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Autore: Yvaine0    05/04/2014    2 recensioni
Non ne aveva mai abbastanza di loro due. [...]C'era troppo amore in ogni loro azione, ma anche così non bastava.
Nini gli sarebbe sfuggita tra le dita, come sabbia, da un momento all'altro e Sebastiano non sarebbe riuscito a trattenerla – non riusciva a pensare ad altro, durante i weekend che trascorrevano insieme.
Poi, una volta ritrovatala, si sarebbe innamorato di lei da capo.

Sebastiano e Anita, ragazzi che si amano troppo, ma a distanza.
Genere: Fluff, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
- Questa storia fa parte della serie 'BG'
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Il titolo è una ciofeca (e probabilmente privo di senso, ma mi piaceva), il "testo centrato" (come si usa chiamarlo) è una banalità di cui un po' mi vergogno (di fatto non sono impazzita: l'ho tolto) e il contenuto è fluffoso oltre ogni mio standard e non ho idea di che cosa mi stesse succedendo quando l'ho scritta (rileggendo certi passaggi I was like: what the fuck?!).
So che l'ho scritta per Maria, però, che è una delle persone a cui voglio più bene al mondo, per cui ci sono e ci sarò sempre. Lei l'ha già letta, ma visto che oggi compie vent'anni e volevo condividere qualcosa con lei e per lei, ho revisionato questa storia, dato i nomi ai due protagonisti ed eccoci qua.
Buon compleanno, honey! ♥


Spore d'amore
 
 
Il letto sembrava paradossalmente troppo freddo senza nessuno da scaldare, senza quei piedi congelati a strusciarsi contro i suoi nel bel mezzo della notte, svegliandolo; troppo vuoto senza il profumo di quello shampoo; troppo silenzioso senza le risa indotte dal solletico; troppo grande senza che qualcuno ad impedirgli i movimento con un abbraccio indissolubile.
Respirava lentamente, di tanto in tanto l'espirazione si appesantiva trasformandosi in sospiro.
Era appena ripartita, ma sembrava passato già troppo tempo. Un paio di giorni: avevano condiviso quel letto un paio di giorni, poi lei era tornata alla sua vita, e lui alla propria. Era così maledettamente difficile vivere lontani, farsi bastare brevi periodi invece che una vita. Era triste non nutrire la speranza di incontrarla per caso al supermercato o nella libreria in fondo alla strada in cui lui metteva piede solo per regalarle qualche volume nuovo.
I suoi amici convivevano con le loro ragazze, lui no. Sarebbe stata una menzogna dire che non li invidiava nemmeno un po'. Sebastiano passava le settimane dormendo in un letto vuoto e freddo, bevendo birra accompagnato dalle chiacchiere entusiaste degli amici, senza provare altri sentimenti al di fuori della nostalgia.
E poi, una volta ogni tanto, prendeva un treno e le rubava un weekend.
Lui lavorava, lei studiava, loro abitavano in luoghi diversi, e si amavano. Si amavano a distanza, si amavano al telefono, via sms, con lunghissime videochiamate notturne tramite Skype.
Qualunque cosa facessero, però, non era mai abbastanza. Non erano mai abbastanza vicini, mai abbastanza a lungo insieme. Eppure non avrebbero potuto essere più uniti di così.
Anche senza potersi toccare, i loro cuori battevano in sincrono, i loro polmoni si riempivano dell'amore dell'altro, espiravano contemporaneamente sospiri nostalgici.
Sebastiano affondava il volto nel cuscino inodore, stanco. Stanco di non averla al proprio stanco, di sentire quel vuoto tra le braccia edentro le braccia, fin nelle ossa.
Era stanco, ma determinato.
Determinato a non lasciarla andare, determinato a prendere treni o aerei appena possibile, determinato a baciarla appassionatamente davanti a quell'appiccicoso del migliore amico di Anita, poi lentamente quando infine si trovavano soli.
Era soddisfatto, anche, di sapere che nonostante tutto giocasse a loro sfavore, loro ce la stavano facendo.
Erano mesi che quella storia andava avanti; mesi di furiosi litigi per i piani saltati, mesi di inviti, di baci interminabili alla stazione, di lacrime di cui a volte era impossibile distinguere la provenienza. Mesi di crisi di pianto seguite da biglietti del treno e arrivi tempestivi a sorpresa, turni scambiati che gli sarebbero costati parecchie bevute. Mesi di proteste, giudizi, consigli non richiesti. Mesi di “so quello che faccio” e “domani parto”; di promesse, di partenze, di ritorni, di attimi di felicità e giorni di tristezza e lontananza.
C'erano giorni in cui niente sembrava giusto. I messaggi troppo lenti ad arrivare, l'aria troppo restia ad invadere i polmoni; quel profumo che non c'era, la voglia di sentirla, il telefono spento, la gelosia. C'erano sedie ribaltate, grida che rimbombavano nelle stanze vuote, lacrime nascoste dal getto della doccia. A volte era sul punto di mollare tutto, poi lei, come se avesse capito, ricompariva: un sms, uno squillo, un semplice ricordo. A quel punto ogni pugno al muro, ogni sospiro, ogni sofferenza veniva compensato. Lei c'era, lo aspettava, lo amava.
Ogni sacrificio valeva la pena quando, finalmente, potevano incontrarsi di nuovo.
 
 
Non ne aveva mai abbastanza di loro due. Anche quando dopo tanto le tempo le loro mani erano di nuovo incastrate le une nelle altre, quando le loro labbra si trovavano, i loro corpi si fondevano e i respiri affannati si univano in un unico gemito di piacere, lei gli mancava.
C'era troppo amore in ogni loro azione, ma anche così non bastava.
Nini gli sarebbe sfuggita tra le dita, come sabbia, da un momento all'altro e Sebastiano non sarebbe riuscito a trattenerla – non riusciva a pensare ad altro, durante i weekend che trascorrevano insieme.
Poi, una volta ritrovata, si sarebbe innamorato di lei da capo.
Facevano l'amore con urgenza, trasportarti dalle emozioni del momento, nel disperato tentativo di recuperare il tempo perso quando erano lontani.
Poi lo facevano di nuovo, questa volta lentamente, con dolcezza, riscoprendosi da capo e donandosi del tutto l'uno all'altra. Si addormentavano stretti tra le lenzuola sgualcite, accarezzandosi e sussurrandosi parole d'amore, con le mani tra i capelli dell'altro, le gambe intrecciate, i sorrisi sulle labbra e il cuore che scoppiava nel petto.
Era solo perdendo conoscenza, cullato dal profumo e dal respiro regolare di lei –prendeva sonno sempre per prima–, che si lasciava illudere dalla sensazione di felicità che provava, dimenticando i mesi trascorsi senza di lei, l'imminenza di una nuova partenza, la sensazione di svegliarsi in un letto vuoto e freddo che odorava di detersivo e non di amore.
E al mattino apriva gli occhi trovando quelli di lei ad osservarlo, lucidi e allegri, vivi come mai. Erano le sue mani fredde a contatto con la pelle nuda a strapparlo al mondo dei sogni, per catapultarlo in una realtà che, ancora per qualche momento, con la mente semi addormentata, sembrava migliore di qualunque fantasia. Le dava il buongiorno sorridendo ad occhi socchiusi, mentre le accarezzava le spalle per donarle un po' di quel calore che sembrava non bastarle mai – era sempre così infreddolita! Si scambiavano baci dapprima brevi, leggeri, poi sempre più lunghi, preparando così la strada ad un nuovo fare l'amore con dolcezza e serenità, ancora immersi nel torpore del sonno.
Finivano stesi tra lenzuola che ormai non avrebbero potuto saper di loro più di così. Lui la teneva stretta a sé, sorrideva e le lasciava baci tra i capelli; non voleva lasciarla andare. Lei si beava della sua presenza, lo guardava, cercava di ritrovare tutti quei dettagli al cui ricordo si era aggrappata disperatamente quando era lontano.
Solo quando lo stomaco di Sebastiano brontolava, interrompevano il loro beato silenzio per ridere. Poi Anita sgattaiolava via dalla sua presa, fuori dal letto; indossava le mutandine e la maglietta di lui, fuggiva in cucina, dove solo qualche minuto dopo lui l'avrebbe trovata intenta a preparare la colazione, accolto dal profumo di caffè, uova e pancetta. Nini odiava il cibo salato la mattina, ma non c'era volta in cui non ne preparasse per lui, rubandogliene qualche boccone dal piatto con un sorriso dispettoso in volto. E lui la amava, la amava da impazzire.
 
 
I momenti che preferiva, erano i primi giorni di una vacanza trascorsa insieme. Quando potevano stendersi assieme su un divano troppo piccolo a guardare un film qualunque, di cui a nessuno interessava molto. Lo guardavano senza impegno, lei accoccolata sul suo petto, mentre lui le carezzava lentamente la schiena.
I personaggi parlavano, interagivano, lei li seguiva con lo sguardo, lui ogni tanto rideva a qualche battuta che giungeva al suo orecchio. Anita amava quando lui rideva: la risata gli faceva tremare il petto, irrigidire e poi rilassare i muscoli; lei dalla sua postazione riusciva a sentire ogni più piccolo movimento del suo corpo. Non esisteva più il tempo, ma solo il respiro regolare che gli faceva alzare e abbassare il petto; esisteva quella mano che le sfiorava la schiena, il profumo della sua pelle, esistevano le loro gambe intrecciate.
Poi la carezza scendeva, la sorprendeva trasformandosi in una delicata stretta su di una natica. Lei sobbalzava, gli lanciava un'occhiataccia; lui rideva con aria colpevole e inchiodava con lo sguardo, tornando a sfiorarle la schiena, il collo, i capelli biondi... E prima che potessero anche solo deciderlo, si stavano baciando di nuovo, come avrebbero continuato a fare a intervalli di pochi minuti per ore, finché qualcuno non li avesse disturbati.
E quando succedeva, lui si rabbuiava. Ogni secondo non speso con Nini gli sembrava perduto, un gravissimo spreco. Sentiva lo stomaco agitarsi ansioso per il timore di mandare a puttane il poco tempo che avevano a disposizione l'uno per l'altra. Mentre lei era al telefono, Sebastiano faceva tremare la gamba febbrilmente, tamburellava i piedi sul pavimento, si alzava dal divano, tornava a sedersi, non le toglieva un attimo gli occhi di dosso.
Anita non riusciva ad ascoltare altro che i suoi sbuffi, i suoi passi, la sua tensione quasi palpabile nell'appartamento – perché era così Sebastiano, non tratteneva mai le proprie emozioni, ma le spargeva nell'aria come spore, ne impregnava l'aria e lei le respirava, si lasciava intossicare. Nemmeno sapeva cosa zia Castelli stesse dicendo dall'altro capo del telefono, Anita si limitava a mormorare qualche parola di circostanza; tutti i suoi sensi erano concentrati su di lui – vista, udito, olfatto. Non si stupiva più di tanto, quando si ritrovava stretta in un abbraccio incoerente e delicato, mentre un paio di labbra conosciute le torturavano il collo. Era costretta a combattere contro i corpi di entrambi – i brividi, i mormorii, i gemiti; la presa ferrea, le carezze, le parole sussurrate all'orecchio che non riusciva a non ascoltare – per non lasciare trasparire cosa stesse succedendo. Accampava una scusa, quasi per miracolo, senza nemmeno sapere come; riagganciava, sottraendosi alle sue attenzioni. Allora lo guardava, sempre incredula ed esasperata dai suoi modi infantili e Sebastiano si sentiva rinascere: erano di nuovo loro due soli, senza ostacoli e perdite di tempo.
Lei lo interrogava con lo sguardo, lui rideva e inclinava la testa da un lato con aria innocente: il film stava per finire, sarebbe stato un peccato perdersi la fine. E la trascinava sul divano davvero, proprio come prima, ignorando le sue lamentele, ignorando il film, dedicandosi solo a lei, a tutte quelle piccole cose che stavano già iniziando a mancargli come l'aria.

 
  
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