Libri > Hunger Games
Ricorda la storia  |      
Autore: Tinkerbell92    25/03/2014    3 recensioni
Non sempre le emozioni possono essere tenute sotto controllo, anzi, spesso i nostri tentativi di spegnere del tutto i sentimenti si rivelano il modo più sicuro per lasciarsi travolgere dal flusso continuo di sensazioni che si agita all'interno della nostra mente.
Ma se questo flusso si potesse in qualche modo controllare, manipolare e trasformare a seconda delle esigenze del momento?
Ecco cosa dovrà imparare Clove durante tre momenti brevi ma intensi vissuti all'interno dell'Arena.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cato, Clove, Marvel
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
- Questa storia fa parte della serie 'Careers'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Image and video hosting by TinyPic


- Io l’avevo detto che era una trappola! – sbotta Marvel, gettando con rabbia la propria lancia a terra – Maledizione! Quel fumo era troppo denso e visibile per esser stato acceso da un tributo sbadato! In pieno giorno poi!
Mi mordo la lingua infastidita, serrando le dita attorno al manico del coltello che avevo sguainato al momento dell’esplosione, e getto un’occhiata nervosa a Cato: ha appena fatto fuori Noah, il piccolo incapace del Tre, non credo reagirà bene alle parole di Marvel.
Sorprendentemente, il mio compagno di Distretto si limita a fulminare con lo sguardo il ragazzo dell’Uno, poi tira un calcio ad un pezzo di legno bruciacchiato, osservando con una smorfia quel poco che resta delle nostre provviste.
- Spero tanto che il dannato bombarolo sia saltato in aria con la nostra piramide di scorte –sibila a denti stretti – Almeno, lo spero tanto per lui.
- Stasera lo scopriremo – intervengo spiccia, urtandolo di proposito con la spalla – Ora vediamo di trovare una sistemazione migliore.
Sto cercando di contenermi, ma sono davvero furiosa: ci siamo fatti fregare come allocchi, non abbiamo ucciso nessuno ed abbiamo perso le nostre provviste, cosa che ci costringerà a muovere le chiappe per la foresta in cerca di cibo, alla stregua di un banalissimo tributo dei Distretti Poveri.
Cato è un vero idiota, si è montato la testa con questa storia del Leader. Fa tutto di testa sua, senza riflettere un solo secondo e senza ascoltare le idee degli altri. Le sue geniali decisioni ci hanno portato soltanto casini finora.
D’accordo, forse io dovrei essere l’ultima a parlare, sono ancora più impulsiva di lui dopotutto, ma visto che non spetta a me il compito di guidare ciò che resta di noi Favoriti, penso di potermi permettere il lusso della furia omicida sfrenata.
Serro i pugni per il nervoso, mentre Marvel mi si avvicina, poggiando una mano sulla mia spalla.
- Ho ancora qualcosina da mangiare nello zaino, magari basterà per stasera… tu hai l’acqua giusto?
Annuisco con un sospiro, mordendomi nervosamente il labbro inferiore: - Non sono infastidita per il cibo. E’ tutta questa situazione che mi innervosisce.
Il ragazzo dell’Uno dà un’alzata di spalle, gettando un’occhiata all’hovercraft in avvicinamento. Non so davvero come abbia fatto a sbollire la rabbia così in fretta, ma in un certo senso devo ammettere che non mi dispiace affatto il suo atteggiamento riflessivo e rilassato. E poi trovo piacevole potermi sfogare con qualcuno quando Cato fa il gradasso.
- Sono sicuro che domani andrà meglio – mi assicura, abbozzando un lieve sorriso – Siamo noi quelli forti qui, Clove. Siamo noi gli Angeli della Morte. Gli altri devono solo avere paura.
In qualche modo, viene spontaneo sorridere anche a me.

- Che significa?
Sto tremando come una foglia, ma non per paura. Fisso Cato con rabbia, i pugni chiusi, i denti tanto serrati tra loro da farmi male. Comincio quasi ad avvertire in bocca il piacevole gusto ferroso del sangue.
Il mio compagno emette un sibilo scocciato, alzando gli occhi al cielo: - Significa esattamente quello che ho detto: Marvel è morto. Era suo il corpo portato via dall’hovercraft. Siamo rimasti solo noi due, Clove.
Per un attimo, un fastidioso groppo alla gola comincia a tormentarmi.
Marvel.
Non è da me prendere così male la morte di qualcuno, sono riuscita a superare quelle di Glimmer e di Marina senza problemi, nonostante avessi stretto un rapporto abbastanza buono con entrambe – almeno secondo i miei standard.
Vorrei riuscire a trattenermi, a mandare giù il groppo alla gola ed andare avanti a testa alta come ho sempre fatto, infischiandomene di tutto, ma questa volta l’istinto ha il sopravvento.
Con un grido furibondo mi avvento sul mio unico alleato rimasto in vita, aggrappandomi con forza alle sue spalle e cercando di serrare i denti attorno alla sua gola.
Lo odio. Lo voglio morto. In questo momento non riesco a pensare ad altro.
Cato riesce in qualche modo a tenere il mio viso lontano dal suo collo, così, con uno scatto fulmineo, volto la testa e gli azzanno con forza il braccio sinistro. Con un urlo di dolore, il mio compagno cerca di scrollarsi dalla mia presa, ma le mie unghie cominciano a graffiare la sua carne con rabbia. Non mi importa nemmeno più di ucciderlo, in questo momento voglio solo fargli male. Deve provare il dolore che sto provando io, non m’interessa se fisicamente o moralmente.
Non ho ancora staccato i denti dal suo braccio che una manata tremenda mi colpisce il lato destro del viso, insieme all’orecchio. Senza preavviso, cado a terra su un fianco, l’impatto mi provoca un leggero colpo di tosse.
Provo a rialzarmi di scatto, ma un fastidioso giramento di testa mi costringe ad accasciarmi nuovamente al suolo, ansimando, la guancia tormentata da un insopportabile bruciore.
Porto il palmo della mano a coprire l’orecchio destro, che è assillato da un fastidioso ronzio, e, con gli occhi iniettati di sangue, alzo lo sguardo verso Cato: anche lui ha il fiatone, tiene la mano premuta contro il braccio sinistro e gli occhi azzurri rivolti a terra.
Non appena si accorge che sto strisciando verso di lui come una vipera pronta all’attacco, si getta prontamente su di me, poggiando il ginocchio contro la mia schiena e immobilizzandomi le spalle a terra con le sue enormi mani.  
- Lasciami! – grido furiosa – Se non mi lasci subito giuro che ti ammazzo!
- Clove, calmati – mi ordina lui seccamente – Non fare la stupida.
- Sei tu lo stupido qui! – urlo in risposta, dimenandomi selvaggiamente – Sei un idiota, un pallone gonfiato e un bastardo! Lasciami, porca puttana!
Cato sospira scocciato, serrando maggiormente la presa. Continuo a divincolarmi per un po’, ma alla fine crollo esausta con la faccia premuta contro il terreno morbido e umidiccio. Per quanto sia odioso da ammettere, è impensabile che una quindicenne di un metro e sessanta possa competere contro un colosso pompato di muscoli, in quanto a forza fisica.
Serro i pugni attorno a dei ciuffi d’erba ingiallita e, senza preavviso, qualcosa di caldo e bagnato comincia a scorrere lungo le mie guance. Lacrime.
Per un momento mi verrebbe da gridare di nuovo, nonostante abbia ormai la gola in fiamme, ma poi mi rassicuro: non sto piangendo perché sono debole, ma perché sono arrabbiata. Tanto arrabbiata.
Cato aspetta che mi sia calmata un po’, quindi allenta la presa fino a lasciarmi andare. Sarebbe il momento giusto per attaccarlo, ma ormai non ne ho più né la forza né la voglia.
Lo guardo un po’ di sbieco, mentre si siede sull’erba a pochi passi da me e sospira. Non so dire se sia abbattuto o semplicemente stanco.
Senza alzare il volto da terra, cerco di reprimere ulteriori lacrime e sibilo maligna: - E’ tutta colpa tua.
Lui volge lo sguardo verso di me, socchiudendo appena gli occhi: - Lo so. E mi dispiace, se la cosa può farti sentire meglio. Nemmeno io volevo che Marvel morisse, ma siamo agli Hunger Games, Clove, prima o poi doveva succedere.
- Questo lo so benissimo – ansimo a denti stretti, facendo perno sulle braccia per alzarmi – Eppure non mi sento affatto meglio. Doveva succedere, ma non adesso. Non così.
Cato scuote la testa, mettendosi in piedi e caricandosi il mio zainetto sulle spalle: - E’ meglio spostarsi da qui. Potremmo aver attirato qualche strana bestia con le nostre urla.
Vorrei tanto tirargli un pugno in faccia per il suo atteggiamento di sufficienza, ma stavolta non posso negare che abbia ragione.
Con passi lenti e pesanti lo seguo in direzione della Cornucopia, cercando di cancellare con cura tutti i segni lasciati delle mie lacrime.

Sono passati un po’ di giorni dalla morte di Marvel. Ormai è quasi giunta l’alba.
Appostati tra gli alberi, io e Cato teniamo lo sguardo fisso verso la Cornucopia, in attesa che il festino cominci. Mi domando chi dei nostri avversari farà la prima mossa…
- Tutto a posto?
Il sussurro di Cato mi fa quasi sobbalzare. Mi volto verso di lui, aggrottando la fronte: - Che vuoi dire?
I graffi che gli ho lasciato stanno cominciando a sparire, così come la furia omicida che ho provato nei suoi confronti negli ultimi giorni.
Forse è stato quando Templesmith ha annunciato la nuova regola , quella che consente a due finalisti dello stesso Distretto di tornare a casa, che ho cominciato a vederlo di nuovo sotto una luce diversa. Mi sono resa conto che, in fondo, Cato è tutto ciò che resta del posto in cui sono cresciuta. All’improvviso i miei occhi non hanno più visto l’idiota sbruffone che amava fare il tiranno, ma il ragazzino con cui qualche volta avevo giocato ai gladiatori, che aveva una cotta per mia sorella Ruby nonostante fosse ben più grande di lui e che si divertiva a prendere sulle spalle la mia sorellina Myrtle quando veniva a trovarmi in Accademia.
Ormai non devo più considerarlo un nemico: possiamo vincere tutti e due e riprendere le nostre vite da dove le avevamo lasciate. Anche se c’è ancora un pensiero che continua a trattenermi dal mostrare un minimo di simpatia nei suoi confronti…
- Credi che sia ancora arrabbiata per la storia di Marvel? – domando infine, giocherellando distrattamente con uno dei mie coltelli – Probabilmente sì. Non sono tanto arrabbiata da volerti morto, ma non posso fare a meno di pensarci. Sei stato tu a mandarlo da solo in avanscoperta…
-Lo so – replica lui calmo.
- Capisco che saremmo stati costretti a vederlo morire alla fine, se non ad ucciderlo noi stessi,  eppure non riesco proprio a capacitarmi di quello che è successo e non so perché…
- Perché era tuo amico – mi interrompe Cato, con il tono più naturale del mondo.
Per un attimo, una strana sensazione di gelo si impadronisce di me.
Amico… da quanto tempo non pensavo a questa parola?
Da quando sono entrata nell’Arena mi sono limitata a termini come “compagno”, “alleato”… “amico” è qualcosa di decisamente intimo, profondo, pericoloso in circostanze simili. Le persone che chiamiamo “amici” sono quelle con cui stringiamo un legame vero e proprio, che va al di là della semplice collaborazione e provoca dolore quando si spezza. Un legame che mai avrei pensato di potermi permettere.
Cato osserva per qualche secondo la mia espressione confusa, poi si lascia sfuggire una risatina: - Siamo pur sempre esseri umani, Clove, è una cosa normale, per quanto possa considerarsi poco intelligente all’interno degli Hunger Games. Non so cosa ti sia stato insegnato, ma non possiamo spegnere completamente i nostri sentimenti, perlomeno non troppo a lungo. Io l’ho capito quando è morta mia madre: tenermi tutto dentro e fingere che non fosse successo nulla è stato impossibile. Se vuoi un consiglio, visto che non puoi trattenere per sempre le tue emozioni, trova il modo di farle uscire trasformandole in qualcosa di diverso, come rabbia o furore, ad esempio. Ti assicuro che funziona.
Mi mordo il labbro, domandandomi se potrei davvero essere capace di fare una cosa simile, ma vengo distratta da un movimento furtivo nei pressi della Cornucopia. Ci metto poco a realizzare.
- Merda!
Cogliendo tutti di sorpresa, la ragazza del Cinque esce di corsa dal corno di metallo, afferra uno degli zaini appena comparsi dal nulla e sfreccia come un fulmine verso il fitto della boscaglia, decisamente al di fuori della nostra portata.
- Dobbiamo muoverci – sussurra Cato, avanzando di qualche passo verso lo spiazzo aperto, ma io gli afferro il polso, tenendo gli occhi fissi avanti a me.
- Aspetta – sibilo bramosa, mentre un sorrisetto sadico mi si dipinge sul volto – Guarda chi c’è.
Il mio compagno aguzza la vista e trattiene a stento un’imprecazione: la ragazza del Dodici, quella stronzetta che finora ci ha causato solamente problemi, sta uscendo allo scoperto furtivamente. Non è molto distante da noi, posso benissimo coglierla di sorpresa.
- Io credo che sia stata lei ad uccidere Marvel – borbotto, stringendo la presa sul manico del mio coltello più affilato – E’ stata lei, ne sono sicura…
- Vai.
Mi volto incredula, cercando di cogliere un filo d’ironia in quella singola parola. Cato abbozza un lieve sorriso: - Và a prenderla, Clove. E’ giusto che sia tu ad ucciderla.
La sorpresa lascia il posto all’eccitazione: sì, lei è la mia vittima, non permetterò a nessun altro di togliermi il piacere di ucciderla.
Faccio un passo in avanti, assaporando già il dolce aroma della vendetta, quando il mio compagno mi poggia la mano sulla spalla: - Promettimi soltanto una cosa.
Inarco un sopracciglio sospettosa: - Cioè?
Cato mi osserva per qualche secondo, poi il suo sorriso si allarga: - Regala a quelli di Capitol City un bello spettacolo. Falla gridare fino a quando non avrà esaurito tutta la voce. Ci vediamo tra poco.
Per la prima volta, mi viene spontaneo rispondere ad uno dei suoi sorrisi. Forse potrei quasi pensare di considerare anche lui mio amico, dopotutto, non saremo nemmeno costretti a scannarci se arriveremo entrambi in finale.
Le mie gambe ormai si muovono da sole, le dita sono pronte al lancio del primo coltello.
Avanzo sempre più velocemente verso la mia futura vittima, individuando il flusso di emozioni che sta animando la mia folle corsa.
Eccitazione: ormai è mia.
Impazienza: le mie lame bramano di bagnarsi col suo sangue.
Dolore: Marvel, il mio amico, è morto per mano sua.
Le accumulo nel petto, comprimendole per qualche secondo, le miscelo per bene tra loro ed infine le faccio uscire tutte insieme, trasformate in un’unica sensazione: rabbia. Rabbia cieca, violenta, omicida, pronta a scatenarsi.
Avverto il lieve pulsare dell’insignificante vita della Ragazza in Fiamme, il lieve pulsare che presto spegnerò per sempre. Ormai non ha più scampo. Riesco quasi già a sentire l’odore del suo sangue.
    
***
Angolo dell’Autrice: Okay, ho scritto questa OS in un pomeriggio perché ero particolarmente ispirata.
So bene che ormai chiunque all’interno del fandom ha scritto qualcosa su Clove, ma visto che io, invece, non avevo mai provato a scrivere qualcosa dal suo punto di vista, beh… ecco qua!
Spero di non essere risultata banale o di essere andata OOC, mi sono limitata a descrivere cosa immagino sia successo durante questi tre particolari momenti dei 74esimi e cosa penso possa aver provato Clove.
Ah, tendo a precisare che io ho sempre pensato a Marvel come un ragazzo intelligente e ponderato. Nel film sembrava un pochino idiota e la cosa non mi andava molto. Magari sarò strana io, ma la mia idea del personaggio era questa XD
Per quanto riguarda la sorellina di Clove di nome Myrtle, ella è opera della Regina Suprema delle Ship, darkangel98, e fa parte di una OTP suprema che è impossibile non shippare, altresì nota come Wirtle (Will/Myrtle). Chiunque sia curioso di saperne di più, può fare un salto nel profilo di darky.  *pubblicizza senza ritegno*
Boh, non so che altro dire, bao a tutti e grazie per aver letto.
Tinkerbell92

  
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Hunger Games / Vai alla pagina dell'autore: Tinkerbell92