Film > Frozen - Il Regno di Ghiaccio
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Autore: thefireplanet    28/03/2014    0 recensioni
Ci sono dei pesi, quando sei regina, che non hanno niente a che fare con una maledizione. Ci sono dei doveri, quando sei principessa, che non hanno niente a che fare con l'essere una sorella. E la strada per il vero amore non è mai stata in discesa.
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anna, Elsa, Hans, Kristoff, Nuovo personaggio
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Note della traduttrice: Salve a tutti. Vi presento fanfiction di thefireplanet, postata sul sito fanfiction.net (se volete potete trovarla in lingua originale QUI (https://www.fanfiction.net/s/9870780/1/Songs-of-Ice-and-Snow). E’ ambientata una settimana dopo la fine del film. Per chi di voi è familiare con Tumblr, il nickname dell’autrice è dreamsalittlebigger, nel caso vogliate esprimerle personalmente i vostri commenti. La fanfiction è conclusa.
Buona lettura, rossanasmith.

 

 

 

Capitolo 1.

 

"La porto solo a fare un giretto di prova."
"Beh, perché non posso portarcela anche io? Non c’è un motivo per cui non possa!"
"Ti ricordi cos’è successo l’ultima volta che sei salita sulla mia slitta?"
"Io—Io—eravamo inseguiti dai lupi, non l’ho fatta finire contro un albero! E comunque, non è che non possiamo sostituirla o altro."
"Non—non c’è bisogno che la sostituisci ogni volta che la rompo—"
"Che stai dicendo? Hai intenzione di romperla un sacco di volte, o cose del genere?"
"No, sto solo dicendo che so badare a me stesso—"
"Non ho mai detto che non puoi, ma come ti è persino—"
"Anna."
"Bene. Non ci volevo andare comunque."
"Beh, e dai non—camminare—ok, perfetto, se ne è andata. Che hai da guardare? Dacci un taglio, Sven." Kristoff si guarda i piedi di malumore, strascicando gli stivali sull’acciottolato del porto. Una settimana fa, lo stesso porto era stato racchiuso dal ghiaccio; adesso l’acqua scintillava sotto un sole estivo crescente. Guarda le montagne, gli alti picchi impervi al calore, e la meravigliosa neve che le incorona. Non vede l’ora di essere lì. Sven gli mordicchia la manica. "Non è che non voglio stare con lei," scatta, scuotendo l’amico via di dosso. "E’ che lo voglio."
E con questo si avvia alle stalle, a prendere puntelli e corda. Doveva schiarirsi le idee. E la strada più rapida per avere una mente sgombra era andare dieci metri più in alto.
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Elsa guarda la sorella attaccare il proprio pranzo, e osserva, gelida, "C’è qualcosa che non va?"
"No," Anna scatta, a metà tra lo strappare grossi pezzi di pane coi denti e il risucchiare la zuppa di piselli posata vicino al suo gomito sinistro. "Non c’è niente che non va, perché dovrebbe esserci qualcosa che non va, è tutto perfetto."
Elsa posa il cucchiaio. Le piace la sensazione del metallo freddo contro i polpastrelli nudi. C’è un cameriere accanto alla porta che dà in cucina—Elsa, imbarazzata, non riesce a ricordarsi il suo nome, poiché era parte del gran numero di persone assunte al palazzo dopo l’apertura dei cancelli—e osserva Anna con un misto di orrore e fascino. "Anna," sospira.
"Non mi dire Anna," Anna borbotta, ma, come al solito, la rabbia ormai si è calmata, consumata in fretta, come un fiammifero acceso. Posa il pane, stende una mano sul tavolo—"Non è stato—" Elsa inizia—e beve un lungo, lungo sorso del vino color mogano di Elsa.
E lo sputa nella zuppa di piselli.
"—allungato," Elsa conclude, debolmente e ormai tardi.
Anna adesso inizia a strofinarsi il pane sulla lingua; Elsa toglie il bicchiere alla sorella e quasi sorride. Le labbra si sollevano agli angoli. Ma è una cosa strana, sorridere, e non riesce a farlo ancora bene—non completamente, almeno; non ancora. Una settimana, e le cose erano ancora strane, nuove—sentimenti. Traballava inesperta come un neonato.
"Come fai a—bere quella roba?"
Elsa dice, secca, "Ingoio."
Anna le lancia un’occhiata fulminante, poi risprofonda nella sedia. Gli occhi si spostano veloci lungo il tavolo; è un tavolo lungo, coperto da una tovaglia rosso ciliegia, e a capotavola un’unica sedia vuota, e anche un’altra, accanto ad essa; e poi, forse a cinque piedi di distanza, eccole appollaiate lì, due sorelle; e tutto il resto vuoto. Anna dice, "Solo—Scusa. Ho litigato con Kristoff. Prima."
A Elsa piaceva Kristoff infinitamente più di quanto le era piaciuto—lui. Ma questo non significava che Anna non si fosse buttata a capofitto; forse non era stato progettato un matrimonio, ma non era passato comunque abbastanza tempo. "Sono sicura—"
"Voglio dire, non è stato proprio un litigio. Più me che mi arrabbiavo, e non lo so, volevo solo passare un po’ di tempo assieme a lui, ed era come se stesse scappando via, il che è ridicolo, perché chi scapperebbe mai via?" Anna si blocca, fa in fretta un profondo respiro. Elsa sbatte le palpebre, senza parole. "Scusa."
Elsa scuote la testa. "No, Anna, non scusarti; Voglio che tu condivida le tue cose con me senza problemi," finisce piano, come se avesse paura di dirlo. "E so che le cose sono state—frenetiche, questa settimana."
Forse frenetiche non era la parola adatta; più “impossibili”, sarebbe stata una descrizione migliore. Elsa aveva dovuto mandare delle scuse ad almeno quindici dignitari stranieri, organizzare un incontro in piazza con tutta la gente del regno per affrontare il problema della sua maledizione, e scegliere nuovi servitori—un compito che aveva affidato ad Anna.
"Ho paura che non sia amore," Anna fa all’improvviso. "Non—" gli occhi guizzano a capotavola. Le sedie vuote. "Non ho proprio grandissime capacità di giudizio quando si tratta di queste cose." Ride piano, un po’ prendendosi in giro da sola.
"Vorrei poterti aiutare," Elsa stringe la mano sul tavolo; la pelle quasi traslucida contro la tovaglia rosso ciliegia, "ma ho paura di non saperne molto nemmeno io."
"Beh," Anna fa, tirando su col naso, e pulendosi la bocca col dorso della mano in una maniera non molto principesca, "almeno abbiamo l’un l’altra."
Elsa sorride, e da qualche parte dentro di lei, il ghiaccio si rompe un po’ di più.
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Anna a malapena registra il fatto che la porta si stia aprendo—cioè, da qualche parte nel suo sogno di troll e abiti da sposa, c’è uno scricchiolio. Poi una dei troll apre la bocca pietrosa e piena di muschio, e la voce di Olaf parla:
"Ah—nna, Ah—nna—"
"Olaf," Anna geme, ormai sveglia ma rifiutandosi di aprire gli occhi, "Pensavo che ne avessimo già parlato." Una brezza gelata, e sa che la nuvoletta tempestosa personale di Olaf deve essere da qualche parte sospesa sul suo braccio sinistro. Si rintana di più sotto le coperte.
"Il cielo si è svegliato," Olaf dice allegro, "e quindi anche io!"
Anna non può fare a meno di ridere a quelle parole, sorridendo nel cuscino, l’eco di un ricordo che appare dietro gli occhi chiusi. Ne apre uno. Le porte a vetri che danno sul balcone rivelano un cielo che inizia a colorarsi di viola. "Non si è svegliato ancora."
"Ma lo sarà presto! Alzati, alzati!"
"Okay, cavolo," Anna sbadiglia, tirandosi su a sedere. Olaf balla sulle coperte, spargendo fiocchi di neve ovunque. "Andiamo."
Arranca fuori dal letto, sobbalzando quando i piedi toccano il pavimento freddo di marmo. Rabbrividisce, e i brividi la fanno star male, da qualche parte dentro; era più sensibile al freddo, da quando era successo quello che era successo. Avrebbe potuto sotterrarsi in un centinaio di coperte e non stare mai al caldo—come se una scheggia le fosse rimasta infilzata nel cuore, e riusciva a immaginarla, sempre lì.
Era così che ci si sentiva, ad essere Elsa?
Anna apre le porte della balconata, ed è accolta dall’aria che piano piano si fa meno gelida, nella fredda notte estiva. Lontano, sulle cime, riesce a vedere i primi raggi di sole. Olaf praticamente danza di gioia accanto a lei. "Hai mai visto niente di così bello?"
"Beh, anche ieri è stato abbastanza bello," Anna sbadiglia, appoggiandosi alla balaustra di pietra, "e anche l’altro ieri; e anche l’altro-l’altroieri."
"Sì," Olaf sospira sognante. Non arriva al bordo della balaustra, tranne che con la punta del naso. Il sole si vede appena. Anna ride.
"Olaf, sei—Olaf!" Si raddrizza di scatto. "Kristoff sarà tornato!"
"Sven è partito?"
"Già—devo andare, scusa, è che—"
"Ma il sole non è nemmeno sorto tutto!"
"Lo so!" Anna urla, fiondandosi nella stanza, infilandosi due scarpe diverse e mischiando corsetti e gonne. "Ma devo chiedergli scusa!"
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Elsa apre gli occhi, e il sole è color albicocca, e si accorge di aver dormito troppo. Si siede, e la lista dei suoi doveri le occupa la mente—per cominciare, quella lettera arrivata proprio il giorno prima dalle Isole del Sud, ancora sigillata. Sospira.
E poi la porta si spalanca di scatto.
"Elsa!" Anna si affretta dentro. Indossa un berretto pesante rosa, una gonna gialla, un corpetto celeste, e due scarpette di colore diverso. Elsa sbatte le palpebre. "Che stai—"
"Non è ancora tornato," Anna dice. Inizia a marciare ai piedi del letto, avanti e indietro. "E’ passata tutta la notte—praticamente un’eternità, e non è ancora tonato, la slitta non c’è più—"
"Chi—Kristoff?"
"Sììì! Pensavo che ormai fosse tornato e sai che insiste per dormire nelle stalle con Sven? Beh, lo fa, gli ho detto che poteva dormire nella stanza degli ospiti, ma comunque non è questo il—il punto è che non c’era. Voglio dire, non so, credi che sia scappato?" Anna si ferma per respirare.
"…no?" Elsa ha voglia di ridere, che probabilmente è la reazione sbagliata. "Sono sicura che stia bene, Anna. I venditori di ghiaccio? Passano settimane da soli tra le montagne."
"Settimane? Troppo tempo." Pausa. Poi: "Quindi credi che non gli sia successo niente?"
"No," il lato destro della bocca di Elsa si solleva. "Adesso vatti a cambiare. Sei ridicola."
Anna si guarda velocemente, e spalanca gli occhi, come se si fosse resa conto solo allora di come era vestita. "Oh, cielo, sono andata in giro—oh. Ok, ci vado subito. Buona idea."
Elsa la guarda andar via, tirando un filo della coperta.
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Anna guarda le montagne lontane, come se potessero dirle qualcosa. La Vetta Nord sembra piccola e insignificante da lì. Sopra di lei il cielo brilla, un migliaio di stelle che la illumina, e sta congelando.
Non fa particolarmente freddo, e lo sa, ma non riesce a smettere di tremare, anche con le braccia allacciate e le dita dei piedi premute assieme. Nella stanza dietro di lei scoppietta il fuoco, ma a parte questo il palazzo è silenzioso, le luci spente.
Non è che—lo vuole soffocare, né niente, ma se ne era andato così e lei sentiva il bisogno di scusarsi. Si fissa le dita, premute ai lati del torace, e il volto di Hans guizza tra i suoi ricordi come un’alga. Fa una smorfia, tirando fuori la lingua. Più che altro provava vergogna, e imbarazzo.
Più che altro aveva paura accadesse di nuovo.
 Più che altro temeva di non sapere cosa fosse davvero il vero amore.
Sospira, e si rannicchia, e poi sente, "Hai freddo?"
Sì gira, a metà; Elsa è lì, delineata sulla soglia. Si ricorda dei tempi in cui condividevano la stanza. Un’infanzia intera, sprecata. Dice, "No, sto perfettamente—"
Elsa agita la mano, e un venticello gelato raccoglie una coperta dal letto nella sua stretta di ghiaccio, la trascina fuori, e con uno svolazzo la deposita ordinatamente sulla sua testa. Anna ride. Non riesce a vedere nient’altro che diamanti che si intrecciano. "Stai migliorando!" alza la voce per farsi sentire da sotto la stoffa. "Credi di potermi far volare oltre il muro?"
Elsa non risponde. A volte—cioè, sempre—Anna è convinta che lo scherzo non faccia parte del suo vocabolario; del resto, Anna scherza solo in parte. Se potesse volare oltre il muro, ora, sarebbe capace di trovare Kristoff. Sente il rumore dei passi, e poi le braccia di Elsa le si stringono attorno, insieme alla coperta.
"Ciao," Anna sorride. Scrolla le spalle e le avvolge nella coperta, lasciando la testa fuori. Elsa è lì in piedi, con l’aria un po’ preoccupata e persa alla luce della luna. Anna le prende la mano. "Ancora alzata?"
"Come te," Elsa controbatte. "Avevo degli affari di cui occuparmi. La tua scusa qual è?"
"Nessuna. Voglio dire, niente. Nessuna scusa. Non riuscivo a dormire."
"Kristoff sta bene, Anna."
"Lo so! Sto solo—ammirando le stelle!"
Elsa le lancia un’occhiata. Il tipo di occhiata fraterna che smaschera le sue bugie. Sorride sfacciata. Poi Elsa fa quello che Anna non voleva facesse, e nota la pelle d’oca sulle braccia mentre si aggiusta la coperta. "Hai freddo?" sua sorella si acciglia.
"Un pochino. Non è niente. Forse mi sto ammalando, credo." Non aveva detto a Elsa di come non riusciva più a riscaldarsi, non davvero. Sua sorella non aveva bisogno di un altro peso sulle spalle. Cambia l’argomento. "Allora, domani posso aiutarti con qualcosa?"
Elsa stringe le labbra. Dopo un momento, comunque, risponde secca. "Ci sono alcune cose, sì. Devo chiamare il pittore reale per i nostri ritratti e rispondere a un paio di lettere. Forse puoi controllare che le merci arrivino nel porto come devono?"
Anna annuisce, sorridendo. "Ma certo."
Si fissano per un minuto. Ad Anna tutto questo piace. Le piace avere qualcuno a cui parlare, anche se si stanno sondando piano di nuovo, dopo tutti questi anni. Il suo sorriso si fa più largo, e si piega in avanti per un abbraccio veloce. La pelle di Elsa non è di ghiaccio—e un po’ più calda di com’era prima—ma quasi, e non aiuta la temperatura di Anna. Dice, "Buonanotte."
Elsa sorride, una cosa piccola, fragile. "Vai a letto."
"Sissignora!" Anna unisce i tacchi, osservando la sorella che se ne va, e poi si volta di nuovo verso i muri massicci del cortile, e oltre, i fiordi. E’ pace. E’ silenzio. Voleva solo dire mi dispiace, tutto qui. Sospira, appoggiando la guancia nel palmo con forza. La coperta le scivola dalle spalle. I cancelli sono ancora aperti, anche di notte, ora; qualcosa che Elsa aveva detto sul farli rimanere così. Ad Anna non importava. Erano aperti, e sarebbe potuta andar via, se voleva, e—
Dove sarebbe andata?
"Ugh, Kristoff," Anna sospira, guardando le due guardie appoggiate ognuna a un lato dei cancelli. Traballano alla luce del braciere. "Stupido, presuntuoso, non ci posso credere che è—"
C’è un suono di zoccoli. Debole, all’inizio, e poi che si precipita in avanti, oltre i due uomini spaventati e nel cortile. Anna rabbrividisce da capo a piedi, perché Sven è lì, e molto privo di Kristoff.
"Lo sapevo!" sibila, alzandosi all’indietro e lanciando la coperta sul pavimento della stanza. Si infila gli stivali (appaiati, questa volta) e il mantello rosa e si mette anche il cappello per essere sicuri, e se ne va, di corsa per i corridoi, senza fermarsi, anche se parecchie delle Guardie di Notte gridano al suo passaggio. Scivola nel cortile, l’abbigliamento invernale proprio perfetto per l’aria fredda della notte, anche se non dovrebbe essere così, anche se avrebbe dovuto sentirsi soffocata—e c’è Sven, Sven—"Sven!" urla, inciampa, e riesce appena a mantenersi sulle sue corna per non cadere. Sembra preoccupato. "Sven, dov’è- cos’è—"
Sven muove la bocca.
"Non so parlare il rennese, Sven, solo Kristoff ci riesce."
Sven ripete il movimento, e poi le morde la manica. Lei si solleva e gli si siede in groppa.
"Okay, amico, se qualcosa non va—devi portarmi da lui." Balzano oltre le guardie ai cancelli. "Dite a mia sorella che sto cercando di trovare quello stupido del mio fidanzato!" urla loro, ma non sa se l’hanno sentita o no, perché ormai erano puntini ai limiti del suo campo visivo, e lei e Sven si precipitano alla Vetta Nord.
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"Kristoff?"
Anna si chiede perché bisbiglia; non c’è bisogno di bisbigliare. C’è un silenzio di tomba, e la neve è vecchia, e densa, ma non può fare a meno di ricordarsi dei lupi. Sussurra di nuovo, un po’ più forte, "Kristoff?"
Sven la porta fuori dagli abeti, e alla luce splendente della luna, che si riflette sul suolo candido, a sufficienza da farle distinguere facilmente la slitta. E’ a posto, non un graffio. C’è una torcia, mezza spenta e praticamente un tizzone morente, a terra accanto a essa. Il cuore le batte in modo orribilmente frenetico. Smonta da Sven, senza grazia, cadendo violentemente sulla schiena; la renna si muove in avanti impaziente. "D’accordo, ok, arrivo, lasciami solo—" si alza in piedi. Non vuole vedere cosa è successo. Lo farà in fretta, come strapparsi un cerotto. Corre in avanti.
Sven, con una specie di nitrito, le afferra il mantello coi denti e la strattona all’indietro proprio prima del margine irregolare di un crepaccio stretto e profondo che non aveva visto. Corre di nuovo all’indietro, col cuore che batte.
"Grazie, Sven," sussurra. Gattona in avanti.
Lo spazio tra il limite vicino a lei e l’altro non è molto—è davvero stretto, in realtà, e potrebbe superarlo con un balzo Ci sono dei segni sull’altro lato, come se qualcuno l’avesse fatto. Le rocce scure, nere, tagliano la terra, e lei spia il margine della roccia; le pareti strette scendono per altri sei piedi, forse, e poi non riesce a vedere più. Nero.
"Sven, dove sta?"
La renna sposta la torcia verso di lei, dandole dei colpetti. La prende, soffiando sui tizzoni per farla riaccendere un po’. Sfarfalla smorta tra le sue mani. LA infila nel crepaccio stretto e urla, "KRISTOFF! SEI LAGGIU’?"
Battito. Due. Poi, un gemito. "…Anna?"
"Kristoff!" urla, e il suo corpo si rilassa, e si sente sollevata. "Dove sei? Vengo a prenderti!"
"No, torna indietro, Anna, non puoi farlo da sola—"
"Va bene—ecco, ho trovato la corda." Se la infila in spalla. "Dove sei? Che stavi facendo, comunque, quanto lontano —"
"Anna, non ci sono sostegni, devi—"
Fa scendere la torcia più a fondo nella crepa, cercando di vedere al buio, e coglie un barlume di luce, un mormorio di qualcosa di viola, e si piega un po’ di più. "Faccio cadere la torcia, è sopra di te?"
"No, ma Anna, solamente—"
La lascia andare. La torcia precipita per circa sei metri, e poi atterra, con un sibilo che si fa via via più debole, su qualcosa di freddo. Illumina vagamente l’interno di qualunque cosa ci sia sotto, e riesce a vedere il corpo disteso di Kristoff. "Perché non stai in piedi? Hai rotto qualcosa? Ti sei rotto tu?"
"Anna, ti prego, non voglio che tu—"
"Ecco, faccio un’ancora di neve!" Si volta indietro, e Sven piega la testa, ed è grata perché ha qualcosa da fare, qualcosa che le fa continuare a scorrere il sangue e le tiene la testa lontana dalle cose. Inizia a scavare una piccola curva spostando la neve, infilando un capo della corda sul mucchietto che ha fatto. "Che ci facevi laggiù, comunque? Non importa. Lo sapevo che qualcosa non andava. Ecco."
Finisce, testa la corda, e poi si lega l’altro capo attorno alla vita. Si alza, si stiracchia un poco, e poi barcolla fino al margine della spaccatura profonda. C’è un altro pezzo di corda nella slitta, e la afferra. "Okay, adesso scendo fin dove posso e ti passo la corda, e poi—poi Sven può tirarci su, o roba così. Sai, quello che è, decidiamo quella parte quando ci arriviamo."
"Anna, si scivola," Kristoff la avverte. "Vai a chiamare un paio di guardie e basta—"
"No, stai scherzando? Possiamo farcela. Sarà," grugnisce, sporgendosi in avanti, "un’esperienza che ci legherà," si sporge un poco di più, e poi, col rumore di un cuscino che cade a terra, e l’ancora di neve cede. Sven fa un grugnito. Anna non ha nemmeno il tempo di urlare prima di cominciare a cadere. Sbatte la testa sull’entrata stretta di qualcosa prima che si allarghi e continua a cadere, solo che adesso è sottoterra, e poi—
"Oof," emette un rantolo, senza respiro, le scintille davanti agli occhi. E’ stesa su qualcosa di bitorzoluto.
"Credo che tu mi abbia appena spappolato la milza," Kristoff riesce a dire, ansimando.
"Kristoff!" E poi si accorge di quello che è appena successo. La torcia si sta spegnendo, a un metro o poco più di distanza, i tizzoni che brillano debolmente, e la luce della luna non basta. Sono in una caverna, ma è tutto quello che riesce a distinguere. Kristoff si muove sotto di lei; sente le mani poggiarsi sulle sue braccia.
"Beh," Anna dice, "Potrebbe andare un po’ meglio."

  
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