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Autore: Evilcassy    09/04/2014    4 recensioni
Dopo la battaglia di Washington, gli ospedali traboccano di feriti senza nome.
L'ideale per nascondersi.
Forse.
Genere: Suspence, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Natasha Romanoff
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Punto a Capo

 

Punto e a Capo

 

 

 

L'infermiera ispanica ha sostituito la flebo dell'antibiotico con una di glucosio. Dice che è presto per iniziare un vero pasto, ma che comunque il dottore è fiducioso che possa reintrodurre i liquidi entro i prossimi cinque giorni.

Jasper Sitwell quasi non si ricorda l'ultima volta che ha davvero bevuto un bicchier d'acqua o fatto un vero pasto completo.

Ma per l'infermiera ispanica, per il medico ed il resto del personale dell'ospedale, lui non si ricorda neppure la sua identità. sembrano essersi dati troppa pena di cercarla.

Gli ospedali di Washington DC traboccano di persone ferite e cadaveri senza nome. Piano piano a tutti verrà ridata un'identità - vera o falsa a seconda della fazione di appartenenza - ma l'importante è che lui, per il momento, resti un anonimo e smemorato grumo di carne con aghi infilati in entrambe le braccia, fasciature e gessi.

Ha entrambe le gambe in trazione, un polmone collassato e una seria frattura cranica - abbastanza grave da giustificare una perdita di memoria, ma non troppo da averlo ucciso - una lesione alla settima vertebra, il polso destro tenuto insieme da una manciata di chiodi e la spalla sinistra dislocata.

L'impatto con l'asfalto del viadotto l'ha messo completamente fuori gioco ma non l'ha ucciso per pura fortuna: se nessuno si è fermato a controllare e a finirlo, è stato solo perché qualcun altro calamitava più attenzioni.

Cristo Santo, alla fine gli tocca pure ringraziare Captain BigJim e quella stronza della Romanoff.

Nella sua immobilità pressoché totale, Sitwell non può che difendersi fingendo - c'è dell'ironia in questa cosa - e sperando di continuare ad essere un volto tumefatto ed irriconoscibile tra la folla di feriti ancora per qualche tempo.

Beh, per un bel po' di tempo, a giudicare dalle sue condizioni.

I vincitori sono troppo impegnati a festeggiare, i perdenti a nascondersi. Magari un bel giorno arriverà un nuovo medico che, dopo una veloce diagnosi, si avvicinerà a lui e gli sussurrerà un saluto famigliare.

Hail Hydra.

E forse sarà salvo.

Oppure, meglio ancora, non verrà mai salutato da qualcuno - chissà se i vincitori si sono premurati di inventarsi un motto adeguato? Qualcosa di uguale impatto, magari un 'Yo, S.H.I.E.L.D.’  o ‘Fuck, Hydra- e allora lui sarà veramente salvo.

 

L'infermiera ispanica finisce di compilare la cartella clinica, indica un punto della stanza all'operatrice delle pulizie che entra e se ne va.

Sitwell socchiude gli occhi ancora pesti, mentre l'inserviente passa lo spazzettone sul pavimento canticchiando tra sé e sé.

Non che gli da fastidio, cattura semplicemente la sua attenzione perché non riesce a ricordare il titolo della canzone. È conosciuta, è famosa, ma nella mente annebbiata dagli antidolorifici il titolo e le parole si disperdono.

La voce sommessa della donna si avvicina, probabilmente sta pulendo il comodino vuoto di fianco al suo letto.

Una leggero tintinnio dei flaconi di vetro delle flebo.

Sitwell spalanca gli occhi di colpo e si ritrova davanti lo sguardo verde di Natasha Romanoff e le sue labbra carnose piegate in un piccolo ghigno.

 

Kalinka, kalinka, kalinka moja

 

Appoggia l'indice, avvolto dal guanto di lattice, alle sue labbra. Precauzione vana, dopo due settimane di intubazione la sua voce non è che un sussurro ed è certo che lei lo sappia perfettamente. Lo sta solo sbeffeggiando: gioca con la sua preda prima di ucciderla.

Nella sua immobilità forzata, non può che sperare che gli antidolorifici che ha in corpo lo facciano soffrire meno.

Non ne è tanto sicuro.

La Romanoff viene dal KGB, quelli sono abbastanza pratici nel torturare con il minimo sforzo ed il massimo risultato. E lei è abbastanza esperta a riguardo da mettere in conto la morfina che ha in circolo da giorni.

Si siede sul bordo del letto e lo fissa senza togliere il dito dalle sue labbra.

“Sentiti un po’ in colpa” Piega la testa di lato e sospira: "Sai quant'è difficile trovare un lavoro onesto al giorno d'oggi?"

Ne ho una vaga idea, infatti l'onestà l'ho lasciata da parte.

 "E soddisfacente, certo, perché persone come noi non possono di certo finire a fare i commessi da FootLocker. Men che meno tu." Alza un sopracciglio: "Scusa la schiettezza, ma non ti trovo affatto in forma."

"Ho avuto giorni migliori." Si sforza di ribattere. L'indice di Natasha smette di premere sulle labbra, ma resta sempre in prossimità del suo naso.

"Me li sono persi. Peccato." Si alza e riassetta le lenzuola: "Che poi, l'idea di base non era neppure sbagliata. L'umanità ha bisogno di essere protetta da stessa e francamente siamo in troppi, su questo pianeta." Gli fa l'occhiolino e poi guarda le flebo.

Oh cielo, fa anche la spiritosa.

"Non tirarla per le lunghe. Potrebbe entrare qualcuno da un momento all'altro."

Natasha riprende lo spazzettone e si rimette a passarlo sul pavimento: "Hai perfettamente ragione."

Kalinka, kalinka, kalinka moja, v sadu jagoda malinka, malinka moja!

 

Se lei può permettersi di fare la spiritosa chi è lui per non poter fare altrettanto? Sitwell cerca di ridere - la risata diventa presto una serie di colpi di tosse - e sforzarsi di trovare ed elargire una battuta è quasi doloroso: "Vedo che però l'hai trovato presto, un lavoro nuovo."

"Questo? Oh, sì, mi sono messa in proprio. Sono una donna: multitasking e flessibile."

E se proprio deve morire - e morirà di certo, è scontato come finale - almeno che abbia la possibilità di togliersi qualche sassolino dalla scarpa: "Ti avrei vista meglio su un tavolo da Pole Dance."

Lei non si scompone, anzi, gli rivolge un sorrisetto complice: "Ci ho pensato, sai? Ma c'è troppa concorrenza in quel settore. E, se permetti, qualche smania da primadonna posso permettermela." Infila lo spazzettone dentro al secchio e fa per aprire la porta.

Sitwell la ferma con un gemito.

"Hai il tuo cecchino preferito appostato sul tetto di fronte, pronto a farmi saltare il cervello con un fucile di precisione?"

Natasha lo guarda inizialmente sorpresa. Poi alza gli occhi al cielo e borbotta qualcosa sul non conoscerla affatto: "Mi hai presa per una lavativa? Te l'ho detto, mi sono messa in proprio. Autonoma. Lavoro da sola. E faccio un po' quel che mi pare, utilizzando i miei metodi."

"E sarebbero?"

"Oh. Se lo dicessi poi dovrei ucciderti."

"Perché, non hai intenzione di farlo?"

"No." Le labbra della Romanoff si stendono in un sorriso inquietante e il cuore di Sitwell manca di un battito: "L'ho già fatto." Indica con lo sguardo il pavimento umido. "Ammoniaca."

"Pulisce dai residui organici."

"E anche solo inalata reagisce con sostanze inodori ed insapori potenzialmente tossiche per l'organismo umano." Si guarda il polpastrello dell'indice che gli ha appoggiato prima alle labbra: "Sostanze pressoché irrintracciabili una volta introdotte, poiché troppo comuni." Il monitor a fianco del letto di Sitwell segnala un piccolo rallentamento del battito cardiaco. "Sai, devo aggiornare il mio Curriculum Vitae, una simile eccellenza in chimica non può passare inosservata."

La vista di Sitwell si offusca, un rivolo di sudore gli solca la tempia e cade sul cuscino, mentre Natasha alza la mano per un cenno di saluto ed esce dalla stanza spingendo il carrello delle pulizie, richiudendo delicatamente la porta alle sue spalle.

 

 

Uno scoiattolo del Washington Square Garden salta dall'albero e usa la spalla e il braccio della statua di Garibaldi per scivolare a terra e raggiungere la punta delle sneakers. La fissa impertinente, dritto sulle zampette posteriori, finché Natasha non stacca un pezzetto di snack e si china dalla panchina su cui è seduta per porgerglielo. Sorride quando se lo infila in bocca interamente e scappare via, poi abbassa la zip della felpa dell'Hard Rock Café e piega il collo all'indietro offrendosi al sole caldo di inizio giugno. Un momento di calma, pausa pranzo. Tutto il resto è un'incognita.

Lo è sempre stato.

Tutto finisce e di grazia che qualcos’altro ricomincia.

Punto e a capo. Se la vita è un libro, ha appena iniziato un nuovo capitolo. E ha voglia di scrivere ogni paragrafo da sola.

Lavorare in autonomia ha i suoi indubbi vantaggi.

Come non dover condividere con nessuno le sue piccole, crudeli soddisfazioni.

 

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Ta -daaaan!

A sorpresa, ecco un'altra flashfic dedicata a TWS - L'ho già detto che mi è piaciuto? Si è capito, vero? No?  - la cui genesi è scattata da una domanda che mi sono posta un paio di giorni fa:

Ma Sitwell... è morto davvero scaraventato fuori dall'auto dal WinterPuccy? Il suo cadavere non si vede, e gli agenti (veri o traditori) dello SHIELD sono abbastanza noti per la durezza della loro pellaccia (E per l'abilità con cui fingono le proprie morti).

Così, per chiudere il capitolo PallaDaBiliardo e rendere giustizia a Natasha - L'ho già detto che la amo alla follia? Si è capito, vero? No? - ho partorito questa piccola storia.

E' vero, è breve, ma la brevità è un gran pregio e sono ancora impantanata sino al collo nella saga di The Seventh per concedermi il lusso di scrivere qualcosa di più lungo di una one-shot.

Verrà il giorno, ma non è ancora questo.

Grazie in anticipo per essere passati da queste parti.

Alla prossima, spero e se vorrete,

EC.

 

PS: Per curiosità, due chiacchiere o sciocchezze, c'è sempre il mio caro e vecchio ask: http://ask.fm/EvilCassyBuenacidos

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