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Autore: Tinkerbell92    31/03/2014    5 recensioni
Si dice che nelle persone convivano equamente il Bene ed il Male, e che soltanto a noi stia il compito di fare una scelta tra le due parti.
Ma esistono anche individui "costruiti", che, per una ragione o per un'altra, non hanno la possibilità di compiere una simile scelta...
Dopo la OS su Clove, ecco come immagino siano andati alcuni momenti della vita di Cato.
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cato
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Careers'
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La giacca nera ed i pantaloni abbinati fasciano il mio corpo alla perfezione, eppure, in questo momento, li sento decisamente troppo stretti. L’intera stanza in realtà mi sembra stretta.
Una fastidiosa sensazione di soffocamento si serra come una morsa attorno alla mia gola, così provo ad allentare il nodo della cravatta e ad allargare il colletto della camicia.
No, non funziona. Non sono i vestiti a darmi fastidio, credo di avere qualcosa dentro. Forse sto morendo.
Sì, probabilmente morirò, mi chiuderanno in una cassa di legno e mi seppelliranno, come hanno appena fatto con la mamma.
Apro la finestra per far entrare un po’ d’aria e, senza rendermene conto, mi ritrovo davanti allo specchio: un bambino biondo di appena dieci anni ricambia il mio sguardo con fare poco convinto, i vestiti da funerale non lo aiutano affatto a sembrare più grande e lo stesso vale per gli occhioni azzurri dalle lunghe ciglia, gli stessi occhi di sua madre che, all’improvviso, diventano lucidi e arrossati.
Aspetta, lucidi e arrossati?
Faccio un passo indietro, come terrorizzato dalla mia stessa immagine. Ora ho capito quello che mi sta succedendo: sto per mettermi a piangere.
No, tutto ma non questo, non posso piangere, non voglio!
Mi sfrego violentemente gli occhi con le mani ma, all’improvviso, il volto della mamma si fa strada tra i miei pensieri. Come per magia, la sua voce calma e femminile comincia a rimbombare senza pietà nelle mie orecchie, mentre una sequenza di vivide immagini inizia a tormentarmi, strappando la mia anima in tanti minuscoli pezzettini.
Vedo la mamma sorridere mentre mi guarda giocare con gli altri bambini al parco, riesco quasi a sentire di nuovo il delizioso profumo di vaniglia e limone dei suoi capelli, quel dolce aroma che tanto amavo e che mi solleticava le narici quando mi divertivo ad affondare il viso nella sua morbida chioma castana.
Percepisco di nuovo le sue dita delicate sfiorarmi il viso, la sua mano posarsi sulla mia fronte per misurarmi la febbre. Odo la sua risata limpida ed un po’ acuta, così vivida e reale che quasi avverto con sorpresa il vibrare dei miei timpani.
Per un attimo smetto di sfregarmi gli occhi e abbozzo un sorriso, ma poi mi rendo immediatamente conto di una cosa: la mamma non c’è più. Tutte le sensazioni meravigliose che ho appena provato non sono altro che semplici illusioni, crudeli scherzi della mente.
Come per incanto, il volto sorridente della mamma ancora viva svanisce, lasciando il posto a quello che ho visto poco fa, prima che chiudessero la bara: bello e pacifico, ma anche immobile, pallido e decisamente poco umano.
Non ero sicuro di volerla vedere così, la zia aveva anche cercato di impedirmelo, ma papà fu piuttosto chiaro a riguardo. “Non deve avere paura” aveva detto “Non ce n’è motivo”.
Già, papà…
Credo che abbia apprezzato la serietà ed il contegno che ho mantenuto durante tutta la cerimonia, mi sono impegnato per renderlo fiero di me e non mostrare alcuna emozione e ci sono riuscito senza problemi.
Ma allora perché adesso sto così male?
Provo a fare un respiro profondo ma ormai sembra non ci sia più nulla da fare: le mie spalle cominciando ad alzarsi e abbassarsi con un ritmo quasi convulso, la respirazione si fa irregolare e le mie labbra tremano prive di controllo. E poi arrivano le lacrime, seguite dai singhiozzi.
Sferro un pugno contro il muro per frustrazione, ottenendo soltanto di scorticarmi brutalmente le nocche, e mi appoggio di peso all’armadio per evitare di crollare a terra.
Voglio la mamma.
Voglio i suoi abbracci, le sue carezze. Non può essersene andata per sempre, non ha senso.
La porta della camera si apre di scatto e la disperazione lascia subito il posto al terrore: papà si ferma a pochi passi da me, squadrandomi con fare severo. Cerco di raddrizzarmi e ritrovare un po’ di contegno, quasi vorrei cavarmi gli occhi purché non li veda rossi e offuscati dalle  lacrime come sono adesso.
Non mi è permesso piangere, me l’ha sempre ripetuto e adesso di sicuro si arrabbierà. Il pianto è un segno di debolezza.  
- Cato.
La sua voce, ferma e profonda, mi colpisce al cuore come una coltellata.
Tiro su col naso e provo a passarmi i palmi sulle guance bagnate, anche se, con orrore, mi accorgo che le mie mani stanno tremando.
-Papà – rispondo con uno squittio.
Lui mi osserva in silenzio per qualche secondo, dopodiché domanda semplicemente: - Cosa stai facendo?
Un tremendo senso di vergogna si fa strada nel mio cuore, portandomi ad abbassare lo sguardo e arrossire. Succede ogni volta che capisco di averlo in qualche modo deluso.
- Io… niente – balbetto poco convinto, costringendomi ad alzare lo sguardo e tenerlo fisso nel suo. Le mie mani continuano a tremare, così le stringo a pugno più forte possibile e le nascondo dietro la schiena.
Papà socchiude gli occhi con fare quasi minaccioso: - Non stavi mica piangendo, vero Cato?
Deglutisco a fatica, senza interrompere il contatto visivo: - N-no, papà…
- Certo che non stavi piangendo – mi interrompe lui con tono decisamente troppo calmo – Piangere è una cosa da deboli, giusto?
- S-sì…
- Noi siamo guerrieri.
- Sì…
- Tu sei un guerriero.
- Lo so…
- E i guerrieri sono forse deboli, Cato?
Tiro su col naso una seconda volta, raddrizzando il più possibile le spalle: - No, signore. I guerrieri… non piangono.
Papà annuisce impassibile, dopodiché mi si avvicina e mi posa una mano sulla spalla: - Posso capire che la perdita di tua madre ti abbia, diciamo, scombussolato un po’. Ma devi ricordare che i guerrieri, nonché futuri Vincitori di Hunger Games, non possono permettersi di fermarsi davanti a nessun tipo di difficoltà. Non è piangendo che si vincono i giochi, ma combattendo e affrontando ogni ostacolo a testa alta, senza lasciarsi turbare da niente e nessuno. Mi sono spiegato?
Cancello dal volto ogni singola traccia di lacrime e annuisco deciso: - Sì, signore.
Papà abbozza appena un sorrisetto, dandomi una pacca di approvazione sulla spalla: - Molto bene. Domattina l’Accademia aprirà un po’ prima, perciò ti voglio in piedi alle sei in punto, pronto ad allenarti come non hai mai fatto in vita tua. Devi recuperare il tempo che hai perduto oggi.
- D’accordo – rispondo, un po’ sollevato dal fatto di aver recuperato un tono di voce più deciso.
Papà annuisce, passandosi distrattamente la mano sulla barba bionda, dopodiché esce dalla stanza, i suoi passi rimbombano pesantemente lungo tutto il corridoio.
Improvvisamente, mi sento di nuovo solo, ma riesco ad evitare una seconda crisi di pianto con un sospiro profondo.
Con sommo disappunto, scopro che tutto ciò non mi aiuta affatto a farmi sentire più forte.

- Ehi, tonto, guarda che l’Accademia sta chiudendo.
Atterro il manichino contro cui mi sto esercitando da più di due ore e mi volto a fissare annoiato Clove, la ragazzina dai capelli neri che ha appena parlato. Ha circa un anno in meno di me, ma sembra molto più piccola per via della statura e del fisico minuto.
Sfilo i guantoni da pugile e mi asciugo la fronte sudata con il dorso della mano: - Perché anche tu sei ancora qui, allora?
- Mi hanno mandata a cercarti – replica lei con atteggiamento scontroso – Tuo padre ti sta aspettando fuori.
- Beh – sospiro, flettendo all’indietro le spalle – Gli farà piacere vedere che sono il primo ad arrivare e l’ultimo ad uscire…
- Sì, sì, d’accordo – taglia corto lei, osservandomi dall’alto al basso – Stai bene per davvero?
Aggrotto la fronte confuso, cercando di studiare la sua espressione: - Come, scusa?
Clove incrocia le braccia, sostenendo il mio sguardo quasi con sfida: - Il funerale di tua madre si è tenuto soltanto ieri. Mi sembra strano che tu sia così pimpante…
- Non intendo farmi abbattere dalle prime difficoltà – rispondo risoluto, cercando di ignorare la morsa allo stomaco che mi sta tormentando – Vincerò gli Hunger Games anche per mia madre, quando sarà il momento.
- Se lo dici tu.
Clove dà un’alzata di spalle, dopodiché si avvia a passo spedito verso l’uscita: - Sappi che dovrai avere fortuna, Dolcezza. Non sei l’unico ad aspirare alla corona, qui dentro…

- Sei anni dopo –

E’ giunto il momento, non mi importa se ho altre due occasioni per offrirmi, non voglio aspettare i diciotto anni come fa la maggior parte dei miei compagni di Distretto.
Crimza, la capitolina vestita di rosso, mi osserva compiaciuta e mi porge il microfono affinché mi presenti.
- Sono Cato Hadley – abbaio – Ho sedici anni e sarò il vincitore di questa edizione!
Dalla parte opposta del palco, Clove emette uno sbuffo irrisorio.
- Hadley, hai detto? – ripete la donna vermiglia, con la solita vocetta tagliente – Sei figlio di…
- Sì – mi affretto a rispondere, lanciando un’occhiata in direzione di mio padre che mi osserva pieno d’orgoglio – Sono figlio del Colonnello Ares Hadley. E’ grazie a lui se sono diventato uno degli allievi migliori dell’Accademia…
- Oh, sì, conosco bene il Colonnello – mi interrompe  Crimza, rivolgendogli un lieve sorriso – Ma conoscevo anche tua madre, caro, lei mi ha fatto fare il giro del Distretto dieci anni fa, quando arrivai qui per la prima volta.
- Ah, mia madre… - una fitta tremenda mi trapassa lo stomaco, ma ritrovo in fretta il contegno – Mia madre era Victory Hadley. Il suo nome significava “vittoria”, che è esattamente ciò che otterrò in questi giochi. Beh, che dire, in qualche modo sembra io sia predestinato, Crimza.
- Oh, senza dubbio sarai uno dei tributi più interessanti –afferma la donna, portandomi più vicino a Clove – Esattamente come la tua compagna. Stringetevi la mano, ragazzi! Un applauso per i nostri coraggiosi volontari: Clove Kentwell e Cato Hadley!
La mano di Clove è piccola e fredda, scompare come un cubetto di ghiaccio all’interno della mia.
So già che dovrò tenerla d’occhio, lei e le sue sorelle erano sempre sotto i riflettori quando si allenavano in Accademia.
- A quanto pare vogliamo entrambi la stessa cosa – le sussurro sarcastico, ignorando l’ovazione disordinata del pubblico – Potevi aspettare ancora un paio d’anni, Clove…
I suoi occhi scuri e sottili trasudano veleno puro: - Mia sorella Ruby ha aspettato l’ultima Mietitura per offrirsi, ma una stronzetta è stata più veloce e le ha soffiato il posto. Io non voglio perdere un’occasione così importante.
- Beh, credo che la tua occasione sarà sprecata – sogghigno, dischiudendo le dita e staccandomi dalla sua presa – Sarò io a vincere.
- Oh, questo è da vedere – sibila lei, fissandomi con aria di sfida – Ti consiglio di non sopravvalutarti.

***
Il dolore sta lentamente svanendo. Mi pare di aver sentito un colpo di cannone, prima, ma forse è stata soltanto un’allucinazione provocata dall’agonia e dal panico.
Il tempo sembra rallentare.
Chiudo gli occhi solo per una frazione di secondo e, quando li riapro, non sono più circondato da un branco di ibridi famelici che straziano la mia carne, sotto un cielo scuro e minaccioso. Non saprei dire dove mi trovo, so solo che sono ancora disteso a terra ed una figura femminile si sta chinando lentamente su di me. Mi sfugge un singulto soffocato.
Gli occhi azzurri dalle lunghe ciglia, i capelli castani lunghi e fluenti, la carnagione rosata e le guance piene… tutte quelle caratteristiche che in vita avevo finto di dimenticare ora si trovano davanti a me.
Mamma mi porge la mano sorridendo, aiutandomi ad alzarmi in piedi. E’ parecchio più bassa di me, adesso, e in un primo momento la cosa mi provoca un lieve senso di smarrimento.
- Ciao, tesoro – mi sussurra, poggiandomi i palmi delle mani sul viso – Sei cresciuto così tanto…
Piego le labbra in un lieve sorriso, mentre i miei occhi cominciano a diventare umidi.
- Ciao, mamma – mormoro, la voce rotta dall’emozione – E’ bello rivederti.
- Avrei preferito che questo momento tardasse ad arrivare – ammette lei, sfiorandomi la guancia con le dita sottili – Sei ancora così giovane, tesoro…
- Mi dispiace, ho fallito – balbetto, abbassando lo sguardo – Io volevo vincere, mamma, per te! Non riesco a capire cosa possa essere andato storto! Io non…
Senza preavviso, scoppio in un pianto isterico e quasi incontrollato. Inizialmente cerco di trattenermi, ma poi mi rendo conto che mio padre non può vedermi, non più.
Mamma mi afferra delicatamente il mento, facendomi alzare lo sguardo su di lei. E’ sempre bellissima, esattamente come la ricordavo.
- Cato – sorride parlandomi con fare gentile – Non devi più vergognarti di nulla, ormai. Non devi per forza fare come tuo padre, rincorrendo la vanagloria e vergognandoti di compiere un atto umano come il piangere. Sì, tesoro, anche lui piangeva, ha versato più lacrime di quante pensi, chiuso nella nostra stanza, accarezzando la metà vuota del letto. Non bisogna vergognarsi di essere umani, si finisce solo col soffrire. L’hai detto tu stesso alla tua amica giusto pochi giorni fa, no?
Mi asciugo le lacrime rapidamente, sentendomi improvvisamente meglio: - Già, Clove… per caso sai se troverò anche lei e gli altri in… qualunque sia il posto in cui ci troviamo?
Mamma emette una leggera risatina, alzando le spalle: - Forse. Abbiamo tempo per cercarli, tesoro. Abbiamo tutto il tempo che ci serve per fare qualsiasi cosa insieme.
Mi lascio sfuggire un sorriso, poi faccio un passo verso la mamma e la stringo in un abbraccio, cercando di reprimere le lacrime non appena sento di nuovo le sue braccia delicate e sottili serrarsi attorno al mio corpo. E’ tutto perfetto, tutto come una volta… o quasi.
Con fare lento e quasi un po’ impacciato, chino la testa e affondo il viso nei suoi capelli, inspirando a fondo. Eccolo qua, finalmente, dopo tanto tempo. Limone e vaniglia.
Per una qualche misteriosa ragione – che alla fine tanto misteriosa non è – mi accorgo di non avere alcun rimpianto. Ora sono con lei, libero di essere me stesso, libero di essere umano. Sì, questo mi fa davvero sentire più forte.
- Mi sei mancata.  

***
Angolo dell’Autrice: In questo periodo a quanto pare sono fissata coi Favoriti. Non è escluso quindi che pubblichi qualcosa su Glimmer o Marvel prossimamente.
Qui abbiamo Cato come lo immagino io. Sia ben chiaro, non faccio parte di coloro che lo ritengono un povero ragazzino incompreso, semplicemente ho sempre avuto l’impressione che fosse un ragazzo in qualche modo “costruito”, modellato secondo i canoni del suo Distretto, un po’ come la maggior parte dei Favoriti, insomma.
Spero che questa OS non abbia fatto schifo.
Grazie per aver letto! :)
  
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