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Autore: AlexEinfall    19/03/2014    5 recensioni
La fine tragica di una caccia all'uomo è l'evento che fa vacillare le difese di Spencer, mentre per Derek è giunto il momento di chiarire una situazione incerta. Tra vecchi rancori e radicate paure, la coppia si trova in bilico, costretta a colmare due mesi e tre giorni di assenze.
Dal testo: Ma non posso darti ciò che tu hai bisogno di avere, non posso garantirti nulla. Se tu resterai qui, non avrai ciò che desideri. Qui ci sono solo io..
[Storia partecipante al contest Slash Vs Het indetto da Lady.EFP sul forum.]
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Morgan, Spencer Reid
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nota: [Storia partecipante al contest Slash Vs Het indetto da Lady.EFP sul forum.]
Credo sia comprensibile nella lettura, ma in ogni caso lo preciso: le frasi in corsivo centrate si riferiscono a ricordi, una sorta di citazione interiore. Le ho inserite poiché ritengo che una memoria eidetica possa avere questo tremendo effetto collaterale.
Spero di aver partorito qualcosa di buono.
Alex.


IN CIMA A UN FARO CON L'AMORE TRA I DENTI


  Il freddo avvolgeva le gambe slanciate come il tocco di mille unghie gelate. I capelli tirati indietro dal vento e la pistola tra le dita sbiancate, Spencer trascinava lo sguardo nel buio. Era quel tipo di notte in cui tutto sembra fermo e il tempo era scandito solo dalla lenta risacca del mare. Le uniche luci lungo la riva erano così distanti da sembrare stelle piovute sulla terra, lì dove l'orizzonte tornava a essere un'illusione ottica.
  Tutto ciò di cui lui aveva bisogno era quel buio, l'assenza di luce che potesse definire il contorno delle cose. Lo fissò così a lungo che alla fine gli sembrò di avere gli occhi chiusi. In fondo, desiderava solo potersi togliere la vista  per dimenticare.
  L'arma già si intiepidiva nel palmo della mano, dove riposava gli ingranaggi dopo aver adempito al compito terribile per il quale era stata costruita.
  Samuel Colt, tante grazie.
  Malgrado si sforzasse di non vedere, era impossibile privarsi delle immagini, soprattutto di quelle trasportate dai ricordi. Così si ritrovò dietro le palpebre la scena dalla quale era fuggito, chiara come non fosse mai andata via: un colpo al petto, preciso e mortale, aveva posto fine alla vita di un pericoloso killer, che si sarebbe portato nella tomba l'innocenza di quattro vittime.
   Il contraccolpo aveva fatto crollare l'uomo a terra ed era stato come assistere all'inabissarsi di un'imponente nave: tragico e spettacolare. A ventinove anni erano più le persone che Spencer aveva ucciso di quante ne avesse mai amate: tragico, per nulla spettacolare. Essere stato costretto dalle circostanze e dal dovere non erano giustificazioni sufficienti, per nulla in grado di alleviare il peso del vuoto che sentiva nel petto.
   Mentre all'interno del corpo il freddo congelava le ossa, all'esterno la pelle veniva tirata dalla salsedine trasportata nell'aria, che pungeva le narici e seccava labbra che non riuscivano a pronunciare nemmeno una scusa. A ventinove anni Spencer aveva ucciso più persone della media nazionale -serial killer esclusi- ma ancora non riusciva a sentire nulla: paura, disgusto o colpa.

  Non sapere cosa si prova non vuol dire non provare nulla.

  La reverenza per Gideon gli aveva permesso di credere in quegli insegnamenti per un breve ma intenso periodo. Erano stati tempi migliori nei quali aveva potuto illudersi che la realtà fosse quell'intenso luccicare in fondo al tunnel; tempi in cui quel tunnel era ancora da esplorare. Mentre strisciava a stento nella vita, la sua consapevolezza cresceva: agli allievi si insegna ciò che hanno bisogno di imparare. Verità o menzogna sono solo facce di una medaglia che ben poche persone possono permettersi di ignorare.
  Nel buio, sulla cima di quel faro abbandonato, con le luci delle volanti alle spalle e nulla davanti tranne lo sconfinato mare, Spencer si sentiva solo in un luogo lontano e nemico, colpevole della propria freddezza. Il suono delle onde lente e regolari gli appariva un monito ancestrale, duro come la disapprovazione di un padre. Lui era lì, solo contro un mondo oscuro, dal quale sarebbe potuto emergere all'improvviso uno di quei mostri sanguinari nei quali non credeva, pronto a punirlo con artigli neri. In quell'oasi di macabra fantasia, il sacro e viscerale terrore dell'oscurità lo stava divorando, ma si impose di restare e tremare per poter provare qualcosa che fosse diverso dal semplice nulla.
  «Ragazzino, tutto bene?»
  Sobbalzò vistosamente e riuscì a controllarsi troppo tardi per non vergognarsene. Distinse con fatica la sagoma di Morgan, comparso alle sue spalle con un tempismo agghiacciante.
  «Cosa vuoi?» chiese, stringendo le palpebre per difendersi dalla torcia puntatagli contro.
  «Sapere come stai. Insomma, quello che è successo...non è mai facile, lo so.»
  Ingoiò la rabbia e strinse i denti contro lontani ricordi che emergevano esigenti da altri tempi e luoghi.
  «Ho ucciso un uomo e volevo stare solo.»
  «Non dovresti» gli disse Morgan con quel tono che gli scatenava sempre reazioni contrastanti: insofferenza, sicurezza, odio. «Possiamo parlarne.»

Spencer, dobbiamo parlarne.

  «Non ho nulla di cui parlare.»
  Morgan si avvicinò porgendogli la mano libera in un invito caloroso e qualcosa dentro Spencer si ribellò ferocemente. Rivide se stesso in balia delle dita fameliche del moro, scosso da brividi che aveva per un attimo creduto essere il centro del mondo. Sentì tutta la repulsione condensarsi in un grumo di odio e risentimento, che affogò ogni altra sensazione.
  Rifiutò la mano e lo oltrepassò, fermandosi sul primo gradino delle scale, in attesa che l'altro gli facesse luce per rischiarare le tenebre che in cinquant'anni il faro aveva inghiottito.
  Tenebre che il fascio di luce della piccola torcia tagliò impietoso. Spencer seguiva la schiena di Morgan giù per le scale dimesse, che in una spirale sembravano portare dritte all'Inferno. Teneva la testa china, rifuggendo le ombre e lasciando che la mente scivolasse via.
  Arma puntata, attenzione al mirino, dimentica che il bersaglio ha una sua vita e che il tuo atto potrebbe strappargliela. Questo è ciò che ogni agente dovrebbe ricordare e che Morgan gli aveva detto molti anni prima. Ora si chiese: era davvero necessario colpirlo al cuore? Era evitabile? E questa solitudine che provo si poteva evitare? Lo stomaco venne afferrato dalla sensazione di nausea e sgomento, ma era come assistere a una reazione lontana simile a un film in tre dimensioni: realistico, non reale. Come un fantoccio, continuò semplicemente a scendere, un piede dopo l'altro.

Devi affrontare le cose, non puoi nasconderti.

  Quando la luce gli venne puntata contro, oscurandogli alla vista ogni altra cosa, Spencer, strappato ai suoi pensieri, restò paralizzato. Una mano si strinse sul suo braccio e lo costrinse contro il muro appestato dalla muffa.
  «C-cosa...?» farfugliò, con la gola secca.
   Il terrore guantato d'artigli gli aveva afferrato il petto, rendendogli difficile respirare, finché il viso di Morgan emerse dal fascio di luce, ora puntato in un bizzarro alone contro il muro. Le dita decise ancora gli stringevano il braccio e non sembravano voler avere pietà.
  «Morgan...che fai?»
  L'altro appariva adirato, i tratti deformati da una cieca e vecchia rabbia. «Ora non puoi scappare» sibilò. «Ora devi ascoltarmi.»
  Tutt'intorno il buio e lì loro, l'unica isola di vita e luce. In un attimo il ragazzo realizzò di essere in trappola, incatenato dagli occhi del collega: più scuri del solito, le pupille dilatate e lucide. Erano così diversi da quelli che ricordava, amorevoli e intensi, tanto sicuri da avergli fatto credere per poco tempo di poter essere felice.
  «Cosa provi, ora?» gli chiese Morgan, ma nel suo tono non c'era nulla di sprezzante o sardonico.
  Il dottore si agitò in cerca di uscita, il sudore che si attaccava freddo alla nuca.
  «Dimmelo» ringhiò. «Hai paura? Sei arrabbiato? Cosa?»
  «Voglio che mi lasci andare» disse, cercando di essere imperioso, ma risultando quasi supplichevole. Ormai sentiva il respiro dell'altro sulle labbra e la sensazione di minaccia gli impediva di controllare la voce. «Lasciami, Morgan...»
  «Ti senti a disagio? Sto invadendo il tuo spazio?»
  Spencer annuì debolmente, cercando di deglutire ma incontrando un pesante nodo sul fondo della gola, che sembrava salire direttamente dallo stomaco. Il freddo rendeva gli arti pezzi di piombo, mentre un calore bruciante infiammava i polmoni.
  «Ho la nausea...» mugolò il dottore, cercando di trovare un angolo sul quale dirigere lo sguardo per sfuggire quello accanito del collega.
   Non riusciva a razionalizzare e a capire cosa volesse da lui o per quale motivo fosse così arrabbiato. Soprattutto, non riusciva a concentrarsi per trovare la giusta forza di affrontare queste domande, mentre la paura di quella vicinanza diveniva un peso nella sua mente.
  Prima che se ne rendesse conto, le labbra di Morgan si mossero a pochi millimetri dalle sue, tanto che riuscì a sentirne il sapore. A ricordarlo.
   Ricordava quelle labbra come fossero un piatto prelibato cucinato solo per lui: morbide e calde, sempre accoglienti e dolci. Cercò di reprimere quella reminiscenza, ma non riusciva a cancellare la sensazione della lingua di Morgan contro il proprio palato.
   «Smettila di chiederti cosa provi» gli disse. «E di pretendere una risposta.»
  Spencer non poteva aver dimenticato quella frase. Due mesi prima le parole erano state esattamente le stesse, dette con molta più rabbia e disperazione da una voce molto più roca e stanca. Il ricordo ripiombò nella sua mente, ribadendo la forza di quelle parole. Mancava un pezzo di frase e lui lo avvertiva come un arto amputato che ancora fa male.

  Smettila di chiederti cosa provi e di pretendere una risposta.
Sei un egoista.
   
   Il senso d'offesa bruciante gli annebbiò la vista il tanto che bastava per rendere i suoi riflessi ovattati. Così non riuscì a scansarsi dal bacio che arrivò crudele, portando con sé il terrificante potere di congelarlo. Non aveva nulla dei passati baci, che erano stati caldi e rassicuranti.
   Questo era...spietato. Un semplice incontro di labbra, tagliente e ruvido, che, come un bambino capriccioso, riaccendeva un fuoco sul quale inutilmente era stato gettato ghiaccio. Spencer strinse istintivamente le palpebre, per non vedere e non credere, ma percepì che gli occhi di Morgan erano spalancati sul suo viso, li poteva sentire frugargli dentro fino a grattargli il cranio. Il cuore gli arrivò in gola e la mente si offuscò, rischiando di farlo crollare. Avrebbe voluto scappare e, anche se durò solo un secondo, gli sembrò la punizione eterna del Purgatorio.

  Non finisce qui, non finirà mai così.

  Una voce alla sua destra lo strappò dall'oblio. Spalancò gli occhi e si ritrovò avvolto dalle tenebre, mentre la luce illuminava il viso smunto di un imbarazzato agente di polizia.
   Non riusciva a realizzare il momento esatto in cui quel bacio era terminato, ma poteva avvertire distintamente le sue labbra raffreddarsi e un preoccupante senso di svuotamento alla base dello stomaco.
  «T-tutto bene qui?» farfugliò la recluta, qualche scalino più in basso. «Serve aiuto?»
  «Ti sembra ci serva aiuto?» ringhiò Morgan, indicando a Spencer di seguirlo.
  A passi svelti il dottore scese le scale, alla fine del piccolo corteo aperto dal giovane agente in perlustrazione.
 Ogni volta che la suola della scarpa toccava un nuovo gradino, a Spencer sembrava di precipitare in un mare di pastafrolla, nel quale il cervello ballava nel cranio vuoto come un palloncino di leggerissimo elio. Nelle orecchie aveva solo il battito del proprio cuore e, dal grado di surriscaldamento del corpo e di attivazione del sistema nervoso simpatico, poteva trarre una prima deduzione importante: imbarazzo. Si vergognava per aver condiviso involontariamente quel bacio con gli occhi di uno sconosciuto e di non aver saputo reagire al tocco di Morgan. Lui lo aveva semplicemente disarmato, per di più consapevolmente.
   Ma era solo una superficie sotto la quale non riusciva a scavare, per il terrore di trovare un abisso con bocche spalancate ad attenderlo. Lo sentiva ringhiare, come una sinfonia di fondo. Era la minaccia eterna dell'amore e della passione, che riposavano nel suo ventre e a quel bacio avevano risposto svegliandosi per pretendere la sua attenzione. Il panico lo avvolgeva mentre gli scalini sembravano non terminare più e il silenzio si animava di voci lontane.
    Quando la luce delle sirene e delle torce cominciò a insinuarsi dalle feritoie nelle mura, lo colpì con forza e fu costretto ad appoggiarsi alla balaustra arrugginita.
  «Tutto bene?»
  Fece un cenno a Morgan e percorse a grosse falcate la distanza restante tra l'anonima oscurità e la crudeltà della luce.



   Nello spiazzo ai piedi del faro una marea di reclute, come operose formiche, perlustrava il terreno con le teste chine e le torce spianate. Nel rombo del mare e del vento, le voci si deformavano e le persone erano costrette a urlarsi contro. A Spencer sembrava ci fosse troppa gente in troppo poco spazio. Immediatamente rimpianse la sommità del faro, che dal basso appariva solo un'edificio rosicchiato dal tempo e appestato dall'olezzo tipico del legno putrefatto.
   I compagni di squadra corsero loro incontro.
  «Spence, dove eri finito?»
  Il ragazzo provò a rispondere a JJ, ma gola e mente erano aride.
   «A riflettere» rispose Derek per lui, poggiandogli una mano sulla spalla. «Sai com'è fatto il nostro genietto.»
  «Tutto bene?» chiese Hotch, scrutando il dottore.
  Spencer accennò un sorriso e annuì, evitandone lo sguardo. Si sentiva sotto osservazione e temeva assurdamente che se qualcuno lo avesse guardato dritto negli occhi avrebbe potuto leggergli la verità. Una verità che lui stesso non era certo di conoscere. Provava solo l'impellente desiderio di nascondersi al mondo, di sottrarsi a ogni cosa, pur di trovare un attimo di pace. E, soprattutto, voleva che Derek smettesse di fingere così bene. Gli lanciò una rapida e furtiva occhiata, trovandolo all'apparenza rilassato e...normale. Mostruosamente normale. Non poteva credere di avere affianco la stessa persona di prima e cominciava a sospettare che nel buio del faro qualcosa si fosse impossessato di Morgan, per il semplice gusto di torturarlo. Era un pensiero illogico, molto più confortante della razionale realtà che lui non riusciva a trovare.
   Non poteva permettere che gli antichi desideri di unione e le ingenue illusioni di felicità prendessero il sopravvento.
  «D'accordo» concesse il capo poco convinto. «Qui abbiamo finito, tornate in albergo. Partiremo domani mattina all'alba.»
 


  Spencer si lasciò cadere sul letto pesantemente, la testa china irradiata dalle luci della strada oltre le grandi finestre.
   Nella penombra della stanza, vide le proprie gambe tremare debolmente per la stanchezza e l'agitazione sottile che gli contraeva i nervi. Nel silenzio la confusione si espanse nella mente come una matassa, il cui capo era impossibile da trovare. Dove cominciare?
   Il bacio.
   Spencer scosse la testa: non è l'inizio.
   Si rese conto che non sapeva dove tutto fosse cominciato: forse nel momento stesso in cui aveva incontrato Morgan, al suo primo sorriso, al primo tocco non voluto. Quante volte lo aveva scrutato in silenzio, attento a ogni suo movimento, attendendo il momento in cui quella maschera sarebbe caduta e lui gli avrebbe rivolto uno sguardo di indifferenza o astio. Ma non era successo: Morgan era sempre stato sincero. Per Spencer era stata una rivelazione, come molte altre negli ultimi anni, dalla quale aveva appreso il senso della fiducia. O almeno così aveva creduto. Ci sono lezioni che la mente non riesce ad elaborare, nemmeno la sua.
   Si scoprì a chiedersi, di contro, dove tutto si fosse spezzato. Fino a poche ore prima, aveva potuto cullarsi e difendersi dietro l'idea, ben radicata, che ogni cosa avesse seguito il suo corso naturale, che quella dura e fredda separazione fosse stata la conseguenza logica di premesse instabili.

  Una relazione non si può controllare, non è una partita a scacchi che puoi figurarti nella mente.
 
Questo gli aveva detto Morgan, quando ancora poteva parlare delle loro difficoltà sorridendo. Sincero. Poi il sorriso era caduto, lasciando il posto a ringhi feroci, ma sempre sinceri.
   Forse era questo il nodo di tutti i nodi, il fulcro della complessa ragnatela della loro relazione: Spencer non aveva potuto essere sincero. Aveva tentato di nascondere le proprie paure nei baci e tra le lenzuola, ma loro tornavano sempre nel pieno della notte, mentre Derek dormiva placidamente al suo fianco.
   Paura di non bastare.
   Paura di vederlo andare via, stanco della sua ingenua banalità.
    Lui, Spencer Reid, non si sentiva affatto speciale, quando doveva relazionarsi così strettamente con qualcuno. Non riusciva mai a dire qualcosa di realmente dolce o di dar voce ai propri sentimenti. Non poteva dargli l'amore o l'attenzione che un uomo come lui aveva bisogno di avere nella sua vita.
    Aveva cercato di non turbare Morgan e di non distruggerne la serenità, ma alla fine aveva fallito anche in questo.
  Ogni volta che Derek gli aveva sorriso, lui aveva mentito sorridendo. Come spiegargli che non credeva nella loro relazione? Come dirgli che non potevano funzionare e che gli opposti si attraggono solo nella fisica?
  Eppure tutta questa logica ora gli appariva solo una giustificazione a priori. Mentre le sue mani divenivano fredde e i suoi occhi secchi, cercò di allontanare il cuore da quel faro e da quel bacio, dal modo in cui Morgan lo aveva toccato e dal suo odore. Tentò di chiudere dietro un cancello adamantino il desiderio che aveva provato di tornare ad essere il suo dottore.
 
 Alle sue spalle avvertì un sospiro e sentì sulla nuca lo sguardo di Derek, in piedi con le mani sui fianchi -lo poteva immaginare con estrema nitidezza.
  «Dobbiamo parlare.»
  Spencer si guardò le mani e deglutì a fatica: lo sapeva anche lui, dirlo non serviva che a sottolineare una situazione già di per sé imbarazzante e bizzarra.
  «E non dirmi che non c'è nulla di cui parlare, perché non è possibile e lo sai.»

   Non c'è mai stato nulla, mi dispiace Morgan. Sono stato felice, ma ora è tempo di fermarci.

  Questo lo aveva detto lui, Spencer, dopo aver affannosamente cercato parole che non potevano esserci. Aveva mentito, ancora, con la speranza segreta che l'altro lo capisse e gli desse una sberla morale. A quanto sembrava, aveva sottovalutato le proprie doti attoriali.
  «Allora?» lo incalzò Morgan, con un tono tra l'invito e l'ordine. «D'accordo, comincio io: cosa provi?»
  «Confusione» ammise Spencer, mentre le spalle si abbassavano.
  «Hai provato disgusto?»
  «No» rispose il dottore istintivamente, facendo capire all'altro che l'idea non lo aveva neanche sfiorato.
  «Cosa, allora?»
  Spencer lo sentì avvicinarsi ed ebbe un moto di repulsione: avrebbe voluto scappare e non dover affrontare la situazione, ma sapeva che ogni fuga era inutile, perché lui lo avrebbe trovato, sempre.  

Non finisce qui, non finirà mai così.
Dovessi arrivare all'altro capo del mondo, io non ti lascerò mai fare...questo!

  Mentire ormai non era più una scelta. Con il cuore dolente per ciò che doveva dire, prese un grosso respiro e raddrizzò il più possibile le spalle. Fissò lo sguardo nel vetro, incontrando il riflesso degli occhi di Morgan.
  «Io non ho provato nulla, Morgan. Mi dispiace.»
  «Stronzate» fu la secca risposta, quasi un sibilo. «Le stesse stronzate che ti racconti da mesi.»

  Mi dispiace, ma io non provo più nulla. Credo che avessi solo bisogno di qualcuno vicino.

  Il dottore strinse gli occhi inumiditi, rifiutandosi di aprirli: non voleva piangere proprio ora. Era sopraffatto dalla sensazione che nulla, in quel momento, potesse salvarlo e che questa volta Morgan fosse venuto da lui per abbandonarlo definitivamente.
  Chi poteva biasimarlo se lo avesse odiato?
   Sentì qualcosa di metallo strusciare, un suono inconfondibile che lo ripiombò nelle sensazioni di quel faro: una pistola che veniva caricata. Balzò in piedi d'istinto e si voltò, occhi sgranati e mani sudate.
  «Prendila» gli ordinò Morgan porgendogli la sua arma e lui, stupidamente, obbedì.
   La guardò  senza capire cosa farne, quindi gli rivolse uno sguardo interrogativo carico di paura.
   «Avanti, puntamela contro.»
  «C-cosa?»
  Morgan fece un passo avanti e ribadì deciso: «Puntamela contro, ora!»
  Spencer alzò l'arma con mani tremanti, senza sapere esattamente cosa stesse facendo o dove l'altro volesse arrivare. La mente era impietrita, perché quegli occhi scuri erano così fermi da terrorizzarlo.
  «Voglio che tu mi dica, ora, che non provi nulla» disse Morgan, rigido.
  Spencer guardò allo stesso modo lui e poi la pistola, inclinata tra le sue dita in modo del tutto scorretto. Solo allora realizzò di impugnare lo strumento di morte che più volte aveva macchiato le proprie mani. La presenza di loro due e di quell'arma nella stessa stanza gli risultò intollerabile. La gettò via inorridito, facendola ricadere sulla moquette.
  «Tutto questo è assurdo, Morgan! Cosa vuoi dimostrare?»
  Il moro sembrò trattenersi e pensarci, poi sputò fuori come un sibilo minaccioso: «Che ti stai solo prendendo in giro. Fingi di essere un mostro insensibile, qualcuno che non prova sentimenti, quando entrambi sappiamo che non è così.»
  «No...» mormorò con disappunto. «Tu mi stai parlando di quello che tu credi io pensi. Questo è un profilo mal riuscito, non ne hai il diritto.»
   Come poteva credere che fosse questo?
  «Allora correggimi se sbaglio, saputello: hai ucciso un uomo stasera e tutte le tue certezze sul freddo e calcolato Spencer Reid sono crollate. Tra tutti, sei stato il primo a sparare e l'unico. Era necessario? Certo. Eri nella posizione di tiro migliore? Forse. Ma lo hai ucciso. Così come mi hai baciato.»
  Il paragone stonò così tanto che Spencer si ritrovò a fare una smorfia involontaria. Poi si rese conto di non ricordare nulla di quel bacio: se avesse risposto oppure no... Una faglia si aprì nella sua mente, lasciando uscire con forza sensazioni che non sarebbero mai dovute restare così tanto sopite.
  Calore e desiderio.
  Dolore e bisogno.
  Guardò Morgan, riuscendo solo ora a vedere sul fondo dei suoi occhi un luccichio di passione e ostinazione. Non si era realmente chiesto perché lui fosse entrato nella sua stanza a tarda notte, immerso com'era nei propri ciechi ragionamenti. La domanda diventò pressante e sul fondo della mente aveva la risposta, ma non voleva ammetterlo.
  Lui era lì per loro.
  Scosse la testa contro i propri pensieri, come un padre per nulla orgoglioso del figlio. Ma in fondo che ne sapeva lui di queste cose?
  «Siamo stanchi» cercò di liquidarlo. «Stiamo parlando di mulini a vento.»
  Morgan non gli diede pace, arpionandolo con uno sguardo che, per la prima volta, il dottore non riuscì a decifrare. Era languido e anche impetuoso, come lava.
  «Due mesi e tre giorni, Spencer. E ancora non ti ho visto sorridere davvero.»
  «No» mormorò il dottore, portando le mani davanti al corpo. «So dove vuoi arrivare. No.»
  Era questo, allora. Voleva parlare di loro. Il momento decisivo era arrivato, quello in cui la bestia nel cuore di Morgan, sopita per due mesi e tre giorni, aveva semplicemente vinto, spezzando le catene dell'orgoglio. Ora era lì, sul fondo delle pupille, e pretendeva cose che Spencer non riusciva nemmeno a figurarsi.
  Il moro fece un passo avanti che investì il dottore come un'onda d'urto. Gli parve di essere sul cornicione di un appartamento in fiamme, annebbiato dal fumo e dalle vertigini, indeciso tra una fine lenta e dolorosa e un lungo volo disumano. Non poteva fuggire dal confronto, privo di armi e scudi per proteggere il proprio cuore dagli attacchi feroci della colpa.
   Sarebbe stato facile arrendersi, ma lui non poteva. Tornare indietro era impossibile: ormai aveva commesso il suo grande scacco contro Morgan. Se si fosse arreso avrebbe solo ammesso la propria debolezza e questo avrebbe sicuramente significato l'abbandono.
  Nessuno vuole una persona debole.
  «Sai cos'ho visto lassù?» chiese Morgan. «Su quel dannato faro ho visto qualcuno che aveva una paura bestiale e pretendeva di essere una statua.»
  «Smettila» sbottò Spencer, la voce più umida di quanto volesse.
  «Ho visto che non eri tu» continuò, sordo alle sue richieste. «Spencer, questo non sei tu. »
  Spencer si nascose il volto nel palmo nella mano, incapace di trovare qualcosa da dire o anche solo di pensarla. Chi era lui?

  Senti cose che non hai mai provato e questo ti spaventa. Non ti riconosci.

  Aveva sempre saputo quanta ragione avesse avuto Derek nel dire quelle cose, quanto avesse visto. Più di se stesso. Aveva rifiutato quelle parole, ma esse si erano impresse a fuoco, come mille altre. Erano rimaste nascoste, in agguato, aspettando un cedimento che doveva arrivare. E ora eccolo, investito da tutte quelle parole, che tornavano come boomerang lanciati nell'oblio. Lo prendevano per il collo e cercavano di trascinarlo via.

 Ti amo, dottore, ficcatelo in testa.

  Tutto diventò grigio e la testa cominciò a girare, come se contenesse un uragano. Non era più il centro del ciclone, ma ne veniva investito appieno. Aveva rinunciato ai sorrisi sinceri e ai baci amorevoli di una persona che lo aveva amato. Nulla ora poteva fargli credere che ci fosse un modo, anche uno solo, di riavere tutto indietro.
  Per la prima volta, dopo due mesi e tre giorni, Spencer si chiese se non avesse commesso un errore.
  C'erano davvero difficoltà che non si potevano superare, insieme?
  Si rese conto che queste domande non avevano più alcun senso e che tutto era ormai perduto. Negli occhi di Morgan non ci sarebbero mai più stati amore e comprensione.
  Aveva pagato un prezzo molto caro per tenere strette a sé le proprie paure, solo ora poteva tirare le somme con straziante lucidità.
  Reggendosi la testa con le dita premute fin quasi alle ossa, mormorò: «Morgan, basta. Io non so cosa tu pretendi io faccia, ma ne abbiamo già discusso. Possiamo essere solo colleghi, un giorno torneremo amici. Ma ora, voglio solo che tu te ne vada, per favore.»
   Non riuscì a guardarlo come se fosse invisibile, non riuscì a dare un contegno al suo sguardo, e non gli interessava neanche più farlo. Sapeva dove colpire, sapeva il suo punto debole, e doverlo sfruttare lo faceva sentire come un disperato che non sa più che pesci prendere. Quindi lasciò che i suoi occhi palesassero tutta la sofferenza, sperando che questo affrettasse la drammatica conclusione che già sapeva: l'addio.
  Non riuscì neanche a stupirsi quando non lo vide cedere.
  «Io non pretendo nulla, Reid. Voglio solo che questi muri crollino. Voglio solo poterti toccare senza che tu scappi. Voglio che tu sia sincero, per una volta, e che ammetta che anche tu lo vuoi.»
  Il dottore sentì gli occhi affogare nell'umidità. Si impose di resistere, ma non si possono realmente ingoiare le lacrime.
   Morgan voleva ancora lui? Spencer piombò nella confusione, non riuscendo più a distinguere i suoi ricordi dal momento attuale.
   «Perché?» chiese con voce strozzata e i polmoni artigliati da un grosso ragno invisibile.
  «Perché ne ho bisogno. Maledizione, Spencer, sono un essere umano e lo sei anche tu. Cosa vuoi che ti dica? Non c'è un perché, è così e basta. E non riesco...non posso tollerare che tu finga, non tu.»
  «Perché io?» insistette Spencer, riaprendo una vecchia cicatrice fatta di dubbi e sfiducia.
  Morgan allargò le braccia esausto.
  «Non c'è un perché, Reid! Succede e basta. Non posso dirti che sei speciale e unico per qualche tua dote. Lo sei perché sei importante per me.» Prese una pausa e la mano si mosse in un gesto stizzito. «Perché devi essere sempre così paranoico? Perché non riesci a fidarti di me?»

   E il premio di mister paranoico va a...guarda un po', il dottor Reid.
Aveva riso, allacciandogli la collana al collo.
Ti ho fatto un regalo perché mi andava, ci deve essere per forza un'altra ragione?

   Una collana che Reid non si era mai tolto e che ancora indossava, sotto la leggera camicia bianca. La poteva sentire calda contro lo sterno, improvvisamente pesante, come se la pelle la stesse rigettando. Lacrime stanche cominciarono a scendere agli angoli degli occhi.
  «Io ti ho lasciato, Morgan...»
  «Me lo ricordo bene.»
   Spencer alzò su di lui uno sguardo confuso.  «Non sei arrabbiato? Non...mi odi?»
   Morgan serrò le mascelle, prima di scuotere la testa. Lo aveva visto così teso ben poche volte ed erano state sempre circostanze in cui una lotta feroce gli aveva occupato la mente. Per Derek Morgan le contraddizioni erano come draghi da infilzare senza sosta.
   «Come puoi pensare che ti odi?» Si morse il labbro, come se si sforzasse di trattenere qualcosa, ingoiando parole dolorose. «Voglio solo che tu mi dica cosa provi per me.»
  Improvvisamente lo sguardo del moro divenne sfuggente, allontanandosi dagli occhi arrossati del dottore.
  «Io non so cosa provo» farfugliò Spencer con la bocca madida di pianto. Ormai non poteva più trattenere le verità che spingevano per uscire. «So solo che provo rimorso per ciò che ho fatto. Provo rimorso per...averti lasciato. Vorrei che tutto tornasse com'era, perché io...ero felice. Ma non posso darti ciò che tu hai bisogno di avere, non posso garantirti nulla. Se tu resterai qui, non avrai ciò che desideri. Qui ci sono solo io...»
   Alzò lo sguardo a cercare una reazione che temeva fosse di rabbia, sentendosi nudo e crudo come carne fresca nel deserto d'avvoltoi. Li poteva sentire grattare la gola per far uscire un verso raggelante. Ma ciò che incontrò furono due occhi neri e liquidi come caffè. Occhi che volevano solo lui.
  Derek si avvicinò e lo abbracciò, con calma e come fosse naturale, incurante della debole resistenza del dottore, che si sciolse sotto i suoi muscoli.
  «Va bene» disse solo, carezzandogli i capelli.  




   La salsedine si infiltrava tra gli infissi, diffondendosi dolce nell'aria e invisibile ai tenui bagliori dei fari stradali. In cima a una vedetta sulla spiaggia, una luce più gialla rischiarava un pezzo di riva, dove l'acqua era mossa e gelida. I corpi distesi sul letto erano rilassati, i muscoli che bramavano riposo e le labbra che sussurravano appena.
   Morgan stringeva il suo dottore come se potessi sfuggirgli. Sotto il palmo ne sentiva il rilievo dell'ombelico, le ossa sporgenti del bacino, l'addome teso che pian piano si riscaldava. I capelli di Spencer gli solleticavano il naso, ma non aveva voglia né forza di scostarli.
  «La trovata della pistola è stata un po' melodrammatica» mormorò il dottore, la voce soffocata dal cuscino.
   Sul viso di Morgan si aprì un sorriso involontario e lui cercò di dominarsi assumendo un tono falsamente serio.
  «Non sono io il melodrammatico della coppia.»
   La frase gli era uscita così, senza pensarci.
   Coppia?
   Trattenne il respiro e restò in ascolto, la mano sullo stomaco dell'altro per avvertirne la lieve contrazione. Il cuore gli si scioglie quando sentì la risatina canzonatoria di Spencer.
  «Io non sono affatto così.»
  «Certo, certo.»

  Il dottore intrecciò le dita alla mano del compagno, mentre parole così poco familiari perdevano il loro senso e le domande si placavano.
  Amore. Amicizia.
  Che importanza ha?
  Era stato stanco troppo a lungo, freddo per così tanto tempo che il cuore aveva rischiato di ghiacciarsi. Ora non gli importava di avere risposte, se poteva sentire questo calore. E non gli importa della seminudità dell'altro e di come tutto ciò gli sembrasse giusto, per nulla fuori posto.
  In quella notte, molti furono i baci scambiati, con mille sfaccettature: veloci e bisognosi, lunghi e caldi, scherzosi e frettolosi. Ben poche furono le parole.
  Nel buio, Spencer non si sentiva solo, non aveva paura, aveva solo voglia che tutto questo non finisse e, per la prima volta nella sua vita, desiderò che l'alba cruda non arrivasse a denudarli del favore delle tenebre, gettando luce su di loro e costringendoli a vedere la realtà.
  Per lui, la stretta di Morgan era una realtà, non il bisogno che sarebbe nato di illuminare i demoni del passato, di usare parola e pensiero, di applicarli a qualcosa che non aveva nome. Qualcosa che ora era dormire con lui senza condizioni. Scoprì quella notte che l'unico modo per far tacere le paure era annegare nel corpo di Morgan, ascoltare il suo respiro nel buio e non attendere la luce, foriera di dubbi e domande.
   In quegli occhi neri aveva rivisto l'amore nella sua forma più pura e istintiva, quindi tutto il resto era divenuto solo uno sfondo confuso. Quegli occhi avevano detto senza parole cose fondamentali come accettazione e infinito.
  Cosa provo?
   Decise di non rispondere, mentre la domanda cadeva nel vuoto e perdeva l'impellenza che l'aveva caratterizzata per tutta la sua vita.
  Sto bene.




 

   


 

  
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