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Autore: Gipsy Danger    03/04/2014    2 recensioni
La chiamano adolescenza. Naufragio. Anni terribili. Dicono che non ci si può far nulla – aspettare e vedere, aspettare e vedere.
Don!Centric, sequel di Crystallize.
Genere: Angst, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Donatello Hamato
Note: Missing Moments, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Water Lilies'
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Sinestesia


{I woke up, I was stuck in a Dream
you were there, you were tearing up everything
and we all know how to fake it, baby
we all know how it's done}





Apre gli occhi come gli succede da una vita: con i rami che battono sui vetri e l'ansia nel sangue, oltrepassando il confine sbiadito tra il sonno profondo e la realtà assopita.  Sogna di allontanarsi dai respiri ora placidi, ora affrettati dei corridoi in veglia, per scambiare l'alito caldo e soffocante della vecchia fattoria con quello graffiante del vento.  È solo un sogno, si dice. Uno che domani archivierà, come fa sempre, come continuerà a fare. La sua razionalità rimane abbandonata per terra, con la felpa di April, tessuto stropicciato che aspetta il suo risveglio per tornare ad essere indossato. Tacciono i numeri. Tacciono le idee. Gli infiniti NB, prendi nota, gli scorni di chi è convinto che si possa tirare avanti senza appuntarsi necessità impellenti – scomposte, da proteine in amminoacidi semplici, a beneficio dell'intero gruppo. Tace, la svogliatezza di creare senza avere un solo spunto buono in mente, per pura spinta a migliorarsi, in loop.
Non troverebbe mai il coraggio di raccontare a se stesso la verità, di ammettere che non è un miraggio notturno a farlo alzare nel cuore di questa notte. E non sa, quanto di ancora animale sia in loro, per poter imputare l'angoscia al semplice istinto.  Teme i parti della propria mente, e ancora di più ciò che non riesce a spiegarsi.
È la stessa urgenza che avverte nel sangue quando è il momento di combattere, la medesima spinta a muoversi. A non rimanere inerte ad aspettare, ascoltando un silenzio che non gli parla all'orecchio da troppo tempo, che non canta più per lui.
Talvolta l'ascolta. Talvolta gli fa paura. Estranea. Dimenticata. Soffia sulla polvere depositata da mesi su qualcosa che non esiste più.

Sogna di mettersi dritto sul materasso cigolante. Le coperte gli cadono in grembo e nelle tubature del muro alle sue spalle gocciola ininterrotta l'acqua. Oltre le tende si agitano le ombre furiose della quercia. Essere coronata di gemme non le basta. Il principio della primavera è irascibile e collerico quanto Raph, nelle sere in cui è assolutamente convinto che il mondo faccia schifo e si meriti ogni briciolo di rovina, ogni conflitto, guerra e petroliera affondata nel Pacifico che il fato gli scaraventa contro.
Scivola giù dal letto senza che quello stesso mondo cambi per lui. Mentre passa in rassegna le stanze, Michelangelo è ancora abbracciato stretto al cuscino, Raphael non interrompe il suo russare sordo e gli occhi di Leonardo sono sempre aperti, vigili, a porre domande senza bisogno di voce. Un dialogo muto si dipana tra loro. Stai bene? Sì, e tu? Non dovresti essere in piedi, ti stanchi troppo: torna a letto. Tra poco.
Tra poco.  
Nulla muta. Nulla si smuove.
Tutto sussurra.

È incredibile come Leo riesca a distogliere sempre l'attenzione da sé, in favore degli altri – questo, il pensiero del primo gradino – è surreale, così familiare da essere estranea. Al secondo, la sua mente è già altrove e il suo corpo in tensione verso l'ululato che spazza il tetto. Su, su e più su ancora, oltre la botola  che chiude la soffitta e il suo odore di cose dimenticate, abbandonate, lasciate indietro contro ogni principio di buon senso. Di giorno non le degna di un'occhiata, di notte le scorre con lo sguardo con solennità, passandole in rassegna come davanti ad cimitero decrepito.
Poi c'è l'abbaino, e la prima folata d'aria pungente che lo investe e gli sfila il respiro di bocca. Si arrampica ad occhi chiusi, facendo il funambolo tra pensieri che si rifiutano di dargli appiglio.  Fessure che sbattono, infissi che cigolano.

Sogna la delusione, sempre, per non trovare il mare di luci e l'odore penetrante di New York .
Sogna la diffidenza, quando schiude le palpebre e davanti a lui si stendono le colline, le foreste lambite dalle ultime lingue di neve testarda e, in fondo alla vallata, i fili di fumo dissolto del villaggio – perché questa non è casa, non sarà mai casa, nemmeno se ieri Mike ha visto un cervo e si è lasciato andare alla prima, vera risata da quando hanno abbandonato il rifugio per colpa di Shredder. Nemmeno se Leo e Raph si scambiano la tensione con la facilità di vasi comunicanti, né più né meno come facevano correndo sui tetti.
Per infinite notti, ha sognato la rabbia, sotto una luna bianca e sterile come una lampada da laboratorio. L'impossibilità di abbandonare una tana dove la loro sanità mentale sta lentamente scolando via, una goccia alla volta, verso un futuro di probabilità calcolate e parabole tracciate da forze più grandi di loro.
Nessuno, nessuno saprà mai davvero quant'è devastante per lui e i suoi fratelli scoprirsi goffi nonostante gli anni di ossa spezzate, cicatrici e sudore; quanto per la prima volta sia difficile condividere lo stesso spazio vitale senza ferirsi a vicenda, camminando sui cocci della sopportazione l'uno dell'altro – urtandosi, perché nessuno ha mai insegnato loro ad amare in maniera omologa. Si fanno del male senza volerlo, stretti nella morsa di un'immobilità sempre più vorace.
La chiamano adolescenza. Naufragio. Anni terribili. Dicono che non ci si può far nulla – aspettare e vedere, aspettare e vedere. Ma vedere cosa? Cosa, se non sanno nemmeno cosa tengono nascosto dietro la sincronia, la sinestesia con cui agiscono? Cosa, se non sanno cosa sono, dove stanno andando, che cosa sarà di loro?

Stanotte, con l'acquazzone che romba e ruggisce e strappa l'erba per farla volare lontano, e la pioggia che gli gocciola lungo la schiena e il mento e il collo, Donatello si sveglia e scopre che, nonostante il Sogno avesse raggio, dimensione e spazio, ora li ha esauriti. Il Sogno non è più – e il tetto sferzato dal temporale è reale, come reale è il freddo che gli rompe aghi sottopelle, e le braccia che si è stretto intorno per non tremare. Per non farsi schiacciare, nell'aria che gli strappa un respiro rantolante.
È sveglio, e l'attesa è finita, la maschera è in pezzi. Lo legge negli occhi di Splinter, alzando lo sguardo e trovandolo davanti a sé – come ogni notte che ha trascorso qui, spogliato delle proprie difese fino all'osso, sballottato dalla corrente fino a perdere il senso dell'orientamento, la sensibilità di nervi corrosi. Lo avverte vibrare nell'aria, nelle radici della casa addormentata e dei gemiti di fondamenta gettate cinquant'anni fa, più vecchie di lui, più salde di lui su un terreno che si sfalda e si sgretola.
Ogni presagio, ogni sensazione tocca corde assopite dentro di lui. Eppure, quando si rivolge al suo maestro, la sua voce suona piccola piccola.
“ ' Tou – san?”
“Ti ascolto.”
“È finita?” 
Ha bisogno di una conferma, di una mano tesa.
Splinter non sorride, e tuttavia la sua espressione non è severa.
“È finita,” conferma, soffice. “Ed è appena cominciata. Rallegratene, perché non tutte le battaglie si vincono combattendo.”

La peggiore nemica che Shredder potessi porgli davanti, l'inerzia, non l'ha sconfitto.
Donatello sfiata una nuvoletta di condensa tra le labbra, lasciando andare un respiro trattenuto da mesi. Grato, lascia che la pioggia lo pieghi e gli ricordi com'è, accondiscendere senza spezzarsi, flettersi senza temere che la corrente lo porti alla deriva. Ad ogni ondata, la lezione scivola più a fondo dentro di lui, modellandosi lentamente in midollo e muscoli e forza.
Avrà paura e proverà dolore. Non tornerà indietro. Avrà infinite domande, dieci per ogni risposta mai ricevuta: non poterle saziare lo farà a pezzi, ma non si guarderà alle spalle per vedere la desolazione di questo periodo disseccato. Userà quei frammenti per ricostruire una fortezza.

È sopravvissuto.

Arretrare mai, neanche per prendere la rincorsa.






{Set my body free

the silver tackers in the moonlight running
and the wind in the trees, singing 'Do you believe?'

We must be killers
Children of the wild ones}








We must be Killers, Mikky Ekko.


La seconda One - Shot che pubblico in questo fandom, e presumibile follow - up di Crystallize. Non avrei mai detto di riuscire a scrivere qualcosa incentrato interamente su Donatello così a freddo, in un periodo in cui scrivere per me equivale a camminare sui vetri e fallire (non piacermi, procrastinare, rimandare) è fin troppo facile.  Eppure, eccola qui. A dispetto di qualunque aspettativa. Questo è uno di quei lavori che io chiamo barfing, per il semplice fatto di venir fuori tutti in una volta, a getto continuo. Le ending spesso sono deboli e gli inizi pure, ma d'altra parte la situazione non è fatta per essere stabile.
Dunque. Il nemico principale di April erano i ricordi. Ciò con cui Donatello ha fatto i conti, in questa shot, è l'attesa. Attesa incancrenita di capire cosa fare, quando tornare, come muoversi. Non è strettamente collegata al fumetto, e più largamente potrebbe essere presa anche come un riferimento alla serie del 2003: il setting, in questo caso, è sempre la fattoria di Casey, post attacco a New York.  Il resto non è particolarmente importante.
L'inerzia è una brutta, brutta bestia.

Kei


   
 
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