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Autore: SellyLuna    10/03/2014    2 recensioni
Il rumore cadenzato delle gocce che cadevano dal soffitto gli faceva compagnia in quella segreta buia e umida. Si sentiva molto solo ed era disperato. Come era potuto accadere?
Non doveva trovarsi rinchiuso nelle prigioni del suo castello: che oltraggio oltraggioso era mai quello?
Lui era il re e come tale avrebbe dovuto risiedere sul suo sfavillante trono in compagnia della sua regina, mentre i suoi servitori erano affaccendati a soddisfare ogni suo più piccolo capriccio.

[Au, Human!, Julien x Marlene]
[Partecipante alla Challenge "D'infiniti mondi e AU" indetta da AleDic sul forum di efp]
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clemson, Marlene, Re Julien, Skipper
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'JuLene: Oysters and Crown '
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Scelta di una regina
 
 
 
La Speranza è la voglia di farcela,
di aspettare pazientemente un paio d'ali nuove
e riprendere il volo dopo ogni caduta!
 
Anonimo
 
 
 
 
Plin. Plin. Plin.
Il rumore cadenzato delle gocce che cadevano dal soffitto gli faceva compagnia in quella segreta buia e umida. Si sentiva molto solo ed era disperato. Come era potuto accadere?
Non doveva trovarsi rinchiuso nelle prigioni del suo castello: che oltraggio oltraggioso era mai quello?
Lui era il re e come tale avrebbe dovuto risiedere sul suo sfavillante trono in compagnia della sua regina, mentre i suoi servitori erano affaccendati a soddisfare ogni suo più piccolo capriccio.
Non era fatto per sguazzare nel sudiciume – e le celle non pareggiavano di certo i piani superiori in pulizie -, non poteva resistere un minuto di più. Aleggiava uno strano olezzo di pesce rancido – e non si riusciva a capacitare da dove provenisse; non ricordava che le cucine fossero situate così prossime alle celle – e il re detestava il pesce, non poteva soffrirlo; appena  ne percepiva nell’aria l’odore, gli venivano i conati di vomito.
Era una tortura, la peggiore che si potesse infliggere ad essere umano; inoltre il silenzio che albergava in quel luogo era opprimente. Era l’unico prigioniero recluso, non che avrebbe preferito mescolarsi tra la plebaglia e i criminali, ma anelava ad un po’ di compagnia; gli bastava anche solo ascoltare le voci delle guardie che discutevano fra loro.
Gli sembrava di impazzire, e il suono delle gocce d’acqua non lo aiutava a rilassarsi, lo infastidiva ancora di più. Ogni loro caduta gli rammentava che il tempo passava e gli metteva addosso ancora più ansia e disperazione: non sapeva cosa lo attendeva. Il Destino si stava prendendo beffe di lui e non conosceva nemmeno le regole del gioco che il Fato aveva deciso di intraprendere.
Non si capacitava di come quel folle – perché solo un folle avrebbe tentato di spodestarlo per impadronirsi della corona – fosse riuscito nel suo intento; era stato maledettamente astuto, gliela aveva fatta sotto il naso. Al solo pensiero ribolliva di rabbia, ma poi si rendeva conto che, dietro a pesanti sbarre di ferro, non poteva fare alcunché.
Si sentiva impotente e inutile, proprio nel momento in cui era necessario il suo aiuto o almeno il suo sostegno; non che solitamente si rimboccasse le maniche e si lanciasse nel vivo dell’azione, in fondo aveva delle abili e addestrate guardie reali che sistemavano tutto ciò che non quadrava, anche in situazioni critiche.
Immaginò come si dovesse sentire il capitano delle guardie; Skipper non avrebbe tollerato una negligenza del genere, sarebbe rimasta come macchia indelebile a ricordargli quell’errore e non poteva assolutamente sopportarlo. Era un cavaliere dalla parola d’onore, rispettabile, preciso e leale nel suo mandato; aveva giurato di proteggere il re e la regina anche a costo della sua vita, se si fosse reso necessario.
E, fino a quel momento, aveva adempiuto in modo eccellente al suo compito; mai una volta il re se ne era lamentato; forse l’unica cosa su cui poteva ridire era il fatto che Skipper non fosse proprio di molta compagnia; quelle rare volte che si erano trovati soli nella stessa stanza, a causa di varie circostanze, Julien si era annoiato parecchio. Skipper era di poche parole, non era  per nulla divertente e non aveva senso dell’umorismo. Era estremamente serio, non si divertiva mai, viveva solo per il suo lavoro.
Re Julien era tutto l’opposto: amava divertirsi e sollazzarsi, adorava indire festeggiamenti, anche quando non erano opportuni, era un’anima festaiola e giocosa.
Ma in quel momento avrebbe dato qualsiasi cosa per averlo lì, vicino a sé, anche in silenzio e con il suo sguardo severo, gli avrebbe dato conforto vedere un viso amico. Avrebbe tollerato anche la voce stridula di Mortino, il buffone di corte, che aveva un’adorazione spropositata nei suoi confronti e cercava sempre di farsi notare dal re per essere apprezzato.
Sospirò afflitto, cos’altro avrebbe potuto fare?  
 
 
 
Skipper stava perlustrando il maniero alla ricerca di indizi che lo potessero aiutare a rimettere le cose a posto. Quel Clemson, per quanto abile fosse stato, non gli piaceva affatto; si era intrufolato nel castello e, da subito, si era comportato come se ne fosse stato il padrone: aveva imprigionato il legittimo sovrano e aveva iniziato a dettare legge, certo della sua prossima ascesa al trono.
Quanto lo infastidiva il fatto che tutto ciò era accaduto sotto i suoi occhi, non era riuscito ad arrestarlo nei suoi intenti. Era un affronto personale, e presto gliela avrebbe fatta pagare.
Ora più che mai doveva tenere occhi e orecchie ben aperti, doveva captare qualsiasi segnale o conversazione che gli permettesse di inquadrare la situazione: c’erano forse degli infiltrati o dei ribelli? Come era potuto succedere che quel pazzo fosse riuscito con così tanta facilità a eludere la sicurezza del castello?
Certo, era ormai palese il vero obiettivo di Clemson, lo aveva annunciato egli stesso: voleva diventare re e avrebbe fatto qualsiasi cosa per realizzare il suo sogno. Aveva progettato il suo piano nei minimi dettagli e ora si ritrovavano in mezzo ad esso e, per quanto si sforzasse, Skipper non riusciva a vederne una via d’uscita e ciò lo irritava non poco. Non poteva farsi manipolare dai suoi stati d’animo, doveva mantenere la calma e la lucidità, grazie alle quali avrebbe potuto ideare un contrattacco.
Si ritrovò a marciare nell’ala del castello dove si trovavano le stanze reali e dal loro interno sentì provenire dei singhiozzi soffocati.
Si avvicinò alle porte e bussò.
Attese alcuni minuti, durante i quali ipotizzò che la regina si sistemasse alla bell’ e meglio per rendersi più presentabile, fino a quando una voce dolce e al contempo autoritaria lo invitò a varcare la soglia.
<< Avanti. >>
Il soldato non se lo fece ripetere e, deciso, entrò nella stanza.
La regina si trovava in piedi davanti alla finestra, alla quale mostrava le spalle; la luce che faceva capolino da essa la illuminava donandole un alone mistico.  
Non era difficile intuire che quei singhiozzi, sentiti poco prima, erano stati causati dalla regina, l’unica occupante dell’ambiente; i suoi occhi erano rossi e gonfi, palesi sintomi di pianto.
Non poteva biasimarla; non si trovavano di certo in una situazione che spingeva i loro animi a gioire o a festeggiare; doveva essere accaduto qualcosa che aveva reso la regina così vulnerabile e lui ne era all’oscuro.
La sovrana, infatti, non piangeva mai con facilità, era una donna forte e rispettava l’etichetta, non si era mai mostrata debole e insicura in pubblico, aveva sempre esibito un comportamento degno di una regina che si rispetti, al contrario del suo consorte.
Non era un mistero che tutte le decisioni, che il re aveva preso, erano state caldamente consigliate da sua moglie, che era molto più lungimirante per quanto riguardava la gestione del regno e inoltre sapeva molto bene cosa volevano i suoi sudditi – in fondo proveniva anche lei dalla classe inferiore – e li accontentava, senza ledere la corona. Riusciva a trovare un compromesso che accontentasse tutte le parti in causa; era molto brava e teneva particolarmente al regno e ai suoi abitanti.
<< Oh sei tu. >> disse, sollevata.
Skipper parve non capire.
<< Credevo fosse quel Clemson. >> Al pronunciare il nome dell’ usurpatore il suo viso si contrasse in una smorfia di disgusto e disprezzo.
Ma poi si rilassò, al suo cospetto si trovava il capitano delle guardie, nonché il suo migliore amico, la persona a cui avrebbe affidato la propria vita senza pensarci due volte e verso la quale disponeva di completa fiducia.
<< Vostra Altezza? >> attirò l’attenzione il comandante. << Cosa è successo? >> volle sapere, pragmatico.
<< È  una tragedia. Una vera tragedia. >> rispose Marlene.
<< Clemson è davvero malvagio. >> considerò la regina.
Skipper concordò, intimamente, con la regina, anche se non conosceva ancora i dettagli delle sue  ultime malefatte.
<< Se non gli cedo la corona, ucciderà Julien! >> la sua voce si era alzata di un tono.
Skipper sbarrò gli occhi, dalla sorpresa. Non avrebbe mai immaginato che Clemson sarebbe arrivato a tanto. Era stupefatto.
<< Ma se io gli permetto di diventare il nuovo re, ha promesso di liberare Julien. Lo terrà in vita. >>
Iniziava a capire la gravità della faccenda e soprattutto la posizione poco piacevole di Marlene. Comprese anche perché un attimo prima stava piangendo, lo stress era troppo. Qualunque scelta avesse preso, avrebbe avuto delle conseguenze e il peso della decisione gravava tutto sulle sue spalle.
<< So cosa devo fare. Spero solo che Julien non mi odierà per questo. >> disse Marlene, risoluta.
Ora anche Skipper aveva chiaro il piano della regina e non poteva permetterle di andare fino in fondo.
<< Ma non potete! >>  la contraddisse, con fervore, il capitano Skipper.
Marlene gli rivolse uno sguardo disperato.
<< Non ho altra scelta. E tu sai che sceglierò sempre di salvarlo, anche se questo potrà significare la perdita del titolo. >>
Lo sapeva bene, per questo non era sicuro che fosse la giusta soluzione. Doveva pur esserci un’alternativa, che vedesse Julien salvo e di nuovo sovrano. Purtroppo non riusciva a scorgerla, per cui avrebbe dovuto attenersi al piano della regina.
<< Io lo amo e farò di tutto per salvarlo, anche sposare quel Clemson e farlo diventare il nuovo sovrano. >> disse, a malincuore. Quanto le era costata quella decisione!
Sapeva che Julien non le avrebbe perdonato con facilità il suo declassamento, adorava essere l’unico, il diverso, amava avere privilegi da alto nobile e dare ordini. Da allora in avanti non avrebbe più avuto l’occasione di imporre il proprio volere, probabilmente sarebbe stato proprio lui ad abbassarsi a svolgere i comandi di altri. Le piangeva il cuore al pensiero della vita infelice che avrebbe condotto, ma almeno sarebbe stato vivo.
Prese un profondo respiro per farsi forza e, determinata, s’incamminò verso l’esterno alla ricerca di Clemson, sperando con tutto il cuore che Julien, un giorno, l’avrebbe perdonata e comprendesse le sue ragioni.
 
 
All’incoronazione, che si tenne il giorno successivo, ebbero l’onore di presenziare all’evento i comuni abitanti del castello, le persone più vicine alla famiglia reale e, per quanto l’avvenimento di per sé potesse essere emozionante, nessuno in sala provava sentimenti positivi, a parte il giovane saltimbanco Mortino che, al momento dell’elevazione della corona, si era lasciato sfuggire un “Oh” ammirato.
Tutti i presenti sfoggiavano sorrisi tirati, che assomigliavano a smorfie causate dallo stress, ma Clemson era troppo occupato a gioire della sua vittoria per accorgersene.
Anche i festeggiamenti che seguirono la procedura ufficiale furono molto scarni e desolanti, solo Mortino, forse perché era giovane o perché era insito nella sua natura di giullare, cercava di animare un po’ l’atmosfera, con scarsi risultati. Nessuno aveva voglia di festeggiare.
Marlene era triste e sconsolata, si odiava per quello che aveva fatto: il suo gesto, visto dall’esterno, poteva apparire come un tradimento verso Julien, il suo legittimo sposo; si era unita in matrimonio con un altro permettendogli di salire al trono per salvare la vita dell’unico uomo che amava e che avrebbe sempre amato. Ma questo, non lo avrebbero saputo in molti.
Sospirò, sconsolata, prima di darsi ai piaceri della tavola nella speranza di dimenticare i suoi problemi.
La notizia del lieto evento non fu accolta con letizia neppure dagli abitanti del regno, in lutto per la scomparsa del precedente sovrano – Clemson aveva fatto girare la notizia della presunta morte di Re Julien.
Molti erano sorpresi dal fatto che la regina si fosse già risposata e alcuni erano giunti alla conclusione che qualcosa di strano stava accadendo al castello; c’era qualcosa che puzzava, per usare un’espressione gergale.
I festeggiamenti finirono presto, visto che non c’era nessuno che li alimentava e li rendeva vivi. Tutti erano stanchi e afflitti, così si ritirarono presto nei loro alloggi.
La regina raggiunse barcollante le sue stanze; quella sera aveva bevuto molto di più che durante tutto l’arco della sua vita. Non vedeva l’ora di sdraiarsi nel suo soffice letto e lasciarsi accompagnare nel mondo dei sogni, dove forse avrebbe trovato tutto come prima, come avrebbe desiderato che fosse ancora nel mondo reale.
Poteva dirsi fortunata poiché non doveva condividere la notte con il suo nuovo sposo; dagli accordi che avevano stipulato – perché lei aveva ancora potere decisionale e lo avrebbe sempre esercitato, dove poteva – non doveva adempiere ai doveri matrimoniali, almeno la sua dignità di donna era salva. Il loro non era altro che un matrimonio di facciata, una specie di contratto: erano sposati legalmente, agli occhi del mondo, ma in privato avrebbero avuto pochi contatti, solo quelli strettamente necessari.
Sfinita si lasciò cadere sul grande letto e chiuse gli occhi, attendendo l’arrivo di Morfeo.
L’unico euforico e propenso a lunghi festeggiamenti era Clemson, che solo nella sua stanza parlottava e rideva di gusto.
 
 
 
Il giorno seguente, Marlene si svegliò con un terribile mal di testa. Che accidenti era successo, la sera prima?
I ricordi le affiorarono pochi alla volta e il senso di colpa ritornò a pesarle sullo stomaco. Come un automa si alzò dal letto e iniziò a prepararsi; anche se non era in gran forma, ci teneva ad essere ordinata e decentemente presentabile.
Ci mise più del solito, ma una volta pronta marciò spedita verso le stanze del suo nuovo consorte. Secondo i patti, ora doveva liberare Julien e lei lo avrebbe convinto a farlo subito.
Bussò energicamente alla porta della sua stanza – in fondo le buone maniere non dovevano essere accantonate – e, non appena ebbe il permesso, irruppe nella stanza senza preoccuparsi di cosa le sarebbe presentato davanti agli occhi. Una mossa un po’ avventata e priva di tatto, ne era consapevole.
La scena che le si presentò non era nulla di sconcertante; semplicemente scoprì com’era Clemson di prima mattina: assonnato e avvolto dal suo pigiama, una persona comune senza quell’espressione maligna che abitualmente ospitava in viso. Faceva quasi tenerezza.
<< Salve, mia regina! >> la salutò, con scherno.
Aveva indossato con estrema velocità i panni abitudinari di cattivo e si era lanciato già all’attacco. Una gran bella fortuna ricevere un buongiorno simile,decisamente le mancava!
<< Ben svegliato, Vostra Altezza! >> rispose con lo stesso tono Marlene; il disprezzo era visibile sul suo viso.
<< A cosa devo la vostra visita? >> 
<< Sono venuta a ricordarvi i patti. Io ho fatto la mia parte, ora tocca a voi. >>
Marlene gli lanciò uno sguardo di sfida, era carica e decisa a far rispettare le proprie condizioni.
<< Ah già. Devo liberare il prigioniero. >> disse quello, con tono leggero, continuando la presa in gira nei suoi confronti.
<< Esatto. E sarà la prima cosa che farete da re. >> marcò quest’ultima affermazione con decisione.
<< Certo. Ma ora dovete uscire. Vi raggiungo io a colazione. >> la congedò freddamente il nuovo re, Clemson.
Prima di uscire, gli rivolse uno sguardo torvo; non le era mai piaciuto essere accomiatata con sgarbo e freddezza, proprio il comportamento che le era stato riservato dal suo consorte.
Tuttavia, fece come le era stato ordinato.
 
 
Dopo un tempo che le parve infinito – e ipotizzò che Clemson ci avesse messo più tempo del dovuto solo per irritarla –, il nuovo sovrano la raggiunse e insieme si diressero alle prigioni. Da quanto tempo desiderava rivedere Julien! Era stata molto in pensiero per lui, immaginava a come avesse sofferto tutto solo in quella fredda cella, senza compagnia; aveva cercato di mandare Skipper o Maurice, il fidato consigliere, a controllare, ma ogni volta Clemson si metteva in mezzo e impediva che qualcuno di non gradito si avvicinasse alle celle. Così il suo povero Julien era rimasto solo tutto quel tempo. Che infame, quel Clemson!
I loro passi rimbombavano forti e chiari tra le mura spesse delle segrete, finché non si arrestarono, una volta giunti a destinazione.
Julien era rannicchiato in un angolo, sembrava così indifeso; non si accorse da subito del loro arrivo. Ma appena sentì la voce profonda di Clemson alzò la testa e li mise a fuoco. Non appena il suo sguardo cadde sulla figura di Marlene, il suo viso, stanco e provato da quell’orribile esperienza, si distese in un largo sorriso, il primo che faceva da quando era iniziato quell’inferno.
La regina gli sorrise dolcemente di rimando. Constatò con sollievo che Julien stava abbastanza bene, almeno per quanto riguardava la salute, tuttavia non sarebbe rimasta meravigliata se, da lì a qualche tempo, quell’esperienza avesse causato delle ricadute sulla sua psiche; Julien non era particolarmente forte e resistente, era facilmente impressionabile come un bambino.
<< Oh Marlene! Come sono felice di rivederti! >> gioì Julien.
<< Anch’io. Non sai quanto. >> gli rivelò Marlene, avvicinandosi alle sbarre della prigione, accarezzandogli le mani che erano arpionate ad esse.
<< Dovremmo proprio ordinare di pulire a fondo le celle. C’è una sporcizia! >> si lamentò altezzoso Julien, ancora ignaro della situazione e della propria sorte.
Marlene accolse le lamentele di Julien con fare bonario, come faceva una madre verso le proteste dei propri figli, ma non lo rassicurò come avrebbe fatto normalmente. Era troppo tesa, non sapeva come spiegargli gli ultimi avvenimenti e soprattutto come aveva barattato la sua scarcerazione.
Julien le rivolse uno sguardo speranzoso; se lei era giunta fin laggiù voleva dire solo una cosa e cioè che finalmente poteva tornare alle sue vecchie abitudini; poteva tornare nel lusso sfrenato, alla sua vecchia vita. Era lì per salvarlo, per liberarlo. E mai più avrebbe passato del tempo nelle celle, da solo. Mai più.
Si considerava nuovamente padrone della sua vita, del suo castello e del suo regno.
Con passi fermi Clemson si avvicinò al quadretto che formavano i due amanti, patetico per i suoi gusti, e sfilò, tintinnante, la chiave.
La inserì nel chiavistello e aprì il cancelletto della cella, che cigolò sinistramente.  
Julien non si fece ripetere l’invito ad uscire e, con un balzo, si ritrovò all’esterno, al di qua delle sbarre, e gli piacque la visione della vita da quell’angolatura. Si risentì rinascere e rinvigorire. Nulla l’avrebbe fermato.
Respirò a pieni polmoni l’aria, da uomo libero.
Tutte quelle cerimonie infastidirono Clemson, il quale appurò ancora una volta quanto Julien fosse un inetto e che non avesse la stoffa per regnare.
<< Libero! Yuppy! Bisogna festeggiare! >> esternò la sua felicità Julien, che però non fu condivisa dagli altri due.
<< Cosa c’è? >> chiese, allora, serio. Il suo sguardo passò da uno all’altra, come una pallina da ping- pong, confuso. Nessuno pareva intenzionato a dargli una risposta.
Anche la sua Marlene era in difficoltà, di solito sempre propensa a rasserenarlo, ma non quella volta; sembrava che avesse un groppo in gola, non riusciva a emettere suono. Si allarmò, non era un buon segno.
<< Su avanti, diglielo, mia regina! >> ordinò con arroganza e malvagità Clemson.
Come l’aveva chiamata? Solo lui poteva appellarsi in quel modo a lei, alla sua dolce metà. In bocca a quel manigoldo stonava parecchio, non c’era alcun sentimento. Si sentiva privato di una parte di sé, quella più nascosta che solo la regina aveva l’onore di poter vedere quando si trovavano soli in privato, era come se gli fosse stata strappata una parte della propria anima, quella che era connessa con i propri sentimenti ed era strettamente legata a Marlene.
Era adirato per la facilità e il poco rispetto con cui quel Clemson si rivolgeva alla sua signora, ma non ebbe molto tempo ancora per approfondire la questione poiché la sua attenzione fu catturata dalla voce malferma di Marlene.
<< Ju-Julien, devo dirti una cosa. >> sembrava sull’orlo di piangere. Teneva la testa bassa, così non poteva indagare i suoi occhi e, questa gesto di resa da parte sua, lo destabilizzò un poco. Mai, da che aveva memoria, si era ritirata indietro, mai aveva abbassato la testa, sconfitta.
Cosa accidenti era successo?
Marlene si vergognò di se stessa. Non riusciva a confessarglielo, non stava mantenendo la promessa che aveva fatto davanti a Dio di essergli sempre sincera; non ce la faceva proprio.
Cercò, invano, di calmarsi, di riprendere fiato e buttare fuori quelle parole che pesavano più di macigni, ma non ne ebbe il coraggio.
Julien era perplesso e attendeva una spiegazione, che tardava ad arrivare. Iniziava a spazientirsi.
<< Visto che la regina non riesce a dirti la verità, lo farò io. >> si intromise Clemson.
Clemson stava gongolando nel suo intimo: non vedeva l’ora di sbattere in faccia a Julien il suo degrado. Chissà che faccia avrebbe fatto? Non stava più nella pelle dallo scoprirlo.
Tuttavia, fece una pausa ad effetto, per aumentare la suspense e i timori che rodevano Julien, al suo interno.
<< Tu non sei più re. >> scandì bene la frase, giusto per avere la certezza che un ritardato come il vecchio sovrano comprendesse la gravità della situazione: da quel momento in poi sarebbe iniziata una nuova era.
Ci furono attimi di profondo silenzio, finché non si levò una risata divertita.
Clemson rimase allibito: gli aveva appena dato la peggiore notizia di tutta la sua vita e quello squinternato si metteva a ridere? Ma cosa aveva nella testa al posto del cervello? Segatura, forse?
<< Bello scherzo! >> commentò non appena smise di essere sconquassato dalle risa.
Dopotutto quel Clemson aveva  un certo stile, per le burle.
<< Bene, ora è meglio che torni al mio trono. >> e pimpante si incamminò verso il corridoio che portava ai piani superiori.
Ma Clemson gli sbarrò la strada e, con occhi rossi iniettati di sangue, gli disse, furioso: << Forse non hai capito. Tu non sei più re. >>
Glielo ripeté, questa volta con fare minaccioso.
Julien lo guardò, impaurito. Capì che Clemson non stava  affatto scherzando , diversamente da quello che credeva e sperava.
Se pensava che il peggio fosse passato, si sbagliava di grosso. Ora capiva il detto secondo cui “al peggio non c’è mai fine” e si dispiacque di non averci mai creduto prima, forse si sarebbe risparmiato di provarlo a proprie spese.
Le parole di quel pazzo furioso gli ronzarono in testa, come un mantra, e il mondo gli crollò, tutto in una volta, addosso. 
Come sarebbe stato il suo futuro, da lì in avanti?
 
 
 
Un po’ alla volta Julien si abituò alla sua vita da servitore, sebbene non c’era giorno che non rimpiangesse la bambagia e la ricchezza, e ogni tipo di comfort di cui non poteva più usufruire. Come si poteva vivere così miseramente? Mangiava gli avanzi, era vestito di stracci che non tenevano caldo e non riparavano dagli spifferi d’aria, il suo giaciglio era costituito da paglia e fieno e doveva sgobbare dalla mattina alla sera per soddisfare gli ordini del nuovo sovrano. Non avrebbe mai smesso di maledire Clemson per avergli rovinato la vita.
E al pensiero che quell’infame si rotolasse nella sua ricchezza, che infangasse il buon nome della casata e che avesse addirittura sposato la sua regina, lo mandava in bestia ogni volta. Ma non aveva nessuna facoltà e potere per cambiare le cose.
Fortunatamente Marlene cercava sempre di richiedere i suoi servigi, così da procurargli un po’ di tregua dal lavoro sfiancante a cui, lo sapeva bene, non era affatto abituato.
Così facendo riusciva a guadagnare del tempo per rilassarsi e per stare insieme alla sua amata.
A nessuno dei due faceva piacere vedersi così di nascosto e di sotterfugio come se rubassero o facessero qualcosa di immorale; ogni loro incontro clandestino era permeato dalla continua paura di essere scoperti da Clemson o dai suoi scagnozzi.
Cosa toccava fare a due persone innamorate per trascorrere un po’ di tempo insieme!
La fortuna era dalla loro parte, perché Clemson non venne mai a conoscenza dei loro appuntamenti segreti, non che probabilmente gli avrebbe interessato sapere che Marlene continuava a frequentare il suo ex consorte, non l’amava, per cui, se mai, era tutta questione di onore e orgoglio. Ma era talmente cieco e preso dalla politica e dalla sua posizione che non poteva fermarsi a osservarsi intorno e ad ascoltare possibili pettegolezzi e voci di corridoio.
Il tempo trascorreva senza che ci fossero novità o spunti che permettessero di ribaltare la situazione; Skipper stava sempre architettando un piano infallibile e affidabile, ma purtroppo non lo aveva ancora messo a punto finché, un bel giorno, ebbe l’illuminazione e una nuova aspettativa.
Aveva assistito all’improvviso e imprevedibile mancamento della regina e, dopo averla stesa con cura su una superficie morbida, Skipper era andato a chiamare Kowalski, l’inventore di corte, l’unico che avesse delle basilari conoscenze di medicina.
Alla fine della visita, Kowalski annunciò con solennità che la sovrana era incinta.
<< Incinta? >> domandò sorpreso Skipper.
<< Fra nove mesi darà alla luce un bambino. >> spiegò diligentemente lo scienziato.
<< So cosa vuol dire, per chi accidenti mi hai preso? >> si inalberò il capitano delle guardie.
L’altro lo osservò con superiorità, senza controbattere.
Intanto la mente di Skipper correva veloce alle conclusioni; era sicuro di sapere chi fosse il padre del bambino e questo infondeva nel suo animo una marcia in più, una buona ragione per lottare e questa volta sarebbero riusciti a spodestare Clemson e a rimettere sul trono Julien.
Quel bambino era un miracolo, una manna mandata dal cielo, era la loro nuova speranza; presto tutto sarebbe ritornato come prima.   
Sorrise, soddisfatto.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Ciao! ^_^
Ebbene eccomi di nuovo qui a imbrattare questo fandom. XD
Questa storia, l’avevo scritta per la mia raccolta, ma purtroppo non ha i giusti requisiti. Non sono neppure sicura che soddisfacesse il prompt per il quale l’avevo ideata. E non sono riuscita a farla rientrare nei parametri. In caso, avrei dovuto tagliare un po’ qui e un po’ là e, francamente, non mi sembrava corretto; insomma la storia è nata così e “amputarla” sarebbe stato troppo doloroso (XD) e controproducente.
Indi per cui ho pensato che avrei potuto condividerla lo stesso con voi, postandola come una one shot normale, fuori dalla raccolta e quindi dalla challenge. ;)
Spero possiate apprezzarla quanto io mi sono divertita nello scriverla! ;)
E, infine, vorrei dedicarla a Syugi come ringraziamento per avermi permesso di partire – e quindi di fantasticarci su, aggiungendoci del mio, ovviamente! :D – dalla situazione della sua shot “La regina e il capitano” – se l’offerta è ancora valida. C:
Credo sia palese che io abbia avuto come modello la sua shot, molti ruoli infatti sono gli stessi – con un’unica differenza, nella mia fantasia non ci sono e non ci saranno mai accenni di SkiLene. XD Mi dispiace, ma magari sarà per la prossima volta…
Forse vi starete chiedendo del perché della citazione iniziale; in realtà non lo so neppure io; mi piaceva e mi sembrava che avesse un’attinenza con la storia. Tutto qua. =)
Grazie a chi leggerà e a chi vorrà lasciare un parere. C:
Alla prossima! ;)
Selly

 
   
 
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