così?» lo apostrofò, disgustata.
«Forse è per questo che non siete ancora riuscita a raggiungere il vostro obiettivo, Elinor?» continuò il nano, come se nemmeno l’avesse sentita. «Perché non vi state impegnando come dovreste? Perché in realtà non lo volete
«Che cosa state insinuando?» chiese la ragazza con aria di sfida. «Che potrei decidere di tradire la nostra causa e abbandonare il piano?»
Il sorriso di Uren – o meglio, la smorfia che avrebbe dovuto somigliare a un sorriso – raggiunse livelli di perfidia inimmaginabili. «Io non ho detto nulla di tutto questo. Siete stata voi a dirlo.»
«Beh, vi sbagliate! Fra me e Thorin non c’è assolutamente nulla, e mai ci sarà!»
Il consigliere la afferrò bruscamente per un braccio e lo strinse in una morsa ferrea, che rese vani tutti i tentativi di Elinor di divincolarsi. «Allora vi suggerisco di raddoppiare i vostri sforzi e di dimostrare la vostra lealtà ottenendo risultati il prima possibile» le sibilò nell’orecchio, la voce melliflua ora velata di minaccia. «Altrimenti non mi sarà difficile andare da vostro padre e rivelargli la vostra riluttanza a seguire il piano. E voi sapete bene quali fossero i patti nel caso di un vostro fallimento, non è vero, Elinor?»
Elinor deglutì, il cuore a mille e la fronte imperlata di sudore freddo. Sentiva il germe strisciante della paura gelarle lo stomaco e bloccarle la gola come se una seconda mano la ghermisse e stringesse forte. Era terribilmente consapevole che nei Giardini Interni, in quel momento, c’erano solo lei e Uren, e che se avesse chiamato aiuto probabilmente nessuno l’avrebbe sentita attraverso le spesse pareti della montagna. D’altra parte, non osava emettere alcun suono per attirare l’attenzione: il suo orgoglio non le avrebbe mai permesso di dare una tale prova di debolezza di fronte a quell’essere spregevole, e inoltre fornire spiegazioni a qualcuno sul perché lei e il consigliere di suo padre avevano avuto un alterco tanto violento sarebbe stato oltremodo complicato …
«Elinor? Siete voi?»
Una voce nota – meravigliosamente nota – arrivò alle orecchie di Elinor da uno dei vialetti vicini. I battiti del suo cuore aumentarono ulteriormente, ma questa volta per il sollievo; nello stesso momento, sentendo dei passi avvicinarsi a loro, Uren aveva lasciato la presa del suo braccio e si era ritirato come scottato. Tutto accadde così in fretta, e l’espressione del nano tornò così velocemente quella servile e untuosa di sempre, che, se Elinor non avesse sentito ancora il dolore della sua stretta sul braccio, la scena di cui era appena stata protagonista le sarebbe sembrata soltanto un sogno molto strano. Persino lo stormire leggero delle fronde degli alberi, che pareva scomparso, tornò magicamente a farsi sentire.
I passi, nel frattempo, li avevano raggiunti.
«Thorin! …» esclamò Elinor, quasi soffocata dal sollievo, quando la figura ben conosciuta del principe emerse dalla penombra. Cercò di dare alla sua voce un tono più naturale possibile e pregò con tutta se stessa i Valar che il suo aspetto non tradisse in alcun modo l’agitazione che la faceva tremare. Thorin le rivolse un ampio sorriso, che si smorzò solo quando ebbe modo di guardarla in faccia con più attenzione; lo sguardo del nano si posò poi sulla persona che si trovava insieme a lei, e non appena si rese conto di chi fosse, i suoi occhi si strinsero istintivamente in un’espressione di diffidenza.
«Mio principe …» salutò Uren con voce melliflua, inchinandosi quasi fino a terra.
«Mastro Uren …» rispose Thorin rigidamente, chinando appena il capo nella sua direzione. La sua attenzione, subito dopo, tornò a rivolgersi ad Elinor. «E’ … tutto a posto?» domandò esitante. «Stavo attraversando i Giardini, e ho sentito delle voci concitate …»
Elinor dovette trattenersi per non gettargli le braccia al collo in un moto di gratitudine.
«Va tutto bene, Thorin» rispose, sforzandosi di sorridere. «Uren è venuto per conto di mio padre ad assicurarsi che io stessi bene e che non mi mancasse nulla.»
«E’ così, mio signore» intervenne sollecitamente il consigliere. «Il governatore, purtroppo, ha avuto degli importanti affari da sbrigare a Dale che l’hanno tenuto impegnato per tutta la giornata. L’animata conversazione che avete udito poco fa riguardava proprio questo argomento.»
«Infatti» lo appoggiò Elinor. «Il mio timore è che mio padre sia troppo avanti con gli anni per mantenere ritmi di lavoro così serrati, e Uren, con la sua solita … premura, stava cercando di convincermi a non preoccuparmi troppo.»
Thorin li osservò entrambi per qualche secondo, in silenzio. Elinor notò che indossava una camicia di lino a maniche larghe leggermente aperta sul petto, e che sul suo viso non c’era traccia di fumo e di sudore. Probabilmente, concluso il suo lavoro alle fucine, doveva essere passato dalle sue stanze per lavarsi e cambiarsi d’abito.
«Spero di non aver interrotto nulla di importante, allora …» disse infine Thorin. Era chiaro, dall’espressione indagatrice nei suoi occhi, che qualcosa in quella situazione continuava a non tornargli del tutto.
«Niente affatto» si affrettò a rispondere Elinor. «Mastro Uren stava giusto andando via. Non è vero?»
Il nano, vedendosi costretto dalla presenza di Thorin ad abbandonare il campo, non poté fare altro che rimettersi alla decisione di Elinor, piegandosi in un profondo inchino. «Precisamente» confermò, servile. «Si è fatto tardi, ed è ora che io torni dal mio signore a riferirgli che sua figlia sta bene e che gli manda i suoi più cari saluti. Sarà molto felice di saperlo. Vostra altezza … mia signora …»
Mentre il consigliere si piegava nell’ennesimo inchino di saluto, Elinor riuscì a scorgere negli occhi di Uren un lampo di puro astio nei suoi confronti, così fulmineo da dubitare persino che ci fosse stato davvero. Poi il nano, dopo aver mosso qualche passo all’indietro in segno di rispetto, si voltò e sparì nella penombra, portandosi via il suo sorriso untuoso e il suo sguardo lascivo. Elinor riuscì a respirare liberamente soltanto quando sentì il portone dei Giardini Interni chiudersi con un tonfo sordo alle sue spalle. Si passò il libro da una mano all’altra, accorgendosi di stare ancora tremando leggermente.
«Vostro padre deve darvi davvero delle grandi preoccupazioni, se ne siete così turbata.»
Elinor alzò lo sguardo: Thorin la stava fissando con un’espressione indecifrabile, scrutandola in volto come se volesse indovinare il reale motivo del suo turbamento.
«Oh … non fateci caso, vi prego!» rispose Elinor, cercando di sorridere. «Le figlie sono sempre più apprensive del dovuto nei confronti dei loro genitori … soprattutto se non hanno fratelli con cui condividere le loro ansie, come nel mio caso.»
«Posso immaginarlo.»
Thorin la scrutò di nuovo da capo a piedi con aria perplessa. «Siete sicura di stare bene?» insisté cautamente. «Avete il volto bianco come la cera …»
Elinor emise quella che sperava somigliasse ad una risata incredula e divertita, ma tutto quello che riuscì a sentire nella propria voce fu un enorme nervosismo. «Cielo, davvero? Devo essermi lasciata prendere un po’ troppo dall’emotività. Per fortuna Uren ha fatto del suo meglio per calmarmi e riportarmi alla ragione …»
Parlare di Uren come se fosse un benefattore disinteressato venuto al mondo solo per alleviare le pene degli altri la irritava immensamente, ma sapeva di non avere altra scelta. Doveva mentire.
Thorin sembrò per un attimo incerto se parlare oppure no. «Sapete,» disse infine, meditabondo «per un attimo ho avuto la curiosa sensazione che la vostra rabbia fosse diretta proprio verso di lui. Ha per caso … fatto o detto qualcosa che vi ha dato fastidio?»
«Certo … certo che no!» sussultò Elinor, presa alla sprovvista. «Perché lo chiedete?»
Le sopracciglia scure di Thorin si inarcarono verso l’alto e le sue labbra si piegarono in un lieve sorriso, come sorprendendosi dell’ovvietà della domanda. «E’ abbastanza evidente il suo interesse per voi» rispose semplicemente il nano, senza girarci troppo intorno. «Bisognerebbe essere ciechi per non vederlo.»
Elinor boccheggiò per qualche secondo, incapace di rispondere alcunché. L’aria dei Giardini Interni era piacevolmente fresca, ma in quel momento lei si sentiva come se la sua faccia fosse immersa in una bacinella di acqua bollente. Sapeva che Thorin non doveva essere l’unico ad essersi accorto di come Uren la guardava (i commenti di Dìs in proposito, qualche sera prima, erano stati abbastanza eloquenti), e sapeva anche che il fatto, preso da solo, non era certo un indizio o una prova di quello che si stava tramando ai danni di Erebor. Eppure, ogni più piccola allusione ai rapporti tra lei e Uren la metteva in agitazione, facendole temere che il suo interlocutore potesse leggerle negli occhi la verità …
Thorin, fortunatamente, sembrò scambiare la sua reazione per semplice imbarazzo.
«Perdonatemi»borbottò, abbassando lo sguardo. «Non è molto appropriato, da parte mia, parlarvi di certe cose.»
«Niente affatto!» replicò Elinor, riscuotendosi. «Vi stavate preoccupando per me, presumo, il che vi rende onore. In ogni modo … qualsiasi interesse Uren nutra nei miei confronti, sa benissimo che non gli è permesso andare oltre i limiti che la sua posizione gli consente.»
«Capisco …»
Ci fu un breve istante di silenzio, che Elinor, passato il momento di angoscia che l’aveva sopraffatta, si affrettò a rompere prima possibile.
«Perdonatemi, ma voi stavate andando da qualche parte, prima che ci incontrassimo!» esclamò, preoccupata. «Mi dispiace, non vorrei avervi trattenuto …»
«A dire la verità, ero diretto alla taverna» rispose Thorin cautamente. «Dovrei incontrarmi con Dwalin … sapete, per … annegare le fatiche della giornata in un paio di boccali di birra.» Sorrise, vedendo che Elinor stava facendo lo stesso; poi riprese, esitante: «Non vi chiederò di accompagnarmi, immagino che non apprezziate particolarmente posti del genere … e poi, vedo che avete un libro con voi.»
Elinor si prese qualche secondo per riflettere. Una taverna non era decisamente il posto adatto per quella che gli abitanti di Erebor consideravano la loro futura principessa, né per una ragazza che aveva passato metà della sua vita in un posto raffinato e privo di eccessi come il Reame Boscoso. Ma lei, per quanto avessero tentato di trasformarla, non era mai stata un tipo raffinato. Forse era colpa della parte di sangue nanica che scorreva nelle sue vene, fatto sta che gli atteggiamenti altezzosi ed eccessivamente compìti degli Elfi erano stata la cosa a cui aveva fatto più fatica ad adattarsi. La gioviale e festaiola convivialità dei nani, invece, che aveva avuto modo di sperimentare nei giorni passati lì ad Erebor, sembrava andarle molto più a genio. Inoltre, l’idea la tentava per un motivo molto più concreto e immediato: sentiva di avere i nervi a fior di pelle per gli avvenimenti di quegli ultimi giorni – in particolare quello che si era appena concluso – e quello di cui avrebbe avuto più bisogno per calmarsi non era certo rimanere da sola con un libro a rimuginare. Sentiva la necessità di distrarsi un po’, e la prospettiva di immergersi in un luogo dove il chiacchiericcio della gente avrebbe, con un po’ di fortuna, coperto il rumore dei suoi pensieri, non le dispiaceva affatto.
«Al contrario,» disse inaspettatamente. «Sarei molto felice di venire con voi. Ormai ho visitato quasi tutti gli angoli di Erebor, e questa è una buona occasione per vedere dov’è che i nani trascorrono le loro serate.» Poi, come colta da un pensiero improvviso: «Sempre che ciò non crei disturbo né a voi né a mastro Dwalin, s’intende!»
Fu affascinante – quasi divertente – vedere emozioni contrastanti avvicendarsi una dopo l’altra sul volto di Thorin: il nano passò in rapida successione da un’evidente sorpresa per il fatto che lei avesse accettato, all’incredulità per il fatto che una ragazza desiderasse spontaneamente recarsi in una taverna, all’ammirazione per la sua volontà di conoscere ogni singolo aspetto del suo regno. Per qualche secondo sembrò incapace di proferire verbo, ma alla fine riuscì a rispondere, con un sorriso frastornato e divertito insieme: «No … no, immagino che non ci sia nessun problema.»
«Allora sono pronta a seguirvi.»
Per un po’, mentre attraversavano i Giardini diretti verso il secondo portone che dava su di essi, ci fu soltanto il sommesso fruscio del vento tra gli alberi, ad accompagnare i loro passi. Ad Elinor non dispiacque: era troppo pensierosa per aver voglia di fare conversazione. Si limitò a fissare con sguardo meditabondo la punta delle proprie scarpe che calpestavano la ghiaia, consapevole della presenza silenziosa di Thorin al suo fianco e del braccio muscoloso del nano che di tanto in tanto, inavvertitamente, sfiorava il suo. Fu proprio il principe, dopo qualche minuto, a rompere il silenzio.
«Posso chiedervi» esordì, titubante. «Da quanto tempo si trova al servizio di vostro padre? Mi riferisco a Uren, ovviamente.»
La domanda non entusiasmò Elinor, questo era poco ma sicuro. Detestava persino il pensiero di Uren, figurarsi vederlo proposto come argomento di conversazione. Tuttavia, sarebbe stato troppo scortese non rispondere, e l’ultima cosa che voleva era essere sgarbata nei confronti di Thorin. In fondo, era stato lui a salvarla dallo spiacevole scambio di opinioni che stava avendo luogo tra lei e il consigliere prima del suo arrivo …
«Da sempre, per quello che mi ricordo» si costrinse quindi a rispondere, nascondendo la sua riluttanza. «Credo fossi molto piccola, quando mio padre lo nominò suo consigliere.»
«Non è originario del nostro regno, giusto? Non credo di averlo mai visto, qui ad Erebor, e nemmeno mio padre e mio nonno ricordano la sua faccia …» rifletté Thorin, le sopracciglia aggrottate, mentre apriva un battente del pesante portone e le cedeva il passo per rientrare all’interno.
«So che è nato nei Colli Ferrosi, e che ha trascorso lì gran parte della sua infanzia e della sua giovinezza. Non so molto riguardo alla sua vita precedente, ma pare che commerciasse in stoffe . Un giorno è arrivato a palazzo per vendere la sua merce, e, con grande sorpresa di tutti, ha aiutato mio padre a risolvere un problema economico per il quale tutti i consigli ricevuti fino a quel momento si erano rivelati inutili.» Elinor abbozzò un piccolo sorriso di circostanza. «Così mio padre ha deciso di prenderlo al suo servizio, ed è rimasto con noi per tutti questi anni.»
Anche senza vederlo, avvertì sulla pelle lo sguardo di Thorin che la fissava con attenzione. «Mi pare di capire che voi non approvate la scelta di vostro padre …» azzardò il nano.
Elinor sospirò. «Uren ha dei modi di fare piuttosto … strani» rispose, soppesando una a una le parole. «A volte faccio persino fatica a ricordarmi che è un nano, tanto mi sembra diverso da voi, da vostro padre, o da tutti gli altri membri della vostra gente che ho avuto modo di conoscere finora … Ma ha sempre servito mio padre con devozione e lealtà, quindi immagino di non potermi permettere di esprimere giudizi semplicemente sulla base della simpatia o dell’antipatia che provo nei suoi confronti.»
Pronunciò queste ultime parole a denti stretti, le unghie della mano conficcate profondamente nel palmo. Il nervosismo, la rabbia, la tremenda voglia insoddisfatta di coprire di insulti quel viscido individuo la facevano tremare. Ringraziò i Valar che il corridoio che stavano percorrendo fosse poco illuminato, perché se così non fosse stato Thorin si sarebbe potuto facilmente accorgere del suo eccessivo turbamento.
Per fortuna, prima che la verità rompesse gli argini come un fiume in piena, il discorso fu interrotto dall’arrivo all’ingresso della taverna.
Thorin le fece segno che poteva precederlo, ed Elinor imboccò una stretta rampa di gradini di pietra resi levigati dal tempo e dalle migliaia di piedi che nel corso dei millenni li avevano calpestati. La scala scendeva tortuosa per diversi metri, e dopo alcune curve terminava all’entrata di un vasto locale pieno di tavoli di legno, sedie e panche. Già prima di superare l’ultima curva e gettare un’occhiata all’interno, Elinor era stata raggiunta da un vivace brusio di persone che parlavano, cantavano, ridevano sguaiatamente. Quando raggiunse finalmente la soglia della taverna, si accorse che l’udito non l’aveva ingannata: la stanza era letteralmente gremita di nani; dovevano essere almeno una settantina, forse di più, riuniti a gruppetti di quattro o cinque intorno ai tavoli o seduti vicino al bancone, in mezzo alla stanza. L’aria era satura di fumo, e l’odore di erba pipa andava a mescolarsi con quello della birra e del vino. Il padre di Rolgha, un nano massiccio con barba e capelli nerissimi solo leggermente striati di grigio, riempiva a getto continuo calici e boccali dietro al bancone, per poi affidarli alla figlia, che, con un vassoio di legno, li portava ai rispettivi tavoli.
Elinor mosse qualche passo incerto oltre la soglia, ma se ne pentì quasi subito: come fece il suo ingresso nel locale, infatti, più di settanta teste si voltarono contemporaneamente nella sua direzione; il chiacchiericcio si smorzò notevolmente, sfiorando quasi il silenzio completo, mentre tutti i presenti, immobili, la fissavano con gli occhi spalancati. Fu uno dei momenti più imbarazzanti che Elinor avesse mai dovuto affrontare nel corso della sua vita: impacciata, con la faccia in fiamme e il cuore che le martellava nel petto, si cimentò in una piccola riverenza, ma, sul momento, il gesto non sembrò sortire effetti. Soltanto quando Thorin, un secondo dopo, comparve al suo fianco e fece scorrere il suo sguardo severo sui presenti, i nani si decisero a piegare le loro teste in segno di rispettoso saluto. Subito dopo, con grande sollievo di Elinor, il brusìo riprese come se nulla fosse accaduto, e nessuno dei presenti sembrò più fare caso a loro, anche se qualcuno, di tanto in tanto, sbirciava nella sua direzione con aria curiosa o perplessa.
Elinor alzò lo sguardo su Thorin, che le lanciò una breve occhiata eloquente e poi le fece segno di seguirlo verso un tavolo sul fondo della sala. Qui era seduto Dwalin, con un boccale di birra quasi vuoto tra le mani, che li guardava avvicinarsi con aria a dir poco sconcertata.
Quando lo raggiunsero, Thorin lo salutò con un burbero cenno del capo e una cameratesca pacca su una spalla, ma l’altro nemmeno rispose: sembrava incapace di fare altro che spostare lo sguardo dall’amico ad Elinor, cercando evidentemente di trovare una spiegazione plausibile alla presenza della ragazza.
«Mastro Dwalin …» lo salutò Elinor con un’altra piccola riverenza. Il nano, fissandola con gli occhi stretti di diffidenza – un’espressione che Elinor aveva ormai imparato ad aspettarsi da lui tutte le volte che si incontravano – ricambiò con un solo secco movimento della testa; poi rivolse a Thorin uno sguardo interrogativo, a cui il principe rispose con un’occhiata che lo pregava di non fargli domande.
«Ti stavo aspettando da più di mezz’ora» borbottò Dwalin, mentre Thorin si sedeva accanto a lui ed Elinor prendeva posto davanti a loro. «Che ti è successo, si può sapere?»
«Nulla di grave. C’è stato solo un … imprevisto» rispose Thorin, lanciando un’occhiata ad Elinor. La ragazza sorrise e abbassò gli occhi, fingendo di fissarsi le mani. Con la coda dell’occhio scorse Dwalin spostare di nuovo lo sguardo dall’uno all’altra con aria inquisitoria. Di certo quella nuova complicità che si era venuta creando tra di loro doveva risultargli quantomeno strana, considerato che fino a qualche giorno prima le cose che Thorin gli raccontava su di lei non dovevano essere troppo lusinghiere. Forse, se avesse detto a Dwalin di essere stupita quanto lui da quella nuova situazione, avrebbe cominciato a trovarla un po’ più simpatica …
«E’ parecchio strano vedervi qui …» osservò Dwalin rivolto ad Elinor, squadrandola con gli occhi stretti.
«Avevo solo voglia di vedere il lato notturno di Erebor» scherzò la ragazza, sperando di ingraziarselo con l’ironia. L’espressione del nano, tuttavia, non mutò di una virgola.
«Non avrei mai pensato che una ragazza … come voi potesse apprezzare luoghi di questo genere.»
Che cosa significava come voi?, si chiese Elinor, incerta se prenderlo come una semplice constatazione o come un velato insulto. Significava “una ragazza del vostro rango e con la vostra educazione”? Oppure significava “una ragazza così altezzosa e schizzinosa nei confronti della nostra gente”? Perché Elinor era sicura che fosse così che Dwalin la considerasse, nonostante quello che era successo negli ultimi giorni.
«Potrei riservarvi delle sorprese» si limitò a rispondere con un sorriso canzonatorio, decisa a non farsi intimidire.
Dwalin sembrò non avere nulla da rispondere a quell’affermazione, anche perché proprio in quel momento Rolgha si avvicinò al loro tavolo con un vassoio, e la sua attenzione fu interamente concentrata nel nascondere come meglio poteva il suo nervosismo.
«Ecco qua» disse la nana, poggiando davanti a Dwalin e a Thorin due grossi boccali di birra scura. «Mia signora …» aggiunse poi, salutando Elinor con un leggero inchino. Elinor le sorrise, osservando come la ragazza apparisse diversa dal solito, con un grembiule legato intorno alla vita e il viso arrossato per il caldo; sospettava, tuttavia, che buona parte di quel rossore avesse più a che fare con la vicinanza di Dwalin che con la fatica di andare avanti e indietro fra i tavoli …
Rolgha mise sul vassoio il boccale vuoto di Dwalin e fece per allontanarsi, ma Elinor, all’ultimo momento, la fermò mettendole delicatamente una mano sul braccio.
«Rolgha, saresti così gentile da portarne uno anche a me?» domandò, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Probabilmente, se avesse chiesto di farsi portare la testa mozzata di un bambino su un vassoio d’argento, l’incredulità negli occhi dei tre che le stavano intorno sarebbe stata minore. La cameriera, senza riuscire a proferire parola, si voltò istintivamente verso Thorin, che dopo qualche secondo di perplessità si sporse verso Elinor. «Fate sul serio?» chiese, scrutandola.
«Certo che sì» rispose Elinor, perfettamente tranquilla. «Un po’ di birra di sicuro non mi ucciderà, siete d’accordo?»
«No, immagino di no …» mormorò Thorin, tornando ad appoggiare la schiena sul muro dietro di lui, senza riuscire a smettere di fissarla come se fosse un oggetto molto strano.
Elinor nascose a fatica una risatina davanti allo stupore che aveva suscitato, a cui decise di non fare molto caso. Per una volta nella sua vita, voleva fare esattamente quello che si sentiva di fare, senza stare troppo a riflettere se fosse strano o sconveniente. Quello che desiderava era fare di tutto per dimenticare le ansie degli ultimi giorni, soprattutto quella orribile serata, e se un boccale di birra era l’unica cosa che potesse aiutarla nel suo intento dandole un po’ di allegria …
Neanche un minuto dopo, si vide posare davanti da Rolgha una pinta di birra identica a quella che aveva appena portato a Dwalin e a Thorin. Ignorando le occhiate perplesse dei due nani, che nel frattempo avevano iniziato a chiacchierare tra loro di argomenti riguardanti il lavoro alle fucine, Elinor se lo portò subito alla bocca e bevve un sorso. La birra aveva un gradevole sapore dolciastro e amarognolo insieme, ed era la più buona che avesse mai provato nelle sue – finora limitate – esperienze con tali bevande. Ne prese un altro sorso, questa volta un po’ più lungo. Poi un altro, ed un altro ancora.
Elinor non se lo sarebbe mai aspettata, ma il tempo scorse in modo piacevolmente rapido. All’inizio non poté dire di divertirsi nel vero senso della parola, perché, timorosa di dire qualcosa di stupido o fuori luogo, attirandosi ulteriore antipatia da parte di Dwalin, intervenne raramente nei discorsi tra lui e Thorin. Fu piacevole, però, rimanere in silenzio a sorseggiare birra ascoltandoli chiacchierare, senza pensare a nient’altro che non fosse la piacevole sensazione del liquido fresco e dorato che le scorreva giù per la gola. Già a metà del boccale, tuttavia, Elinor si accorse di essere diventata molto più allegra del normale: rideva molto più spesso, trovava il coraggio di dire la sua su svariati argomenti, e – cosa di gran lunga più importante – tutta l’ansia che aveva accumulato dentro di sé negli ultimi giorni sembrava solo un lontano ricordo sbiadito. Nemmeno il pensiero dello sgradevole viso di Uren a pochi centimetri dal suo, distorto in un ghigno di pura cattiveria, riusciva a turbarla.
Un paio di volte si ritrovò a pensare che, forse, era meglio andarci piano: quella birra, oltre ad essere la più buona, era anche la più forte che avesse mai provato, e berne qualche sorso ai banchetti o a cena per togliersi lo sfizio (e cercando sempre di controllarsi per non risultare sconveniente) era molto diverso che ingurgitarne un boccale intero. Furono riflessioni, tuttavia, che la sfiorarono soltanto di sfuggita, scomparendo subito dopo dalla sua mente senza lasciare traccia: quella sensazione di benessere era troppo piacevole, i discorsi dei due nani erano troppo interessanti, e Thorin la guardava in modo troppo penetrante per indugiare a lungo su pensieri di quel genere.
Già …Thorin …
Di tanto in tanto,  alzando per caso lo sguardo dopo aver detto qualcosa di spiritoso o di significativo, Elinor si era accorta che il nano la stava fissando in silenzio, sorridendo con aria assorta e con una luce negli occhi che non gli aveva mai visto prima. Ogni volta riusciva a sostenere l’intensità di quello sguardo solo per qualche secondo, prima di avvampare e di abbassare di nuovo gli occhi, fingendo di dedicarsi alla sua birra con aria disinvolta. E tuttavia, anche senza vederlo, poteva sentire il suo sguardo bruciare sulla pelle …
Anche lui, quasi alla fine del primo boccale di birra, era diventato molto più allegro di quanto fosse di solito: era più loquace, sorrideva più spesso, e in generale sembrava molto più sciolto rispetto al suo abituale atteggiamento chiuso e burbero. Elinor non l’aveva mai visto così a suo agio, in sua presenza …
Un pensiero, nitido e chiaro come un lampo durante la notte, squarciò l’ovattata sensazione di benessere in cui Elinor si stava crogiolando, e un’idea cominciò pian piano a farsi largo nella sua mente.
Le preoccupazioni di cui ultimamente era stata preda erano diventate più sbiadite e le stavano finalmente dando un po’ di tregua, quello era vero. Ciò non significava, però, che avesse dimenticato del tutto il compito che doveva portare a termine: doveva ancora scoprire se Thorin era o no a conoscenza della parola magica per arrivare all’Archepietra, e nessun momento sarebbe mai stato più propizio di quello per indagare in proposito. Forse, se l’avesse fatto bere ancora un altro po’ … giusto quanto bastava per renderlo in vena di confidenze …
C’era solo un piccolo problema, rifletté Elinor, meditabonda: Dwalin era ancora troppo diffidente nei suoi confronti, e avrebbe potuto avere dei sospetti se l’avesse sentita fare troppe domande a Thorin. Doveva assolutamente trovare un modo per liberarsi di lui, ma quale?
La soluzione le si presentò davanti agli occhi dopo pochi secondi, guardando Rolgha passare a poca distanza da loro e schivare con abilità la mano di un giovane nano che si era protesa per darle una pacca sul fondoschiena. Un leggero sorriso increspò le labbra di Elinor: se la birra aveva il potere di farle venire idee così geniali, avrebbe dovuto berla molto più spesso …
Proprio in quel momento Dwalin alzò una mano per attirare l’attenzione della cameriera e farle un cenno, e dopo pochi secondi un altro boccale pieno sostituì quello che aveva appena finito di prosciugare. Elinor seguì con lo sguardo Rolgha mentre lasciava il loro tavolo con il vassoio vuoto, e fece in modo che il suo sospiro compiaciuto fosse ben udibile da entrambi i nani davanti a lei.
«Rolgha è davvero una ragazza meravigliosa» esordì, interrompendo il momento di silenzio che si era creato. «Mette un tale impegno in tutto quello che fa! Suo padre deve davvero essere orgoglioso di avere una figlia come lei!»
Sbirciò furtivamente Dwalin per appurare che effetto avessero avuto le sue parole su di lui, e si accorse che il nano stava rischiando di strozzarsi con la birra nell’intento di nascondere il suo volto paonazzo. Così aggiunse: «E’ davvero sorprendente che nessuno l’abbia ancora sposata! Eppure, quando eravamo da sole, mi parlava sempre di un tale che le piace molto … pare che anche lui sia interessato a lei, ma per qualche ragione non si è ancora dichiarato … »
La birra spruzzò ovunque in una miriade di goccioline, quando Dwalin sputacchiò improvvisamente fuori il sorso che aveva appena bevuto. «Che … che cos … chi sarebbe questo … tale?» domandò in mezzo ai colpi di tosse, mentre Thorin gli dava dei colpi sulla schiena.
Elinor si finse sorpresa dalla domanda: «Non lo so, in realtà. Lei non me l’ha detto, e io non l’ho chiesto … mi sembrava una domanda troppo indiscreta. In ogni modo,» aggiunse con noncuranza «chiunque egli sia, trovo che si stia comportando da vero codardo. Voglio dire, si può definire veramente uomo, uno che non ha nemmeno il coraggio di dichiararsi alla donna che ama?»
«Forse ha paura che lei non lo voglia» ringhiò Dwalin.
«O forse, sta solo trovando delle scuse» ribatté prontamente Elinor con un sorriso, vuotando subito dopo il suo boccale con un ultimo sorso.
Si rese subito conto di essere riuscita a raggiungere il suo intento: Dwalin, punto sul vivo, guardava alternativamente lei con aria assassina e Rolgha con aria incerta, come se stesse intraprendendo una dura lotta con se stesso. Elinor non disse una parola: sapeva che non doveva fare altro che aspettare …
Come previsto, infatti, Dwalin ingoiò un’enorme sorsata di birra e, dopo aver borbottato un “torno subito”, si alzò e si diresse a passo deciso verso Rolgha. Elinor, esultando internamente di gioia, lo vide prenderla per un braccio e dirle qualcosa all’orecchio, facendola arrossire; dopodiché, i due scomparirono insieme fuori dalla sala. Soddisfatta e un tantino su di giri, tornò a voltarsi verso Thorin, e si accorse che il nano la stava fissando con aria ammirata.
«Devo farvi i miei complimenti» constatò il nano. «Siete riuscita a fare in cinque minuti quello che io non sono riuscito a fare in mesi di tentativi.»
«Ho solo toccato le corde giuste» si schernì Elinor.
«Non vi nasconderò di essere sollevato … era ora che tutto questo accadesse.»
«Direi che l’evento merita un brindisi, non siete d’accordo?»
Thorin fissò dubbioso il boccale vuoto di Elinor e poi alzò lo sguardo su di lei con aria scettica: «Ne siete sicura?»
«Certo che sì» rispose la ragazza con un sorriso, facendo un cenno al padre di Rolgha.
«Bene, allora» riprese quando, pochi secondi dopo, due boccali pieni arrivarono a sostituire gli altri. «Brindiamo a Dwalin e a Rolgha … e al matrimonio che si terrà tra non molto!»
«Conoscendo i tempi di Dwalin, dubito che arriveranno così in fretta a fare il grande passo» sogghignò Thorin facendo tintinnare il vetro del suo boccale contro quello di Elinor.
«Veramente io stavo parlando del nostro matrimonio.»
Non seppe perché l’aveva detto. Le era venuto fuori così, senza che l’avesse programmato. La birra stava probabilmente iniziando a fare il suo effetto: in una situazione normale, mai si sarebbe sognata di mettere nella stessa frase le parole “noi” e matrimonio” in presenza di Thorin.
«E’ la prima volta che ne parlate con tanta leggerezza» le fece notare il nano, fissandola sorpreso.
Elinor si esibì in un sorrisetto. «Diciamo che sto cominciando a familiarizzare con l’idea.»
«I nostri padri ne saranno lieti …»
«E voi?»
Stava improvvisando, e non poteva farci niente. In qualche modo, era come se le parole avessero vita propria, sgusciando fuori da sole senza prima passare dal cervello. Thorin la fissò con uno strano sorriso sormontato da uno sguardo indagatore.
«Stasera sembrate un’altra persona» disse, eludendo la domanda.
«Nel senso che sto chiacchierando troppo?» ridacchiò Elinor.
«Nel senso che, probabilmente, sto vedendo un lato di voi che ancora non conoscevo.»
«Beh, spero che questo nuovo lato di me non vi spinga a rompere il fidanzamento!»
Thorin sorrise alla proprie mani che stringevano il boccale. «Non ho detto che lo trovo sgradevole.»
Uno strano silenzio calò su di loro, un silenzio che Elinor sentì l’immediata esigenza di spezzare. Prima di replicare, però, si concesse un altro lungo sorso di birra.
«Sapete, questa mattina … quando vi siete confidato con me riguardo a vostro nonno, io … l’ho molto apprezzato» disse infine. «Volevo che lo sapeste.»
«E io ho apprezzato la vostra disponibilità nell’ascoltarmi … » Si interruppe e poi riprese, parlando più a se stesso che ad Elinor. «Voi avete questa strana capacità di … rendere più semplici le confidenze.»
«Mi fa piacere sentirvelo dire» disse Elinor con sollecitudine, sporgendosi verso di lui. «Vorrei davvero che vi sentiste libero di confidarvi con me in qualsiasi momento lo desideriate. »
Il sorriso che affiorò sulle labbra di Thorin esprimeva chiaramente tutta la sua gratitudine, ma aveva un retrogusto amaro. «Mi fate una richiesta che potrei trovare difficile accontentare. Come avrete capito, aprirmi agli altri non è una cosa in cui sono molto bravo … per questo mi stupisco di esserci riuscito con voi.»
«Tutti sentiamo il bisogno di qualcuno con cui sfogarci, prima o poi. E voi dovete avvertire questa necessità molto più degli altri, viste le enormi responsabilità che vi ritrovate sulle spalle …»
Thorin la guardò in modo strano, come se fosse riuscita a leggergli nel pensiero, e per un attimo – per un meraviglioso, folle attimo – Elinor fu convinta che il nano stesse per cedere e confidargli ogni cosa riguardo al colloquio con suo padre. Tuttavia, ancora una volta, dovette andare incontro a una delusione.
«Non dico che non abbiate ragione» fu, infatti, tutto quello che rispose Thorin. «Ma l’ultima cosa che vorrei è scaricare i pesi di cui devo necessariamente farmi carico anche sulle spalle di qualcun altro.» Tacque, fissando il vuoto con aria meditabonda, come se stesse pensando a qualcosa in particolare. «Sono responsabilità che riguardano me e me soltanto» mormorò.
«E anche colei che diventerà vostra moglie, presumo» insistette Elinor.
Thorin la fissò con aria incerta. «Credo che presto lo imparerete di persona, ma … ci sono cose, nel governo di un regno, che non possono essere condivise con nessuno … nemmeno con le persone che ci sono più vicine.»
Maledizione. Maledizione! La cosa si stava rivelando più difficile del previsto, e come se non bastasse lei – al contrario di Thorin, ancora perfettamente sano - stava iniziando a rendersi conto di avere sempre meno il controllo dei propri pensieri e delle proprie parole. Sempre più spesso, mentre lo guardava, si ritrovava costretta a sbattere ripetutamente gli occhi con espressione vacua, perché il suo viso le appariva come sfocato. Ma era una sensazione tutt’altro che sgradevole, anzi … si sentiva leggera, audace e spontanea come non le succedeva da tempo …
«Quindi …» ricapitolò con aria maliziosa, senza nemmeno riflettere su quanto stava per uscire dalle sue labbra «state dicendo che mi considerate una persona vicina a voi?»
Non poteva crederci. Lo stava davvero facendo? Stava davvero civettando con Thorin figlio di Thràin? E per quale ragione non si sentiva nemmeno un po’ in colpa? Forse perché anche il solito pungo allo stomaco dovuto ai rimorsi di coscienza si stava trasformando in una confusa, opaca e inconsistente sensazione di sottofondo …
Elinor non seppe se il modo in cui Thorin le sorrise fosse più stupito o divertito, ma fu più che sicura che non le dispiacque per niente. «Sicuramente vi considero una persona che stimo … » rispose il nano, cautamente «e con cui ho scoperto di avere diverse cose in comune.»
«State continuando ad eludere le mie domande!» ridacchiò Elinor. «Questo è poco gentile, sapete?»
Thorin sospirò. «Elinor, ho paura che in questo momento sia la birra a parlare. Forse sarebbe meglio che ce ne andassimo tutti e due a dormire» disse, in tono di gentile rimprovero.
«Oh, non vorrete interrompere proprio adesso una serata così divertente! Ci tengo tanto a conoscervi meglio, Thorin, davvero …»
Thorin mosse le labbra per dire qualcos’altro, qualcosa che Elinor non riuscì a sentire chiaramente … qualcosa che aveva a che fare con la capacità di reggere l’alcol. Strano come le sue parole gli arrivassero lontane e ovattate, quasi fossero tutti e due immersi nell’ acqua … forse quella birra era davvero troppo forte …
 
Thorin si passò stancamente una mano sul viso e trasse un profondo sospiro.
Aveva la sensazione di essere caduto dentro ad un sogno molto strano, con l’unica differenza che, in questo caso, non gli era possibile svegliarsi e ritornare alla realtà.
Davanti a lui, Elinor parlava e ridacchiava da una mezz’ora buona senza riuscire a fermarsi e, cosa di gran lunga più significativa, senza preoccuparsi minimamente che ciò che stava per dire fosse inappropriato o imbarazzante.
Da qualche giorno – da quando lei gli aveva salvato la vita e aveva difeso tutti loro dalle infamanti affermazioni dei suoi cugini dei Colli Ferrosi - aveva iniziato a trovare la sua compagnia sorprendentemente gradevole. Elinor era diversa dalle nane di sua conoscenza (ovvero le uniche persone di sesso femminile con cui Thorin avesse mai avuto occasione confrontarsi): oltre ad avere un aspetto insolitamente affascinante (a dispetto dell’assenza di barba), irradiava uno strano misto di ironia, spontaneità, mistero e allegria che Thorin trovava estremamente interessante. Aveva detto la verità, poco prima: non avrebbe mai pensato di riuscire a lasciarsi andare con qualcuno, raccontando cose che solitamente tendeva a tenere per sé, come aveva fatto con lei. Si era accorto, tutt’a un tratto, che questo progetto di matrimonio in cui suo padre l’aveva coinvolto cominciava a non essere più una costante fonte di cruccio e di nervosismo; era ancora ben lontano dal poter affermare di esserne felice, ma perlomeno il suo stomaco non si rivoltava più ogni volta che ci pensava. Tuttavia, quando aveva accettato la proposta di Elinor di accompagnarlo alla taverna, mai si sarebbe immaginato che la serata avrebbe preso una piega di quel genere …
Thorin lanciò uno sguardo sconsolato al boccale mezzo vuoto di fronte alla ragazza: era bastato quello, aggiunto all’altro che aveva già bevuto per intero, a trasformare la Elinor tranquilla, gentile e riflessiva che aveva imparato ad apprezzare in un concentrato sconcertante di malizia, ironia, audacia e quasi completa assenza di freni inibitori.
«Non ditemi che non avete il coraggio di sfidarmi a braccio di ferro!» stava ridacchiando in quel momento, con un gomito piantato sul tavolo e la mano bene aperta davanti a lui.
«Elinor …»
«Oh, andiamo, avete paura di questa fragile e delicata donzella senza nemmeno un filo di barba? Eppure con dei bicipiti come i vostri mi mandereste al tappeto in un baleno, ne sono più che sicura! Vi ho visto picchiare il martello su una di quelle incudini, giù alle forge, sapete?»
Non che, fino a quel momento, Elinor avesse fatto niente di particolarmente scandaloso: era ancora ben lontana dall’essere del tutto sbronza (e di questo Thorin era infinitamente grato). Più che altro, l’effetto della birra su di lei si era limitato ad un’euforica allegria e all’impossibilità di far passare i pensieri al setaccio della ragione prima che si trasformassero in parole e si lanciassero fuori dalle labbra. In ogni modo, la cosa stava cominciando a rivelarsi piuttosto imbarazzante, soprattutto per l’inaspettata confidenza che quella situazione aveva aiutato a creare tra lui ed Elinor.
«Elinor, credetemi … non credo sia il caso» disse, afferrandole gentilmente il braccio e costringendola ad abbassarlo di nuovo sul tavolo. Prima che potesse staccare la mano dal suo polso, però, Elinor vi mise sopra la sua, fissandolo con aria di scherzoso rimprovero.
«Dovreste sorridere di più, sapete? I vostri occhi sono più belli, quando lo fate!»
Thorin ritirò in fretta la mano, frastornato, senza sapere cosa rispondere. Pregò intensamente i Valar che la sua faccia non avesse assunto strane colorazioni indicatrici di imbarazzo, e ringraziò che nella taverna regnasse la penombra.
Vederla così sciolta, così disinvolta, così sfacciatamente audace, lo affascinava e allo stesso tempo lo spaventava. Più lei gli sorrideva con gli occhi scintillanti per l’allegria e per l’alcol, con il viso arrossato e  incorniciato da piccole ciocche bionde sfuggite alla treccia, più lui si irrigidiva.
Maledizione. Dove diavolo era Dwalin, quando serviva?
Thorin guardò disperatamente verso la porta, ma non sembrava esserci alcuna traccia dell’amico e della sua innamorata. Si erano eclissati dalla sala più di mezz’ora prima, e ancora non sembravano avere la minima intenzione di ricomparire. Avrebbe dovuto cavarsela da solo, a quanto pareva …
«Come faceva quella … quella canzone che ho ballato al banchetto … durante la mia prima sera qui?» stava chiedendo Elinor in quel momento. Canticchiò per qualche secondo tra di sé un motivetto stonato e incomprensibile, poi, all’improvviso, parve ricordarsi: «Oh, sì, ci sono! Vieni, mia dolce fanciulla, poggia il tuo capo con me su quest’erba …»
«Credo proprio che sia ora di andarsene a dormire, adesso» decretò Thorin con fare deciso, alzandosi e facendo il giro del tavolo. «Coraggio, venite con me.»
«Ma non ho ancora finito la mia birra!» protestò Elinor, scrollandosi via dalla spalla la mano che Thorin vi aveva posato sopra. «E voi dovete ancora ascoltare la mia canzone … state a sentire … Di foglie e di rose sarà il tuo vestito, di sole e di vento saprà il tuo sorriso …»
«Elinor, voi e la birra non sembrate andare troppo d’accordo, forse ve ne sarete accorta. Datemi ascolto, e lasciate che vi accompagni nelle vostre stanze.»
Elinor lo guardò per qualche secondo con la faccia delusa di una bambina a cui sono stati appena tolti i giocattoli; un istante dopo, tuttavia, il disappunto si era già trasformato in un sorriso divertito.
«I casi sono due» disse la ragazza ridacchiando. «O sono molto stonata, o non vi piace la mia compagnia.»
«Io apprezzo moltissimo la vostra compagnia; vi preferisco quando siete sobria, tutto qui. Adesso, però, vorreste venire con me? Ve ne sarei per sempre grato.»
Elinor lo osservò guardinga, come valutando la sua richiesta, finché, con suo enorme sollievo, Thorin la vide alzarsi dalla panca con un sorrisetto malizioso sulle labbra. «Beh, se la mettete in questo modo … » disse la ragazza, accingendosi a seguirlo. Non fece in tempo a muovere due passi, tuttavia, che le gambe parvero cedere sotto il suo peso, ed Elinor incespicò nell’orlo della gonna, aggrappandosi al bordo del tavolo all’ultimo momento.
«Per Mahal …» borbottò Thorin esasperato, accorrendo subito a sorreggerla. «Coraggio, appoggiatevi a me. Ce la fate a camminare?»
«Certo che sì!» esclamò Elinor divertita, come se lui stesse facendo domande senza senso. «Sto benissimo, non dovete preoccuparvi per me!»
«Me ne sono accorto» replicò Thorin sarcastico, mentre, con Elinor appoggiata alla sua spalla, iniziava a dirigersi verso l’uscita. Sperò con tutto il cuore che la ragazza riuscisse a reggersi abbastanza in piedi da non dare troppo nell’occhio: per adesso i nani presenti sembravano non aver fatto troppo caso allo strano aumento di allegria nel comportamento di Elinor, ma Thorin non ci teneva a far sapere ai suoi sudditi in che condizioni versava in quel momento la futura Regina sotto la Montagna.
Quando fu vicino al bancone, chiamò con un cenno il padre di Rolgha, che gli si accostò immediatamente.
«Ce ne andiamo» mormorò con discrezione, facendogli tintinnare in una mano alcune monete d’argento per saldare il conto. «Se doveste rivedere mastro Dwalin ditegli che mi dispiace, e che gli spiegherò tutto domani.»
Il nano annuì e salutò il suo principe con un profondo inchino. «Al vostro servizio, Altezza.»
La risalita della scala che portava fuori dalla taverna fu lenta, ma per fortuna non particolarmente traumatica. Thorin era solo vagamente consapevole dell’euforico chiacchiericcio in cui Elinor tentava di coinvolgerlo, perché tutta la sua concentrazione era vòlta a impedire che la ragazza lasciasse la presa sulla sua spalla e rovinasse miseramente giù dalle scale. Fu enormemente sollevato quando, finalmente, riuscirono ad arrivare in cima, e non riuscì a impedire che un lungo sospiro di sollievo fuoriuscisse dalle sue labbra.
«No, non di là!» disse ad Elinor, impedendole di incamminarsi verso la parte sinistra del corridoio e sospingendola nella direzione da cui erano venuti per raggiungere la taverna. «Le vostre stanze sono da quella parte, l’avete dimenticato?»
Elinor ridacchiò, lasciandosi guidare docilmente nella direzione giusta. «Davvero? Cielo, avevo detto che avrei fatto del mio meglio per imparare a orientarmi in questo posto, ma non sembra che ci stia riuscendo granché!»
«Potete dirlo forte … » sibilò Thorin a denti stretti, facendo del suo meglio per sostenerla.
Non poteva crederci. Non stava accadendo veramente. Non stava accadendo a lui. Lui, in quel momento, era giù alla taverna, seduto al suo solito tavolo d’angolo, scherzando con Dwalin davanti ad un boccale di birra e riposandosi dalle fatiche di quella giornata. Come tutte le maledettissime sere. Il peso di Elinor sulla spalla e il suono delle sue risatine da brilla, tuttavia, erano troppo reali per permettergli anche solo di sperare che prima o poi si rivelassero solo un frutto della sua immaginazione. 
Con la coda dell’occhio, vide Elinor assumere un’espressione sinceramente dispiaciuta.
«Mmmh … ho esagerato con la birra, non è vero? Per questo adesso siete arrabbiato con me …»
Valar, quegli improvvisi cambiamenti d’umore sfociavano quasi nell’inquietante!
«Non sono arrabbiato con voi» borbottò in tono più brusco di quello che avrebbe voluto. Non era del tutto vero, in realtà, ma come poteva spiegarle che riaccompagnare di peso nelle sue stanze la sua promessa sposa perché riusciva a malapena a reggersi sulle gambe non rientrava esattamente in ciò che si era aspettato da un contratto di matrimonio? Senza contare che, in un certo senso, la situazione aveva anche un lato indiscutibilmente comico che Thorin, pur con tutto l’impegno possibile, faticava a mettere in secondo piano …
«Meno male! L’ultima cosa che vorrei è farvi arrabbiare di nuovo» rispose Elinor, traendo un sospiro di sollievo. Subito dopo, come seguendo il filo di un pensiero sopraggiunto improvvisamente, i suoi occhi si illuminarono di una luce divertita, e la ragazza prese di nuovo a ridacchiare: «Sapete, quando ci siamo conosciuti ricordo di aver pensato di non aver mai incontrato una persona così sgradevole in vita mia! Pensavo foste un individuo arrogante, cocciuto, burbero, insensibile, asociale, e …»
«E…?»
«E poi basta … credo» concluse Elinor, non prima di averci pensato su un paio di secondi.
«Ve ne sono infinitamente grato» ringraziò Thorin, sarcastico.
«E chissà cosa dovete aver pensato voi di me! Probabilmente che ero solo una stupida, altezzosa, schizzinosa, insolente …»
«Non ha più importanza, adesso, d’accordo?» la interruppe. «Abbiamo risolto tutte le nostre divergenze.»
Fu enormemente sollevato, quando raggiunsero finalmente l’ampio portone di quercia e uscirono nei Giardini Interni. L’aria fresca della notte fu un vero toccasana, e Thorin sperò con tutto se stesso che contribuisse a risvegliare un po’ Elinor dal suo euforico torpore. Per qualche minuto, complice una momentanea diminuzione dell’intensità del chiacchiericcio, arrivò persino a illudersi che le sue speranze si stessero avverando; dovette ricredersi, tuttavia, quando la ragazza fu sul punto di schiantarsi sulla ghiaia del viale dopo aver messo un piede in fallo, e si vide costretto ad afferrarla prontamente per la vita.
L’inaspettato contatto con il calore del suo corpo e l’improvvisa vicinanza tra i loro visi riuscirono a metterlo seriamente in difficoltà: per un lungo momento sentì la testa girare, come se ad essere un po’ brillo fosse lui, e si ritrovò assurdamente a riflettere sul fatto che non aveva mai notato quanto la linea delle labbra di Elinor fosse armoniosa
«Che cosa state facendo?» sussultò Thorin, preso alla sprovvista. Elinor, come se fosse la cosa più naturale del mondo, aveva avvicinato il naso ai suoi capelli e li stava annusando con un piccolo sorriso di beatitudine stampato in volto.
«Avete un odore così buono …» rispose. «E’ una delle cose che mi piace di più della sera … vedervi arrivare a cena … e sentire il vostro odore dopo esservi fatto il bagno. Vi piace il sapone al tiglio? Io adoro il sapone al tiglio …»
«Non … non ne ho idea …» rispose Thorin, frastornato. Una strana sensazione gli attanagliava la bocca dello stomaco, e sembrava non volerne sapere di scomparire. Ma perché una cosa del genere era dovuta capitare proprio a lui? Perché? Perlomeno sperava che l’alleanza con gli Elfi si rivelasse proficua, in modo da non rendere del tutto inutile la fatica e l’imbarazzo che stava affrontando in quel momento!
In qualche modo che Thorin non fu in grado di spiegarsi, Elinor riuscì a mantenersi in piedi quanto bastava per percorrere il resto del tragitto senza ulteriori incidenti, e per raggiungere pressoché illesa il corridoio in cui si trovavano le sue stanze. Quando si ritrovò finalmente davanti alla porta di legno istoriato, Thorin provò un tale sollievo che per poco non lasciò la presa, facendola cadere a terra proprio a un passo dal raggiungimento della loro méta.
«Venite» disse il nano, aprendo la porta e sospingendola all’interno. «Siamo arrivati, finalmente …»
Una volta dentro, Thorin ebbe qualche secondo per rivolgere una breve occhiata intorno a sé. Fece vagare lo sguardo sul letto accuratamente rifatto, sulla specchiera addossata al muro di fronte su cui erano poggiati pochi oggetti, sul vestito verde indossato da Elinor la sera prima che pendeva con aggraziata noncuranza dallo schienale della sedia, sul baule aperto ai piedi del letto nel quale si potevano intravedere abiti di ogni tipo e colore.
Così erano quelle, le stanze di Elinor … era lì che la ragazza si ritirava tutte le sere per andare a dormire, era davanti a quella specchiera che si sedeva per sciogliere le trecce della sua acconciatura e a spazzolarsi i capelli, era sotto quelle lenzuola che si distendeva e prendeva sonno …
Thorin si chiese se anche a lei, prima di andare a letto, capitasse di passeggiare nervosamente su e giù per la sua stanza, rimuginando su quel fidanzamento non voluto e sulle responsabilità che, inevitabilmente, esso avrebbe comportato. Le sembrava quasi di vederla, con le braccia nude e bianche incrociate sul petto, i capelli biondi che le ricadevano distrattamente sulla schiena e le sopracciglia aggrottate sugli occhi verdi …
Proprio in quel momento Elinor – quella in carne e ossa aggrappata alla sua spalla e reduce da una traumatica esperienza con la birra – sembrò rendersi conto di dove si trovava, e, barcollando, tentò di slanciarsi verso il proprio letto.
«Fate attenzione!» la ammonì Thorin, riprendendola all’ultimo momento prima che la sua testa finisse dritta contro una delle colonne del letto a baldacchino. «Ce la fate ad arrivare al letto?»
«Penso di sì … » mugolò Elinor con voce appena udibile. Sembrava che, improvvisamente, tutta la sua euforica allegria fosse evaporata, sostituita da una grande confusione. «Sapete, non mi sento per niente bene …»
«Credetemi, non ho difficoltà a immaginarlo» rispose Thorin, costringendola con gentile fermezza a sedersi sul letto. Gli era capitato diverse volte di prendere sbronze anche più pesanti di quella (solitamente, in compagnia di Dwalin), e ogni volta arrivava sempre il momento in cui la voglia di ridere, di cantare e di scherzare lasciava il posto a mal di testa lancinanti, giramenti di testa e volti pallidi come la cera.
«Vi ho fatto passare una serata orrenda, vero?» borbottò Elinor, tentando senza molto successo di slacciarsi gli stivaletti che portava ai piedi. Dopo averla osservata per qualche secondo muovere goffamente le dita tra i nastri di cuoio, Thorin, impietosito, si chinò per aiutarla.
«Diciamo che, solitamente, preferisco trascorrere il mio tempo libero in altri modi» rispose il nano con un filo di burbera ironia. «Ma immagino che sia un bene spezzare la monotonia, ogni tanto.»
«Siete così gentile, con me … non sono … non sono sicura di meritarmelo … ditemi la verità, adesso romperete il fidanzamento?» chiese Elinor con una punta d’ansia nella voce impastata.
«Francamente mi avete fatto cadere in tentazione diverse volte, questa sera, ma tutto sommato credo di poter passare sopra alla cosa» scherzò Thorin, trattenendosi dallo scoppiare a ridere e prendendola gentilmente per le spalle. «Adesso distendetevi e cercate di dormire. Domattina, quando vi sveglierete, tutto questo sarà solo un brutto ricordo.»
Elinor si lasciò docilmente adagiare sulle coperte, ma mentre il suo corpo stava iniziando a rilassarsi, la sua mente non sembrava ancora disposta a fare lo stesso. «Oh, Thorin …» insistette, con ansia ancora maggiore. «Io ci sto provando a far andar bene questa … questa cosa … davvero! Mi credete?»
La nota di supplica che emerse dalla sua voce fu talmente evidente che Thorin ne fu quasi intenerito.
«Certo» rispose gentilmente. «Certo, vi credo. Adesso, però, riposate. Lo sanno i Valar, se ne avete bisogno.»
Fece per allontanarsi e lasciarla tranquilla, ma una mano di Elinor scattò con rapidità inaspettata ad afferrargli una manica.
«No!» esclamò, trattenendolo. «No, voi … voi non capite … tutti vogliono qualcosa da me, si aspettano delle cose, e io …»
«Elinor, non sapete più quello che dite …»
« … io … io non ci sto capendo più niente, davvero … e voi non aiutate affatto, se … se continuate ad essere così affascinante e … e ad avere un profumo così buono … e …»
Qualcosa di molto simile ad un fulmine si abbatté con violenza nelle mente di Thorin, lasciandolo inebetito per quelli che gli parvero lunghi minuti, ma che in realtà dovevano essere stati solo pochi secondi.
«Come … come avete detto?» balbettò, quando finalmente riuscì a recuperare l’uso della parola.
«Valar, la mia testa … credo che stia per esplodere …»
Elinor aveva chiuso gli occhi e si stava passando una mano sulla fronte madida di sudore, apparentemente ignara di quello che era appena uscito dalle sue labbra.
«No … no, io intendevo prima … cosa avete detto?» insistette Thorin, andandole più vicino.
«… ‘etto ‘osa?» farfugliò Elinor, la testa abbandonata di lato sul cuscino, chiaramente sul punto di scivolare in un sonno profondo. Thorin, a quel punto, dubitava persino che ricordasse che lui si trovava lì.
«Niente …» mormorò. «Non importa … riposate.»
Come aveva previsto, circa due secondi dopo il respiro di Elinor si fece più pesante e regolare, segno che la ragazza aveva ceduto alla stanchezza e all’effetto della birra per concedersi il meritato riposo.
Thorin rimase per diversi secondi in piedi accanto al letto, in preda al più totale scombussolamento, guardando il suo petto che si alzava e si abbassava placidamente, le mani sottili poggiate sulla pancia e la treccia bionda per metà sfatta abbandonata sul cuscino a circondarle il viso addormentato.
Gli pareva di aver perso la facoltà di formulare pensieri sensati. Tutto quello che riusciva a fare era riascoltare continuamente nella propria testa, come un’eco ovattata, le parole che pochi secondi prima erano uscite dalle labbra di Elinor.
Così affascinante … un profumo così buono …
Dopo che si erano riappacificati in seguito all’agguato degli orchi, Thorin aveva nutrito buona speranze che quel fidanzamento forzato potesse sfociare in una situazione - se non altro - di stima reciproca. Si era anche ritrovato più volte a pensare che Elinor fosse una persona interessante, piacevole e dal carattere deciso, al fianco della quale non sarebbe stato spiacevole trascorrere il resto della vita. Ed ecco che lei, dopo un’intera serata passata a cercare di instaurare una sempre maggiore confidenza, gli faceva capire senza ombra di equivoci di non essergli affatto indifferente. Doveva essere un sentimento sepolto a fondo nella sua coscienza, se per tirarlo fuori ci erano voluti quasi due boccali di birra, certo. Pero, a quanto pare, c’era.
Thorin non fu in grado di capire quali fossero le sue sensazioni. Era troppo confuso. Quella rivelazione, invece di rallegrarlo o di lusingarlo, gli aveva fatto lo stesso effetto di un tuffo inaspettato nell’acqua gelata.
Fu solo quando riuscì a riscuotersi dal torpore in cui era piombato, che, improvvisamente, sentì tutta la stanchezza della giornata – e in particolare della serata – piombargli addosso come un macigno. Capì che Elinor non era l’unica ad avere bisogno di riposo, e che una salutare dormita lo avrebbe aiutato, se non altro, a schiarirsi le idee.
Si diresse a passi lenti verso la porta, che, dopo essere scivolato silenziosamente fuori dalla camera, richiuse cercando di fare meno rumore possibile (anche se dubitava fortemente che, in quel momento, qualcosa avrebbe potuto svegliare Elinor dal sonno profondo in cui era caduta).
Si fermò per qualche istante fuori dalla stanza, fissando il vuoto con aria inebetita. C’erano momenti in cui tutta quella situazione gli sembrava così surreale da non avere dubbi che si trattasse di un frutto della sua immaginazione. Le parole sconnesse di Elinor, tuttavia, continuavano a martellargli nella testa, e in modo sempre più insistente …
Così affascinante … un profumo così buono …
Anche lei aveva un buon profumo. L’aveva sentito fin troppo bene, mentre se ne stava avvinghiata alla sua spalla, cercando di arrivare alla sua stanza senza inciampare nei propri piedi. Gli pareva quasi che i suoi vestiti ne fossero ancora impregnati …
Si passò stancamente una mano sul viso e, dopo aver tratto un profondo, lunghissimo sospiro, si avviò lungo il corridoio fiocamente illuminato.


 
 
 
ANGOLO AUTRICE
Saaaalve! Qualcuno è ancora vivo dopo tutto questo lunghissimo sproloquio? Se c’è ancora qualcuno, inizio con il farvi – come al solito – la mie scuse per il tempo vergognoso che ci ho messo ad aggiornare. Ma ormai avrete capito che sono un caso senza speranza, giusto? XD In secondo luogo, mi scuso anche se a qualcuno il capitolo sarà sembrato eccessivamente lungo. Purtroppo, per esigenze di trama e di “ritmo” della storia non ho potuto tagliare nulla … senza contare che l’episodio della sbronza di Elinor - e la conseguente rivelazione del suo non essere affatto indifferente a Thorin – doveva necessariamente essere messo in chiusura ;) Comunque farò il possibile perché il prossimo capitolo sia più breve, giuro! Come avrete intuito, dal prossimo capitolo in poi le cose tra i nostri due protagonisti dovrebbero iniziare a farsi più interessanti … spero di non deludere le vostre aspettative! Per la canzone che Elinor si mette a canticchiare da brilla, ho preso vagamente ispirazione da Oh, lay my sweet lass down in the grass, una delle canzoni più amate dai menestrelli di Westeros e che si trova in uno dei miei capitoli preferiti di A storm of swords (i fan delle Cronache del Ghiaccio e del Fuoco sapranno di cosa parlo … tutti gli altri, se vogliono, possono trovare il testo a questo link: https://www.goodreads.com/quotes/620722-my-featherbed-is-deep-and-soft-and-there-i-ll-lay).
Penso di aver ciarlato abbastanza J Spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento, e come al solito ringrazio tutti coloro che hanno speso un po’ del loro tempo per leggere! Un ringraziamento particolare va alla cara Eruanne, che nelle ultime settimane mi ha fornito un sostegno psicologico non indifferente per arrivare alla fine di questo capitolo e ha sopportato tutti i miei scleri in proposito con grande pazienza XD
Un grande abbraccio e alla prossima!
Linda
P.S. Come al solito, vi lascio il link della mia pagina FB, per chi volesse rimanere aggiornato con le mie storie: https://www.facebook.com/mrsblack90efp
   
 
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