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Autore: Isangel    17/03/2014    6 recensioni
Un matrimonio combinato. Un odio profondo. Un amore dissoluto.
Sicilia, seconda metà dell’Ottocento. Marianna è una contadina ventenne allegra e impavida, amata da tutti gli abitanti di Santoro, il villaggio in cui è nata e cresciuta. Orfana di madre da quando aveva dodici anni, Marianna vive con il padre vedovo e lavora nei campi con la madrina Pinuzza, moglie del pescatore Calogero, e sua figlia quattordicenne, Tiziana.
L’arrivo inaspettato di don Pietro Ripamonti, il nuovo padrone delle terre su cui si estende il paese dalla morte del padre, getta nello scompiglio la sua vita. Il villaggio è sotto le tormentose angherie dei suoi cortigiani e l’unico modo per calmare le acque è offrire uno sposalizio. Essendo l’unica donna nubile del quartiere, Marianna si sacrifica per sposare il giovane e dissoluto conte.
Pietro è più che felice di accettare Marianna come sua sposa, avendole già messo gli occhi addosso.
L’odio che la ragazza nutre per il marito oscura completamente il desiderio che lui prova sin dall’inizio. I rapporti tra i due sono tesi e complicati: lui, dominatore stoico e deciso, non riesce a sottometterla e lei, fiera e indipendente, non ha intenzione di lasciarsi calpestare.
Solo quando entrambi abbasseranno l’ascia di guerra, a bordo di una barca sul mare sotto il cielo di luglio, le prospettive cominciano a cambiare.
Pietro vede Marianna come la sua unica donna, la sola per cui nutre un rispetto profondo e sincero. Marianna comprende più che mai che quello che riteneva il demonio in terra è una persona con un cuore, sepolto dall’antico dolore per la morte dell’amata sorella, Laura.
Entrambi si amano appassionatamente, in un amore senza veci e denso di possessione urticante e bruciante. Un amore malato che sarà diviso da un’imminente tragedia, in cui Pietro vede la sua unica donna nelle vesti di un angelo paradisiaco. E quando tutto finisce, entrambi capiscono ciò che da molto tempo temono.
Perché non è difficile lasciarsi incantare dai dolci occhi di Marianna, celesti come il cielo di luglio.
Genere: Romantico, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: L'Ottocento
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Come il cielo di luglio 

18.

E tutto si chiuse, sotto il cielo di luglio.

 

Pietro non realizzava del tutto dove fosse. Sentiva intorno a sé voci, sussurri, tocchi.

Strano, credeva di essere morto. Sarebbe stata una morte dignitosa, tra le braccia di Marianna, con l’illusione che lei gli avesse confessato il suo amore.

Ma era vivo, eccome, perché Pietro mugugnava di dolore quando lo toccavano. Urlava nel dormiveglia finché non ebbe più le forze nemmeno per fare quello.

Era un’alternanza di: “Ha perso molto sangue” e “Ave Maria, gratia plena” e “Voscenza come sta oggi?” e “Avanti, amore, avanti, io sono qui… prego per te…”. Ecco, quest’ultima voce, dolce e carezzevole, era quella che preferiva. Marianna lo tranquillizzava, gli dava la certezza di non essere finito all’Inferno. Un angelo come lei non poteva esistere in un luogo oscuro e brutale come quello.

Così ogni tanto riapriva gli occhi, sfavillava, ma non riusciva a mettere a fuoco niente… per poi ripiombare nel sonno, disturbato dalle mani che gli cambiavano le bende e dalle continue pressioni sul viso. A volte gli sembrava anche di percepire qualcosa di più morbido e caldo sulla fronte o sulle guance invece della pezza bagnata. Che fossero labbra?

Quel naufragare dolce nelle soglie della coscienza si interruppe dopo tre giorni.

Aprì gli occhi e non vide il volto di Marianna, ma la sua cascata di capelli neri sul fianco del letto. Stava dormendo, la testa sopra le braccia incrociate sul fianco del letto.

Pietro provò a parlare, ma non ci riuscì subito. Aveva la gola riarsa. Intontito, mosse lentamente la mano e colpì il braccio di sua moglie, che si limitò a mugugnare nel sonno.

“Ma… Marianù?”

“Mmm…”. Così come aveva esternato il suo lamento, Marianna sollevò la testa di scatto, gli occhi azzurri e bellissimi spalancati. Che si riempirono quasi subito di lacrime.

“Pietro… oh, Maria Vergine, grazie al cielo!”

Non fece nemmeno in tempo a sorridere, che gli gettò le braccia al collo. Se lo strinse al seno, ridendo e piangendo contemporaneamente, farfugliando. “Sapevo che eri forte, amore mio, lo sapevo…”

Gli scoccò un bacio a fior di labbra, felice di poter finalmente ammirare i suoi occhi grandi e ambrati, lucidi e vivi.

“Voscenza…?”. Clementina Pagliarini fece la sua comparsa nella stanza, leggermente timorosa. “Oh, Dio, si è svegliato! Grazie!” esclamò, non appena scorse la testa di Pietro sul petto di Marianna.

Lui sorrise debolmente, come per confermare.

“Vado ad avvertire tutti, Voscenza!”. Così come era venuta, Clementina scomparve.

Marianna, che non si era nemmeno voltata, continuava a carezzargli quieta la testa, le dita scorrevano tra i capelli scuri con dovizia. Non stava più piangendo. “Hai dormito tre giorni, Pietro”

Lui si limitò a sbarrare gli occhi, incredulo.

“Hai sete?”

Annuì e Marianna provvide immediatamente.

L’acqua pareva un balsamo per la sua gola secca; Pietro ingoiava e mutamente ringraziava tutto il bene che c’era su quella terra.

“Bevi con calma… con calma”

Pietro beveva e guardava Marianna. Non sembrava nemmeno lei. Aveva delle enormi occhiaie sotto gli occhi, i capelli spenti e sfatti. Non l’aveva mai vista così quieta e composta.

“Marianna…”

“Sono così felice di vederti, Pietro. Temevo di... perderti. Ma dentro di me, sapevo che non saresti morto”

“Oh, Marianù…”

Marianna gli posò velocemente la mano sulla bocca, scuotendo la testa. “Shh. Abbiamo tutto il tempo”

Per parlare, dovette scostarle il palmo. “Però sei qui. Grazie”

Marianna sorrise, carezzandogli il mento. “Certo. E non ti lascerò più”

 

* * *

 

Molto probabilmente, gli sarebbe rimasta una bella cicatrice. Poco sopra l’ombelico, si ergeva la fascia di carne cucita.

Pietro era stato abituato a ferite ben più grosse, perciò poco importava.

Il coltello di Lattuca gli aveva colpito la parte bassa dello stomaco, ma, per fortuna, non troppo in profondità. In compenso aveva perso molto sangue. Se Marianna lo avesse trovato anche solo un’ora più tardi, sarebbe morto dissanguato.

Appena rimaneva solo in camera (evento abbastanza raro in verità), si alzava la camicia da notte per fissarla. Aveva sparato a un uomo, un suo sottoposto. Rischiando di ammazzarlo. Togliere una vita. Dovrebbe essere abituato, no? Dopotutto lui era un vile patricida.

Il fatto che non ne fosse minimamente turbato, però, lo preoccupava non poco. Ma intanto sapeva che Lattuca avrebbe cominciato a perseguitarlo nei suoi sogni.

Non appena fu in grado di formulare più di due frasi, Pietro chiese immediatamente di lui. Marianna, non senza un certo fremito nella voce, gli disse che era sopravvissuto.

Lattuca era stato allontanato immediatamente da Santoro appena si fu ripreso. Fu un bene, in realtà, altrimenti avrebbe ricevuto il benservito dagli abitanti del villaggio, piuttosto che dal padrone. Aveva trovato ospitalità da un qualche parente a Palermo, un zio benestante, che non si capacitava della severità di quel signorotto da quattro soldi di Pietro Trasi di Ripamonti. Cacciare il nipote per aver scopato con una fimmina da campo non era un crimine poi così grave. Non ne fece una questione drammatica perché, se quel pazzo aveva addirittura sparato al suo povero nipote, presumibilmente con quella ci aveva una tresca. Lattuca, dal canto suo, non accennò mai più al fatto né con lo zio né con altri, tantomeno ne parlò nei salotti palermitani. Tutto per dimenticare quell’umiliazione.

 

* * *

 

Marianna non abbandonò Pietro un solo istante da quando si era risvegliato. Non aveva intenzione di parlare dell’accaduto finché non si fosse ripreso pienamente, per cui ci volle un’intera settimana. Pietro ogni tanto cercava di intavolare il discorso, l’eco di quel “ti amo” in testa; la chiamava, la accarezzava, ma Marianna era irremovibile. Gli stava semplicemente accanto, aiutandolo a mangiare, a bere e a camminare. Faceva ancora caldo, perciò, nel pomeriggio o alla sera, passeggiavano insieme per i campi o per l’ampio giardino di villa Ripamonti. Parlavano del più e del meno, della bellezza del mare, del colore del grano, della felicità nel stare insieme… non accennarono mai agli avvenimenti precedenti la fuga di Marianna.

Marianna dormiva con lui e, spenta la candela, lo accarezzava tutto evitando accuratamente la pelle tesa dello stomaco. Gli baciava le guance ispide, il naso diritto e poi le labbra carnose. In quelle si perdeva. Pietro ricambiava con trasporto, per quanto potesse. Le mormorava ogni notte quanto le fosse mancata, quanto la adorava… Marianna ascoltava e baciava, leniva e curava quell’anima spezzata, consapevole che l’affetto che Pietro provava per lei aveva lo stesso effetto.

E Pietro le mancava. Tanto. Troppo.

Baciarlo non era abbastanza. E nemmeno toccarlo lo era. Voleva tanto che lui fosse suo quanto lo fosse lei.

Marianna pensava al mare di Santoro. A quando si sedeva sulla spiaggia a pensare ininterrottamente a tutto e a niente. Pietro era come il mare che tanto amava. Si perdeva nel suo corpo nella penombra, nel suo calore, nei suoi bellissimi occhi ambrati e pensava alla vita. A quanto tutto fosse cambiato. A quanto fosse felice, nonostante tutto. Solo che, in quella settimana, non voleva pensare. C’erano troppe cose da chiarire. Ma avevano tutto il tempo del mondo.

Era come se il loro idillio non si fosse mai spezzato. Solo un’ombra gravava negli occhi di entrambi: il bruciore dell’abbandono in Pietro e la violenza di Tiziana in Marianna.

Quella settimana servì per sgravarli e andare avanti. Insieme.

 

* * *

 

Era un martedì mattino. Il sole alto nel cielo abbagliava tutti i contadini che avevano ripreso a lavorare. Come se in quella brutta notte non fosse successo nulla. O quasi.

Nonostante l’apparente imperturbabilità, la gente di Santoro lavorava nel rispetto della signora Ripamonti. Il padrone avrebbe dovuto fare ben altro per ottenere il loro rispetto.

Marianna contemplava meravigliata la vista del mare dalla sua stanza, sul balcone su cui lei e Lucia fantasticavano di andarci. Chiuse gli occhi, inspirando lentamente l’odore di sale. Sembrava una vita fa. Lì, nello stesso posto, a contemplare il mare e a riflettere sulla sua nuova vita matrimoniale.

Mamma, grazie. Allora non era vero che non mi guardavi.

“Ti piace?”. La voce profonda di Pietro la fece sobbalzare.

“Pietro! Non devi alzarti da solo, potresti farti male!”

Lui sbuffò, alzando gli occhi al cielo. “Non sono un bambino, Marianù. Sto più che bene adesso”

“Come no. U’ picciriddu testardo sei” sbuffò, affiancandosi a lui.

Pietro le cinse un fianco con il braccio, lo sguardo ambrato rivolto al mare azzurro. “Io amo Santoro. Ho imparato ad affezionarmi a questa terra. È così diversa da Palermo…”. Tacque, un sospiro incagliato nel petto.

Marianna gli sfregò la mano sulla schiena, l’altra appoggiata al parapetto. Era così bello stringersi a lui in modo intimo. Era grande, caldo, imponente ma non soffocante. Non più. Da tanto ormai.

Era giunta l’ora. “Ti devo chiedere scusa”

Pietro restò in silenzio. Un gabbiano stridette in lontananza, come per colmarlo.

“Perdonami, Pietro. Per essermene andata così. Per non averti creduto…”

“Non c’è nulla da perdonare”

Marianna si staccò, ponendosi di fronte a lui con ardore. “Sì, invece! Come al solito non ho pensato prima di agire. Sapevo che non eri stato tu, sarebbe stato impossibile… ma non ho pensato altri che a me, allo sposalizio, a Tiziana… ho calpestato quello che provavo e provo tuttora per te. Io…”. Si interruppe. La voce le veniva meno ma doveva dirlo. Dirlo. Su quel balcone, davanti al mare, sotto il cielo da cui Lucia la assisteva. “Ti amo, Pietro. La mia promessa è stata mantenuta, no?”

Osservò ogni minima reazione di Pietro. Lui strabuzzò gli occhi, quasi incredulo, per poi tornare impassibile. Era commosso, dal profondo dell’animo. “Marianna…”

“Ti avevo fatto una promessa, Pietro. Che ti avrei amato, prima o poi. Perché te lo meriti. Perché hai bisogno di me”

Non fece nemmeno in tempo a formulare altro: Pietro colmò la distanza minima tra loro per avvolgerla tra le sue lunghe braccia e baciarla. Con una passione e una dolcezza che diceva tutto, più delle parole con cui avrebbe potuto risponderle. Dimenticò di dover respirare, dell’aria salina; percepiva solo Pietro, il suo odore, le sue labbra, nient’altro. Si chiese se fosse normale. Ma poteva essere. Lo amava, dopotutto. Chissà se un giorno si sarebbe abituata a ciò.

Pietro si staccò, ma collimò le loro fronti in una sola. “Mi hai salvato la vita. Se non fosse stato per te, non sarei qui. Una vita non basterebbe per ringraziarti” sussurrò, le mani grandi sul collo e la guancia destra.

“Sì, invece… ricordi il mio giuramento? Una condizione c’era: amandomi anche tu”

“Come se non lo facessi già.”

Il cuore di Marianna smise di battere. “Allora dimmelo”

Il sorriso di Pietro si allargò sul bel volto. “Ti amo”

 

* * *

 

Dopo due anni di matrimonio, Marianna diede alla luce la piccola Maria Laura.

La scelta del nome non fu facile. Durante la gravidanza, ci furono abbastanza discussioni al riguardo.

“Faremo tanti figli, Marianù” esordì lui una sera, a letto, appena dopo aver fatto l’amore.

“Tanto sono io che devo partorirli, no?” borbottò lei, dandogli un calcetto.

“Se è maschio, Paolo mi piace. O come il padre tuo possiamo chiamarlo” continuò lui, ricambiando per tutta risposta con un buffetto sul sedere. “Se è femmina, almeno una si deve chiamare Lucia”

Marianna non fu affatto d’accordo. “No, mia figlia deve vivere nella sua vita. Non nell’ombra della morte”

“Non ha alcun senso quello che dici, Marianù” sbottò lui.

“Mia madre era mia madre. Mia figlia sarà mia figlia. Così è”

Tuttavia, optarono, in caso di una femmina, per Maria Laura, in onore della defunta zia. Inutile aggiungere che Marianna, per difendere il suo ragionamento, volle aggiungere il nome Maria.

Fu battezzata nella chiesa di Santoro, così come i suoi tre fratellini gli anni dopo di lei.

Nonostante l’alterco tra suocero e genero, la nascita della bambina colmò quella distanza. L’ostilità di Michele Bruno, se non scomparsa, si alleviò di molto. Almeno tre sere a settimana passava a fare visita alla figlia a villa Ripamonti, ricambiato altrettante volte da lei. Quando fu sicuro di essere in grado di tollerare la vista di Pietro, lo invitò nella sua umile dimora con un piccolo brontolio.

Inizialmente non nacque un’amicizia, ma una grande intesa sì. Il loro comune denominatore era il bene di Marianna e della bambina, questo bastava e avanzava.

Ci vollero anni perché Michele accettasse pienamente Pietro, che lo conquistò solo quando iniziò a elaborare una strategia di massimo sfruttamento del latifondo, nel rispetto dei diritti dei contadini di Santoro. E soprattutto quando chiamarono il secondogenito Michele.

Anche Tiziana si sposò. Dimenticare la violenza non fu facile e probabilmente non ci riuscì mai, ma grazie al cielo a una festa incontrò un giovanotto, Antonio, che si innamorò di lei a prima vista. Cedette dopo qualche mese e, dopo qualche tempo, rimase incinta del piccolo Giovanni.

Pinuzza non riuscì mai a perdonare Marianna per quello che considerava un tradimento. Non le parlava più da quel giorno, da quando Marianna aveva ammesso di amare Pietro ed era scappata per l’ennesima volta. Nemmeno la dimostrazione del vero colpevole riuscì ad allietarle l’animo.

Marianna soffriva molto per questo. Aveva amato, e amava comunque, Pinuzza come una seconda madre, ma dovette accettare la situazione. Tentò più volte di parlarle, anche tramite Tiziana e Calogero (che, a differenza della consorte, mise da parte i rancori e accettò pienamente Marianna e il padrone Ripamonti come suo marito), ma fu inutile.

Pietro al riguardo cercava di consolare sua moglie come poté, si consultò addirittura con il suocero.

“Pinuzza è come un mulo, Pietrù. Quel che è stato, è stato” fu la sentenza enigmatica di Michele Bruno, con la piccola Maria Laura tra le braccia.

La questione Pinuzza dopo un po’ di anni fu accantonata, tra la sofferenza di Marianna e del resto della famiglia Sabbati, ma non persero mai le speranza.

A parte questo, Marianna era felice come non mai. Certo, la vita matrimoniale non era sempre  rose e fiori, ma aveva una famiglia meravigliosa e ne fu orgogliosa.

Ancora prima che Marianna rimanesse incinta, Pietro la portò nella sua vecchia residenza a Palermo, luogo che divenne per loro un rifugio d’amore in certe occasioni. Marianna non volle mai frequentare i salotti dell’alta società; sapeva già che quegli altezzosi non avrebbero mai accettato una contadina come lei. Non che le importasse. Non era mai stata al di fuori di Santoro e visitare quella città splendida e piena di colori, suoni e odori così diversi dal suo tranquillo villaggio era una splendida scoperta.

Ed era in quella città che a volte si lasciavano alle spalle chi erano e che cosa fossero, si abbandonavano l’uno all’altro con amore e pazienza.

Marianna più guardava Pietro, più lo conosceva e se ne innamorava. Era bello. Era sempre bello, dentro e fuori.

Pietro la ricambiava con tutta l’anima, in modo sempre appassionato e rassicurante.

Non fu sempre facile, ma, nel complesso, andarono avanti, più forti di prima.

L’amore non poteva fare tutto, ma la maggior parte delle cose, sì.

 

* * *

 

“Quando hai capito di amarmi?”

“Chi lo sa. Forse quando stavo per morire. Oppure quando abbiamo fatto l’amore in quel campo di papaveri. O forse quando ti ho visto ballare alla festa di paese”

“In effetti, non è stato immediato…”

“Non ci crederai, ma quella volta… sì, quella notte, quando ero là a terra, sentivo che stavo per andarmene. E ho visto un angelo. Identico a te”

“Probabilmente deliravi, Pietro. Avevi perso molto sangue. Forse hai visto me, quando ti ho soccorso…”

“Può darsi…”

Le diede un bacio, sotto la luce lunare di Palermo.

“Grazie, Marianna”

“E di che?”

“Per avermi riportato alla vita”

 

* * *

 

Marianna, seduta sulla spiaggia, guardò la barca in lontananza, ammirando le leggere increspature dell’acqua al suo passaggio. Sorrise appena, godendosi la lieve brezza che le passava tra i capelli.

“Ah, eccoti qui”

Marianna non si voltò quando Pietro si sedette al suo fianco, per poi avvolgerla in un abbraccio. Si appoggiò alla sua spalla, gli occhi chiusi. Avvertì una leggera pressione sulle labbra e sorrise in quel bacio dolce e accennato. 

“Come sta il mio bambino?” chiese Pietro, la mano sul pancino ancora acerbo della moglie.

Marianna sbuffò. “Il nostro bambino, vorrai dire”

Lui ridacchiò. “Dettagli. Dove sono i bambini?”

“Dal nonno. Anzi, Laura sarà da Tiziana a giocare con Giovanni. Paolo l’ho lasciato con Clementina”. Paolo, il terzogenito, aveva appena un anno ed era un piccolo terremoto come sua madre. Michele ormai si considerava troppo vecchio per badare a tutti e tre i nipotini contemporaneamente. Marianna aveva approfittato dell’efficienza da nonno di suo padre per sgaiattolare sulla spiaggia, come ai vecchi tempi.

Si sporse a baciargli una spalla, assaporando la sua pelle lievemente sudata.

“Marianna, vengo dai campi. Sono tutto sudato”

 Lei si strinse nelle spalle. “Anche io. Fa caldo, no?”

“Sì, molto”. Anche Pietro chiuse anche gli occhi, la testa su quella ricciuta di Marianna. “Si sta così bene, qui…”

“Mi mancava starci. Così sono venuta. È bello che anche tu sia qui” mormorò. Le iridi azzurre erano così belle, cercavano con così tanto amore quelle ambrate di Pietro, che lui non resistette a baciarla.

Un bacio lieve, discreto, che avrebbe voluto sfociare in qualcosa di più. A malincuore, Pietro si dovette staccare. “Dopo, Marianù, qui può passare qualcuno”

Lei sospirò, la mano leggermente callosa dal suo passato nei campi sulla sua guancia. “Sei tanto bello, Pietro”

“Come siamo dolci, oggi”

“È solo la verità”

Le baciò la punta del naso. “Tu di più”

Con la coda dell’occhio, Marianna scorse qualcuno. Aguzzò la vista allo sventolio di una mano. I due coniugi si staccarono velocemente, Pietro balzò addirittura in piedi.

Calogero stava appena rientrando nel porto del paese, le braccia ancora vigorose che smorzavano l’acqua con un remo. Il vecchio legò la barchetta con la robusta corda, per poi uscirvi con un agile salto.

Certe cose non cambiavano mai.

“Ciao, Calogero” salutò, allegra.

Il pescatore sorrise gentilmente. “Buonasera, Marianna. Voscenza

Pietro ricambiò con un sorriso e un cenno del capo.

“Che fanno, le Voscenze nostre?”

“Niente di che, guardavamo semplicemente il mare”

“Ah, il mare, eh… beh, oggi è una splendida giornata”. Dopo aver dato una lieve carezza sulla testa di Marianna, si trascinò stancamente per la via del paese.

Sotto lo sguardo di marito e moglie, Pietro e Marianna.

E poi tutto si chiuse, sotto il cielo di luglio.

 

Fine

 

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Potevo fare un epilogo migliore? Sì. Però dopo una prima stesura non mi sembrava tanto male, perciò l’ho lasciato così… spero siate dello stesso parere :) Gongolavo mentre mi immaginavo la loro vita futura.

Mi sento quasi depressa a mettere la parola “fine” a questa storia. Ci ho messo l’anima per scriverla. A distanza di parecchio tempo, mi rendo conto della sua semplicità e vaghezza storica, ma sono comunque molto soddisfatta del risultato. È stata dura, ma finalmente ce l’ho fatta! :)

Ultimo, ma non ultimo, i ringraziamenti. Grazie a tutti. A chi ha letto, commentato, messo tra seguite/preferite/ricordate, a chi è rimasto nonostante le lunghissime attese e a chi mi ha sempre spronato, soprattutto con bellissimi messaggi privati. Grazie per avermi seguita fino alla fine.

Grazie mille a tutti, alla prossima! :D

 

PS. Per chi fosse curioso, qualche mese dopo l’ultima scena, è nata la piccola Lucia Costanza. Sì, Marianna sotto le pressioni di Pietro ha ceduto per la scelta del nome. xD

 

 

 

 

  
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