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Autore: millyray    29/03/2014    1 recensioni
Connie torna a Londra dopo tanti anni e con sé porta dietro tanti ricordi spiacevoli, tante esperienze terrificanti che non sono mai state dimenticate, tanti sentimenti negativi, risvegliando un lato nella personalità di Sherlock che i suoi amici più intimi non hanno mai conosciuto.
Ma non solo questo... Connie è una ragazza speciale, sa il fatto suo, sa osservare ma soprattutto sa vedere quello che non c'è in superficie. Perché lei, a differenza di qualcun altro che ben conosce, è in grado di vedere col cuore.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: John Watson, Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO OTTO

Quando Connie rientrò a casa quel pomeriggio, trovò Sherlock e John seduti sulle loro poltrone, come al solito, e una donna che lei non aveva mai visto accomodata su una sgangherata sedia di legno di fronte ai due uomini. Sembrava piuttosto sconvolta, cercava di trattenere le lacrime con un fazzolettino di cotone in mano. Di aspetto era piuttosto insignificante, era una di quelle donne di cui ti scordi appena smetti di guardarla, e parlava, o meglio, singhiozzava, di un cane dalmata a cui lei voleva bene come ad un figlio.
Sherlock non la stava guardando e pareva che non la stesse nemmeno ascoltando. John sembrava essere nella stessa situazione; aveva un braccio appoggiato al bracciolo della poltrona e con la mano si reggeva la testa. fissava la donna, ma sembrava non vederla.

Connie si diresse quatta quatta verso la cucina e rimase ad osservare la scena. Nessuno si voltò verso di lei, il che le fece dedurre di non essere stata notata o quantomeno di non aver attirato l’interesse. Meglio così, voleva godersi lo spettacolo e capire che cosa esattamente stesse succedendo.

Ad un tratto la sconosciuta tirò un singhiozzo decisamente più lungo e più fastidioso degli altri, il che fece spazientire parecchio Sherlock che si riscosse tutto d’un colpo ed esclamò: “Non mi interessa! Il prossimo!”

L’espressione che assunse la donna era forse la più comica che Connie avesse mai potuto vedere e sarebbe scoppiata a ridere se non avesse espresso così tanta drammaticità. Era rimasta a fissare il detective con la bocca spalancata e le mani a mezz’aria.
Con qualche scusa molto gentile e dispiaciuta, John riuscì a mandarla via facendo accomodare subito dopo un altro ospite, un uomo sulla trentina ma già calvo in cima alla testa ed evidenti problemi di alitosi.

“Cinque anni fa la mia fidanzata è morta”, iniziò l’uomo non appena si fu seduto sulla sedia ed ebbe ricevuto tutta l’attenzione dei due. “Tutti dicono che si sia trattato di suicidio ma io non ci credo. La mia Betty non l’avrebbe mai fatto. È vero, aveva qualche problema di fiducia e piangeva spesso ma non si sarebbe mai suicidata. Qualcuno l’ha uccisa, ne sono sicuro, ma la polizia non ha voluto indagare”.

“Forse si è uccisa per non dover sopportare il suo alito”, commentò Sherlock sottovoce e solo John riuscì ad udirlo.

“Come?” chiese l’uomo che l’aveva sentito borbottare.

“Niente, niente. Vada avanti”.

“Betty è stata uccisa”, ripeté l’altro cercando di mostrare un’espressione convinta. Poi non aggiunse altro e Sherlock rimase ad osservarlo aspettandosi che parlasse ancora. “Quindi?” gli intimò.

“Betty, la mia Betty è stata uccisa”.

“Sì, questo lo ha già detto”.

L’uomo abbassò il capo, imbarazzato.

“Che cosa glielo fa credere, che sia stata uccisa?” chiese John a quel punto.

“Ecco… niente di concreto a dire il vero. Solo il mio sesto senso”.

“Il suo sesto senso?” ripeté Sherlock quasi istericamente. Poi prese un grosso sospiro e cercò di calmarsi. “Per caso la sua fidanzata andava da un analista?”

“Sì, ma…”.

“E prendeva degli antidepressivi?”

“Sì, ma…”.

“Allora si è trattato di un suicidio. Mi dispiace. Il caso è chiuso”.

“Ma…”.

Sherlock mostrò all’uomo il palmo aperto della sua mano e con uno scatto la chiuse a pugno, al che l’altro ammutolì di colpo.
John lo accompagnò alla porta e rientrò di nuovo, ma questa volta da solo.

“Non ci sono altri clienti, Sherlock”.

“Maledizione!” esclamò il detective alzandosi dalla poltrona. “Possibile che non accada niente di interessante? Che me ne faccio di cani scomparsi e fidanzate suicide? Mi annoio!” Si buttò sul divano e rimase a fissare il soffitto.

Il dottore raggiunse Connie in cucina e si versò il tè ormai freddo in una tazza. “Che cosa succede?” chiese la ragazza. “Chi era tutta quella gente?”

“Possibili clienti. Ma ora non più. Mettiamo degli annunci su internet e a volte la gente gli chiede se può risolvere qualche crimine a cui sono andati incontro e che non si sono mai risolti. Ma i più vengono solo per incontrare Sherlock”.

“Capisco…”, annuì la ragazza mettendo enfasi sulla parola.

Raramente però capitava che, tra i clienti che venivano nel loro appartamento, riuscissero a trovare qualche caso interessante. E adesso la situazione si faceva preoccupante perché era da un po’ che Sherlock non si trovava con qualcosa di interessante tra le mani e John temeva che si sarebbe messo a sparare al muro per la noia, o magari a qualcos’altro.

“E tu?” gli chiese ad un tratto Connie, guardandolo con un’espressione che sembrava intenderla lunga.

“Io cosa?”

“Incontrare Sherlock?” disse a voce bassa.

“Di che stai parlando?”

“Lo sai benissimo”. La ragazza lo guardò maliziosa e l’uomo voltò immediatamente il capo. Preferiva evitare quel discorso, non sapeva quanto fosse buono che proprio la sorella dell’uomo di cui era innamorato sapesse questa cosa.

“Vado a farmi una doccia”, concluse John, lasciando la tazza nel lavello e dirigendosi in bagno.

Connie sospirò e andò dal fratello, sedendosi accanto a lui sul divano.

“Ti piace John?” gli chiese ad un tratto, col tono più innocente possibile. Voleva farla passare come una domanda casuale, ma stava parlando con Sherlock, colui che deduceva sempre tutto. Infatti il fratello aprì gli occhi e la guardò perplesso. “Perché mi chiedi questo?”

“Così, tanto per parlare”.

Il detective attese un attimo prima di rispondere. “Sì, mi piace”.

“Ti piace… quanto?”

L’uomo si mise a sedere si scatto e reclinò il capo osservando la sorella. “Mi piace. E’ mio amico. Non ho voglia di rispondere a domande inutili”. Non hai voglia di rispondere a domande compromettenti, Sherlock. La verità era che sì, John gli piaceva, ma non sapeva come, né quanto. O meglio, non voleva saperlo. Era un pensiero che cercava di evitare il più possibile, ma risultava sempre più difficile farlo, specialmente quando John gli stava d’attorno. Eppure voleva sempre averlo attorno. Se ne era reso conto già da un po’, da quella sua finta morte, quando l’aveva dovuto lasciare. Prima si era abituato alla sua presenza, era diventato normale, quotidiano, una di quelle cose che lo rassicuravano. Ma poi… poi qualcosa era cambiato… e….

Il suo cellulare squillò. Era un messaggio di Lestrade: “Stiamo interrogando l’uomo che ha ucciso quel ragazzo. Non vuole parlare. Nasconde qualcosa”.

Il detective alzò lo sguardo sulla sorella. “Vieni con me?”

 

A Sherlock non piaceva stare chiuso negli uffici investigativi di Scotland Yard, non tanto per la presenza di tutte quelle persone che considerava inutili o stupide, quanto più perché gli parevano angusti e mal arieggiati. Non che soffrisse di claustrofobia, ma era solo una sensazione psicologica poco piacevole.
  Perciò ora, mentre parlava con Lestrade, non vedeva l’ora di andarsene da lì e non cercava nemmeno di evitare di farlo capire. Passeggiava avanti e indietro per la stanza e lanciava occhiate alla porta ogni trenta secondi.

“Avete risolto il vostro caso. Non riesco a vedere il motivo per cui io dovrei stare qui”.

Greg sbuffò appoggiandosi contro lo schienale della sedia. “Certo, l’omicidio è stato chiaramente un incidente, ma…”.

“Ma tu credi che ci sia dell’altro”, concluse Sherlock per lui. Il detective investigativo allargò le braccia facendogli capire che aveva indovinato. In quel momento Sally Donovan entrò nella stanza portando una tazza di carta piena di tè che pose davanti al viso di Connie, seduta alla scrivania di Lestrade.

“E hai bisogno del mio aiuto, come sempre”, aggiunse il moro con un sorrisetto tronfio.

“Il geniaccio ha parlato”, commentò Sally acida. “Non capisco perché continui a rivolgerti a lui”, sospirò in direzione del suo capo.

“Donovan, torna a leccare il culo ad Anderson. Nessuno ha chiesto la tua opinione”.

Sally lo guardò sconvolta e aprì bocca per ribattere, ma venne interrotta da Connie che lo rimbrottò: “Non essere scortese, Sherlock!”

“Ha iniziato lei”, si difese il fratello in tono quasi infantile.

“La vogliamo smettere con questi giochetti?” si intromise Lestrade prima che la ragazza avesse il tempo di dire altro. “Mettiamoci a lavorare piuttosto”.

Sherlock allora si parò di fronte al detective, a qualche passo di distanza dalla scrivania e, con il tono più autoritario che gli uscì e uno sguardo glaciale, pronunciò: “Fammi parlare con il tizio che avete preso”.

 

“Non capisco come tu abbia fatto a sopravvivere tutto quel tempo con Sherlock”, sbottò Donovan mentre lei, Connie e Lestrade aspettavano fuori dalla stanza degli interrogatori che Sherlock finisse di parlare con l’uomo che era stato arrestato quella mattina. “Non dirmi che da piccolo era uguale”.

Connie ridacchiò divertita. “No, non era così”.

“Ah, meno male. Ma che trauma ha subito per diventare uno psicopatico?” La domanda di Sally era retorica e ironica, ma la mora abbassò lo sguardo e cercò di non far trapelare quello che stava pensando, ovvero che una risposta a quella domanda in verità c’era, ben chiara e precisa. Ma la detective non era certo la persona giusta a cui raccontarla.

“Comunque, con Mycroft e lui non ci si annoiava mai. Era sempre una competizione tra loro”.

“Povera signora Holmes”.

Calò il silenzio per qualche minuto, interrotto soltanto dal ronzio del riscaldamento e dal vocio che proveniva dalla stanza affianco.

“Senti, Connie…”, iniziò a un certo punto Greg, avvicinandosi alla ragazza e abbassando la voce. “Non è che… sì, insomma… mi chiedevo se ogni tanto, quando hai tempo, ti andrebbe di bere qualcosa. Dico così, tanto per passare il tempo”.

Connie restò a guardare il detective per qualche attimo, poi gli sorrise teneramente. “Sì, perché no? Tanto non ho niente da fare”.

“Davvero?” L’espressione di Lestrade mostrava una certa sorpresa e forse anche un pochino di sollievo.

“Sì. Ti lascio il mio numero, così mi chiami, se vuoi”. La ragazza tirò fuori dalla borsa un foglio di carta e una penna e si mise a scrivere. Sally lanciò loro un’occhiata, ma era parecchio distante per udire di cosa stessero parlando. “Ma dimmi una cosa…”, continuò Connie, consegnando il foglietto all’uomo. “E’ un caso difficile, questo?”

“Non… non saprei. Abbastanza. Ma non posso parlarne con te, mi spiace, sono informazioni riservate”.

“Oh, certo, certo. Non volevo intromettermi. Solo…”. La ragazza restò a fissare un punto di fronte a sé, come incantata, poi sorrise di nuovo al detective. “No, niente. Lascia perdere”.  

“C’è qualcosa che ti preoccupa?”

“No, non è niente”. Greg avrebbe voluto investigare di più, ma in quel momento Sherlock uscì dalla stanza con un’espressione di pura soddisfazione.

“Allora, che ti ha detto?” chiese Sally.

“Tasso”.

“Tasso? Cosa vuol dire?”

“Non lo so”.

 

Connie, seduta sul sedile posteriore di un taxi assieme al fratello, controllò l’ora sul cellulare e lo ripose in borsa. Poi si avvicinò di più a Sherlock e gli appoggiò la testa sulla spalla.

“Sherly?” chiamò.

“Hmm?”

“Sei sicuro di voler lavorare su questo caso? È pericoloso”.

“Ho lavorato su casi più pericolosi”, le ricordò il detective, gli occhi chiusi e la mente concentrata.

“Sì, ma… qui c’è di mezzo la droga”.

Sherlock capiva la preoccupazione della sorella, ma era assolutamente infondata. Non sarebbe successo niente, non più, glielo aveva promesso. Non poteva deluderla. E non poteva nemmeno farsi sfuggire un caso così. Si prospettava qualcosa di difficile, di esaltante, forse persino meglio del caso Moriarty.

“Non ti preoccupare, sorellina”.

E allora Connie si rilassò. Sì, ora poteva stare tranquilla, perché glielo aveva detto Sherlock. Ma soprattutto perché l’aveva chiamata sorellina.

 

 

MILLY’S SPACE

Buonasera… finalmente riesco ad aggiornare qualcosa. Purtroppo la scuola mi porta via un sacco di tempo ed è difficile destreggiarsi tra le varie cose. Spero non avervi fatti arrabbiare troppo.
Ancora non siamo arrivati al clou della storia, ma non preoccupatevi, ci sarà e si scopriranno un sacco di scheletri nell’armadio ^^.

Voi però, nel frattempo, lasciatemi qualche commento che mi fa sempre piacere.

Un bacione,

M.

MONKEY_D_ALYCE: eh, Sherlock è bravo a dedurre l’esterno delle persone, ma quando si parla di sentimenti… mah, chissà ^^ vedremo. Sono contenta che lo scorso capitolo ti sia piaciuto. Fammi sapere cosa pensi di questo. Baci…

  
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