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Autore: martaparrilla    23/03/2014    8 recensioni
"Non voglio più che mi odi per quello che stai provando. Non voglio più che guardi i miei occhi senza sapere che mi sveglio presto solo per guardarti uscire di casa e prender il tuo cornetto al bar. Che mi piace l'odore dei tuoi capelli. Mi piace il calore della tua mano. E se devi impazzire, voglio che impazzisca con me, non per me".
Una Emma e Regina in una città senza nome, si scontrano come solo loro sanno fare. Ben presto capiscono che il loro odio cela qualcosa di più grande. Ma Regina questo già lo sapeva. Gli occhi di quella bionda erano terribilmente somiglianti a qualcuno che aveva perso e questo la incuriosiva. Emma dal canto suo non riusciva a spiegarsi i brividi che sentiva quando la vedeva.
Regina ed Emma racconteranno sensazioni e sentimenti in prima persona, alternandosi tra i vari capitoli. Non dubitate della mia sanità mentale quando leggerete le stesse frasi in capitoli diversi, il motivo è semplice: una volta sarà Emma a parlare (o ascoltare), una volta Regina.
Riusciranno insieme a superare i traumi passati?
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Emma Swan, Henry Mills, Regina Mills
Note: AU, Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Lei non si fida di me e io non riesco a sopportarlo. Io voglio che si fidi, voglio entrare nella sua anima, voglio capire i motivi del suo dolore, ma non me lo lascia fare e non ha senso entrare a casa sua se non mi fa entrare nel suo cuore.

Metto di nuovo il borsone in spalla. Allungo la mano per afferrare la maniglia.

«Perché ti amo!».

La mia mano si blocca a mezz'aria. L'aria intorno a me improvvisamente sembra venire meno. Non riesco a credere alle sue parole.

Chiudo gli occhi che già bruciano per le lacrime. Il cuore sembra un tamburo impazzito e il petto mi fa male. E' questo il motivo della sua paura? Il suo amore per me? Può essere una valida giustificazione?

Io cosa avrei fatto al suo posto?

Io la amo?

La mia mente partorisce troppe domande e ho bisogno di guardarla negli occhi. Abbasso il braccio, prendo un profondo respiro e mi volto.

Le sue labbra tremano di paura. Il suo viso è rigato dalle lacrime.

Tutto è più chiaro nel momento in cui i suoi occhi incrociano i miei. Abbasso la spalla destra, quel poco che serve a far scivolare il borsone per terra. Mi volto e dopo due passi arrivo alle sue labbra. Calde, dolci, umide. Le stringo il viso tra le mani mentre la sua bocca si apre per mordere il mio labbro inferiore.

La odio e la amo. Non fa altro che allontanarmi e mi ferisce. Ma ora non l'avrebbe più fatto. La stringo a me con forza, come per farle capire che voglio tutto di lei. Voglio che mi appartenga.

Il suo profumo è una droga. La camera da letto appare di fronte ai miei occhi senza nemmeno accorgermene, nello specchio che riflette il letto, sopra il mobile dove ho fatto sedere Regina. Il suo corpo perfetto si adagia sul mio e scopro con piacere di sapere slacciare il reggiseno con una mano sola. Le sue mani si insinuano sui miei pantaloni, sganciandoli e li i miei polmoni riprendono aria e al cervello arriva un po' di ossigeno.

E alzo le palpebre di nuovo.

I suoi occhi neri mi colpiscono come un pugnale in mezzo al petto. Le pupille quasi totalmente dilatate fanno sembrare i suoi occhi ancora più luminosi e una sensazione mai provata prima si adagia all'altezza dello stomaco. Le stringo le mani che ancora cingono i miei fianchi

«Anche io ti amo». Le sfioro la guancia con l'indice e le sorrido. Vedo i suoi occhi riempirsi di lacrime ma non mi permette di consolarla. Mi bacia di nuovo spingendomi sul letto. Seduta sopra di me, mi sfila lentamente i pantaloni. E' una visione. Un corpo perfetto giace su di me e io non ho la ben che minima idea di cosa fare. Sento il calore farsi strada sul basso ventre, mentre la sua bocca si avventa sul mio collo.

Mentre mi bacia, sento il suo seno nudo sopra il mio e proprio in quell'istante perdo totalmente lucidità. La mia bocca scende sul suo collo e sui suoi seni. La sua pelle profumata è infuocata, calda sotto il mio tocco. I suoi seni sodi e perfetti....mi piace toccarli.

Non mi sentivo fuori posto. Ero assolutamente al mio posto.

Quel corpo, quelle mani, quella bocca...il suo sapore e il suo profumo. Afferro un capezzolo con i denti e lei inarca la schiena. Non so cosa possa piacere a una donna...ma la sua reazione mi suggerisce che sto andando bene. Le sue mani sui capelli mi invitano a tornare sulla sua bocca. Le cingo i fianchi col braccio e per fare aderire il suo corpo col mio e affondo le unghie sul suo sedere.

Il mio controllo è totalmente andato. Ansimo sotto ogni suo tocco che è totalmente perfetto. La sua mano sfiora il mio addome, poco sopra gli slip e mi chiedo perché esiti tanto. Forse per la mia “prima volta”? Non posso aspettare ulteriormente. Lentamente sfioro la pancia e con l'indice percorro il contorno dei suoi addominali. Scendo più in basso fino all'interno coscia e lei inarca il bacino verso di me. Non mi serve altro.

Abbasso velocemente lo slip e lei contemporaneamente fa lo stesso col mio. Mi sistemo sopra di lei, avendo cura di spostare i capelli che ha sugli occhi. Era bellissima. Accenno un sorriso prima di baciarla di nuovo.

Ma lei mi anticipa e con uno scatto mi ritrovo sotto di lei. Le cingo le spalle, così da non avere più alcuno spazio tra i nostri corpi.

Accarezza i miei seni e cauta la mano scende tra le mie gambe.

Mi sfiora con una delicatezza quasi impalpabile ma il mio corpo ha un sussulto involontario. La bacio e stringo a me mentre piccoli movimenti massaggiano il mio punto più sensibile.

Mi sembra di impazzire.

Quello che sento è fuoco puro, qualcosa di assolutamente impossibile da descrivere e controllare. Piego le gambe poco prima che le sue dita si insinuino in me.

Sussurro costantemente il suo nome, quasi a volere tenere la mente lucida almeno quel poco che basta per assicurarmi che non sia un sogno.

Quella meravigliosa donna dagli occhi profondi come la notte e dai capelli corvini mi amava e il vuoto che il mio stomaco aveva sempre provato nelle relazioni precedenti sembrava essersi colmato al primo contatto delle nostre mani.

Ma voglio di più. Voglio sentirla mia come io mi sento sua. Senza staccare gli occhi dai suoi (anche perché sarebbe stato difficile farlo) insinuo la mano sul suo basso ventre. Non ho idea di come fare ma con lei che mi morde il labbro inferiore tutto diventa più facile.

E anche più difficile.

Le prime gocce di sudore iniziano a imperlare la sua fronte. E continuo a baciare ogni centimetro del suo viso, come se risparmiarne solo un pezzetto fosse un'offesa alla sua bellezza. A cavalcioni su di me, con le nostre bocche incollate e le lingue intrecciate, sento il calore crescere e il cuore galoppare. E con essi i movimenti delle nostre mani.

Ancora colta da fremiti la stringo forte, cercando di imprimere nella mia mente quanti più particolari possibili. Le sue gote rosse, i muscoli delle braccia tesi, le pupille estremamente dilatate e brillanti, le sue labbra infuocate per i miei baci, il suo profumo che ormai è un po' anche mio, perché so che quell'immagine sarebbe stata marcata a fuoco nella memoria per il resto dei miei giorni.

 

Brivido.

Sento freddo su un lato del corpo ma gli occhi non ne voglionoo sapere di aprirsi. Cerco di stendere le braccia ma mi trovo assolutamente bloccata, per questo mi guardo intorno: la coperta avvolge solo il suo corpo mentre è adagiata praticamente sul mio lato sinistro. Quel braccio lo blocca lei col suo corpo, l'altro lo tiene stretto con la sua mano.

Sono imprigionata. Dorme beatamente. I capelli spettinati sulla mia spalla, le labbra socchiuse in un mezzo sorriso, il profumo dei suoi capelli sono l'ideale per il risveglio.

Sospiro ripensando alla notte appena passata. Non so che ore siano, dalla finestra si intravede uno spiraglio di luce, ma nulla che mi faccia capire l'orario. Accanto alla finestra noto un orologio appeso,segna le 10.

Abbiamo dormito pochissimo...quando ho smesso di baciarla? Di toccarla? Di volerla? Quando la stanchezza ha prevalso sul desiderio?

La torta con la panna era stata la ciliegina per la serata. Lei era....lei mi ama.

Ho appena realizzato quella frase.

Non so perché non mi parla di quel bambino...mi ferisce che non me ne parli ma i suoi sentimenti mi fanno capire come non voglia mostrarsi debole. E' lecito. In passato l'avrei fatto anche io.

Il suo ti amo mi ha completamente spiazzato. Non era quello che mi aspettavo, ero totalmente convinta che mi lasciasse andare per fare vincere l'orgoglio. Invece no. E spogliarla era stato liberatorio. E in quel corpo da dea non avevo trovato niente che potesse vagamente somigliare a un difetto.

Se la prima volta era stata romantica, la seconda era stata liberatoria e la terza decisamente passionale.

Sento ancora la panna addosso e ancora di più il suo sapore sulle mie labbra. E' li mentre mi sfioro la bocca.

Brivido. Prendo la coperta sistemata sul suo corpo e cercando di non svegliarla la sistemo sopra di noi.

Riprendo a guardarla. Sull'armadio si intravedono ancora le impronte delle mie mani.

E' stato un necessario punto d'appoggio quando mi ha bloccata da dietro e mi ha sfiorato la nuca con le labbra per poi scendere fin sopra il sedere. Sono rimasta pietrificata. Avrei voluto baciarla fino a farci male ma lei non me l'aveva permesso. Mi aveva spinto fino all'armadio con la mano intrecciata alla mia.

Non riesco a smettere di pensare alle sue mani, al suo tocco. Sfiorava i miei seni con una precisione quasi chirurgica. Poi entrambe le mani hammo percorso tutto il mio corpo e erano di nuovo li, tra le mie gambe. Ne avevo afferrata una con forza, schiacciandola contro di me.

«Ferma» mi aveva sussurrato mordendomi il lobo dell'orecchio.

Ripensarci è come farlo accadere di nuovo. Un'improvvisa ondata di calore percorre il mio corpo.

E' entrata dentro di me senza neanche darmi il tempo di prendere aria ed è così che sono rimasta...senza respiro. Sfioro i graffi che le ho fatto involontariamente sul braccio. I suoi seni sulla mia schiena erano stati più eccitanti del resto.

Mi aveva completamente immobilizzata. Con le gambe tremanti, cercavo la sua bocca che solo alla fine mi aveva concesso, prima di sciogliermi sotto il suo tocco. Solo allora aveva mollato la presa e aveva permesso di voltarmi e stringerla a me, sfinita, cercando sostegno nell'armadio dietro di me.

E ora non riesco a smettere di guardarla in tutta la sua perfezione e di chiedermi come solo a 28 anni mi sia resa conto di quanto una donna possa essere sexy, eccitante, bella...e quanto possa sentire la necessità di avere un contatto fisico con loro.

Ma è così, sento questa necessità con lei.

La guardo ancora una volta prima di provare a staccarmi dal suo corpo.

Voglio prepararle la colazione prima di fare una doccia insieme e uscire a fare una passeggiata. Corruga la fronte quando le sposto il braccio dal mio addome. Veloce, sistemo un cuscino al mio posto, facendo attenzione a non farla scivolare troppo.

«Emma» sussurra raggomitolandosi su se stessa. Avrei voluto sognarla anche io. Ma la realtà è decisamente migliore di qualunque altro sogno. Le sistemo la coperta sulle spalle e mi metto qualcosa addosso.

La temperatura è ancora bassa nonostante siano le 10 e decido di accendere la stufa sistemata vicino all'ingresso. C'è della legna accanto e tutto quello che serve per accenderlo. Qualche fiammifero, della carta e dei piccoli tronchetti sottili. Chiudo lo sportello prima di dirigermi in bagno a lavarmi il viso. Lo specchio riflette un'immagine di me poco curata: trucco sbavato e capelli arruffati, così decido di legarli. Mi lavo velocemente i denti, meglio tenersi pronte.

Tornata in cucina apro qualche sportello per cercare l'indispensabile: caffè, zucchero, succo. La macchinetta del caffè è sistemata accanto al microonde e dopo qualche tentativo di accensione non andata a buon fine, un dolce rumorino riempie la stanza. Ce l'ho fatta.

Distrattamente apro il frigorifero dove afferro il vassoio con la crostata fatta da lei. Ne taglio due fettine e le sistemo su un piatto preso dalla credenza. Il caffè è pronto. Ne verso due tazze e...il vassoio. Dio mio...c'è un vassoio in quella casa? Mi affaccio alla camera da letto e lei mi da la risposta, pur continuando a dormire: quella è la casa di Regina Mills. Lei ha tutto, non è mai impreparata. Per cui apro ogni mobile mi capiti sottomano fino a che non lo trovo, dietro una fila altissima di piatti in ceramica con dei bordi neri: decisamente il suo stile. Sistemo tutto la sopra, avendo cura di non fare cadere il caffè.

Serve un fiore.

Poggio di nuovo il vassoio sul tavolo e mi guardo intorno. Non voglio smontare il vasetto della sera precedente, così apro la porta di casa e mi affaccio alla ricerca di un piccolo fiorellino smarrito che cerca riparo sotto la protezione dello sguardo di Regina.

Mi ammalerò di sicuro, ci saranno si e no cinque gradi e dopo qualche passo attorno alla casa, senza calze e con le sole pantofole ai piedi, trovo un roseto.

«Amore mio» esclamo «tu si che mi rendi le cose semplici».

Ne prendo una, facendo attenzione alle spine e torno saltellando dentro casa. Tento di ripristinare la circolazione dei miei piedi accanto alla stufa, che intanto inizia a scoppiettare.

Prendo il vassoio e mi dirigo in camera. Lo sistemo sul comodino, apro le finestre così da far entrare un po' di sole che raggiunge subito la mia bella, ancora profondamente addormentata.

Mi avvicino a lei scivolando sul letto. Le sfioro la fronte con le labbra.

«Ehi bellezza...svegliati».

Arriccia il naso infastidita e si inumidisce le labbra.

«Regina...» sussurro poggiando le mie labbra sulle sue. Sposto il cuscino e riprendo il mio posto, che avevo lasciato qualche minuto prima. Il suo corpo caldo è un sollievo per il mio, decisamente più freddo. Si ritrae spaventata e mugugna quasi infastidita. Non posso far altro che sorridere divertita. Ma non riuscendo a arrivare al mio scopo decido di passare ad altri metodi: la avvolgo tra le mie braccia, incrociando le gambe tra le sue.

«Amore mio è ora di aprire gli occhi».

«No...è ora di dormire abbracciate ancora» biascica lei affondando la testa sul mio collo.

«Ma non puoi star a letto a dormire tutto il giorno» sospiro io ricambiando l'abbraccio «e poi volevo far la doccia con te dopo.....» lascio intendere che la doccia avrebbe avuto un seguito e subito la sua testa si alza per raggiunger il mio sguardo. I suoi occhi ancora non perfettamente aperti mi scrutano curiosi.

«Credo di essere interessata alla proposta».

«Non avevo dubbi mia cara» rispondo baciandole il naso «ma» mi stacco velocemente da lei per andare a prendere il vassoio e poggiarlo sul letto, mentre lei si sistema con un cuscino dietro la schiena.

Prendo la rosa e gliela porgo.

«L'ho rubata prima dal tuo giardino, perdonami, ma dovevo trovare qualcosa che fosse degno della tua bellezza. E poi avrai fame» faccio spallucce.

Prende la rosa, visibilmente imbarazzata e la annusa.

«Questa è la prima volta che mi regalano un fiore dopo una notte insieme. Ed è la prima volta che mi portano la colazione a letto. Ed è la prima volta che non voglio mandare al diavolo chi ha diviso il mio letto con me». Inclina un po' la testa prima di accarezzare la mia guancia col palmo della mano.

«Sei stupenda Emma».

Accenna un sorriso, stringendo le labbra e tirandomi il mento verso di lei. Mi bacia.

«Grazie».

Sento le guance avvampare di calore. Che strano, il suono della sua voce mi fa sentire a casa.

Prendo la tazza di caffè per passarla a lei. Beviamo un sorso.

«Come hai fatto a fare il caffè?».

«C'era la macchinetta. Ho aperto tutti gli sportelli e ho trovato il necessario. So arrangiarmi in un posto che non conosco» addento un pezzo di crostata...muoio di fame.

La fisso litigare con la crostata che si sbriciola sotto il suo tocco. E' di una perfezione estasiante. Le dita afferrano le briciole sul fazzoletto e le porta alle sue labbra, dove spariscono e la punta della lingua bagna le labbra. Sarei rimasta ore a guardarla ma è il nostro fine settimana e non voglio sprecarlo.

«Allora, che c'è qui in giro da vedere?» tengo la tazza su entrambe le mani per scaldarle.

Mi fissa un attimo prima di alzarsi e fuggire.

«Dammi due minuti» avvolta dalla coperta, esce dalla stanza e si chiude nel bagno.

«Ti senti male?» urlo prendendo il vassoio e riportandolo in cucina. Avrei dovuto di certo sistemare. Lei è così ordinata, e io ho lasciato un macello di proporzioni megagalattiche. Svuoto il vassoio e poggio le tazze nel lavello insieme ai piatti della notte precedente. Apro l'acqua ma il rumore della porta che si apre mi interrompe. Mi volto.

Lei stava lì ferma, con i capelli arruffati, i piedi nudi e la coperta a nasconderla. Si avvicina a me prima che potessi anche solo bagnarmi le mani dentro il lavandino.

«Che cosa stai facendo?».

«Sistemo un po', ieri non abbiamo sistemato nulla».

Mi guarda storta.

«Vieni con me» dice tirandomi per un braccio.

«Ehi» quasi inciampo sul tappeto. La meta è la camera da letto. Mi lascia la mano e si dirige dalla sua parte e con enorme stupore noto come il letto avesse lenzuolo e piumone. Solo che la sera prima non abbiamo fatto in tempo nemmeno ad aprirlo.

«Ma ci abbiamo dormito sopra?».

«Già».

Fa scivolare la coperta per terra. Io rimango pietrificata di fronte al suo corpo nudo. Ancora non sono abituata. Inarca un sopracciglio prima di infilarsi e sparire sotto di esse. Fa capolino poco dopo, mettendosi lateralmente col il braccio sul cuscino a sostegno della testa. Da quella nuvola blu che è il piumone, spunta anche l'altra mano che sposta l'altra parte del letto e mi invita a seguirla.

«Non ho intenzione di muovermi da qui sopra almeno per oggi» dice con voce roca.

Non è solo una voce la sua...è musica.

«Ok..ok» mi siedo sul letto.

«Che fai?».

«Seguo i tuoi ordini?».

«Nei miei ordini la vestaglia non è prevista. Toglila».

Bella da mozzare il fiato. Come sotto qualche incantesimo apro quel corto indumento che indosso prima di raggiungere quella dea che per qualche strano motivo mi ama e che ho avuto la fortuna di incontrare nella mia strada.

Copro il mio corpo nudo e infreddolito e mi volto verso di lei.

«Hai avuto una buona idea sai?».

«Mi hanno sempre detto che sono un genio».

«Un genio del male...».

«Sai quando mi hai chiesto cosa ci fosse da vedere qui intorno?».

Annuisco con la testa mentre scioglievo i capelli.

«Io tutto quello che voglio vedere ce l'ho di fronte agli occhi».

Si avvicina a me. La sua mano calda trova la mia sotto le coperte ma la supera, per andare direttamente sulla mia schiena e mi tira con forza verso di lei.

«..cosa sarei io?» dice sulle mie labbra.

«...un..un...genio» quasi balbettante, mi manca il respiro all'idea della sua mano che si muove lentamente e pericolosamente sulle cosce. Infila una sua gamba tra le mie, così da essere perfettamente incastrate e si sposta sopra di me.

«Mi farai...» non mi lascia finire. Affonda le sue labbra tra le mie in un bacio il cui significato sarebbe stato chiaro a chiunque dopo mezzo secondo. Affonda le mani sui miei capelli prima di spostare la sua bocca sul mio collo. Mi lascio andare totalmente ai suoi baci, e senza nemmeno rendermene conto la sua bocca è già sulla pancia, dove la lingua tracciava dei piccoli cerchietti attorno all'ombelico. Incrocia il suo sguardo famelico col mio.

Si siede tra le mie gambe che sono necessariamente divaricate per lasciare posto a lei. Rimane a fissarmi e guardarla in quella posizione è non poco eccitante. Accarezza l'interno coscia arrivando quasi a sfiorare la mia intimità, ma si sposta di nuovo. Sembra quasi voglia giocare.

Non riesco a stare ferma senza toccarla. Mi alzo così da poterla almeno baciare ma lei mi spinge sul letto quasi minacciosa. Si riavvicina alla mia bocca, sfuggente...scende così tra le mie gambe.

Quella bocca non riesce solo a dire cose magiche, riesce anche a farle le magie.

La mia esplosione mi lascia senza fiato quasi da temere di perdere i sensi.

«Sei ancora viva?» dice mettendosi di fianco a me, poggiando la testa sul cuscino con un'espressione orgogliosa e soddisfatta.

Mi scappa una risata.

«Togliti quel sorrisetto dalla bocca» dico tra un respiro affannato e l'altro.

«Giammai».

«E' imbarazzante».

«Imbarazzanti sono altre cose...questo è solo perfetto».

La bacio. Continua a dire a me che sono perfetta quando è esattamente il contrario. E non se ne rende conto.

«Continuo a pensare che sia imbarazzante».

«Smetti di pensarlo allora e baciami, vedrai che l'imbarazzo passerà».

E questo è quello che continuiamo a fare durante tutto il giorno. Quel letto è diventato praticamente parte di noi. Non ci siamo spostate nemmeno per il pranzo, come se fare qualsiasi altra cosa fosse una perdita di tempo.

Ma una cosa è necessaria per concludere perfettamente quella giornata: una doccia insieme.

Il getto caldo bagna i suoi capelli e le prime goccioline scendono sul suo corpo. Chiudo il vetro trasparente dietro di me.

«Abbiamo bruciato le tappe con oggi no?».

«Non importa. E' stata una giornata fantastica...in tutti i sensi».

«E domani si torna alla realtà» sospiro tristemente.

«Ora siamo qui. A domani ci pensiamo domani».

Solleva il viso sotto il getto dell'acqua. La normalità sarebbe stata devastante. Il mio lavoro, il suo lavoro...lei che non vuole raccontarmi di quel bambino. Poi quegli occhi neri mi guardano e le gambe sembrano cedere. Ogni volta che mi guarda in quel modo mi sembra di sprofondare in lei, e non c'è modo di rallentare quella caduta, è sempre troppo frenetica e inarrestabile. Così come la voglia di baciarla che ne consegue.

 

La domenica arriva troppo presto. La passeggiata tra le case con i nomi “fruttati” ci butta addosso la consapevolezza che il nostro fine settimana perfetto è finito.

Passeggiando mano nella mano con lei, che non ha alcun problema a farsi vedere in teneri atteggiamenti con una donna, mi rendo conto di quanto tutto quello possa diventare indispensabile per me. Sono sempre stata una ragazzina che saltava da un ragazzo all'altro e per la prima volta con lei non sento la necessità di scappare a gambe levate. L'idea di condividere il quotidiano non solo mi piace ma mi incuriosisce.

Ovviamente questi tre giorni non sono quotidiano, è stata...pura follia. Passione, desiderio, esplorazione. Conoscenza. Insomma conoscenza non proprio. Avrei voluto saperne di più, ma sono certa che prima o poi anche la impenetrabile Regina si sarebbe lasciata andare.

Sono le 15 pm. Di li a un'ora ognuna di noi deve salire nella propria macchina e tornare alla realtà. La magia sarebbe finita? Come saremo state noi? Ci saremo viste tutti i giorni? Sono talmente tante le domande che mi sto facendo che...

«Emma» la sua voce.

Mi volto. Mani sui fianchi, sguardo preoccupato.

«Ti senti bene? Ti ho chiamata tre volte ma hai lo sguardo perso nel vuoto».

Accenno un sorriso mentre mi stringo le braccia al petto, sfregando le mani sul giubbino.

«No solo che...ora rientriamo a casa. Difficile pensare di non svegliarmi accanto a te...di non vedere queste» mi avvicino e le sfioro le labbra. Mi accascio sull'erba del giardino di Regina, poggiando la schiena su uno dei suoi meli.

«E' bello tutto questo. Ma nel quotidiano? Lo so sono patetica...».

«Shhh...» dice. Si inginocchia accanto a me.

«Emma...meraviglia vivente dai capelli dorati e dagli occhi cristallini. Io ti amo. E la vita quotidiana sarà fantastica accanto a te. Per cui pensa a questo. Io, ti, amo» si avvicinava al mio viso mentre dolcemente carezza la mia guancia.

«E io amo te» le prendo il viso per darle un bacio. E quando ancora la mia fronte è sulla sua le rifaccio la domanda.

«Mi parlerai di quel bambino?».

Difficile descrivere come si velano di tristezza i suoi occhi quando lo nomino. Le sue energie positive si dileguano per lasciarsi sopraffare dalla disperazione. E non so con quale forza riesce a dire: «Lo farò Emma. Domani notte vieni a cena da me e ti racconto tutto, d'accordo?».

Annuisco. Non sono totalmente convinta delle sue parole. C'è stato un attimo di incertezza nella sua voce prima di dirmi si.

Si siede accanto a me, intrecciando le dita con le mie e poggiando la testa sulla mia spalla.

Il sole di marzo scalda l'atmosfera e piccoli spiragli di sole filtrano dalle foglie sopra di noi. Le cingo le spalle con un braccio così che lei possa accoccolarsi come un bambino.

«Questo posto mi piace. Non so...quando pensavo alla tua casa in campagna me la immaginavo triste. Dai colori scuri come un castello dentro una maledizione. Invece...».

Si volta verso di me, col viso tra le mie braccia.

«Invece?».

Sospiro.

«Invece i muri hanno il colore della tua pelle...e i mobili praticamente il colore dei tuoi capelli. Ci sei tu, insomma la versione splendida dei miei sogni...e della mia realtà».

Sorride compiaciuta.

«Si lo so, modestamente sono una bella donna...».

«Molto modesta la signora».

Ridacchia e mi abbraccia.

«Credo che sia ora di andare, che ne dici?».

«Già».

Si allontana dal mio corpo per mettersi in piedi, e io mi alzo dopo di lei.

Una volta a casa, sistemiamo le ultime cose lasciate in disordine prima di chiudere definitivamente valigia e borsone e sistemarle nei bagagliai della nostre macchine.

In lontananza si vedono dei nuvoloni scuri.

«Ahi, credo che da noi piova».

«Motivo in più per stare sul divano a guardare la televisione con una coperta sulle gambe e la mia fidanzata accanto».

L'ho detto davvero? L'ho chiamata fidanzata? Si. Io sono stupita e lei è...

«E così sono la tua fidanzata??» mi prende le mani e si stringe a me portandole sulla mia schiena.

«Credo di si...vuoi? Oddio» abbasso lo sguardo quasi disgustata «mi sento alle elementari».

«Sei la bellezza in persona shh. E si, voglio essere la tua fidanzata».

Un sorriso liberatorio compare sul mio viso e ci scambiamo un bacio, come a sancire le parole appena pronunciate.

 

Saliamo in macchina. La sua macchina funebre viaggia a pochi metri di fronte al mio maggiolino giallo canarino. Decisamente due colori strani. Eppure siamo uscite dallo stesso vialetto.

Dopo un'ora circa di viaggio entriamo in città. Una pioggia scrosciante si sta abbattendo su di essa e il traffico è indescrivibile. I fari delle macchine riflettono sull'asfalto bagnato ed sono oltremodo fastidiosi. Dopo mezz'ora di fila ai semafori finalmente riusciamo a imboccare il parcheggio del nostro palazzo. Posteggiamo la macchina una di fianco all'altra. Ormai è quasi buio.

«Credo che ti accompagnerò fino alla porta di casa e io poi salirò a piedi» dico schiacciandola contro una parete dell'ascensore e dandole dei baci sul collo.

«Allora dovresti tipo lasciarmi scendere quando si aprono le porte no?».

«Non lo so, devo pensarci sopra».

«Quanto sei scema» ridacchia.

Le porte si aprono. Prendiamo i rispettivi bagagli. Regina mi precede ma improvvisamente si blocca. Mi affaccio fuori dall'ascensore.

Un bambino.

Inginocchiato e fradicio come un pulcino, un bambino di 8 anni circa è seduto accanto all'ingresso della porta di Regina. Al rumore dell'ascensore alza il viso, rigato di lacrime.

Conosco quel bambino. L'ho già visto in una fotografia

«Mamma» dice in tono disperato.

«Henry» esclama Regina.

Regina ha un figlio.

 

  
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