Serie TV > Sherlock (BBC)
Ricorda la storia  |      
Autore: Jawn Dorian    14/03/2014    3 recensioni
Quel giorno, Sherlock Holmes non era morto davvero.
Ma John Watson sì.
{...}
“Tu...soffri di Acrofobia per colpa mia, John."
"Va tutto bene."
{ Vertigini, respiri spezzati, allucinazioni post trauma, e tanta tanta bromance. }
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Note dell’autrice
Salve, EFP. Sono quasi le undici del mattino mentre scrivo queste note, e al momento ho la febbre.
Non dico che fossi nel pieno del delirio febbrile mentre scrivevo questa fic, ma sicuramente c’ero molto, ma molto vicino. Ho scritto tutto di getto, quasi per sbaglio, e senza rimuginarci le ore.
Perché?
L’altra sera, mentre il virus intestinale aveva già cominciato a fare i suo circolo, messaggiavo tranquillamente con una mia amica e ad un certo punto me ne esco con: “Come si chiama la paura dei posti alti?”
Da lì in poi ovviamente il ragionamento è venuto da sé: John ha visto Sherlock cadere. La cosa l‘ha sconvolto. Sherlock si è buttato da un edificio alto. John ora ha paura dell’altezza, perché gli ricorda la caduta di Sherlock.
All’inizio io stessa ero scettica, molto scettica, e mi sono anche detta: “Sì, va bene, ma in fondo John è un soldato, ha sopportato di peggio”
Al che l’amica con cui messaggiavo, candidamente, come se fosse la cosa più ovvia del mondo, mi ha risposto: “Non ha rischiato di perdere il suo migliore amico per sempre, però.”
BAM.
Stesa. Convinta. Illuminata. Partita. E sia. Scriviamola, per l’amor di Dio. Nel nome della sacra amicizia di questi due, che è tipo la migliore bromance mai vista sulla terra.
Insomma ho tirato in fretta le mie ridicole somme, e ho deciso di scrivere questa cosina patetica, in questo fandom davvero immenso, che viene aggiornato ad una velocità quasi esasperante.
Spero che qualcuno apprezzerà un minimo tutti questi sentimentalismi cretini e probabili OOC.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Dedicata a Lar, la ragazza del messaggio, non che la mia Sherlock.
Grazie.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Moriarty sat on a wall, Sherlock Holmes had a great fall.
And all Lestrade's horses and al Mycroft's men, couldn't put Watson together again.
{ Mina Harrison }
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
“John! John, che cosa aspetti?! Salta! L’assassino! Lo stiamo perdendo!”
“Sherlock…”
“John…?”
“SHERLOCK!”
 
 
 
 

Acrophobia

 
 
 
 
 
L’ossigeno. Dov’era l’ossigeno? Non c’era più, era scomparso. Provò disperatamente a respirare e ad immagazzinare aria, ma non entrava, non c’era.
Dov’era? E quel posto era alto, troppo alto. Era un dannato grattacielo, quello. Eppure due secondi prima era un normale palazzo londinese di periferia.
Maledizione, cos’era quel posto senz’aria, perché gli sembrava di essere fuori dall’orbita terrestre?
Alzò gli occhi.
Dove prima c’era il cielo ora stava immobile una nera figura. Sospesa, ed inquietante, e lo guardava con aria superiore. Un fantasma?
Sherlock.
Quello era Sherlock.

 
No, no, Sherlock, ora basta, smettila. Non è divertente.
Scendi subito.

 
 
Il respiro. Dov’era? Non c’era più aria, non c’era più niente.
C’era solo Sherlock, che lo guardava piangendo dall’alto, di nuovo. Pronunciando taglienti, dolorosissime parole. Di nuovo. Stava accadendo di nuovo.
Ma lì in alto, ora non c’era solo Sherlock. C’era anche lui, c’era John Watson.
Ora era anche lui ad essere in alto, terribilmente in alto.
No. Voleva scendere da lì, era alto, troppo alto.
I suoni intorno non gli arrivarono più.
Tutto ciò che riuscì a fare fu sporgersi appena.
Non c’era più il cunicolo pieno di bidoni sporchi e gatti neri.
Quello era un marciapiede. Il marciapiede.
E lì, steso per terra, potè distinguerlo vivido davanti agli occhi.
La fiamma morente gli guizzò dentro, e in un attimo tutto sembrò così dannatamente chiaro.
Steso lì, riverso nel sangue, c’era Sherlock.

 
E’ un mio amico! Fatemi passare! E’ un mio amico, per favore!
 

Alto. Troppo alto. La testa gli esplose.
Allungò un braccio, come a volerlo ripescare, come sperando di poter fermare quella caduta, ma si ritrasse.
Era alto. Non ce la faceva.
Male. Male dappertutto. E vertigini.
Sentì le lacrime fare a pugni col suo sangue freddo del soldato, lo stomaco torcersi, e un infinito senso di vuoto impossessarsi del suo petto. Era morto. Era morto.
Sherlock Holmes era morto.
Di nuovo.
Alto, alto, troppo alto. Doveva scendere di lì, doveva scendere subito.
Come poteva fare, come? Non riusciva a muoversi, non c’era via di uscita.
Non poteva più guardare di sotto, non poteva, perché c’era lo sguardo di Sherlock, quello sguardo ceruleo, spento e vuoto, morto per sempre.
Ma voleva scendere, e rivoleva Sherlock.
E qual era l’unico modo per farlo?
Saltare.
“Salta, Johnny, salta”  gli sibilò una dolce voce nelle orecchie “se salti raggiungerai Sherlock…e queste vertigini…spariranno per sempre, sai?”
Quella voce. Oh, riconosceva quella voce.
Moriarty. Gli stava dietro. Gli sfiorava la schiena con i palmi, con aria familiare ed amichevole.
Ma le sue mani facevano pressione sulla sua schiena. Voleva buttarlo giù.
John provò ad urlargli di andarsene, provò a girarsi per colpirlo, ma non ci riuscì.
Bloccato.
Perché se avesse saltato, sarebbe davvero tornato da Sherock.
“Allora?”  domandò sinuosa la voce del fantasma di Jim “Non vuoi riavere i tuo adorato amico?”

 
Sherlock Holmes, il mio migliore amico…è morto.
 
 
“John, sono qui!”
Un sussulto. La sagoma sul marciapiede si fece sfocata, si dissolse lentamente, e quel grido, ovattato dalle vertigini, finalmente lo raggiunse.
“Smettila di guardare sotto, guarda me!”
Moriarty, dietro di lui, era scomparso nel nulla come se non fosse mai esistito.
John si scosse come si fosse svegliato da un incubo, e in effetti era proprio così.
“Guardami! Sono qui, davanti a te! Respira con calma, respira!”
Respirò. Una, due, tre volte.
L’aria era tornata, l’ossigeno era di nuovo lì.
Ma quel posto era ancora alto, e sentiva le vertigini martoriarlo.
Provò a parlare, a dire qualcosa, ma non poteva, le parole gli morivano in gola.
Perché un soldato aveva paura dell’altezza?
Perché una simile fobia, proprio ora, proprio lì, in quel momento?
Doveva calmarsi. Doveva stare calmo.
Sherlock è vivo, John. Sherlock non è morto davvero, Sherlock sta bene. Questa è solo la tua immaginazione.
Ma l’altezza, quella, era dannatamente vera.
“John, arrivo!” quel fantasma dal cappotto nero svolazzante saltò, ma non per morire, ma per salvarlo.
Gli piombò addosso, lo scostò da lì, gli tolse tutta quell’altezza da sotto i piedi, e finalmente capì.
 
Quel giorno, Sherlock Holmes non era morto davvero.
Ma John Watson sì.
 
 
 
 
 
 
“Acrofobia.”
“Sherlock …”
“Paura persistente e duratura dei posti alti.”
“Sherlock…”
“Può causare vertigini, mancanza d’aria, giramenti dei testa, ma nel caso del tuo trauma direi anche…”
“Sherlock…”
“…allucinazioni.”
Sherlock lo fissava con uno sguardo penetrante, come a volergli leggere dentro, ma non ne era capace perché lui, il grande Sherock Holmes, sapeva leggere solo il fuori.
Ed era forse per questo che in quel momento, John Watson, appoggiato al condotto di areazione su quel tetto, col fiato corto, seduto ed inerme, gli sembrava la persona più imperscrutabile mai vista sulla terra.
“Cosa hai visto, John?”
“Lo sai vero, che mentre siamo qui a chiacchierare, l’assassino avrà già preso un volo per Cuba?”
“Cosa hai visto?”
“…la tua morte, Sherlock.”
Quel silenzio era peggio del vuoto di prima. Glaciale, più buio di quel sudicio posto senza uno straccio di lampione. Amaro, quanto un veleno.
Sherlock guardò John, e per la prima volta si sentì infinitamente in colpa.
In colpa perché la persona che smaniava tanto di aver protetto, per colpa sua ora aveva subito un danno irreversibile, un trauma davvero tremendo.
“Tu…soffri di Acrofobia per colpa mia, John.”
Quelle parole le disse tremando.
“Va tutto bene” sentì rantolare il suo amico, tra i lunghi respiri per calmarsi “va tutto bene.”
Il suo sorriso ora era luminoso come sempre, e non c’era alcuna traccia di accusa nelle sue parole.
La loro amicizia era come quella dei bambini. Si litigava, ci si urlava e si piangeva. Pioggia, pioggia, pioggia.
Una volta fatto pace, nulla avrebbe potuto cancellare la luce del sole.
“Vedi?”
Il medico tirò Sherlock per la giacca, facendolo chinare su di sé, e a quel punto la sua mano si ancorò alla spalla del detective, in una silenziosa promessa di non lasciarlo mai.
Sei qui, adesso, sei qui. Sto bene. Capito?”
“No…no, cosa?”
“Non sei morto. Quindi sto bene. Fine del discorso.”
John chiuse gi occhi lentamente. Stanco, provato, ma non distrutto. Ma anzi, aggiustato.
E Sherlock si lasciò cadere seduto di fianco a lui, a peso morto.
“Mi dispiace, John. Davvero.”
“Non sono mai stato così patetico” soffiò l’ex-soldato, abbandonandosi completamente a quello scambio di confidenze mal riuscito. Ma era questo che voleva dire essere i migliori amici di Sherlock Holmes.
“Davvero? E dire che hai invaso l’Afghanistan…”
Il fiato se ne era andato di nuovo.
Ma non per l’altezza, non per le allucinazioni. Ma per le risate. Forti, soffocate, splendenti come tutte le ore passate assieme. John non riusciva a smettere di ridere.
 
 
 
 
“Come posso rimediare, John?”
“Non morire mai più prima di me.”

 
 
 
 
  
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: Jawn Dorian