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Autore: Acinorev    23/03/2014    8 recensioni
"Ed io sono ancora tutta intera, almeno fisicamente: ho ancora entrambe le gambe per correre perché sono in ritardo, i piedi che possono sentire freddo quando non metto i calzini perché di notte non li sopporto. Ho ancora le braccia per stringere qualcuno e le mani per lavorare o mettermi lo smalto blu, ma solo nel week end.
Eppure credo di soffrire di quella sindrome, perché i sintomi ci sono tutti e tu non ci sei più."
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
- Questa storia fa parte della serie 'Awakening - Human bodies'
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Phantom limb





 
 
Hai mai sentito parlare della sindrome dell’arto fantasma?
Ne soffriva il signor Londi, al fondo del corridoio, ma forse tu non l’hai conosciuto o, più probabilmente, non te ne è mai importato.
Consiste nell’avvertire la presenza di una parte del corpo nonostante questa sia stata asportata. Ne puoi percepire i movimenti che in realtà non avvengono, puoi valutare la sua – inesistente – posizione e puoi addirittura sentire il dolore che ti provocava, proprio come se ci fosse ancora.
È come se il corpo conservasse memoria di quella parte ormai andata perduta, come se non si arrendesse alla sua mancanza e continuasse ad aggrapparsi ai ricordi che possiede, anche se sbiaditi, anche se dolorosi.
Ed io sono ancora tutta intera, almeno fisicamente: ho ancora entrambe le gambe per correre perché sono in ritardo, i piedi che possono sentire freddo quando non metto i calzini perché di notte non li sopporto. Ho ancora le braccia per stringere qualcuno e le mani per lavorare o mettermi lo smalto blu, ma solo nel week end.
Eppure credo di soffrire di quella sindrome, perché i sintomi ci sono tutti e tu non ci sei più.
Il problema, però, è che non c’è un singolo centimetro di me che non sia affetto da questa patologia e questo rende tutto più intenso, più stancante: sembra quasi che tu non sia solo una vecchia parte di me, ma qualcosa di più, che tu sia riuscito a fare di me una tua proprietà.
Ma ora te ne sei andato e la proprietà è rimasta vuota e inabitata. Quindi mi viene da chiedermi: forse io ti ho seguito? Forse sono proprio io, quella che manca a me stessa?
Se così fosse, tutto sarebbe più logico: la sensazione di esserci, nonostante io sappia che la mia presenza è solo un fantasma, una brutta copia di ciò che era in origine, avrebbe più senso. Ce l’avrebbe anche il continuare a sentire le tue mani su di me, le tue dita sul mio avambraccio e poi premute sulla mia arteria radiale troppo superficiale, sebbene ora siano così lontane. Avrebbe più senso gravare sotto il peso del dolore che mi porto dentro, come un segno indelebile di ciò che è stato – di ciò che tu sei stato -, e che è già insopportabile anche se è comparso da così poco.

Sei il mio carnefice, ma anche la mia cura. Lo sei sempre stato e non te l’ho mai detto.
Eri il mio carnefice quando mi istigavi volontariamente ad urlarti contro tutto il mio orgoglio, solo perché ti divertivi a vedermi arrabbiata. Lo eri quando la notte non riuscivo a dormire per un litigio che io sapevo avremmo potuto evitare, anche se poi alla fine non ne saremmo stati capaci e quindi andava bene lo stesso. E lo sei stato quando te ne sei andato.
Proprio come un chirurgo che prepara il paziente ad un intervento di amputazione, mi hai avvertita di quello che sarebbe successo, mi hai spiegato i motivi delle tue decisioni e hai esposto le alternative poco allentanti – “E io?”. Mi hai parlato per ore, io ho gridato per la frustrazione e mi hai rassicurata ancora – “Guarda che ti amo lo stesso”. Eppure, alla fine, te ne sei andato comunque, portandomi via con te e lasciando qui solo un involucro di pelle fredda e ossa ammaccate. Il chirurgo ha operato e la sindrome dell’arto fantasma ha fatto il suo gioco.
L’ho ammesso, però: sei sempre stato anche la mia cura. Perché se ci pensi, dopo averti urlato contro, eri tu ad abbracciarmi anche se ti avevo appena insultato. La notte non era poi tanto lunga, anche se passata sveglia, perché sapevo che il mattino mi avrebbe portato un forte mal di testa, ma anche te. E tuttora, solo tu puoi guarirmi.
Solo tu puoi restituirmi a me stessa, farmi stare bene e farmi alzare da questa panchina perché ti sto ancora aspettando. Anche se te ne sei andato solo da tre giorni, anche se non so se questa volta il mattino sarà clemente con me. Solo tu puoi aggiustarmi, come eri solito fare: a modo tuo e a volte senza nemmeno rendertene conto, ma l’hai sempre fatto.
Fino al tuo arrivo – o al mio? - ero sicura di stare bene, ma forse ho iniziato ad avere bisogno di te non perché avessi realmente qualche problema, ma perché il problema l’avevo se tu non c’eri.
Capisci quanto questo sia assurdo? Mi rendevi debole e allo stesso tempo mi facevi da antidoto.
Quindi, per favore, continua.

Torna qui e continua: liberami da questi stupidi sintomi o non so per quanto ancora dovrò e potrò sopportarli, mentre mi ricordano te. Perché non smettono mai di parlarmi, se devo essere sincera, anzi, di urlarmi contro: qualsiasi cosa io stia pensando, qualsiasi cosa io stia facendo, loro sono con me. Tu lo sei.
Torna qui e sii la mia cura, quella a volte troppo opprimente, esasperante e fastidiosa, quella con degli effetti collaterali spesso spiacevoli, ma comunque mia.
Torna qui, perché non voglio dover trovare qualcun altro che possa sostituire te ed il tuo effetto benefico su di me, sforzarmi di nuovo di impararne ogni sfaccettatura come se ne stessi leggendo il foglietto illustrativo, abituarmi ad una pelle diversa e ad un sorriso che non è il tuo.
Torna, perché ti sto aspettando e perché sappiamo entrambi che nessuno sarà migliore di te. Che nessuno sarebbe capace di adattarsi a me come facevi tu. Che nessuno saprebbe guarirmi altrettanto bene.
Torna, perché anche io ti amo lo stesso.





 
 

 
Buonasera!
Poco fa ho confessato su facebook di voler scrivere qualcosa di nuovo, ma alla fine ho deciso di pubblicare questa one shot perché era da troppo tempo nel mio computer e perché ci tengo troppo per lasciarla lì a marcire: so che il contesto è un po' confuso, così come tutto il resto, ma in realtà sarebbe il prologo di una storia che non pubblicherò qui, quindi è normale che non si capisca molto o quasi niente! 
Non ho niente da dire - stranamente - quindi spero solo che vi sia piaciuta! Vorrei sapere cosa ne pensate, sono curiosa :)
Grazie per aver letto!

Vi lascio i miei contatti:
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Veronica.

 
  
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