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Autore: tomboy    15/03/2014    5 recensioni
Due ragazzi innamorati, decisi a passare la vita assieme. La classica storia d'amore se non fosse per quel desiderio impellente di Alec di rubare, quasi che nel suo DNA fosse tatuata la parola "criminale". Cede, si dà al furto e viene scoperto; il suo ragazzo non vuole più saperne di lui, ma Alec vuole rimediare perché, si sa, all'amore non si comanda!
«Tu non bevi. Non dicevi che odiavi avere la mente annebbiata?»
«Questo era prima di te, Nathaniel.»
Genere: Azione, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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it's in my dna efp

Chi mi ha ispirato: Serena

Traccia: lui (24 anni), lui (17 anni), delusi,  arrabbiati, parco innevato

Parola chiave: litigio

Rating: verde

 

 

 

It’s in my Dna

-or perhaps I am only a sleepwalker-

 

 A te, che stai leggendo le mie parole

 

 

I suoi erano occhi tristi da condannato. Il suo era un amore macchiato dal sangue. 

Dietro lo sguardo azzurro di Alec si leggevano mondi di disperazione, neri e grigi. Il lucido dei suoi occhi e la furia cieca lo abitavano ormai.  Era uno scheletro in completo e cappello; strascicava i piedi ad ogni passo, come se una qualsiasi meta gli fosse sgradita.

«Come stai?» Gli chiedeva la psicologa.

«Come te la passi?» Gli domandava Rebecca.

Lo scheletro di ghiaccio rispondeva con un bene distratto e le iridi spalancate, come se con quei suoi grandi occhi blu potesse riuscire a scorgere nelle loro anime.

Non perdonava a sua sorella Rebecca di non averlo capito. Non perdonava a Nate di non essere venuto. E le loro parole gli vorticavano nella mente. Loro, tuttavia non capivano cosa significasse essere il cattivo, quello che mentiva sempre.

«Non cambierai mai; sei solo un criminale.»

Così il suo destino era segnato, ce l’aveva scritto nel DNA; un “criminale” tatuato sui miliardi di nucleotidi che lo definivano.

Il fantasma blu agitato dai propri pensieri aveva abbandonato la sua posa rilassata sulla panchina, scrutava ora assorto la strada in cerca di un qualsiasi segno di Nate; scorgeva tuttavia solo mocassini e tacchi neri: dovevano ancora comparire i suoi stivali da studente d’arte. Uno sfarfallio color amaranto, il cuore azzurro sussultò: Nate stava arrivando in tutta la sua aria trasandata con una Canon in una mano e un albo nell’altra.

Alec in giacca e cravatta alzò una mano e con un sorriso affabile, ma incerto lo salutò. Lui gli rispose con tutta la sua fragilità e si lasciò cadere sulla panchina.

I suoi occhi castani puntarono decisi alle iridi blu del ragazzo. «Spiegami.» Non sembrava essere venuto per rimanere.

«Sei qui … » Alec non se l’aspettava; pensava di essere per lui solo una vecchia storia da cancellare, uno di quei tratti di vita che poi diventano realtà solo con diverse bottiglie di vino.

«Sì, ci sono.» sospirò Nate.

«È stata la psicologa, vero? Ti ha telefonato; ti ha detto che non avevo miglioramenti. È solo per questo che sei venuto.»

«Alexander, ti sto dando la possibilità di spiegarmi tutto; perché con te diventa sempre colpa mia?»

«Sei qui.» come un disco rotto Alec andava avanti.  

«Alexander,» Nate gli prese le mani «guardami, sono qua. Io … io cerco risposte.» L’altro non emetteva un suono. «Dovevo immaginarlo.» sospirò «Niente della nostra storia valeva qualcosa per te. La psicologa diceva che eri distrutto a causa mia, ma si sbagliava; io ti servivo solo per rubare il Raffaello, stai così solo perché ti hanno sorpreso. Addio, Alexander. Addio. »  Nate si alzò, gli stivali militari si fecero strada sulla neve lasciando tracce scure, voltato l’angolo ci fu un’esitazione nei suoi passi; gli occhi dolci da cerbiatto fremettero, non si girò tuttavia. La neve dietro di lui si scioglieva a contatto con le lacrime; le mani cominciarono a tremargli, sempre più violentemente, la Canon gli cadde fra il manto candido. Invece di chinarsi a raccoglierla si lasciò cadere con le ginocchia, le mani a coprirsi il viso, i disegni sparsi a terra: miliardi di barche a vela che navigavano nell’oceano degli occhi di Alec, migliaia di sogni infranti e specchi rotti. Tremava. D’un tratto, come a leggere una sua muta richiesta, una giacca nera piovve dal cielo, una mano calda a stringergli la spalla, sguardo nello sguardo, le iridi blu uscite dalla carta lo fissavano forti, “non ti ho mai mentito” dicevano. “Torniamo assieme.” Aggiungevano.

«Alec … » Si lasciò sfuggire Nate troppo preso dai ricordi, accortosi poi dell’errore si corresse: «Alexander, non posso.»

«E perché?» mormorò con gli occhi imploranti.

«Lo sai benissimo.»

«Quadri. Solo quadri; non uccido nessuno. Era un Raffaello, capisci! L’amore per la bellezza, è forse questo che mi rende un»

«Criminale.» Completò Nate.

«Sì» poi aggiunse «ma cambierò. Voglio, vorrei che fosse tutto come prima, ogni cosa, ogni bacio, ogni sorriso» gli rispose uno sguardo castano pieno di dolore. «Non credi io possa cambiare.» Concluse con i tristi occhi blu.

«Non lo farai. »

«Fidati.» Fidarsi avrebbe significato ricominciare a dipendere da Alec; fidarsi, mettere tutto in gioco di nuovo. Sapeva che se gli avesse dato una seconda possibilità e poi lui l’avesse lasciato, si sarebbe trovato di nuovo solo, in compagnia di se stesso, con più cicatrici e meno ossigeno.

È lui il tuo futuro; l’hai sempre saputo. Disse una vocina dentro la testa di Nate.

«Provamelo. Dimostrami che sei cambiato, che il tuo amore non era una farsa per rubare uno stupido quadro.»

«Va bene.» Alec fece una pausa come per raccogliere la verità « Mentre stavo progettando il furto del “San Michele sconfigge Satana” ho saputo che uno studente dell’accademia aveva ottenuto un badge per entrare nel museo. Dicevano che era molto dotato, che volevano offrigli il posto per un’installazione; dicevano che aveva l’abitudine di addormentarsi ovunque. Mi sei subito sembrato una preda facile, Nate. Non ti avevo ancora visto, però e il giorno in cui ci siamo conosciuti il mio piano ha cominciato ad avere una falla dopo l’altra. Dovevo essere solo un amico per te, solo sottrarti quello stupido badge per il tempo necessario a clonarlo, ma non riuscivo a fare a meno di te. Ricordo che la prima volta che ti ho visto te ne stavi seduto sul bordo della fontana con un caffè in una mano e un albo nell’altra, avevi una borsa stracolma di colori, da cui riuscivo a scorgere la tracolla di una macchina fotografica. Non riuscivo a smettere di fissarti. Ormai ti eri accorto che ti stavo guardando, così ho finto di essere un ex-studente dell’accademia che aveva riconosciuto la divisa. Mi hai dato appuntamento per quella sera stessa, a bere qualcosa. Per me un the, per te un caffè.

Il resto è stato un sogno: la tua Canon che mi fotografava al risveglio, le tue tempere sparse per casa insieme ai calzetti. Fino al furto. Fino a che non te ne sei andato chiamandomi “criminale”, sentendoti sfruttato. Non è così, non lo è. In questi tre mesi in cui ho vagato da un tribunale all’altro non ho fatto che pentirmi; ho tradito tutti, li ho aiutati a catturare altri come me. Credimi! Ho provato a chiamarti. Ti ricordi le telefonate delle quattro del mattino? Quelle a cui nessuno rispondeva, quelle in cui pensavi ad uno stupido scherzo; ero io. Solo per sentirti di nuovo. Rebecca mi diceva di smetterla, mi ha poi costretto ad andare da una psicologa; diceva che avevo bisogno di aiuto. Sbagliava, io avevo bisogno di te. Vuoi delle prove del mio cambiamento? Ho tradito truffatori, ladri: i miei amici … Sono andato alla alcolisti anonimi per cercare di smettere di bere.»

«Tu non bevi. Non dicevi che odiavi avere la mente annebbiata?»

«Questo era prima di te, Nathaniel.»

«Me?» Sembrava che per tutto quel tempo avesse pensato di essere l’unico ad amare.

«Sì, te. Non capisco perché ti svaluti così tanto, sembra quasi che tu pensi di non piacere a nessuno. Mai. »

«È  così» mormorò Nate «A chi vuoi che possa importare di me, Alexander. Né a mia madre, né ai miei amici. Sono sempre stato solo. Mi sono fidato e sono immancabilmente stato tradito.»

«Nathaniel, per favore smettila. Io ti amo. Voglio esserci, voglio proteggerti.» A quelle parole Nate cominciò a piangere, la neve a sciogliersi al tocco delle lacrime. «Nate, Nate, che c’è? Che succede?»

«Sono un idiota.» singhiozzò «Sai, all’inizio ero quasi sollevato, quando ho scoperto che mi avevi usato per rubare un Raffaello; avevo la prova che era come gli altri. Avevo paura di vivere, di amare, anche se leggevo nei tuoi occhi il mio futuro, mi rifiutavo di andare avanti. Sbagliavo. Io dovrei lasciarmi andare. Io dovrei» si interruppe e baciò Alec lieve «fare questo.» concluse.

Alec sospirò e si distese nella neve ridendo.

«Che c’è?» domandò curioso Nate.

«No, niente.» Rispose con un sorrisetto furbo.

«Eh no, adesso me lo dici!» E gli si scagliò addosso. Rotolarono fra i cumuli di neve fino a che non riuscì ad immobilizzarlo.

«Okay, okay, va bene!» urlò ridendo Alec «È solo che, pensavo, se ogni volta che facciamo pace tu mi baci così, mi vedrò costretto a litigare con te ogni volta che sarà possibile. Ah, inoltre, nel prossimo litigio puoi tirarmi i piatti? Ti prego, l’ho sempre sognato!» I suoi occhi azzurri persi nel cielo.

«Tu … tu, sei tutto matto, fattelo dire!»

«Sono solo felice; felice come non mai che tu sia qui, che … Io ero nel buio, Nathaniel, con te è tornata la luce.» Gli occhi di Alec non erano più profondi abissi, erano cielo primaverile.

«Ti amo.»  Confessò Nathaniel tutto d’un fiato.

Alec gli mise una mano sul capo. «Sei così carino; le tue orecchie tutte rosse …» E scoppiò a ridere.

«Ah, è così, allora.» E una palla di neve piombò sul viso dell’altro. «Signor Alexander White, questo è un affronto, del sangue verrà versato oggi.»

Cominciò così la battaglia a palle di neve di Love Park, fra sguardi stupiti di passanti e bimbi che lasciavano le mani delle madri per unirsi al combattimento.

Nate non sapeva se Alec avrebbe veramente smesso di rubare; aveva deciso di fidarsi. Alec d’altro canto non sapeva se  Lombroso[1] e la fisiognomica[2] avessero ragione; aveva deciso di provarci, però. Posso cambiare. Pensava. I criminali hanno lo stesso DNA degli altri. Si convinceva. Quando rubo è l’adrenalina che ragiona per me. Adesso, ho Nate, io ragiono per lui. Forse rubare è un po’ come essere sonnambuli: una fase della vita, un periodo strano che dura per sempre, se non arrivano le persone giuste a svegliarti. Nate, grazie a te sono libero. Ora i miei sonni saranno tranquilli.

 

 

 



[1] Principale sostenitore della fisiognomica.

[2] Secondo la fisiognomica dall’aspetto di un individuo si può dedurre se esso sia un criminale. In particolare la fisiognomica scientifica trova fondamento nel determinismo genetico del carattere.

Angolo/note dell'autore

Con questo racconto ho sperimentato più del solito: ho abbandonato definitivamente la narrazione in prima persona, ho miracolosamente scritto più di una pagina Word e, signore e signori, per la prima volta è comparso un happy ending! Devo ammettere che all'inizio pensavo ad un finale tragico, ma in corso d'opera mi sono ricreduta. Questa storia partecipa ad un contest indetto da Melinda Pressywig quindi è stata riletta più e più volte, tanto che ad un certo punto sono giunta a non sopportare più la mia stessa opera. Ha subito tre riscritture, ma alla fine è questo il risultato, che ne pensate? Avete commenti, consigli, critiche? Mi farebbe molto piacere conoscere la vostra opinione.

Venendo alle note, volevo solo dirvi che il Love Park esiste veramente e si trova a Philadelphia (USA)  e che guarda caso nella stessa Philadelphia si trova la Pennsylvania Academy of  the Fine Arts.

  
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