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Autore: TheHeartIsALonelyHunter    08/03/2014    0 recensioni
“Raccontami una storia…”.
Il vecchio sospirò. Sapeva di cosa parlava. Sapeva qual’era la tacita richiesta dietro quella finta cortina di perfetta normalità. Sapeva quanto anormale fosse la situazione in realtà, per quanto Clove non lo sapesse affatto.
[Partecipa al contest a turni "1 su 24 ce la fa!" indetto da ManuFury]
Genere: Drammatico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Clove
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Tributo: Clove
Turno: 2
Titolo Storia: You're still an innocent
Pacchetto (se presente): Zaino viola
Genere: Slice of life, Drammatico
Raiting: Giallo
Avvertimenti: Missing moment
Pairing (se presente):
Note (facoltative):Come "slice of life" va intesa la priam flash, che parte con un momento relativamente tipico nella famiglia, ovvero ol racconto di una storia. Inoltre quello descritto è comunque un momento di vita quotidiana.

Ho tentato di riconnettermi un po' all'altra storia, immaginando cosa avesse definitivamente convinto Clove ad andare volontaria, cosa l'avesse spinta ad essere quella che è. E se inizialmente l'ha fatto per rendere fiero il nonno, ora lo fa quasi per dispetto verso di lui, per mostrargli che non è una bambina e che lui non è un vincitore secondo la sua visione. Ho deciso di usare il termine dialettale "orecchia" perchè non sapevo come altro rendere l'idea suggerita dal prompt...


Aveva il viso di chi ha visto troppo dalla vita, di chi sa già quanto male faccia il mondo, il viso solcato da ferite a malapena richiuse e che, forse, non si sarebbero richiuse mai.
“Nonno…” sussurrò Clove, alzando di poco la testa. Attraverso i riccioli neri che gli cadevano sulla fronte vide un graffio ancora fresco e la gola gli si seccò: aveva sempre detto a suo figlio di non farla giocare con le armi.
“Raccontami  una storia…”.
Il vecchio sospirò. Sapeva di cosa parlava. Sapeva qual’era la tacita richiesta dietro quella finta cortina di perfetta normalità. Sapeva quanto anormale fosse la situazione in realtà, per quanto Clove non lo sapesse affatto.
“I giovani non vengono più a sentire le mie storie da molto”, bisbigliò, balbettando lievemente come a tentare di far cadere l’argomento.
“Perché non ne hanno voglia?”chiese lei, vivamente stupita.
Un altro sospiro, più cupo dell’altro.
“No, perché ne hanno paura. Hanno paura che un giorno possa succedere anche a loro ciò che è successo a me”, tremò il nonno.
Non l’avrebbe mai ammesso, non davanti a sua nipote, ma la verità era che era anche lui che non aveva più voglia di raccontare, di rivivere ogni dettaglio, di ascoltare le urla dei caduti, di passare giorni nel terrore che ogni ora potesse essere l’ultima. Dopo molto tempo passato a raccontare,  ad abbellire di dettagli, a descrivere nei minimi  particolari, ad aggiungere gloria alla sua vittoria, si era accorto anche lui di quanto macabro fosse quel misero teatrino e di quanto crudele e perfido fosse sotto l’apparente strato dorato.
Clove alzò la testa fiera, il mento in su per farsi vedere ben bene. Alla luce fievole delle lampade sembrava quasi ridicola. Il vecchio però non lo disse.
“Io non ho paura” affermò, il tono fermo e sicuro. I suoi occhi si accesero di un guizzo determinato e alzò il mento ulteriormente, inorgoglita.
“Io parteciperò agli Hunger Games” affermò convinta, stringendo i pugnetti come se fosse già pronta a combattere. “Io parteciperò e vincerò, come te, nonno”. E poi sorrise, come se ci fosse stato qualcosa di onorevole nell’avere un parente che aveva ucciso ventitre persone per la sua sopravvivenza.
Il vecchio sussultò lievemente, già conscio del destino della nipote.
Così era iniziata anche per lui.
Un padre che l’aveva messo sulla giusta strada, una spintarella o due, la convinzione più che ferma che gli Hunger Games fossero solo uno spettacolo particolarmente divertente. E poi l’offrirsi volontario. Era tutto un processo che portava inevitabilmente all’autodistruzione.
Perché, lui lo sapeva bene, se non uccidevano fuori, gli Hunger Games uccidevano comunque dentro.
“Raccontami una storia…”
“Raccontami degli Hunger Games”, diceva quella vocina bambina.
Il labbro di lui iniziò a tremare violentemente.
“Facciamo così…” sussurrò, avvicinandosi a una mensola a passo lento. Afferrò un libro dalla libreria e glielo porse con un sorriso.
“Ecco a te” bisbigliò, mentre lei fissava la copertina di un bianco lievemente ingiallito curiosa.
“Cos’è?” chiese, alzando il viso di bambina su di lui.
“Favole” disse solo.

 

  
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