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Autore: Albascura_    26/03/2014    9 recensioni
Ti guardi intorno. Cerchi di dedurre, per ritrovare la calma.
Soggetti noiosi in tutte le direzioni. Noioso, noioso, noioso.
Proprio davanti a te, però, a pochi metri di distanza, c'è un ragazzo.

Sheriarty. Teenlock. AU.
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jim, Moriarty, John, Watson, Mary, Morstan, Sebastian, Moran, Sebastian, Moran, Sherlock, Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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3. Fire Allarm

 



Non è più così divertente bighellonare con Jim Moriarty, da quando è ossessionato dal tizio della discoteca.

Da che lo conosci, un paio d'anni ormai, di suoi capricci ne hai sopportati tanti, eppure questo è quello che più di tutti ti sta facendo saltare i nervi.

Non è per il bacio in sé. Quello non è né un problema né una novità, ci hai fatto il callo da tempo. D'altronde è quello che gli piace fare, è il suo modus operandi: pavoneggiarsi, provocare e dare picche.

Farlo doveva sicuramente dargli un gran senso di superiorità e controllo... E questo non ti ha mai disturbato. Tanto, alla fine, è da te che torna sempre.

Per questo, razionalmente, capisci perché per lui sia così importante. Evidentemente, che venissero date picche a lui... No, quello non era accettabile.

Eppure la voglia di prendere a pugni persone random, magari proprio quell'idiota ricciolino della discoteca, cresce ogni giorno sempre di più. E' proprio una sensazione, come di astinenza. Un bisogno, una necessità... Di vedere quel bel faccino spezzarsi contro le tue nocche. Oh, sarebbe stupendo. Un brivido ti percorre la schiena solo al pensiero.

Ma sai che non potrà mai succedere. Non se vuoi che lui, alla fine, continui a tornare da te.

Quindi ingoi la tua frustrazione e cammini a passo svelto, a testa alta.

Vi siete dati appuntamento al solito posto, l'ufficio del vecchio magazzino abbandonato, proprio dietro alla scuola. Sei sicuro che quel posto valga almeno un milione di sterline, da tutte le informazioni che Jim vi tiene accuratamente catalogate dentro.

Poiché quello doveva essere un pomeriggio di lavoro, le distrazioni non erano ammesse. Così hai portato solo qualche birra, e un paio di grammi di erba. E anche un giornaletto per adulti, per la pausa cesso, ma quello l'hai nascosto infondo allo zaino, perché Jim non apprezza che qualche donnetta su carta stampata riceva l'attenzione che ritiene spetti di diritto a lui.

Vi sedete per terra, a gambe incrociate, con una canna in bocca, una birra in mano e una piantina della città stesa tra di voi.

“Noi siamo qui” Jim parla e la sigaretta gli penzola dalle labbra, “e il locale di sabato è qui.” Aggiunge, posando il tappo della birra nel punto che ha indicato.

Tira fuori dalla tasca dei jeans un foglio tutto spiegazzato e lo stende sul pavimento. Le parole sono scritte fitte fitte e lo riempiono tutto. “Le scuole private di Londra sono queste...”

“Ma sono centinaia!” Sbotti.

“Londra ha otto milioni di abitanti, Seb. Cosa ti aspettavi?”

Fai una smorfia. Ma guarda te se devi sprecare mezza giornata sulle tracce di uno sfigato di cui non ti frega un cazzo... Sospiri. “Perché dai per scontato che faccia una scuola privata?”

“Mi sembra ovvio. Primo, se facesse una scuola pubblica saprebbe chi sono.” Fa un tiro, la punta dello spinello si illumina per qualche secondo. Poi dalle sue labbra sottili escono fumo e parole.

“Secondo, aveva abiti costosi, e terzo aveva le mani morbide di chi non ha mai lavato un piatto in vita sua.”

Ti guarda fisso negli occhi e le sue pupille sono così dilatate che non capisci dove finiscano loro e dove inizino le iridi scure...

“Quindi sono abbastanza certo che possiamo restringere il campo alle scuole private.”

...Sembra vogliano risucchiarti.

“Passami il pennarello.”

Dio, quel cretino doveva essere proprio un gran coglione per respingere due occhi così...

“Innanzitutto eliminiamo le scuole femminili e quelle religiose... Poi direi di concentrarci su quelle vicine ai quartieri residenziali...”

 

 

 

 

 

Sherlock si è chiuso in un ostinato mutismo dalla sera della discoteca. Tutti i giorni, durante l'intervallo, ti ha evitato come fossi un lebbroso. Vi siete incrociati un paio di volte nel bagno dei ragazzi, e tutto quello che ha saputo fare è stato guardarti rabbiosamente prima di andarsene.

Non ti ha neanche cercato per i famosi compiti di astronomia che gli avevi promesso, e quello è stato l'ultimo segnale che ti mancava per capire di averla combinata davvero grossa.

La mattina dopo eri già pentito della tua reazione. Non sai ancora bene da dove ti sia uscita, in effetti.

Hai guidato mesto fino a casa sua, ben intenzionato a chiedere scusa. Avresti aggiunto anche i compiti di matematica al piatto, pur di farti perdonare.

Ma quando hai suonato alla porta, la testa ricciuta del tuo migliore amico non si è affacciata alla finestra come era solita fare, e dopo qualche minuto era stato suo fratello maggiore, vestito e pettinato di tutto punto, a venire ad aprire.

Ti aveva squadrato dall'alto al basso con un'espressione vagamente disgustata e senza lasciarti il tempo di aprire bocca, aveva detto, testuali parole: “Quel lavativo di mio fratello non è in casa.” e aveva chiuso la porta.

Eri rimasto qualche secondo immobile davanti alla porta, sconcertato.

Avevi fatto per risalire in auto, ma il dubbio che Sherlock stesse solo fingendo di non essere in casa era troppo grande per essere ignorato. Così avevi iniziato a tirare dei bastoncini contro la sua finestra, quella del secondo piano, proprio accanto all'ingresso del villino.

Ma poi i bastoncini dei dintorni erano finiti, ed eri passato ai sassolini. All'ennesimo tintinnio del vetro, Mycroft Holmes era ricomparso sull'uscio, brandendo un ombrello e agitandolo minacciosamente verso di te. “Mio fratello continuerà a non essere in casa anche se gli sfondi la finestra.”

Avevi incassato la testa fra le spalle ed eri salito in macchina. Mentre guidavi verso casa – avresti voluto andarlo a cercare, ma non avevi la più pallida idea di dove potesse essere -, avevi chiamato Mary. Era nuova in città, ma si era già fatta parecchi amici. Era graziosa, simpatica e solare. Aveva sempre la battuta pronta e una parola gentile per tutti.

Infatti, dopo averle detto che avevi bisogno di parlare di quanto era successo la sera prima, non aveva esitato un attimo nel darti appuntamento per quello stesso pomeriggio.

Casa sua era piccola ma accogliente. Viveva da sola, un po' strano per una diciassettenne, ma sentivi che non eravate ancora abbastanza intimi per indagare la questione.

Ti aveva preparato una tazza di tè e vi eravate seduti al tavolo della cucina.

Le avevi raccontato un po' com'erano andate le cose dopo che vi eravate salutati, di come avevi reagito a sproposito e di come Sherlock si fosse messo a fare il gioco del silenzio.

Lei aveva ascoltato con attenzione, con gli occhi vispi e la tazza stretta tra le mani.

“John, secondo me ti stai preoccupando per nulla.” Aveva detto alla fine. “Sherlock ti perdonerà sicuramente, dopo che ti sarai scusato.”

“Oh, ma non sono l'unico a doversi scusare! Anche lui ha la sua parte di colpe!”

“Dici? Calcola che tu l'anno prossimo andrai all'università, mentre Sherlock è solo al secondo anno. Sinceramente non ci vedo niente di male se cerca di allargare le sue amicizie. Al momento non è esattamente popolare. O almeno, non nel senso positivo del termine.”

Avevi poggiato la tazzina sul tavolo con un po' troppa energia, il tè era zampillato fuori e ti aveva macchiato la camicia. “Insomma Mary. Un ragazzo. Un ragazzo gli ha dato un bacio e lui non ha detto nulla. Poteva almeno dirmelo no?”

“Che cosa?”

“Di essere... Dai, hai capito.”

“John, tu fammi capire. Tua sorella vive con la sua ragazza da anni e tu ancora ti imbarazzi a dire gay?”

“No, non è che mi imbarazzo... E' solo che... Avrei preferito non scoprirlo così. Ecco. Poteva dirmelo.”

“E tu gli hai detto di non esserlo?”

“Ma cosa c'entra!”

“John, non è che uno arriva, e si presenta dicendo – Ciao, mi chiamo Sherlock Holmes e sono gay -. Non ci dovrebbe essere neanche il bisogno di dichiararlo così. Sei il suo migliore amico, magari pensava che l'avessi capito. O dedotto, come dice lui.”

Il tè che avevi sul petto ormai si era raffreddato.

“Forse hai ragione.” Avevi ammesso alla fine. “Ma io mi sento offeso lo stesso. Avrò pur il diritto di sentirmi offeso!”

Lei ti aveva guardato negli occhi con uno sguardo strano, e dopo una breve pausa aveva detto “Non lo so”.

Era stato bello parlare con lei. Era una ragazza veramente saggia.

Ma comunque lunedì non avevi parlato con Sherlock, e non l'avevi fatto neanche martedì. E prima che te accorgessi era passata un'intera settimana, e le scuse erano precipitate talmente in profondità tra tutte le parole che volevi dirgli, che sembrava sempre più difficile farle venire a galla.

 

 

 

 

 

L'allarme antincendio suona all'improvviso, nel bel mezzo della lezione di chimica.

Sei in laboratorio insieme al resto della classe, con il camice sopra la divisa, la mascherina di plastica calata sul viso e i guanti in lattice (troppo piccoli per le tue dita troppo lunghe) che ti avvolgono fastidiosamente le mani.

E' il panico.

Il professore si rifugia sotto la cattedra, - è l'allarme antincendio, idiota, non la campanella del terremoto – pensi, mentre i tuoi compagni afferrano i loro zaini e corrono disordinatamente verso la porta, urtando scaffali e provette che cadono infrangendosi sul pavimento.

Togli con calma maschera e guanti mentre il professore ti fa segno di sbrigarti. Ma non c'è fumo da nessuna parte e i rilevatori sul soffitto non hanno suonato nemmeno una volta prima che scattasse l'allarme, che è stato chiaramente attivato manualmente. Non c'è nessun incendio da nessuna parte, è lampante. Ma raccogli comunque le tue cose e ti avvii tranquillamente verso l'uscita. Non c'è più nessuno dentro, i corridoi sono deserti.

Poi John spunta trafelato da dietro un angolo. “Sherlock! Sherlock stai bene?” La sua voce è interrotta dall'affanno.

Tentenni per qualche secondo, ma alla fine cedi. “Si John.”

“Cosa fai ancora qui! Corri, no? Non ti ho visto fuori e mi è preso un colpo!” Ha il viso arrossato e la fronte sudata.

“Calmati John, non c'è nessun incendio. Niente fumo, niente sensori... Guarda il cielo dalla finestra: non è così limpido neanche ad agosto. Non c'è nemmeno un grammo di fuliggine.”

“Eh allora? Beh comunque sbrighiamoci ad andarcene da qui!”

 

Siete gli ultimi ad uscire. Le varie classi sono disposte più o meno ordinatamente in tanti gruppi nel cortile, e gli insegnanti stringono convulsamente i registri tra le mani mentre strillano in ordine alfabetico il nome dei propri studenti.

Proprio davanti a te, però, a pochi metri di distanza c'è un ragazzo.

John ti tira per un braccio, è la terza volta che il tuo professore sbraita “Holmes!”, ma è come se i piedi ti si fossero incollati all'asfalto.

Il ragazzo cammina verso di voi. Ha un sorriso divertito. John se ne accorge, la sua presa si stringe.

Si ferma a qualche passo di distanza. I suoi occhi sono neri e rotondi come te li ricordavi.

“Jim Moriarty, ciao!”

La sua voce è come una litania. Alza le sopracciglia, e arriccia il labbro inferiore.

“Ti ho dato il mio numero, pensavo avresti chiamato.”



 

***
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto! :D
E' più lungo degli altri due e l'ho finito anche relativamente alla svelta! :D Non siete contente? <3
Dal prossimo inizia l'azione... OMG spero di ricevere l'illuminazione divina su cosa scrivere .-. XD
Grazie grazie grazie mille per i commenti che mi avete lasciato, siete meravigliose <3
...E il premio va a Swindle che ha indovinato in pieno che avrei usato l'I give you my number, I thought you might call ;D Ti giuro che quello era l'unico pezzo chiaro nella mia mente XD Poi il resto è venuto fuori così! XD
A presto! spero
   
 
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